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NOTIZIE EST #78 - JUGOSLAVIA/KOSOVO
24 settembre 1998


**** SPECIALE PROFUGHI KOSOVO / 7 ****


IL MONTENEGRO RESPINGE I PROFUGHI DEL KOSOVO
di Tom Cohen

SCUTARI, Albania - Sotto ogni aspetto, Hysen Gashi e alcune altre dozzine di altre persone fuggite con lui dal Kosovo avevano passato due settimane d'inferno. Erano fuggiti dalle loro case nella provincia serba di fronte a un attacco compiuto dalle forze serbe all'inizio di settembre e avevano camminato per giorni fino a giungere nel confinante Montenegro. Ma ben presto sono stati espulsi e spediti in autobus fino al confine albanese, con poco denaro nelle tasche.

E' andata ancora peggio. Uomini armati hanno fermato il camion che avevano preso in affitto per raggiungere questa città nel nord dell'Albania e hanno rubato loro tutti i loro già magri beni. Questo ultimo indegno atto li ha resi l'ultimo, ennesimo numero aggiunto alla lista dei profughi che chiedono aiuto alle organizzazioni umanitarie internazionali mentre l'inverno si avvicina.

Più di 4.500 profughi dal Kosovo si sono registrati a Scutari nelle ultime settimane, mentre se ne aspettano molti altri. Tutti raccontano le medesime storie di fatica e soprusi. Tutti si ritrovano con pochissimo denaro, pochi vestiti e nessuna risposta alla loro più importante domanda - cosa succederà adesso?

I profughi che si trovano a Scutari sono fra i 275.000 abitanti del Kosovo che sono stati espulsi dalle loro case da quando le forze di sicurezza serbe hanno iniziato un'offensiva risolutrice contro i separatisti di etnia albanese nella indocile provincia meridionale in febbraio. La maggior parte dei profughi è rimasta in Kosovo, ma 20.000 di essi sono fuggiti nella vicina Albania e altri 40.000 in Montenegro, che forma la Jugoslavia insieme alla più grande Serbia.

"So che l'Albania è un paese povero. Spero solo che abbia il necessario per aiutare i kosovari", dice Sadik Cekaj, mentre è seduto in un ufficio del municipio di Scutari e registra altri profughi provenienti da Decani, la sua città natale nel Kosovo. "Non possiamo andarcene di qui. Non c'è sicurezza nel Kosovo". Né da alcuna altra parte, a quanto pare. L'Albania offre poca stabilità, appena uscita come è dalle sommosse della scorsa settimana con le quali si è cercato di abbattere il governo, in un paese poverissimo e che non è in grado di prendersi cura del suo stesso popolo. Le organizzazioni internazionali, che includono diversi programmi dell'ONU, fanno cercano in ogni modo di fornire mezzi di prima emergenza come cibo, medicine e posti letto per i profughi. Numerosi magazzini nei quali venivano conservati approvvigionamenti per i profughi sono stati saccheggiati la settimana scorsa e sono stati sottratti beni per centinaia di migliaia di dollari. Maki Shinohara, uno dei portavoce dell'Alto Commissariato dell'ONU per i Profughi a Ginevra, ha detto che un numero imprecisato di organizzazioni dell'ONU operanti nella regione ha chiesto lo stanziamento di $54 milioni per coprire i costi dal 1° giugno fino alla fine dell'anno.

Alcuni profughi vogliono cercare fortuna in Italia e forse poi in Germania. Altri insistono nel dire che vogliono tornare in Kosovo quando gli occidentali avranno fatto ritirare i serbi, o comunque quando avranno qualche forma di garanzia contro futuri attacchi serbi. "Quello che speriamo è che la situazione in Kosovo si stabilizzi, in modo tale che la gente possa fare ritorno alle proprie case", Shinohara.

E' il sogno anche di Gashi, di 53 anni, la cui voce non ha mai tremato mentre ci raccontava la sua storia. "Non mi sono mai sentito così male come quando abbiamo abbandonato i nostri villaggi e siamo saliti sulla montagna per poi voltarci e vederli bruciare. Mi sono messo a piangere", racconta, mentre richiama alla mente l'8 settembre scorso, quando le forze serbe lo hanno scacciato dalla sua casa a Peje. I posti di blocco serbi hanno impedito a loro e ad altri ancora di raggiungere i villaggi circostanti, costringendoli a dirigersi verso il Montenegro, a circa 80 chilometri in linea retta, ma si tratta di una distanza in realtà di gran lunga maggiore se si pensa alle tortuose e collinose strade del Kosovo. Vi sono rimasti due giorni, fino a quando unità speciali della polizia non ha ordinato loro di andarsene, accompagnando gli ordini con pestaggi arbitrari, secondo quanto confermano numerosi altri giovani che ascoltano mentre Gashi parla.

Degli autobus hanno trasportato Gashi e altri profughi fino al confine con l'Albania, a Vermosh. Raccogliendo un po' di denaro hanno preso in affitto un camion che trasportasse 40 di loro a sud fino a Scutari, dove alcuni hanno dei parenti, mentre altri sperano di prendere qualche nave per l'Italia. Faceva freddo e pioveva, sulla buia strada di montagna dove due ore dopo si sono imbattuti in un gruppo uomini armati di fucili che hanno fermato il camion, racconta Gashi. "Ci hanno fatto scendere tutti. Ci hanno fatto stendere per terra e ci hanno rubato le scarpe e tutti i vestiti che eravamo riusciti a portare con noi dal Kosovo", ha proseguito. Gashi ha dovuto consegnare i suoi 800 marchi quando gli assalitori - sei uomini armati di fucile automatico - hanno minacciato di violentare le donne se non avessero consegnato tutti i soldi. La brutta avventura è durata circa 30 minuti e nessuno ha reagito, per evitare di essere ferito. Alla domanda se pensa che la persona che ha affittato loro il camion li abbia messi in una trappola, Gashi risponde: "Ne sono assolutamente sicuro".

(Associated Press, 22 settembre 1998 - traduzione dall'inglese di A. Ferrario)