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![]() NOTIZIE EST #90 - JUGOSLAVIA/KOSOVO UN ACCORDO DI GUERRA? Se per il momento sembra che si sia evitato un intervento NATO in Kosovo (ma le minacce rimangono in atto) e insieme ad esso le disastrose conseguenze che avrebbe avuto sotto ogni aspetto, umanitario o politico che sia, rimane il fatto che l'accordo stipulato tra Holbrooke e Milosevic non lascia certo sperare nulla di buono e conferma la linea occidentale mirata a conservare, costi quel che costi, lo status quo nei Balcani. Ma l'obiettivo di questa linea è talmente difficile da realizzare sul terreno, che porta ad adottare una dopo l'altra tutta una serie di misure nel migliore dei casi improbabili e ambigue e nel peggiore direttamente guerrafondaie, comunque sempre foriere di nuovi conflitti. L'accordo di questi giorni non si discosta per nulla da questa linea e per averne una conferma basta ripercorrere brevemente alcuni eventi degli ultimi mesi, per vedere quale è stato l'atteggiamento occidentale riguardo alla questione del Kosovo. Già a febbraio, quando il conflitto aperto non era ancora iniziato, ma tutti ne parlavano e alcuni ne prevedevano anche la data d'inizio, il 28 febbraio (previsione poi puntualmente concretizzatasi), l'inviato americano Gelbard aveva dato indirettamente il "semaforo verde" alle repressioni di Belgrado durante una sua visita in Serbia, con la quale aveva cancellato parte delle sanzioni ancora in atto contro il paese e aveva definito per la prima volta "terrorista" l'UCK. Nelle settimane successive, dopo il massacro di Drenica, il Gruppo di Contatto aveva posto tutta una serie di ultimatum di facciata, regolarmente prorogati alla scadenza nell'evidente attesa che le forze di Belgrado riuscissero a liquidare militarmente l'UCK, di cui sembrava destare particolare preoccupazione il fatto che si fosse trasformata da un gruppo puramente terrorista (e come tale era stato in buona misura tollerato non solo dall'occidente, ma anche da Belgrado) nel punto di riferimento di una vera e propria insurrezione di massa. Quando è risultato evidente che le forze serbe non sarebbero riuscite a liquidare i guerriglieri albanesi in tempi brevi, l'occidente, con gli USA in testa, ha cercato di mettere politicamente fuori gioco l'UCK premendo per l'apertura di trattative tra Milosevic e quello che è sempre stato il punto di riferimento occidentale in Kosovo, Rugova e il suo partito (la LDK, Lega Democratica del Kosovo). A tale scopo è stato "ingaggiato" proprio Holbrooke, di cui sono noti i buoni rapporti con Milosevic e che quest'ultimo ha fatto esplicita richiesta di vedere al tavolo delle trattative al posto dello sgradito Gelbard (che difatti è stato assente da tutti i successivi contatti tra Washington e Belgrado). Gli Stati Uniti sono riusciti a convincere Rugova a un umiliante incontro con il leader serbo, senza che alcuna condizione della parte albanese fosse soddisfatta, incontro che ha diviso radicalmente la leadership albanese e ha ulteriormente intaccato la già scarsa popolarità del leader di Pristina. Il risultato di questa miope politica era scontato: un'intensificazione delle azioni di guerriglia da parte dell'UCK per evitare di vedersi emarginata dall'asse politico Milosevic-USA-Rugova che si andava sempre più chiaramente delineando. E' stato proprio nel momento delle maggiori conquiste territoriali da parte dell'UCK, tra metà e fine giugno, che la NATO ha espresso le prime minacce d'intervento, un intervento dato come già pronto e mai concretizzatosi. Il dato di fatto della forza militare dell'UCK e dell'ampio appoggio di cui godeva in quel momento tra la popolazione albanese ha portato a un tentativo di "mettere una pezza" cercando di coinvolgere l'UCK stesso nelle trattative, tentativo fallito perché la condizione posta dall'occidente era quella di una sua sottomissione a Rugova, condizione che per l'UCK era ovviamente inaccettabile a quel punto. Al fallimento di questo tentativo occidentale ha fatto seguito un'offensiva delle forze serbe di grande portata e particolarmente distruttiva durata due mesi, periodo durante il quale non vi sono state da parte dell'occidente minacce d'intervento né altre prese di posizione incisive. E' stato solo nel momento in cui l'UCK è stato militarmente sconfitto e l'intensità del conflitto si è fatta molto più bassa, fino allo spegnersi degli scontri armati, che in un'atmosfera davvero surreale si sono scatenate le richieste delle grandi potenze di porre fine agli scontri, pena un intervento NATO del quale si affermava che fossero in corso di preparazione i piani (ma a giugno le stesse potenze avevano detto che tali piani erano già pronti!). Tali minacce, e il successivo accordo Holbrooke-Milosevic, assumono in questo contesto un significato secondo noi ben identificabile e cioè quello dell'intenzione di procedere a una soluzione tra le due uniche parti ritenute affidabili, Milosevic e Rugova, nel momento in cui il "terzo incomodo" (l'UCK e le forze politiche a esso vicine) è, almeno temporaneamente, fuori gioco e diviso al suo interno. Le modalità dell'accordo, tuttavia, lasciano in questo momento pensare che, tra i due, il referente ritenuto per il momento maggiormente affidabile sia proprio Milosevic. La mancata effettuazione dei raid aerei e l'accettazione della condizione di Belgrado che la missione da inviare sul terreno sia disarmata, mettono in una situazione particolarmente imbarazzante Rugova, che in caso contrario avrebbe potuto affermare di fronte agli albanesi del Kosovo che la sua politica passiva in atto da anni ha dato finalmente i suoi frutti e cioè la creazione di quel protettorato militare che il leader di Pristina richiede da anni. Nella situazione attuale, invece, Rugova dovrà davvero essere fortunato per riuscire a giungere a qualche soluzione che non lo squalifichi definitivamente agli occhi dei kosovari, già maldisposti verso di lui. L'accordo, sul quale mancano ancora particolari precisi, si basa comunque con evidenza su soluzioni affrettate e pasticciate, che sembrano creare le condizioni ideali per l'apertura di nuovi conflitti. Il primo particolare che salta all'occhio è il fatto che l'accordo è un patto privato tra le grandi potenze e Milosevic, visto che la componente albanese, ivi compresa quella moderata di Rugova, non è stata per nulla chiamata in causa e non verrà invitata a firmare il documento che ne definirà i termini. Si tratta di un particolare che va ben al di là di un riconoscimento di fatto della sovranità della Serbia sul Kosovo (peraltro ampiamente ribadita dalle grandi potenze in passato), arrivando a identificare in Belgrado l'unico punto di riferimento dell'occidente per una soluzione del problema del Kosovo. Se a questo si aggiunge che l'unica bozza di accordo nota, la seconda proposta di soluzione americana pubblicata alcuni giorni fa, riconosce la sovranità della Serbia sul Kosovo in una misura maggiore di quanto non fosse prima del 1989, anno in cui Belgrado ha tolto in maniera anticostituzionale e con la forza l'autonomia politica alla regione, si avrà una misura chiara dell'orientamento occidentale a privilegiare le richieste serbe. Ma da questo fatto consegue immediatamente un problema e cioè, come è possibile mettere in atto un accordo che non può sotto alcun aspetto essere accettato da una delle parti? E infatti, non solo Demaci, portavoce dell'UCK, ha già dichiarato inaccettabili le soluzioni che si delineano, pur con un linguaggio ossequioso nei confronti dell'occidente, ma anche il ben più moderato Agani, collaboratore di Rugova, ha affermato di non potere in alcun modo appoggiarle e ha reiterato le richieste di un intervento militare da parte della NATO. E, al di là dei leader più o meno autorevoli, come potranno le centinaia di migliaia di albanesi che hanno visto distruggere i loro villaggi dalle forze serbe e che si trovano di fronte alla prospettiva di mesi, e forse anni, di enormi sacrifici per tornare alle già povere condizioni di prima, accettare pacificamente soluzioni che non facciano loro almeno un po' di giustizia? Tra l'altro vi è il sospetto che la tattica adottata dalle forze serbe durante l'offensiva di quest'estate, e cioè quella di danneggiare o distruggere sistematicamente le case o il bestiame degli albanesi, "limitando" allo stesso tempo le vittime umane, mirasse proprio da un lato a non dare ai media occidentali l'occasione di chiedere un intervento della NATO e dall'altro a fare terra bruciata per costringere in seguito la popolazione albanese a un enorme sforzo di ricostruzione che la distoglierà per lungo tempo dall'attivizzarsi politicamente o militarmente. L'accordo non sembra minimamente prendere in considerazione questo fatto. Vi sono poi gli aspetti piùimmediatamente pratici, come per esempio quelli legati all'invio di una missione OSCE disarmata. Già oggi Holbrooke ha segnalato il problema che per mettere a punto tale missione ci vorranno molte settimane, forse addirittura mesi. Cosa succederà nel frattempo? Nessuno lo dice. Inoltre, questi 2.000 osservatori rischiano di diventare un bersaglio ideale per ogni parte interessata a una nuova radicalizzazione del conflitto, mentre i loro compiti e le loro facoltà non sono per nulla chiari. Vi è poi un'altra parte in gioco, di cui nessuno parla e che anch'essa non è stata coinvolta nelle trattative: la minoranza serba del Kosovo. Da anni i serbi del Kosovo non hanno più in Milosevic il loro referente, ben consci, nonostante le loro posizioni altrettanto reazionarie e scioviniste, dei danni che la sua politica ha causato anche a loro. La scelta di Milosevic come unica controparte dell'accordo esclude quindi l'intera popolazione del Kosovo, non solo quella albanese, e non va dimenticato che durante il conflitto degli ultimi mesi molti serbi locali hanno formato vere e proprie milizie che hanno ricevuto dalla polizia migliaia di armi da fuoco per l'"autodifesa", armi che sono ancora in loro possesso. Sui fronti interni delle varie parti del conflitto l'emergenza causata dalle minacce di intervento NATO sta portando a esiti fortemente negativi. In Serbia è in atto da questa estate una pesante campagna autoritaria, che ha visto per esempio la totale liquidazione dell'autonomia delle università e la loro completa colonizzazione da parte dei partiti che collaborano nel governo con il Partito Socialista di Milosevic, e cioè il Partito Radicale di Seselj e la JUL di Mirijana Markovic. A questo proposito è significativo che in virtù di un decreto appena approvato contro la libertà di espressione, di chiaro stampo fascista, il governo di Belgrado abbia fatto chiudere tre dei maggiori quotidiani serbi non controllati dal regime, proprio il giorno dopo l'accordo raggiunto con Holbrooke. Tra le forze albanesi del Kosovo vi è stato un rafforzamento di fatto della posizione di Rugova, il quale rimane comunque per l'occidente l'unico interlocutore albanese ammissibile, e questo nonostante il fatto che rappresenti sempre meno la popolazione e che continui a rifiutare di dare vita a un organismo politico rappresentativo dell'intero spettro politico nazionale, preferendo fare affidamento sul "parlamento ombra" del tutto fittizio eletto con le elezioni rimandate d'autorità per due anni (su richiesta degli americani) e tenutesi nella situazione di emergenza della guerra con la partecipazione delle sole forze a lui strettamente fedeli. Anche l'UCK si sta consumando in una lotta interna, spesso sanguinosa, tra la fazione "enverista", che attualmente sembra detenere il controllo dell'organizzazione e ha come proprio riferimento Demaci, alquanto fredda nei confronti dell'occidente, e le FARK "rugoviste-berishiste" che premono per l'adozione di una linea che rispetti gli interessi occidentali. Si tratta di una lotta che ostacola (così come lo hanno fatto anche tutte le intromissioni occidentali in precedenza) un processo che potrebbe avere esiti positivi per una eventuale pace, e cioè la trasformazione dell'UCK in una forza autenticamente politica e in grado di dare voce alle masse che l'hanno seguita nei mesi del conflitto. La situazione venutasi a creare con le minacce d'intervento non fa che dare maggiore spazio e potere ai gruppuscoli di leader autoritari e nazionalisti che meno sono interessati a una tale evoluzione. Rimane quindi l'impressione che il tanto sbandierato accorso sia in realtà solo un mezzo per differire le decisioni in merito a un intervento, nonché in merito alla parte, o alle parti, da sostenere definitivamente, anche se, per il momento, è chiaro che l'interlocutore privilegiato è Milosevic e che egli ha buone prospettive per rimanerlo. Ma allo stesso tempo non si vede nemmeno come un intervento, anche solo limitato, possa risolvere la situazione, mentre sono chiari gli effetti devastanti che esso avrebbe, sia sulla sorte della popolazione locale, che sulle possibilità di raggiungere in Kosovo e nei Balcani in generale una pace che garantisca i diritti, non solo umani, ma anche politici delle popolazioni. Infine, come abbiamo già abbondantemente segnalato in "Notizie Est", anche al di fuori del conflitto in Kosovo la NATO e le grandi potenze che ne sono membri lavorano in realtà attivamente contro i veri interessi democratici dei popoli balcanici e non lo fanno solo a livello militare. Questo solo fatto basta a escludere la possibilità che l'Alleanza Atlantica possa svolgere un ruolo pacificatore. Come può infatti sperare, anche solo lontanamente, di giungere a una stabilizzazione dei Balcani, seppure ai propri fini imperialisti, un'alleanza che fa da garante alle forze nazionaliste in Bosnia; che ha fatto da tutrice all'espulsione in massa della minoranza serba in Croazia, premiandone il governo con enormi investimenti; che ha protetto per anni il gangster Berisha in Albania e ora fa lo stesso con i socialisti che stanno rapinando lo stesso popolo; che da anni chiude gli occhi sui metodi autoritari del governo macedone; che appoggia senza mezzi termini un governo sempre più autoritario come quello bulgaro, il quale nega tra l'altro alla propria minoranza turca perfino i diritti puramente culturali e non politici che Milosevic ha lasciato "in regalo" agli albanesi del Kosovo; e, infine, che ha tra i suoi membri proprio uno stato balcanico, la Turchia, che infligge alla propria popolazione curda, ma anche turca, repressioni terribili? |