C.S.O.A. Ex-Mattatoio


by CSOA Ex-Mattatoio di Civitavecchia Tuesday November 12, 2002 at 02:33 PM

LETTERA APERTA AI SOPRAVVISSUTI DEL MOVIMENTO

Serriamo le fila affinche' il movimento non muoia.

Dopo la immensa manifestazione contro la guerra del petroliere Bush, Cofferati gentilmente ci spiega: "Questi giovani (noi, ndr) rappresentano una forte novita' [!?] rispetto al movimento degli anni '70: non si vogliono autorappresentare […] chiedono alla politica [!?] di farsi carico delle loro sensibilita'"; e aggiunge, quasi irridente, che questo moto di avvicinamento deve avvenire, naturalmente, "senza tentativi di egemonizzazione".

La voce di Cofferati, riformista pseudo-cinese, non e' l'unica ad esprimersi in questo senso, ne' e' forse la piu' invasiva, ma e' indubbiamente significativo che l'ex segretario del maggior sindacato italiano, e prossimo leader politico della nuova sinistra d'Italia, si senta in dovere (e soprattutto in "potere") di travalicare cosi' allegramente e da un giorno all'altro quella che e' (era?) senza alcun dubbio la caratteristica primaria del nostro movimento: l'autodeterminazione.

La piega che stanno prendendo gli eventi non ci piace del tutto, e ci lascia insoddisfatti.

Se i vari dirigenti e capetti pensano di poter guidare il movimento con quella specie di centro commerciale alternativo allestito negli ampi locali della Fortezza Da Basso, si sbagliano di grosso.

Se il barbaro del Nord Est Luca Casarini pensa di poter gestire questa particolare congiuntura assumendo il ruolo di segretario di un partito di fatto, saranno i suoi stessi disobbedienti a fargli cambiare idea. Ci siamo forse svegliati d'improvviso dopo un lungo sonno? O forse accade che quando il gioco si fa duro qualcuno smette di giocare? Davvero quel partire sempre dall'autogestione, per noi cosi' importante, e' di colpo svanito nel nulla?

Vero e' che una larga (!?) fetta del movimento mostra spesso un atteggiamento quanto meno ambiguo/anfibio rispetto alla politica ufficiale; vero e' che questo movimento si nutre in parte di una generica societa' civile che tenta di affrontare in modo parziale e riformista i problemi che il neoliberismo gli oppone davanti; vero e' che la situazione (anomalia) italiana, in questo assai invitante, riesce a portare ormai a scadenze settimanali folle oceaniche in tutte le piazze, rendendo in questo modo assai problematica per tutti la gestione delle variegate forme di opposizione oggi presenti in campo.

Tutto ciò e' vero, ma voler ricavare da questi elementi una rinuncia all'autodeterminazione e all'autogestione e' riduttivo, superficiale e, in definitiva, of course, falso.

E che dire di quella immagine da bravi ragazzi, pieni di sentimenti e di amor proprio, che i media ci stanno insulsamente mettendo addosso? Vogliono fare di noi dei grilli parlanti che implorano, innocuamente, i potenti di salvare il pianeta?

Fermarsi ad affrontare gli effetti della globalizzazione (!?) e' un errore con cui tutti dovranno prima o poi fare i conti; gli ogm, la guerra preventiva, la crisi irreversibile della democrazia rappresentativa, il conflitto sul lavoro, sono tutti effetti pratici di una causa scatenante, che noi denominiamo, apertis verbis, capitalismo. E' dunque compito nostro fare dell'anticapitalismo la discriminante del movimento?

E' intanto sicuro che mettere in scena il conflitto con delle scadenze semestrali che somigliano sempre di piu' a delle malsane caricature del G8 capitalista, e con delle manifestazioni contornate da fatue distinzioni tra violenti e non violenti, tra movimento "buono" e movimento "cattivo", rappresenta un becero errore di cui tutti si stanno rendendo gia' conto.

Quale dunque una politica all'altezza delle aspirazioni piu' alte del movimento?

Per rispondere a questa domanda bisognera' osservare la situazione con maggiore distacco, individuare gli attori in campo, e i loro movimenti sulla scena.

Abbiamo da un lato la politica ufficiale che, in piena azione di recupero, tesse gli elogi del movimento, decide di farsi contaminare dal nuovo corso e dal nuovo clima. Rosi Bindi dichiara: "La politica ha bisogno dei movimenti", Romano Prodi precisa: "Siamo alla fine del pensiero unico", Fausto Bertinotti afferma: "I partiti devono stare nel movimento". La politica democratica, comprensibilmente, e forse in modo addirittura sincero, scopre la vacuita' del proprio progetto, per troppi anni subalterno alle ideologie neoliberali. Avverte che solo tramite l'incontro con le istanze di base potra' riacquistare quel consenso e quella capacita' di mediazione che gli sfugge di mano. La politica fa il suo mestiere, e lo fa in grande stile: mette la freccia, recupera il movimento, e lo sorpassa a destra.

Il movimento, a sua volta, accetta di farsi circuire, ascolta in silenzio i discorsi che vengono dal palco, qualcuno tra i piu' ambiziosi si gettera' senza indugio nell'avventura elettorale. Il partito dei no-global e' all'ordine del giorno, nuove liste con nuovi programmi animeranno tribune politiche del tutto originali. I leader del movimento, in fin dei conti, fanno il loro mestiere, e lo fanno in grande stile: esercitano l'antica, ovvia pratica dell'entrismo; rappresentano le domande provenienti dal basso, e le fanno circolare - e infine prevalere- nelle sfere alte della decisione politica.

Non ci spaventa questo duplice gioco di chi recupera e di chi entra, perche' e' un'evoluzione ovvia, scontata degli eventi: quando i movimenti raggiungono l'estensione che abbiamo visto, e' inevitabile che dinamiche di questo tipo si mettano all'opera.

Il nostro intervento e' però rivolto a quella parte del movimento, ferma all'idea secondo cui il movimento deve ancora e sempre restare movimento; ed e' rivolto anche a chi dell'anticapitalismo ha fatto una ragione essenziale del proprio impegno.

Ci rivolgiamo:

- a chi ritiene imprescindibile una pratica politica orizzontale, paritaria tra i vari soggetti;
- a chi e' interessato a far crescere i conflitti negli spazi solidi della vita quotidiana;
- a chi, tramite il lievitare delle lotte, vuole dar vita al sorgere di rapporti nuovi;
- a chi coscientemente pensa al nuovo corso in termini anticapitalisti;
- a chi, nella situazione presente, intravede gli spazi per una innovazione radicale;
- a chi vede la connessione intima che sussiste oggi tra la democrazia di base e l'avvio di processi di trasformazione;
- a chi nella congiuntura di oggi vuole costruire le condizioni per una fuoriuscita a sinistra.

Non vediamo all'ordine del giorno una spaccatura in seno al movimento. Non proponiamo la costituzione di una corrente di sinistra, in opposizione alla deriva riformista dei no-global. Non diciamo di boicottare i Social Forum, e neppure di incalzarli con brillanti dimostrazioni teoriche sulla necessita' dell'anti-capitalismo.

Lanciamo semplicemente un appello affinche' il movimento non muoia: "costruiamo nuovi terreni di conflitto, autonomi e dal basso, capaci di investire e coinvolgere gli spazi della vita quotidiana".

Solo questo salto di qualita' potra' garantire un'efficacia davvero radicale all'azione del movimento; e solo ripartendo da queste pratiche concrete potra' darsi, passo passo, con successive approssimazioni, e senza dogmatismi, una soluzione davvero congrua al problema dei rapporti tra noi e la politica ufficiale.

La posta in gioco e', a nostro avviso, la sopravvivenza stessa del movimento come strumento di trasformazione reale della societa'.

C.S.O.A EX-MATTATOIO di Civitavecchia


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