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![]() NOTIZIE EST #64 - JUGOSLAVIA/KOSOVO GLI ALBANESI DEL KOSOVO SERRANO LE FILE [Il giornalista bosniaco Loza ha pubblicato sul numero di maggio del mensile "Transition", una delle tante pubblicazioni finanziate dal miliardario americano Soros, un lungo articolo sulla crisi del Kosovo, del quale riporto qui in traduzione i passi più utili a spiegare il contesto in cui è nato e si è sviluppato l'UCK - a.f.] [...] Il fatto che il Kosovo potesse potenzialmente portare a un disastro umanitario e destabilizzare la sicurezza europea era chiaramente noto fin dalla dissoluzione della Jugoslavia nel 1991. Gli interessi incrociati di tutti gli stati dei Balcani meridionali convergono sulla confinante Macedonia, che ha essa stessa una larga minoranza albanese ed è oggetto di rivendicazioni territoriali e nazionali da parte di tutti i suoi vicini. Pertanto, una guerra in Kosovo rischierebbe di coinvolgere direttamente una mezza dozzina di stati della regione, tra cui due membri della NATO, la Grecia e la Turchia. [...] Se gli sforzi internazionali per risolvere la disputa del Kosovo sono stati scarsi in questi anni, è perché non si sentiva l'esigenza urgente di una soluzione. Ci vogliono due parti per fare una vera guerra, e gli albanesi del Kosovo non si sono impegnati in tal senso, adottando invece una strategia disciplinata di non violenza. Il Kosovo è stato sempre visto come un problema di diritti umani e non di diritti politici e di status territoriale. La morsa d'acciaio della Serbia sulla provincia era sì motivo d'imbarazzo per l'Europa e per gli Stati Uniti, ma era allo stesso tempo un fattore conveniente. La convinzione delle grandi potenze era che finché la provincia e la sua popolazione rimanevano strettamente controllate da Belgrado, gli albanesi non avrebbero potuto, né avrebbero osato, organizzarsi militarmente. Non ci sarebbe stata alcuna guerra per l'assenza di un secondo esercito. Il conflitto sarebbe stato evitato e la Serbia si sarebbe democratizzata con il passare del tempo, reintegrando gli albanesi nella società. Oggi gli albanesi del Kosovo si sono mossi. L'Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK) sta diventando la seconda parte in gioco. Nonostante la drastica inferiorità rispetto alle potenti strutture di polizia e militari di Milosevic, armi e munizioni raggiungono comunque ogni giorno le unità sul campo e il numero di uomini armati che si dichiarano membri dell'UCK è aumentato in maniera esponenziale nella maggior parte del Kosovo rurale. Bardhyl Mahmuti, portavoce del Movimento Popolare per il Kosovo (LPK) a Ginevra, una delle poche forze che hanno apertamente appoggiato l'UCK, afferma che non ci vorrà molto prima che l'UCK sia pronta a "combattere il nemico a pieno regime". Gravi scontri si sono già verificati. Gli albanesi del Kosovo si stanno attivando anche a livello politico. Mentre il movimento per l'indipendenza del Kosovo sta acquistando tutte le caratteristiche di una scena apertamente pluralista, la minaccia comune proveniente da Belgrado sta spingendo i moderati e i radicali a serrare le fila. [...] "La fusione tra gli albanesi radicali e quelli moderati è una questione di mesi", dice Xhafer Shatri, il ministro dell'informazione del governo parallelo degli albanesi del Kosovo. Il quadro non è assolutamente quello di una divisione all'interno del movimento degli albanesi, sostiene Shatri, "l'attuale livello di omogeneizzazione del popolo albanese non ha precedenti a livello storico". Le prospettive rimangono primariamente legate ai passi intrapresi da Belgrado e alle reazioni delle grandi potenze. Tuttavia sulla scena si sta formando un'"altra parte" attiva nel conflitto, che sta creando il contesto per le future evoluzioni della situazione. [...] CERCARE LA PACE ATTIVAMENTE Il governo ha preso posizioni diverse da quelle del presidente-ombra Rugova pochi giorni dopo che le grandi potenze hanno mancato di affrontare il problema del Kosovo in occasione dei negoziati per la pace in Bosnia tenutisi a Dayton nel novembre 1995. Il punto forte di Rugova veniva considerato il favore di cui godeva presso i governi occidentali, ma in questo caso egli - e di conseguenza gli albanesi del Kosovo - non è riuscito a ottenere un invito alle più importanti trattative sui Balcani di questo decennio. E' vero, il cosiddetto "muro esterno" di sanzioni che esclude la Serbia e il Montenegro dalle istituzioni finanziarie internazionali è stato interpretato anche come dipendente dal rispetto dei diritti umani in Kosovo, oltre che dall'applicazione degli accordi all'interno della Bosnia. Ma l'accordo ha dimostrato agli albanesi che essi avrebbero dovuto sviluppare una strategia più dinamica se volevano esercitare una pressione sulla questione dello status del Kosovo. Altri ritenevano che ciò giustificasse il ricorso alla violenza. "I media hanno raccontato in innumerevoli occasioni i crimini commessi dalle unità paramilitari terroristiche dei serbi di Bosnia. Queste forze, però, sono diventati un esercito legale e legittimo a Dayton", afferma il rappresentante del LPK Mahmuti. "Il governo è dell'opinione che non dovremmo limitarci unicamente a proclamare un Kosovo indipendente, ma che è necessario anche che le nostre istituzioni diventino attive", dice il Primo Ministro del governo parallelo Bukoshi, a Bonn. "Se il parlamento Lituano è riuscito a riunirsi di fronte a carrarmati russi, perché non dovremmo tenere le nostre sessioni parlamentari in Kosovo? In altre parole, dobbiamo ottenere la libertà attivamente, perché non è possibile ottenerla altrimenti". La rivalità Bukoshi-Rugova ha toccato il punto più delicato, poiché è il primo ministro in esilio che controlla i fondi internazionali per le istituzioni parallele. Ma non vi è stata alcuna proposta di opzione violenta all'interno dell'establishment degli albanesi del Kosovo. Le idee principali riguardavano varie forme di non collaborazione, come il rifiuto di pagare le tasse jugoslave o di comunicare con la polizia serba. "Non pagate la bolletta dell'elettricità. Non importa se vi tagliano la luce", dice Shatri. "Per secoli ne abbiamo fatto a meno. Possiamo farcela senza ancora alcuni anni". Nel Kosovo, il più acceso oppositore di Rugova è stato Adem Demaqi, leader del Partito Parlamentare del Kosovo (PPK), il secondo maggiore partito dopo la LDK del presidente-ombra. Una figura risoluta e controversa che ha passato 24 anni in prigione, Demaqi è stato un forte critico del sistema politico parallelo degli albanesi, che ha descritto come "una ridicola caricatura della democrazia", chiedendo invece la formazione di un ampio fronte albanese. Ma sono stati gli studenti a proporre con i fatti il concetto di non violenza attiva. La loro dimostrazione del 1 ottobre 1997 ha portato in piazza 20.000 persone; la richiesta che avanzavano era quella di aprire le istituzioni educative, ma si basava su una critica del presidente. "La politica di Rugova blocca l'energia della gente e se si blocca questa energia la loro rabbia esploderà", afferma Albin Kurti, il rappresentante dell'Unione degli Studenti. "Rugova guarda solo alla comunità internazionale. Ma dovrebbe fare l'opposto. Dovrebbe organizzare la popolazione albanese qui sul posto e indire manifestazioni; solo così è possibile portare la comunità internazionale ad affrontare il problema del Kosovo". Rugova ha commesso una mossa sbagliata in quella occasione, rifiutando di dare il proprio appoggio a quelle che sono state le prime dimostrazioni a Pristina in cinque anni. Ciò ha portato a una grave divisione all'interno della leadership della LDK, che controlla il governo. Gli alleati di Bukoshi hanno espresso la loro estrema frustrazione: la manifestazione degli studenti è stata esattamente il tipo di attivazione delle istituzioni albanesi che il primo ministro prevedeva. Allo stesso tempo, più di mezzo milione di albanesi emigrati nell'Europa Occidentale e diverse migliaia negli Stati Uniti, hanno esercitato una forte influenza sul processo di radicalizzazione. La diaspora è stata una fonte cruciale di supporto finanziario alle strutture parallele degli albanesi e senza di essa non sarebbe stato possibile mantenere un approccio non violento. Ma come accade spesso con gli esuli, ha esercitato pressioni per un'opposizione più attiva contro l'oppressore sul posto. Trovatosi ad affrontare considerevoli pressioni provenienti dall'esterno del Kosovo, dagli studenti nelle piazze e dall'interno del suo stesso partito, Rugova ha reagito organizzando forzatamente le elezioni presidenziali e parlamentari il 22 marzo. L'obiettivo ufficiale era quello di garantire una nuova legittimità per la leadership nel caso in cui fossero state aperte trattative con Belgrado. Ma molti in Kosovo hanno visto questa mossa come un meccanismo per eliminare i "radicali" e riconfermare la posizione incontestata del presidente. Quasi tutti gli altri partiti politici dell'etnia albanese, insieme agli studenti, hanno boicottato il voto. In un discorso con il quale annunciava il suo ritiro dalla competizione per la presidenza, Luleta Pula-Beqiri, del Partito Socialdemocratico, ha affermato che è "moralmente inaccettabile parteciparvi ... finché i militari e la polizia serbi non si saranno ritirati da Drenica". Rexhep Qosja, uno dei più importanti intellettuali del Kosovo, ha definito l'effettuazione delle elezioni in tali circostanze un "tradimento di Rugova". Demaqi, del PPK, l'altro potenziale candidato, ha anch'egli rifiutato di prendervi parte: "Sono convinto che Rugova adori essere presidente, e quindi lasciate che lo sia", ha fatto notare. Alla fine, il candidato unico Rugova non solo ha vinto le elezioni, ma è riuscito a ottenere anche una partecipazione dell'80 per cento. Una spiegazione di questo fatto può essere trovata nella forte presenza della LDK all'interno delle reti famigliari diffuse in tutto il Kosovo rurale, un fatto che garantisce il controllo sul più potente mezzo di comunicazione, vale a dire il "passaparola". Nonostante le dispute interne, comunque, è un fatto che Rugova rimane la figura chiave ed è particolarmente prezioso per quello che sa fare meglio - rappresentare gli albanesi a livello internazionale. Come fa notare Bukoshi: "la scena politica del Kosovo è pluralistica... ma quando si tratta dello status del Kosovo, con qualche sporadica eccezione, tutte le forze sono favorevoli all'indipendenza". L'OPZIONE VIOLENTA Questo episodio del 27 novembre 1997 viene considerato come la prima conferma diretta dell'esistenza di gruppi armati albanesi, dei quali da anni si diceva che erano in formazione e che erano la logica conseguenza di una lotta per l'indipendenza che durava da decenni. Surroi, uno dei fondatori del partito di opposizione PPK, sostiene che la mancata creazione da parte della LDK di un movimento non violento dinamico "ha portato a un accumularsi di problemi e infine alla creazione dell'UCK... Questi piccoli gruppi di guerriglieri stanno ora crescendo e si stanno trasformando in un ampio movimento di guerriglia". Rugova ha negato continuamente l'esistenza dell'UCK, sostenendo che non si trattava d'altro che di una creazione dei serbi per giustificare un'azione di repressione in grande stile. In realtà, l'organizzazione è stata fondata nel 1993 da un gruppo di attivisti legati per la maggior parte al LPK, con lo scopo di attaccare le istituzioni serbe nel Kosovo. La prima azione di una certa portata è stato l'agguato teso a un auto della polizia serba nel marzo 1993, durante il quale due poliziotti sono stati uccisi e cinque feriti. Nel gennaio 1997, le autorità serbe hanno arrestato 61 albanesi, affermando di avere colpito il "nucleo del terrorismo albanese". Ma nel settembre 1997 l'UCK ha effettuato 12 raid simultanei contro stazioni di polizia in tutta la provincia. Nel novembre 1997 le azioni attribuite all'UCK erano ormai 40. Le azioni compiute nell'inverno scorso dall'UCK hanno costretto la polizia serba a ritirarsi dalla regione di Drenica, che gli albanesi hanno cominciato a chiamare "territorio liberato" controllato dall'UCK. La polizia serba ha risposto ai primi di marzo con dei raid contro le roccaforti dell'UCK, durante i quali molte donne e bambini sono rimasti uccisi. Anche in questa occasione la polizia ha affermato di avere distrutto i comandi dell'UCK. Ma in realtà non ha fatto che alimentare un sempre maggiore supporto per l'organizzazione, sia in termini di nuove reclute che in termini di afflusso di denaro. Si sa poco della struttura militare o del numero di appartenenti dell'organizzazione, che può essere descritta piuttosto come una rete di milizie non strettamente collegate piuttosto che come un esercito. Le sue origini risalgono al dibattito sulla convenienza o meno, per il governo-ombra, di creare un ministero della difesa e uno degli interni. Mentre le figure di spicco degli albanesi nel Kosovo volevano dei ministeri senza forze armate, il LPK e le altre forze in esilio o illegali - ivi inclusi gli esponenti che si trovavano nelle prigioni serbe - erano favorevoli alla creazione di un esercito. Shatri, della LDK, fa notare che fin dal 1992 gli albanesi hanno avuto contatti regolari con le sedi del governo del Kosovo in Europa Occidentale richiedendo la creazione di una forza armata. "La nostra convinzione era che l'equilibrio delle forze fosse così a sfavore degli albanesi che bisognava fare qualcosa per cambiarlo," racconto Mahmuti del LPK. "La LDK era categoricamente contro. Ma noi non eravamo degli avventurieri, volevamo solo prepararci". Lo stesso LPK, tuttavia, si è diviso sulla convenienza di creare un esercito attraverso delle azioni sul campo, oppure di creare prima delle strutture militari per poi attivarle in un secondo tempo. La maggioranza era favorevole alla prima opzione, mentre un gruppo era favorevole alla seconda soluzione e ciò ha portato una divisione all'interno del partito, con la conseguente creazione di un Movimento per la Liberazione del Kosovo (LNCK). La divisione ha portato a una serie di arresti di membri del LPK e della LNCK subito dopo che l'UCK si era formata, arresti che hanno portato un duro colpo all'ala radicale del movimento albanese. Il LPK ha avuto pochi problemi a trovare persone che condividessero le sue idee. Gestisce i suoi fondi in Germania e in Svizzera. "Non diciamo pubblicamente che il denaro è destinato all'UCK", spiega Mahmuti. "Diciamo che inviamo i fondi ad aree che la Serbia non controlla e che lasciamo decidere alla gente se usarli per comprare farina o piuttosto armi. Ma nessuno muore di fame in Kosovo. Stanno morendo perché non hanno abbastanza armi". Mahmuti dice che un Kalashnikov può essere facilmente comprato per 70 marchi da trafficanti in Serbia. Per quanto riguarda l'Albania, "lì la gente stessa è bene armata. Se il governo e i partiti non vogliono aiutarci, il popolo dispone di armi ed è possibile comprarne quante se ne vuole". Gli albanesi all'estero hanno reagito all'attuale crisi fornendo un ampio supporto. In una sola serata organizzata negli Stati Uniti per raccogliere fondi pare che siano stati incassati addirittura $200.000. Il governo di Bukoshi ha ricevuto donazioni sostanziali per il suo fondo destinato a Drenica, molti dei quali sono sicuramente stati ricevuti perché chi li ha dati riteneva che si trattasse di soldi destinati all'UCK. L'UCK ha pubblicamente chiesto al proprio governo di ottenere parte di tali fondi, cosa che il governo afferma di essersi rifiutato di fare. Abbiamo cercato di incanalare tutti i fondi, di farli passare attraverso il governo, perché la gente con quei soldi non avrebbe potuto fare nulla", dice il Ministro dell'Informazione Shatri. Si discute molto nei circoli albanesi sulle relazioni tra l'UCK e il governo, ivi incluso lo stesso primo ministro Bukoshi. Ma verso la fine di marzo, Mujo Rugova, ministro per la diaspora, ha dato le dimissioni a causa della riluttanza del governo a finanziare l'UCK. "Non abbiamo un mandato per cominciare una guerra", insiste Shatri. Ma l'UCK ha un piano per la liberazione del Kosovo, afferma Mahmuti, e il rapido evolversi della situazione sul terreno dà l'impressione di due forze che si stanno studiando per prepararsi a un conflitto che potrebbe scoppiare in ogni momento. Secondo Mahmuti, alla metà di aprile le regione di Djakovica, Decani, Pec (vicino al confine montagnoso con l'Albania) e Drenica sono state evacuate dalle donne incinte, dai bambini e dagli anziani. Gli uomini, afferma Mahmuti (e a quanto pare anche alcune donne) vengono addestrati dall'UCK. Secondo il Movimento di Resistenza Serbo-Movimento Democratico, i serbi della regione di Decani stanno fuggendo a causa dei "terroristi albanesi". L'esercito jugoslavo ha bombardato le aree di confine, affermando di avere fermato le incursioni di centinaia di membri dell'UCK. Se dovesse scoppiare un vero conflitto, i confini con l'Albania e la Macedonia verrebbero "cancellati", afferma Mahmuti, e l'UCK prenderà il controllo delle campagne. Le città settentrionali di Pristina, Podujevo e Mitrovica, delle quali gli albanesi non potrebbero conservare il controllo, sarebbero teatro solo di un resistenza simbolica. Lo scopo sarebbe quello di provocare una pesante risposta di fuoco da parte degli jugoslavi e ottenere così le simpatie internazionali, come i croati hanno fatto a Vukovar. Molti di questi discorsi potrebbero essere solo delle spacconerie per attirare l'attenzione internazionale e costringere Milosevic a pensarci due volte prima di passare alla prossima mossa. Eppure coincidono proprio con gli interessi di quest'ultimo: un movimento albanese aggressivo che cerca di congiungersi con l'Albania e le aree della Macedonia nel contesto di una spartizione del Kosovo - esattamente quello di cui ha bisogno per tenere vivo il nazionalismo serbo e mantenersi al potere. La realtà è un segno delle passioni albanesi. Nel corso di oltre un decennio di lotte, il movimento si è distinto da molti altri raggruppamenti nazionali dei Balcani e altrove, sopportando le proprie difficoltà con pazienza e attenendosi fermamente a una strategia di pace. Il problema è che questa strategia non ha potuto dimostrare di avere ottenuto vantaggi e ha esposto a rischi di un'ulteriore erosione sociale, in particolare attraverso l'emigrazione. Ora una parte del movimento è passata all'opzione violenta e tutta la lotta politica vi è stata coinvolta, direttamente o indirettamente. "U-C-K! Ru-go-va! U-C-K! Ru-go-va!". Durante una manifestazione pro-Kosovo organizzata a Bonn appena dopo il massacro di Drenica, gli slogan scanditi dalla folla creavano un collegamento apparentemente contraddittorio tra l'UCK e il presidente. La folla stava chiaramente chiedendo che si serrassero le fila. Di fronte al rischio di una guerra, le distinzioni tra i partiti, così come gli approcci violenti e quelli non violenti, diventano meno rilevanti. Potrebbe non essere mai chiaro in quale misura la radicalizzazione sia invece alimentata dall'establishment albanese - inclusi alcuni dei maggiori leader - per migliorare la loro posizione di alternativa moderata. In realtà, gli stessi albanesi non hanno le idee chiare, per fare un esempio, su dove vadano a finire i soldi - e su come vogliono che vengano distribuiti. In ogni caso, con l'ampliarsi dell'UCK, l'establishment albanese sta inevitabilmente cominciando ad affidarsi alle uniche istituzioni disponibili - quelle di Rugova e della LDK, nonché le strutture famigliari rurali. Nel Kosovo rurale, gli attivisti della LDK hanno cominciato spontaneamente ad agire come portavoce dell'UCK. "Naturalmente gli attivisti della LDK sono tutti simpatizzanti dell'UCK", spiega Bukoshi. "Tutti loro hanno partecipato con successo in prima fila alle azioni dell'UCK ". Dopo così tanti anni di repressione, la gente in generale, afferma, si sente incoraggiata dalle azioni violente. E le attività dell'UCK, anche se possono avere ristretto lo spazio di manovra all'interno del movimento nazionale per lui e per gli altri politici albanesi, hanno in fin dei conti rafforzato la posizione degli albanesi nei negoziati. Così, proprio nel momento in cui questa guerra potrebbe scoppiare, la possibilità di aprire delle trattative viene almeno discussa. E i politici albanesi del Kosovo, nello stesso momento in cui sono fortemente in conflitto e internamente divisi, non sono tuttavia mai stati così strettamente allineati. Alla fine di marzo Rugova ha annunciato il suo gruppo di consulenti per le trattative con Belgrado, che includeva alcuni dei suoi maggiori critici. Ovviamente voleva dimostrare l'unità degli albanesi all'indomani del massacro di Drenica. Presentando ai suoi critici un'offerta che non potevano rifiutare, Rugova ha cercato di distribuire il peso delle future decisioni politiche sull'intero spettro politico. Se il Gruppo di Contatto delle potenze occidentali più la Russia riuscirà a mettere all'angolo Milosevic costringendolo ad aprire trattative serie con gli albanesi, chiederà allo stesso tempo a Rugova di abbandonare l'idea dell'indipendenza. Il 6 aprile Rugova ha mandato segnali che lasciano intendere la sua disponibilità ad accettare qualcosa di meno dell'indipendenza, annunciando che il suo gruppo di quattro negoziatori sarà formato dal giornalista Surroi, considerato un moderato dalla comunità internazionale; dal suo collaboratore di lunga data Fehmi Agani, un abile e stimato realista; e dall'indipendente, ex titoista Bakalli, che è a favore della trasformazione del Kosovo nella terza repubblica della federazione jugoslava. Il 17 aprile il gruppo si è recato in visita dal presidente Fatos Nano a Tirana e dopo tale incontro Agani ha affermato che Tirana non chiede la modifica dei confini internazionali tra Jugoslavia e Albania, ma "accetta il concetto secondo il quale il Kosovo dovrebbe diventare una unità a pieno titolo" della Jugoslavia. Indipendentemente da quale ne sia il motivo, gli albanesi del Kosovo hanno ritrovato una sicurezza di sé che avevano perso da tempo. I radicali sostengono l'UCK. I moderati ritengono che il risveglio sia il risultato di una maturazione più generale degli albanesi. E vi sono spazi per ottenere un cambiamento positivo. [...] (da "Transition", vol. 5, no. 5, May 1998 - traduzione dall'inglese di A. Ferrario) |