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![]() NOTIZIE EST #83 - JUGOSLAVIA/KOSOVO L'UCK E' SCONFITTO, MA NON FUORI GIOCO Con la sua crescita nel giro di pochi mesi da un'oscura organizzazione di pseudoguerriglia a un movimento armato di più di 30.000 uomini, arrivato a un certo punto a condurre apertamente operazioni armate in un terzo del territorio del Kosovo, l'Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK) è stato chiaramente il vincitore del Primo Round. Ma gli stessi motivi che hanno reso possibile questa crescita senza precedenti del movimento sono stati anche tra le cause che hanno consentito ai serbi di vincere il Secondo Round, costringendo l'UCK a cedere molto terreno, ivi inclusa la città di Malisevo, l'ex capitale del "territorio liberato". Sebbene l'apparato di sicurezza serbo, al quale l'UCK ha dovuto soccombere quasi completamente tra luglio e agosto, sia formidabile, il motivo principale di questa battuta d'arresto delle unità militari albanesi del Kosovo consiste nelle irrisolte contraddizioni interne al movimento stesso. Fino all'inizio di quest'anno, le uniche opzioni disponibili per gli albanesi del Kosovo erano o quella di appoggiare la politica pacifista - ma dolorosa e priva di frutti - sostenuta da Ibrahim Rugova, presidente della non riconosciuta Repubblica del Kosovo, oppure quella di cogliere i dubbi frutti della collaborazione con il regime di Milosevic. L'UCK ha indicato una terza via. Quando le azioni armate hanno prodotto dei successi tangibili con il blocco delle strade in tutta la provincia, creando delle sacche in cui la Serbia non era in grado di mettere in atto il proprio controllo, un grande numero di albanesi si è fatto avanti per entrare nelle sue file. Ma un esame più attento delle reclute dell'UCK avrebbe portato in luce delle spaccature all'interno della comunità albanese molto prima che l'UCK avesse cominciato a perdere le sue battaglie. Il nucleo portante dell'UCK si è formato intorno a un circolo di marxisti ortodossi, i cui membri erano attivi già nei primi anni '80. La divisione tra un'opzione politica pro-Enver Hoxha, il leader dei comunisti albanesi, e una pro-Tito ha agitato le acque politiche degli albanesi del Kosovo per decenni e i leader dell'UCK erano originariamente degli enveristi. A parte l'impopolarità del marxismo ortodosso tra i contadini, il revival dell'enverismo è risultato essere impopolare anche tra i kosovari più istruiti, i quali hanno reputavano tale ideologia come fuori luogo nell'Europa del dopo muro di Berlino. L'UCK ha trovato la propria carne da cannone soprattutto tra i contadini delle aree "liberate" che non avevano alternative se non quella di unirsi agli uomini armati improvvisamente comparsi nel loro territorio, tra gli emigrati che tornavano dai paesi di lingua tedesca dell'Europa e che avevano passato lungo tempo lontani dalla realtà del Kosovo e tra i più che zelanti giovani dei villaggi, che spesso avevano organizzato le loro operazioni a livello locale molto prima che un comandante dell'UCK si facesse vedere. Ma con un'ideologia a malapena nascosta e più che impopolare tra i tradizionalisti albanesi del Kosovo, l'UCK non è riuscita a ottenere il supporto di due segmenti chiave della popolazione: gli intellettuali e i capi dei clan famigliari. Nella società albanese, il cosiddetto Capo di Casa è un'istituzione riverita, colui che prende le decisioni per l'intero clan. Nonostante le promesse dell'UCK di creare uno stato indipendente albanese nel Kosovo, i venerati anziani non sono riusciti a ottenere assicurazioni convincenti sul fatto che le loro proprietà individuali e i loro valori tradizionali sarebbero stati rispettati. Il loro scetticismo è stato aumentato dal timore di eventuali bagni di sangue che avrebbero potuto ridurre le loro potenti famiglie a una frazione delle loro dimensione originale, oppure renderli privi di casa e gettarli nella miseria economica. L'assenza di una chiara benedizione da parte dei capi e la mancata aperta adesione al movimento degli studenti, dei professori, degli intellettuali e delle autorità politiche del Kosovo, ha congelato la lotta armata degli albanesi al livello di insurrezioni locali prive di reciproche connessioni, invece di consentire loro di crescere in una vera e propria insurrezione nazionale. L'insufficiente coordinamento e la mancata creazione di una catena di comando chiara, precisa e sicura, sono ulteriori motivi delle scarse prestazioni dell'UCK di fronte alla continua offensiva serba. Questi difetti, a loro volta, seguono le divisioni territoriali e politiche delle forze dell'UCK in Kosovo, che si possono riassumere in tre gruppi, ciascuno con i propri particolari programmi e le proprie particolari fedeltà. Il primo gruppo, incentrato sulla regione di Drenica, è probabilmente il meno ideologizzato dei tre, ma poiché la regione di Drenica ha un'importanza strategica solo limitata ed è poco adatta per una difesa prolungata, esso ha sofferto di una mancanza di comandanti capaci e di negligenze nel lavoro di organizzazione. Drenica, che dopo i primi scontri di Lause nel novembre 1997 e il sanguinoso sterminio del clan Jashari nel marzo 1998 era diventata il simbolo della resistenza albanese e il primo territorio proclamato "libero", ha attratto un così grande numero di rifugiati che si è trasformata in un vero incubo logistico e in un pesante fardello per i comandanti locali scarsamente preparati e poco equipaggiati. Ma nessun albanese ha osato mettere in discussione il mito di Drenica. Una parola di prudenza avrebbe potuto impedire un'euforica sovrastima delle capacità difensive dell'UCK sul terreno - ma nessuno la ha mai pronunciata. Il secondo gruppo, che si è insediato intorno a Malisevo, è evidentemente riuscito ad attrarre a sé numerosi tra i più capaci comandanti militari e ufficiali incaricati della logistica, ma ha anche dato prova di chiari tratti maoisti nella propria organizzazione locale. E' riuscito ad assicurarsi più armi rispetto al gruppo di Drenica, ma nonostante la conquista di un territorio relativamente compatto e la creazione di vie di comunicazione facilmente praticabili con il gruppo di Drenica, non è riuscito a creare delle strutture di difesa e di logistica congiunte. Politicamente, si è sparato ai piedi, e lo ha fatto contemporaneamente all'intero UCK, proclamando che il proprio obiettivo è quello dell'unione di tutti i territori albanesi, un fatto che ha immediatamente allarmato la comunità internazionale, impaurita da un possibile allargamento del conflitto. Ma il fattore principale che ha costretto il gruppo di Malisevo a una ritirata strategica è stata l'incapacità di concentrare le forze in attacchi coordinati per aprire e conservare una linea di comunicazione sicura con le forze lungo il confine albanese. Senza un flusso continuo di armi e di munizioni e senza alcuna possibilità di procedere a un ritiro organizzato, i membri del gruppo di Malisevo sono stati costretti a sparpagliarsi tra i boschi e le colline e a chinare il capo fino alla prossima occasione che si presenterà. In termini militari, quello tra i tre gruppi UCK che ha avuto più successo è quello che operava nella regione di Djakovica, lungo il confine albanese, nonostante abbia mancato il proprio obiettivo principale che era quello di conquistare il controllo effettivo di almeno una fascia stretta lungo il confine, la quale avrebbe consentito all'UCK di aprire delle vie regolari di rifornimento dall'Albania per convogli di camion di grosse dimensioni lungo i passi delle montagne. Il gruppo è comunque riuscito a creare un esile filo di rifornimento, utilizzando convogli di muli, spesso a un alto prezzo. Questo gruppo ha sofferto le più pesanti perdite militari, ma ha costretto la controparte serba ha coinvolgere intensamente, e apertamente, l'Esercito jugoslavo, che ha creato una fascia di sicurezza larga cinque chilometri lungo il confine. Nonostante un certo grado di successi militari, il gruppo al confine ha infranto la pazienza della comunità internazionale con le sue connessioni troppo strette con il nord dell'Albania in preda all'anarchia e con il suo leader indiscusso, l'ex presidente Sali Berisha, il quale sta diventando sempre di più un vendicativo signore della guerra e sempre meno il leader della "opposizione democratica". Il punto di svolta nelle sorti dell'UCK è stato l'attacco non riuscito alla città di Orahovac. Se ci fossero state meno rivalità tra i comandanti, una migliore coordinazione e una maggiore disciplina, sarebbe stato possibile conquistare la città e forse anche mantenerne il controllo. Un tale tangibile successo militare avrebbe potuto aumentare le quotazioni dell'UCK e convincere gli albanesi del Kosovo che si tratta effettivamente di un esercito e non solo di una coalizione di gruppi combattenti poco uniti fra di loro. Ma una volta perso lo slancio più forte - e in un momento in cui la comunità internazionale, da una parte, era disperata per il rifiuto dell'UCK di giungere a compromessi, mentre Rugova, dall'altra, era riluttante a lasciarsi sfuggire il poco potere che gli rimaneva e fingeva di non vedere - le forze di sicurezza serbe hanno organizzato a regola d'arte un'offensiva che ha ulteriormente atomizzato le unità combattenti dell'UCK. Sarebbe un errore credere che l'UCK sia finita. Molti combattenti dell'UCK si sono semplicemente messi abiti civili, mischiandosi tra le migliaia di persone che vagano senza una meta. Ma sono troppi i kosovari che si sono esposti apertamente come membri dell'UCK e queste persone sanno che non possono contare su alcuna potenziale amnistia da parte della Serbia. Per quanto sia stata possente, l'offensiva serba - con il suo ampio affidarsi a veicoli corazzati e a mezzi meccanizzati - non può tenere sotto tiro i colli e i boschi e l'UCK si ricostituirà proprio in quegli ambienti. La sua recente decisione di nominare un rappresentante politico, Adem Demaqi, potrebbe indicare il fatto che l'UCK si è reso conto della realtà politica, ma potrebbe anche essere una trovata per garantirsi un attimo di respiro e riuscire così a ricompattarsi e riorganizzarsi. A lungo termine, l'UCK non può perdere: se gli accordi non giungeranno a nulla, potrà sempre tornare a combattere. Se a quel punto i leader dell'UCK non saranno riusciti a consolidare le forze, creando delle strutture militari proprie e una catena di comando, riuscendo in tal modo a rimediare il gap tecnologico con i serbi, avranno pur sempre un asso nella manica: il terrorismo classico, indiscriminato contro obiettivi civili. (da "Transitions", settembre 1998 - traduzione dall'inglese di A. Ferrario) |