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NOTIZIE EST #72 - JUGOSLAVIA/KOSOVO
21 settembre 1998


**** SPECIALE PROFUGHI KOSOVO / 5 ****


PROFUGHI DEL KOSOVO TORNANO IN VILLAGGI RASI AL SUOLO
di Adam Brown

LABUCEVO, Jugoslavia, 19 settembre 1998 - Una montagna di cenere - che fino a pochi giorni fa era ancora una porta - accoglie i visitatori in quello che rimane della casa a due piani del profugo Besim Gashi, che di recente è sceso dal suo rifugio sulla fredda cima di una montagna per trovare le rovine del suo villaggio. La casa di Gashi è tra le migliaia distrutte nel corso dell'offensiva, che dura ormai da sette mesi, contro i separatisti albanesi nella provincia del Kosovo, in Serbia. Fermandosi sulle tegole rosse, annerite dalla fuliggine, del suo tetto crollato, Gashi, 32 anni, mostra quello che è rimasto di quanto possedeva - un materasso a molle bruciacchiato e vari pezzi di vasellame d'argento annerito.

"Non abbiamo cibo né acqua", racconta Gashi. "La polizia è piombata sul nostro villaggio da tre lati e noi ci siamo messi a correre. Quando siamo tornati abbiamo trovato questo". Uno studio portato a termine da osservatori internazionali e reso pubblico sabato scorso, indica che circa un quinto delle quasi 20.000 case oggetto di un'indagine casualizzata condotta nel mese scorso nel Kosovo occidentale è inabitabile e non riparabile.

Eppure le autorità serbe e jugoslave, affermando di avere vinto la guerra contro i ribelli dell'Esercito di Liberazione del Kosovo e cercando di sfuggire alle critiche internazionali, incoraggiano, in alcuni casi costringono, i profughi a fare ritorno alle loro case. [...] L'ultima offensiva, comunque, è proseguita sabato, con i guerriglieri messi in fuga da una delle loro ultime roccaforti, a nord di Pristina, la capitale del Kosovo.

Lo studio internazionale, ottenuto dalla Associated Press, ha effettuato una ricerca su circa 220 villaggi, rilevando che oltre alle 4.400 case non riparabili, un numero ancora maggiore ha subito danni gravi. Lo studio è stato portato a termine il 24 agosto, prima che molti villaggi del Kosovo occidentale, settentrionale e meridionale fossero sventrati nel corso delle offensive più recenti.

La paura si fa strada anche tra i profughi che ritornano. Molti raccontano storie di amici e vicini che hanno cercato di tornare, solo per essere scacciati di nuovo - o uccisi - da altri bombardamenti o attacchi con armi da fuoco. "Non sappiamo se possiamo vivere qui perché la polizia potrebbe nuovamente tornare", dice Gashi, che dorme all'aperto sotto un telone di plastica, per lasciare 12 donne dormire in una delle stanze relativamente intatte della sua casa bruciata. "Mi sentirò meglio solo quando avrò trovato una soluzione che mi consenta di sopravvivere all'inverno".

Prima di tutto questo, Gashi frequentava l'ultimo anno dei suoi studi di economia a Pristina. Ora la sua principale preoccupazione è trovare qualcosa da mangiare prima che il primo gelo prolungato distrugga le bacche e l'uva di cui così tanti abitanti vivono.

Il Media Center serbo, filogovernativo, afferma nelle ultime settimane decine di migliaia di persone hanno fatto ritorno alle loro case con il cessare dei combattimenti in molte aree. Ma Fernando del Mundo, il portavoce dell'UNHCR, l'Alto Commissariato ONU per i rifugiati, afferma che sono pochi i profughi che cercano di tornare alle loro case, perché vi è il timore di nuovi attacchi da parte della polizia serba.

Ieri l'UNHCR ha riferito che l'ultima offensiva nel Kosovo settentrionale ha svuotato almeno 13 villaggi e messo in fuga più di 10.000 albanesi. "La crisi umanitaria nel Kosovo peggiora di giorno in giorno", dice Kris Janowski, il portavoce dell'UNHCR a Ginevra.

L'inverno è già arrivato in alcune zone e si stima che circa 50.000 persone vivano all'aperto. Il World Food Program ha segnalato ieri che nell'area al confine con l'Albania vi sono state nevicate che hanno costretto centinaia di profughi a scendere a piedi verso zone più calde.

Anche se alcuni profughi superano la paura e tornano alle loro case per ricostruirle, spesso devono cominciare senza alcun mezzo. Le organizzazioni umanitarie consegnano teloni di plastica, sacchi a pelo, compensato e chiodi. Ma questo non è nulla per coloro che devono ricostruire le loro case dalle fondamenta. A Labucevo, a circa 70 km. da Pristina, negli ultimi giorni due incendi alimentati da benzina hanno ridotto il paese a una massa informe di mattoni senza tetto e di scheletri di cemento. Un migliaio di persone ora si accalca qui impaurita, lamentando la perdita di praticamente tutto quello che avevano costruito per generazioni. Cucinano su falò all'aperto e dormono a dozzine in una stanza nelle poche strutture in cui un tetto parziale riesce a tenere fuori un po' di pioggia.

Per Gashi, la combinazione degli attacchi armati e dell'inverno incombente è terrificante. "Qui ci sono solo civili senza nemmeno un'arma per combattere", afferma. "Molti moriranno".

(fonte: Associated Press, 19 settembre 1998 - traduzione dall'inglese di A. Ferrario)