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NOTIZIE EST #112 - BOSNIA
20 novembre 1998


LA SITUAZIONE DEI LAVORATORI IN BOSNIA

intervista radiofonica di Omar Karabeg ai sindacalisti Sulejman Hrle e Cedo Volas

Omar Karabeg: Nella trasmissione di oggi parleremo della situazione dei lavoratori in Bosnia-Erzegovina, conversando con Sulejman Hrle, che si trova a Sarajevo ed è presidente dell'Unione dei Sindacati di Bosnia-Erzegovina, e con Cedo Volas, che si trova a Banjaluka ed è presidente dei sindacati della Repubblica Serbia di Bosnia.

Nella Federazione lo stipendio minimo è di 200 marchi, mentre nella Repubblica Serba è di appena 60 marchi. E' quindi evidente che vi è una grande insoddisfazione in entrambe le entità, perché gli stipendi non sono sufficienti nemmeno per i più fondamentali fabbisogni. E' possibile migliorare la situazione dei lavoratori? E' possibile ottenere risultati con una lotta sindacale in una situazione in cui i criteri nazionali sono più importanti di quelli sociali?

Sulejman Hrle: I sindacati della Repubblica Serba e della Bosnia-Erzegovina hanno canali di comunicazione diretti e che funzionano molto bene, poiché quello che ci unisce sono gli stomachi vuoti dei lavoratori. Uno stomaco vuoto è uno stomaco vuoto indipendentemente dal fatto che sia musulmano, serbo o croato. Ci unisce anche l'interesse comune dei lavoratori: i lavoratori desiderano innanzitutto lavorare, prendere uno stipendio e vivere con questo stipendio una vita dignitosa. E' il nostro messaggio comune ai politici che litigano e si occupano di questioni oziose.

Cedo Volas: Sono perfettamente d'accordo e devo dire che sembra incoraggiante il fatto che nella Repubblica Serba un numero sempre minore di persone sia pronto a rinunciare alla propria vita e a ridursi a mangiare radici nel nome di qualche questione metafisica, nazionale, mentre sono sempre di più coloro che si preoccupano della vita reale, qui sulla terra. Ci si occupa sempre meno delle questioni "celesti" e ci si interessa sempre di più ai problemi economici e sociali. Ci sono ancora resistenze, ma penso che debbano cedere di fronte agli stomachi vuoti. Stanno per arrivare i tempi in cui i problemi economici e sociali saranno al primo posto, quando la politica dovrà essere serva dell'economia e non il contrario, come è stato finora.

Omar Karabeg: Vuol dire che non vale più lo slogan - mangeremo anche radici pur di creare il nostro stato nazionale e di realizzare i nostri obiettivi nazionali?

Cedo Volas: Che le radici le mangino quelli che vogliono farlo, e i lavoratori non vogliono mangiare radici quando il mondo moderno può offrire l'abbondanza. D'altronde, anche quei valori per i quali bisognerebbe mangiare le radici non sono veri valori dell'uomo moderno, ma valori che appartengono al passato.

Omar Karabeg: Si ha l'impressione che i lavoratori sia della Federazione sia della Repubblica Serba ricorrano sempre più di frequente alla loro arma più forte: lo sciopero. Quanto sono efficaci gli scioperi nelle condizioni di un'economia distrutta dalla guerra e di miseria generale?

Sulejman Hrle: Noi nella Federazione abbiamo avuto soprattutto scioperi dei lavoratori dei settori della sanità, dell'industria metallurgica, tessile, mineraria e con la proclamazione nel settembre di quest'anno dello sciopero generale siamo riusciti a costringere il governo federale a prendere seriamente in considerazione le nostre richieste, a riconoscerci come partner, a sedere con noi a un tavolo e ad aprire trattative relativamente alle questioni sociali ed economiche, soprattutto per quanto riguarda la legge sul lavoro, i contratti collettivi e il programma sociale.

Cedo Volas: Il rafforzarsi delle tensioni sociali che vengono articolate dai lavoratori tramite il sindacato ha influito in maniera molto significativa sul cambiamento di corso politico della Repubblica Serba di Bosnia, sul rafforzamento delle forze democratiche e aperte verso il mondo. Con gli scioperi siamo riusciti a fare in modo che oltre il 70 per cento degli aiuti della comunità internazionale andasse a finire nel fondo stipendi e pensioni, un fatto che ha consentito di fare aumentare lo stipendio medio da poco più di 90 a 180 marchi, anche se si tratta di una somma che resta sempre bassissima. Proprio mentre stiamo parlando è in corso uno sciopero generale dei 18.000 lavoratori del settore educazione della Repubblica Serba, i quali chiedono che lo stipendio minimo sia di almeno 100 marchi e che venga pagato regolarmente. Questo sciopero è stato in buona misura provocato dall'arroganza di alcuni funzionari del ministero che, invece di risolvere i problemi dei lavoratori, gli chiedono cosa diavolo vogliono.

Sulejman Hrle: Vorrei fare sapere al signor Volas che noi appoggiamo senza riserve i lavoratori del settore dell'educazione della Repubblica Serba e le loro richieste. Se sarà necessario, anche i nostri lavoratori del settore educazione effettueranno uno sciopero di solidarietà di un giorno.

Omar Karabeg: Vi è il timore giustificato che le privatizzazioni si trasformino nella Repubblica Serba e nella Federazione in un saccheggio di quella che era in precedenza la proprietà pubblica, come è accaduto in Croazia e in Serbia.

Cedo Volas: Questa possibilità esiste, e la potremo evitare solo se si metterà in atto in maniera coerente la legge sulle privatizzazioni e se si garantirà la trasparenza del relativo processo, con una stima reale del valore delle aziende, la partecipazione del sindacato nel mettere a punto il programma di privatizzazione, la partecipazione di rappresentanti dei lavoratori negli organi direttivi delle aziende, nonché nel controllo del processo di privatizzazione. Si tratterebbe di meccanismi di difesa importanti, che consentirebbero di impedire le frodi. Questi neocapitalisti sono davvero molto furbi e dobbiamo stare attentissimi.

Sulejman Hrle: Sulla base di quanto è avvenuto fino a oggi in entrambe le entità, temo che l'imminente processo di privatizzazione si possa trasformare in un vero e proprio saccheggio, in una accumulazione primaria del capitale nella sua peggiore versione, se non verranno messi a punto dei meccanismi legislativi che impediscano il possibile saccheggio.

Cedo Volas: Bisognerebbe approvare un tetto di legge che uniformi i diritti che i lavoratori hanno creato nel corso del loro lavoro passato e che garantisca l'uguaglianza dei cittadini. Poiché dopo gli accordi di Dayton solo la Bosnia-Erzegovina è un soggetto sul piano internazionale, essa deve essere il garante di tutti i diritti, anche di quelli di proprietà.

Sulejman Hrle: I rapporti fondamentali sono in ogni stato quelli di proprietà, e la loro stabilità dipende da quanto essi sono difesi. Ritengo che da noi nel regolare tali rapporti si sia andati in senso inverso. Prima sono state approvate le leggi delle entità e solo in un secondo momento è venuta fuori l'idea di approvare un tetto di legge sui rapporti di proprietà a livello statale. E' necessario innanzitutto approvare tale legge e poi rifletterla nelle leggi delle entità. Per questo ora bisognerebbe immediatamente approvare una legge quadro sui rapporti di proprietà a livello statale e questo non vale solo per i rapporti di proprietà. Per noi del sindacato la legge più importante è quella sul lavoro.

Il signor Volas e io abbiamo firmato alcuni mesi fa una dichiarazione comune che abbiamo inviato al Consiglio dei Ministri della Bosnia-Erzegovina, nella quale chiedevamo di approvare una legge quadro sul lavoro, con la quale venissero regolati i principi fondamentali del lavoro e dei rapporti di lavoro. In tale legge è necessario incorporare i principi dell'ILO (Organizzazione internazionale del lavoro), in particolare la convenzione 111, con la quale si vieta la discriminazione in base all'appartenenza nazionale nel momento dell'assunzione o del licenziamento di un lavoratore. E ciò perché questa convenzione viene apertamente violata in tutte le entità della Bosnia-Erzegovina.

Omar Karabeg: Sì, oggi abbiamo una situazione tale per cui le imprese sono per la maggior parte mononazionali.

Cedo Volas: Si tratta della caratteristica dominante in un numero enorme di imprese della Repubblica Serba e della Federazione. Questo problema è più che attuale nel complesso metallurgico per la lavorazione dell'alluminio di Mostar. Nelle nostre leggi dobbiamo integrare i vincoli previsti dalla convenzione 111 che vieta una discriminazione che qui nella Repubblica Serba viene rigorosamente messa in atto. D'altronde, penso che un giorno dovremo porre la questione del risarcimento dei danni che questi lavoratori hanno subito in conseguenza di tale discriminazione, visto che hanno perso il lavoro solo perché erano di questa piuttosto che di quella nazione. Ritengo che esistano tutti i motivi fondati perché tali lavoratori vengano rimborsati dei danni.

Sulejman Hrle: Nello stato comune abbiamo cercato di far sì che tornassero al loro posto di lavoro tutti quei lavoratori che sono stati licenziati per la loro appartenenza nazionale, indipendentemente dal fatto che fossero musulmani, serbi o croati. Anche noi insisteremo per questo. A tale proposito abbiamo sporto denuncia presso l'ILO a Ginevra per il licenziamento di 1.800 lavoratori di nazionalità musulmana e serba del complesso metallurgico di Mostar, che è controllato dall'HDZ. Da Ginevra ci hanno risposto che la questione verrà messa all'ordine del giorno in occasione della prossima seduta.

Omar Karabeg: Questo vuol dire, signor Volas, che lei e il signor Hrle lotterete affinché tutti i lavoratori tornino ai posti di lavoro che occupavano prima della guerra, quando le loro imprese cominceranno nuovamente a lavorare?

Cedo Volas: Assolutamente. In primo luogo il ritorno alla propria residenza e in secondo il ritorno al proprio posto di lavoro. E chiaro che ci sono ancora forze che premono con insistenza per la segregazione e l'apartheid, ma, come si vede, molte situazioni si stanno muovendo. Molti di questi lavoratori non hanno mai alzato la mano su nessuno, né hanno pronunciato parole offensive contro alcuno; non si sono mai interessati di politica e hanno dovuto subire delle gravi conseguenze solo perché facevano parte di questa o di quella nazione. Ritengo che il processo non debba essere quello di nuove assunzioni, bensì quello del ritorno al proprio posto di lavoro, di continuazione del proprio lavoro. Tutti coloro che hanno perso illegalmente il posto di lavoro devono tornare ed essere rimborsati per il danno subito.

Sulejman Hrle: Tutte le aziende che hanno licenziato o perseguitato i lavoratori a causa della loro appartenenza nazionale devono ora lasciarli tornare al loro posto di lavoro. Entrambi i sindacati hanno preso l'impegno di difendere i diritti dei lavoratori illegalmente licenziati e, se necessario, di ricorrere alle vie legali affinché tali lavoratori possano tornare nelle aziende presso le quali lavoravano. E' questo il nostro compito.

Omar Karabeg: Questo vuol dire, signor Hrle, che voi, se qualche lavoratore serbo fuggito nella Repubblica Serba desiderasse oggi tornare a lavorare in un'azienda sul territorio della Federazione, offrireste aiuto a tale persona per farle riavere i suoi diritti?

Sulejman Hrle: Certamente, certamente.

Omar Karabeg: E voi, signor Volas?

Cedo Volas: Lo stesso. Ecco, giusto due o tre giorni fa ho firmato una delibera per il ritorno al lavoro di una donna di nazionalità musulmana qui da noi al sindacato. Speriamo che sia solo l'inizio.

Omar Karabeg: E' evidente che i sindacati riescono a collaborare meglio di quanto non lo facciano le autorità delle varie entità. Nelle condizioni attuali è pensabile uno sciopero generale che copra l'intero territorio della Bosnia-Erzegovina?

Cedo Volas: Non abbiamo organi unitari, ma penso che il sindacato della Federazione ci darebbe il suo appoggio se dovessimo dichiarare lo sciopero generale.

Sulejman Hrle: Che lo vogliamo o no, dovremo presto organizzare uno sciopero generale unitario, se i nostri governi non cominceranno a occuparsi delle questioni essenziali: il riavvio della produzione e la creazione di posti di lavoro, perché solo nella Federazione più di 300.000 persone abili al lavoro è in cerca di un posto e penso che altrettanto lo siano nella Repubblica Serba.

Omar Karabeg: In Bosnia-Erzegovina abbiamo delle imprese ferroviarie, ma non abbiamo treni che viaggino attraverso i confini delle entità, sembra che solo il contrabbando non conosca confini. Non potrebbe diventare così anche per gli operatori economici?

Cedo Volas: Penso che l'interruzione di questi canali di comunicazione non faccia altro che causare danni. Le merci sono ferme perché ora i costi del trasporto sono molto alti, sono ferme di conseguenza anche le aziende. Per questo, con l'aiuto del programma PHARE, finanziato dall'Unione Europea, abbiamo organizzato svariati gruppi di lavoro che dovrebbero ricreare le comunicazioni interrotte tra le imprese, come per esempio tra le officine di Zenica e la miniera di Ljubija. Stiamo lavorando anche affinché l'approccio sul piano internazionale sia unitario, per presentarci in maniera unita in Europa, in America, in Canada, in Australia. Oggi le aziende che un tempo facevano parte di una struttura nazionale, appartengono a questa o a quella entità e questo rende decisamente più costosi gli scambi, sia sul mercato nazionale che su quelli esteri.

Sulejman Hrle: Le ferrovie sono già da due anni tecnicamente in grado di effettuare trasporti in tutte le direzioni, ma a causa dell'ostruzione di alcuni politici, le vie di comunicazione non sono state ancora riaperte. Si tratta di una cosa inaccettabile. Finché non ripartiranno le ferrovie, come potranno funzionare l'economia e i grandi sistemi; penso che fino al momento in cui il fischio della locomotiva non coprirà la voce dei politici, fino a quando non sarà sentito nell'intera Bosnia-Erzegovina, non ci potrà essere una vera ripresa dell'economia. Bisogna assolutamente cancellare il confine artificialmente creato tra le due entità, che è l'ultimo bastione in Europa, l'ultimo muro di Berlino. Perché oggi, dopo tre anni di pace, rimane ancora più difficile andare da Sarajevo a Banjaluka o a Gorazde, che recarsi fino a Praga, per fare un esempio.

Omar Karabeg: E per finire, signor Volas, pensa che presto potrà recarsi in treno da Banjaluka a Sarajevo?

Cedo Volas: Penso che ciò avverrà presto, perché è una necessità oggi irrinunciabile.

Omar Karabeg: E lei, signor Hrle, pensa di potere presto andare da Sarajevo a Banjaluka in treno?

Sulejman Hrle: Lo desidero davvero e voglio crederci, ma la decisione finale è dei politici. E' da loro che dipende se i treni potranno attraversare liberamente l'intera Bosnia-Erzegovina.

(trascrizione della trasmissione "Most" di Radio Free Europe, pubblicata da "Danas" il 17 novembre 1998 - traduzione dal serbo-croato di A. Ferrario)