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NOTIZIE EST #86 - JUGOSLAVIA/KOSOVO
10 ottobre 1998


VETON SURROJ: I NUOVI PIANI DI PACE SONO UN PASSO SBAGLIATO
di G. Badzaku

Veton Surroj, editore del quotidiano del Kosovo in lingua albanese "Koha Ditore", ha pubblicato nel numero di ieri del suo giornale l'ultima proposta del Gruppo di Contatto per la soluzione del problema del Kosovo. Secondo le sue parole, questa proposta non è ancora stata presentata al gruppo degli albanesi incaricati di condurre trattative, ma afferma di avere deciso di pubblicarne in anteprima il contenuto, accompagnato da un'analisi che egli ha messo a punto in merito alla situazione in Kosovo e nella Federazione jugoslava, giustificando la sua decisione con il fatto che tenere sotto stretto segreto un documento così importante sarebbe molto peggio. Secondo questo documento, afferma Surroj, il Kosovo dovrebbe diventare un territorio autoamministrato, facente parte della Federazione jugoslava e della Repubblica Serba, con tutte le competenze necessarie per adottare decisioni, con l'eccezione di un diritto esplicito di intromissione da parte dello stato federale jugoslavo nel campo degli affari esteri, della difesa, delle finanze, del mercato federale, delle dogane... Secondo questo documento, in tutti gli altri campi, ivi incluso quello della polizia, deciderebbero organi del Kosovo eletti democraticamente. Questi organi, secondo la proposta, verrebbero costituiti in base a "disposizioni di legge", ovvero in conformità a leggi del Kosovo. Rispetto alla prima proposta, si tratta di un passo avanti, soprattutto perché si tratta di un ampliamento delle competenze dell'autoamministrazione, che si può notare in particolare nella nuova parte riguardante la polizia del Kosovo. Lo si può notare anche nell'eliminazione del diritto di veto che aveva precedentemente la Camera delle nazionalità, presieduta da un presidente serbo, e che avrebbe potuto rendere nulla una decisione degli organi del Kosovo con la quale il presidente serbo non fosse stato d'accordo. Inoltre, il ruolo della Camera delle nazionalità viene limitato a quello di un'organizzazione che raggruppa le varie collettività nazionali, ognuna individualmente, con una minore possibilità di incidere sulle decisioni degli organi kosovari...

Una simile analisi può essere compiuta anche in relazione ad altre proposte positive, dice Surroj. Ma un'analisi approfondita porta alla luce anche delle insufficienze. Per esempio, al Kosovo, nella Jugoslavia socialista, erano delegati anche il diritto di decisione in merito al mercato federale, alle finanze, agli affari esteri e alla difesa, e queste funzioni venivano messe in atto nella provincia a livello di segretariati che avevano il rango di ministeri e agivano direttamente come delegazione presso il parlamento della federazione, addirittura con il diritto di veto. Teoricamente, allora, il Kosovo poteva bloccare le delibere relative al bilancio federale, così come quelle relative al funzionamento degli organi della difesa ecc. In questa proposta, invece, vi è una subordinazione del Kosovo rispetto alla federazione nel campo delle finanze, della politica, estera, della difesa e in altri ancora, un fatto che, anche in condizioni di gran lunga migliori di quelle esistenti ora, rappresenterebbe un diktat.

Inoltre, in questo documento, come in quello precedente, rimane il difetto principale - il punto di partenza, afferma Surroj. Anche questo documento non parte da principi certi e sicuri, bensì da una combinazione di principi, di nuove realtà venute a crearsi con l'uso della forza e del rapporto di forza sul terreno in questo momento. E ciò ha come conseguenza che si può negoziare tutto, sulla base di quello che avrà deciso il mediatore. Un tale punto di partenza non porta a nulla, perché se ci si deve basare sulla situazione corrente delle forze fisiche può accadere che invece di garantire l'autoamministrazione del territorio del Kosovo, le trattative terminino con il fatto che il Kosovo diventerà solo una municipalità allargata, mentre le trattative verranno proclamate come una grande vittoria del processo di pace.

E' evidente che c'è un grande errore nell'approccio. Il Kosovo fino al 1989 ha avuto una Costituzione e degli organi che si basavano su di essa. Vi era una cornice costituzionale nell'ambito della quale venivano regolati i rapporti con la Serbia, le altre unità federali e la Federazione jugoslava. Si trattava di diritti acquisiti con lo sviluppo costituzionale del Kosovo e che sono stati cancellati con la forza. Oggi questi diritti devono tornare in quel contesto e non è ammissibile che si tratti su di essi. Non si può ora trattare su quello che il Kosovo già aveva e che gli è stato tolto con la forza, ribadisce Surroj. Solo in questo modo si possono creare le basi per un proseguimento delle trattative nella direzione della creazione di rapporti tra il Kosovo, il Montenegro e la Serbia che persistano in maniera stabile durante il periodo transitorio di tre anni.

Inoltre, i mediatori internazionali si sono trovati nella posizione di dovere trattare su tutto, perfino sul fatto di mettere sullo stesso piano quelli ai quali questi diritti sono stati tolti e quelli che li hanno cancellati con la forza. Non si tratta di un argomento solo morale, ma anche pratico. Se si dovesse continuare così, i mediatori internazionali avrebbero due possibilità: o continuare all'infinito con queste proposte tra due posizioni inconciliabili, oppure, come nel caso della Bosnia, imporre con la forza questa loro posizione ricorrendo ai soldati della NATO, afferma Surroj.

Vi è un altro errore nella posizione di partenza che si ripete identico come nella prima proposta. Non esiste un meccanismo legale che definisca cosa accadrà dopo il periodo transitorio di tre anni. L'autoamministrazione è solo un livello dell'autodeterminazione, la sua forma embrionale. La volontà del popolo del Kosovo è quella di non vivere in fasi transitorie e incerte, con accordi temporanei. Storicamente, il popolo del Kosovo ha il diritto di decidere da solo, come gli altri popoli europei, del proprio destino. Come viene garantito ciò nella seconda versione degli accordi? In nessun modo. Solo con la promessa che entrambe le parti dopo tre anni si incontreranno di nuovo per valutare gli accordi stessi. L'impegno a una nuova valutazione è uguale a uno zero e renderebbe la situazione ancora più complicata perché quello che si pretende essere un "accordo temporaneo" si trasformerebbe in una condizione permanente. Entrambe le parti, se firmeranno questo accordo, ipotecheranno il loro destino, così come viene in esso fissato, a meno che non lo vogliano cambiare con la guerra. Questa proposta di accordo è nei fatti una ricetta per un'altra guerra, scrive Surroj.

Dove si ritroverebbe il Kosovo con questa proposta? Là dove si trovava sette mesi fa, ma ora con tutti i morti, le centinaia di villaggi e case distrutti, le centinaia di migliaia di profughi e senza tetto, con tutti gli incogniti che può riservare il domani. Se qualcuno pensa di potere imporre questa soluzione agli albanesi con la scusa della grande emergenza umanitaria si sbaglia di grosso. Presso la maggior parte dei rappresentanti politici è maturata la convinzione che l'approvazione di questo accordo, che lascerebbe il Kosovo sotto la giurisdizione di Belgrado, rappresenterebbe la creazione di condizioni per cui i kosovari rimarrebbero dei profughi e degli sfollati nel loro stesso paese.

(da "Nasa Borba", 9 ottobre 1998 - traduzione dal serbo di A. Ferrario)