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NOTIZIE EST #109 - JUGOSLAVIA/KOSOVO
15 novembre 1998


IN ATTESA DELL'INIZIO DELLE TRATTATIVE
di Fabijan Bujupi

[Il seguente articolo è stato scritto dal corrispondente a Pristina dell'agenzia AIM, ma è stato pubblicato dalla sede di Podgorica della stessa agenzia. Ciò è dovuto alla nuova legge sui media approvata in Serbia, in virtù della quale il pezzo qui sotto, se pubblicato in tale repubblica e non in Montenegro, verrebbe censurato e causerebbe al suo autore una multa di migliaia di dollari, per il solo motivo di avere scritto semplicemente UCK e non "UCK" tra virgolette, oppure "la cosiddetta UCK", come prescrivono le nuove regole. Questo solo fatto, indipendentemente dal contenuto dall'articolo, viene considerato dal Ministero dell'Informazione come "una minaccia all'ordine costituzionale e all'integrità dello stato" - a.f.]

L'evoluzione della situazione sul terreno ha sotto molti aspetti modificato tutta una serie di misure diplomatiche, politiche e di sicurezza previste dagli accordi presi a Belgrado tra Milosevic e Holbrooke. Sono state superate le scadenze fissate per la pacificazione e per la successiva definizione dello status transitorio di tre anni. La concentrazione delle scadenze nelle prime due settimane di novembre è apparsa irreale fin dall'inizio e nessuno si poteva attendere il verificarsi di una tale catena ininterrotta di svolte fondamentali nel giro di due sole settimane. Come capo di stato, il presidente jugoslavo Slobodan Milosevic doveva infatti proclamare entro il 2 novembre i diritti che spettano al Kosovo come unità territoriale a parte, nonché ai suoi abitanti. Il 4 novembre dovevano cominciare le trattative serbo-albanesi per trovare un modello di status temporaneo e per il 15 novembre era prevista la firma di un accordo. E' difficile prevedere che in questa data accadrà qualcosa di veramente importante.

Chiunque sarebbe stato in grado di prevedere che le conseguenze più acute dei sette mesi di guerra in Kosovo non potevano essere risolte nel giro di solo qualche settimana. Inoltre, era facile presupporre che non sarebbe stato possibile mettere in così breve tempo tutto il difficile problema del Kosovo su un binario capace di aprire la prospettiva di una soluzione pacifica e durevole. E, in fin dei conti, i centri diplomatici delle grandi potenze sono stati fin dall'inizio perfettamente consci del fatto che sarebbero dovuti passare almeno alcuni mesi prima di potere completare fino in fondo e avviare la missione dei verificatori OSCE. Ma anche se tutti gli attori sapevano in anticipo, o prevedevano, che le cose sarebbero andate per le lunghe, rimane molto interessante la domanda del perché, nonostante questo, essi abbiano fissato delle scadenze così ottimiste.

Le grandi potenze, e in particolare gli Stati Uniti, hanno trattato sul Kosovo esclusivamente con Belgrado. Per quanto siamo a conoscenza, la parte albanese è stata in parte informata di tali trattative, ma solo a grandi linee. Se a Belgrado si fosse trattato solo della presenza internazionale, sul piano del diritto ciò sarebbe potuto essere anche comprensibile. Tuttavia, Belgrado e le grandi potenze dovevano avere ben presente che forze straniere sarebbero arrivate in Kosovo e che obiettivamente Belgrado non può essere in Kosovo l'unico garante della sicurezza di tali forze. Sono state date anticipatamente e incondizionatamente garanzie solo a una delle parti albanesi, ma è evidente che nemmeno questa ne è soddisfatta. Come è noto, l'unico partner albanese dei diplomatici stranieri, almeno pubblicamente, è sempre stato Ibrahim Rugova. Non è possibile che i diplomatici stranieri non sapessero che la sua influenza sul terreno e fortemente limitata.

Si può presumere con una notevole dose di sicurezza che a Belgrado Holbrooke non abbia trattato e raggiunto accordi solo sulla presenza straniera in Kosovo, ma anche in merito a elementi essenziali dell'accordo sullo status temporaneo di tre mesi per la regione. Il relativo documento non è mai stato reso pubblico, ma in svariate uscite pubbliche, i diplomatici stranieri di stanza a Belgrado hanno espresso delle prese di posizione che danno un'idea dell'accordo sulla soluzione temporanea, o possono essere elementi fondamentali. Perfino nella cerchia di Rugova si è parlato di un accordo al quale manca solo la firma. Nel frattempo, in altri ambienti vicini a Rugova, che dovevano sicuramente sapere almeno qualcosa in merito, è stato dichiarato che proposte di questa specie non sono state nemmeno esaminate, e quindi è impossibile che sia stato raggiunto qualcosa. Il coordinatore del gruppo degli albanesi incaricati delle trattative, Fehmi Agani, non ha escluso la possibilità che si stia lavorando a un accordo, ma non con il gruppo albanese per le trattative, bensì attraverso un canale di comunicazione particolare che funziona lungo il triangolo Milosevic, Hill e Rugova.

Sembra che i dilemmi in merito all'esistenza di un accordo già stipulato o di un accordo che è solo prossimo a una conclusione siano legati alla carta bianca che gli americani hanno avuto da Ibrahim Rugova. E' per questo, si può presupporre, che le grandi potenze hanno giocato con così grande facilità con le scadenze. In particolare, hanno contato sul fatto che gli albanesi non avrebbero più dato problemi e avrebbero accettato ciò che sarebbe stato loro offerto e che per raggiungere un accordo tra albanesi e serbi era necessario concentrarsi soprattutto sui mercanteggiamenti diplomatici con Belgrado. Quando relativamente a tale questione si sono accese polemiche negli ambienti albanesi, Rugova ha dichiarato ai presidenti delle sezioni del suo partito, la Lega Democratica del Kosovo, che non esiste alcun accordo albanese-serbo. All'incirca nello stesso momento, alcune persone a lui vicine hanno dichiarato che Rugova ha dato agli americani il suo parziale assenso in merito alle loro proposte di accordo tra serbi e albanesi, poiché ritiene che esso contenga per gli albanesi il diritto di pronunciarsi, dopo un periodo di tre anni, sullo status del Kosovo.

Nell'accordarsi con Belgrado sul Kosovo, le grandi potenze e gli americani si sono basati anche sul presupposto che la violenta campagna armata condotta dai serbi per quasi l'intero trimestre estivo contro la popolazione civile avesse isolato in modo sufficiente l'UCK dalla popolazione e fosse riuscita a infliggere un colpo mortale alle strutture organizzative del movimento armato. Si è contato anche sul fatto che nella catastrofe umanitaria, e senza un fattore armato, agli albanesi non rimarrà altro che accettare tutto quello che viene loro offerto. Si è contato sicuramente anche sul fatto che l'offensiva serba non ha in alcun modo inciso sull'autorità di Rugova. Nel complesso delle valutazioni e dei calcoli, ha avuto un ruolo significativo anche il fatto che le principali forze politiche albanesi sono divise tra di loro in una misura che rende impossibile una loro unione, anche solo su un programma minimo di difesa degli interessi vitali degli albanesi del Kosovo. Allo stesso tempo, oltre alle catastrofiche distruzioni economiche e alle perdite umane, l'offensiva armata serba non ha portato a nessuno, almeno non in grossa misura, i vantaggi militari, diplomatici e politici che ci si attendeva.

Approssimativamente è questo il contesto attuale dei tentativi di trovare una soluzione per il Kosovo. Per quanto riguarda la parte albanese, sul piano politico e diplomatico si presenta almeno un grosso problema. L'eventuale firma da parte di Rugova di un accordo tra albanesi e serbi, senza il consenso delle altre forze politiche albanesi più importanti, cambierebbe poco, o forse addirittura non cambierebbe nei fatti, la situazione sul terreno. Può perfino accadere che tale firma rafforzi ulteriormente il radicalismo albanese, con il rischio reale che Rugova venga escluso dalla scena politica albanese. Si tratterebbe dell'evoluzione meno desiderata dai diplomatici internazionali. Probabilmente è proprio per questo che sono state sorpassate le scadenze e forse si è rinunciato a ogni termine di tempo.

Come compensazione per il suo ammorbidimento nei confronti degli albanesi, ma anche per altri fatti, in particolare, per il suo assenso a quelli che in pratica sono degli accordi di sicurezza con i comandanti locali dell'UCK, Belgrado ha formalmente acquisito il diritto di mantenere nella regione un numero di effettivi militari e di polizia pari a 25.000. Sulla base delle esperienze fatte fino a oggi, chi conosce bene la situazione ritiene che gli effettivi serbi, aggiungendo anche quelli che "non portano l'uniforme", sono in realtà circa il doppio o comunque lo possono diventare in ogni momento in cui ve ne sia la necessità. Inoltre Belgrado ha ottenuto il semaforo verde anche per alcuni spostamenti e per lo stanziamento di truppe ai quali, secondo le valutazioni della missione degli osservatori diplomatici, non avrebbe diritto.

Nei giorni scorsi Belgrado ha cominciato ampiamente ad approfittare di queste concessioni. A causa di ciò si è prodotto un cambiamento dell'attuale situazione sul terreno rispetto a quella in atto solo alcune settimane fa. La situazione e cambiata fino al punto che si può dire che dalla fine della settimana scorsa in Kosovo praticamente la tregua non regge più. Finora non vi sono offensive serbe di importante entità, ma si spara con armi leggere e pesanti, a mano o d'artiglieria, come durante tutti i sette mesi del conflitto. Ogni giorno vengono ritrovati i corpi senza vita di albanesi del Kosovo e si effettuano arresti. Le vie di comunicazione principali sono aperte, ma i mezzi di trasporto che collegano i vari centri urbani vengono utilizzati quasi unicamente da donne, bambini e anziani.

Mentre a Belgrado viene concesso di mantenere il controllo militare e poliziesco del Kosovo e della sua popolazione, ai rappresentanti degli albanesi si mostra tolleranza, pazienza e comprensione in considerazione delle loro difficoltà politiche nell'accettare la proposta avanzata sotto forma di accordo per la creazione di uno status temporaneo. Sospettando che la firma dell'accordo potrebbe essere accolta male dagli albanesi, gli americani hanno dichiarato che non forzeranno Rugova a firmare qualcosa che non desidera firmare. Fino a oggi Rugova è stato per loro l'unica figura politica albanese. Negli ultimi giorni, dopo il recente incontro del mediatore statunitense Christopher Hill con rappresentanti del Quartiere Generale dell'UCK e i ripetuti contatti tra diplomatici USA e il rappresentante dell'UCK Adem Demaqi, sembra che la situazione sia in una certa misura cambiata.

Facendo esaminare la più recente proposta di soluzione temporanea a Rugova e al suo gruppo di mediatori, e successivamente al Movimento Alleanza Democratica di Rexhep Qosja e al Quartiere Generale dell'UCK, gli americani hanno dato prova di una certa elasticità politica, dimostrando che in un modo o nell'altro bisogna ottenere l'assenso di tutti i fattori rilevanti negli sforzi per superare la crisi del Kosovo. Quale sarà il risultato di questa linea lo si vedrà dopo il successo o il fallimento degli attuali sforzi degli albanesi per formare un governo del Kosovo che copra il più ampio specchio politico possibile. La formazione di un tale governo sarebbe la dimostrazione del fatto che gli americani si sono infine decisi per rapporti di collaborazione tra le principali forze politiche albanesi. In senso tecnico, sarà più facile anche per loro trattare con i rappresentanti delle varie correnti raccolti in un unico consesso, il Governo, piuttosto che con ciascuno singolarmente. Rimane la domanda se ciò sia utile anche in senso diplomatico e politico. Uniti intorno ad alcune richieste fondamentali, gli albanesi potrebbero diventare meno flessibili di quanto non lo siano ora che sono disuniti. D'altro canto, è più facile manipolarli se sono disuniti. Ma una tale disunione potrebbe causare delle difficoltà insuperabili nella coordinazione delle loro posizioni e delle loro azioni. Inoltre, bisogna sempre tenere presente il pericolo che una delle correnti, per motivi del tutto estranei, devii in senso negativo il processo di pacificazione e di apertura di trattative, oppure le fragili decisioni prese, cancellando così tutti gli sforzi compiuti fino a quel momento.

(da AIM Podgorica (Pristina), 11 novembre 1998 - traduzione dal serbo-croato di A. Ferrario)