Autori Varii
Rassegnazione è complicità
Il caso Marco Camenisch
* * * * *
Il 13 novembre 1979, un traliccio della linea ad alta tensione Rheintal-West della società elettrica Nordostschweizerische Kraftwerke (NOK) nei pressi del confine tra la Svizzera e il Liechtenstein presso Balzers, in territorio del comune grigionese di Fläsch, viene colpito da un attentato dinamitardo. I danni ammontano a circa 21.500 franchi.
Alcune settimane dopo, esattamente alle 4.36 della mattina di Natale del 1979, un'altra deflagrazione distrugge un pilone di cemento e i trasformatori della centrale idroelettrica Sarelli delle Kraftwerke Sarganserland AG in prossimità del confine del canton San Gallo con il canton Grigioni, tra Bad Ragaz e Mastrils. In questa occasione, il danno è assai più rilevante e ammonta a circa 1,4 milioni di franchi.
L'esplosione provoca un'interruzione di corrente e una parte dell'olio di raffreddamento fuoriesce dai trasformatori, incendiandosi.
Il 1979 è un anno decisivo per quanto concerne la politica nucleare in Svizzera. Sull'onda delle grandi manifestazioni popolari, che avevano portato, nel 1975, all'occupazione del terreno sul quale sarebbe dovuta sorgere la centrale nucleare di Kaiseraugst e alle grandi manifestazioni contro la centrale nucleare di Gösgen negli anni successivi, nel 1979 si apre un nuovo fronte di lotta antinucleare che viene a integrare l'espressione del dissenso a livello parlamentare e di mobilitazioni di massa.
Il 18 febbraio, la cosiddetta "Iniziativa Antiatomica" è sconfitta di strettissima misura (48,8% SI, contro 51,2% NO). Il giorno dopo, un attentato distrugge il "Padiglione della menzogna", costruito a scopi di propaganda a favore della centrale nucleare del cantiere di Kaiseraugst. Non si registrano vittime, ma i danni materiali sono valutati a più di un milione di franchi. Durante le vacanze di Pasqua, vengono organizzate veglie di protesta e scioperi della fame: l'incidente di Harrisburg, negli Stati Uniti, sbugiarda clamorosamente coloro che avevano sbandierato ai quattro venti la "sicurezza" delle centrali atomiche.
Tra il 20 e il 22 maggio, una serie di attentati a catena colpiscono le automobili di personalità legate all'industria ellettronucleare nei cantoni di Argovia, Soletta, Zurigo, San Gallo e Ticino (dove viene abbrustolita la BMW del signor G.B. Pedrazzini, presidente della SES-ATEL). Ai primi di giugno, 5 mila persone manifestano sul cantiere della centrale nucleare di Leibstadt, in via di costruzione. Il 20 agosto, un incidente comparabile a quello prodottosi a Harrisburg si verifica nella centrale nucleare di Beznau, di proprietà della NOK. A differenza di quanto avvenuto in America, fortunatamente i sistemi di sicurezza funzionano e si riesce ad evitare il peggio. A dare notizia dell'incidente non sono le autorità svizzere, che si limitano a confermare l'informazione diffusa dalla CBS americana. Il 3 novembre, un attentato alla centrale di Gösgen, in fase di collaudo, provoca un milione di franchi di danni. L'attentato venne rivendicato da un gruppo che si firma "Do-It-Yourself 007". La messa in esercizio della centrale nucleare è prevista per il 19 novembre. L'attentato alla centrale Sarelli chiude un ciclo di lotte illegali di questo 1979, a forte connotazione antinucleare.
Attualmente, in Svizzera sono in funzione cinque centrali atomiche (Mühleberg, Gösgen, Leibstadt, Beznau I + II), mentre un'altra centrale, quella di Lucens, è stata smantellata in seguito a un grave incidente. Ma senza la resistenza popolare, il numero di centrali atomiche in Svizzera sarebbe considerevolmente maggiore: le centrali di Kaiseraugst -bloccata quando era già stato allestito il cantiere-, Graben, Inwil, Verbois, Rüthi sono rimaste a livello di progetti accantonati o sospesi solo grazie alle mobilitazioni e alle azioni di resistenza di quegli anni. Lo stesso discorso vale per il famoso deposito per l'immagazzinamento delle scorie atomiche.
L'80% dell'energia elettrica in Svizzera è prodotta e distribuita da sette grandi società, di cui quattro a partecipazione statale: Nordostschweizerische, Kraftwerke NOK, Bernische Kraftwerke BKW, Energie de l'Ouest de la Suisse EOS, Elektrizitätswerke der Stadt Zürich EWZ; e tre private: Elektrizitätsgesellschaft Laufenburg EGL, la potente ATEL, Aare-Tessin für Elektrizität e la Centralschweizerische Kraftwerke CKW.
Le ormai vetuste centrali atomiche di Beznau I e II sono completamente in mano alla NOK, mentre la centrale nucleare di Gösgen è controllata per il 35% dal gruppo privato ATEL, a sua volta dominato dall'Alusuisse tramite la Motor Columbus e per il 25% dalla NOK (Nordostschweizerische Kraftwerke). Un'altra impresa, fortemente coinvolta nell'industria elettronucleare, è la Elektrowatt -del gruppo bancario Credito Svizzero. Le stesse società sono responsabili del prosciugamento idrico delle valli dell'arco alpino svizzero, dato che sono anche proprietarie della quasi totalità degli impianti idroelettrici.
* * * * *
Dopo l'attentato alla centrale Sarelli, a Coira vengono fermate diverse persone e sugli autori è posta una taglia di 10.000 franchi. In seguito a una delazione, la Procura della Confederazione spicca un mandato di cattura a carico di Marco Camenisch e René Moser. La polizia estende le ricerche su tutto il territorio nazionale. Nel corso delle indagini, il 2 gennaio 1980, viene arrestato a San Gallo il ventisettenne René H., ex marinaio della navigazione sul Reno. Costui risulta estraneo agli attentati, ma dichiara di aver partecipato all'occultamento del materiale esplosivo. Marco Camenisch e René Moser vengono arrestati, sempre a San Gallo, l'8 gennaio. Dopo quattordici giorni di isolamento al Klosterhof, Marco ha un collasso nervoso e deve essere ricoverato all'Inselspital. Successivamente, ricondotto al Klosterhof, tenta il suicidio. In seguito a questo evento e messo a confronto con le dichiarazioni di altri testi marginalmente coinvolti nella vicenda, René ammette alcuni fatti. Alla fine di febbraio, rispettivamente il 6 e l'11 marzo 1980, i tre imputati principali vengono trasferiti a Coira, dove rimarranno in carcere fino al processo.
Marco Camenisch è nato nel 1953 a Campocologno, figlio di una guardia di confine. Frequenta le scuole a Schiers, ma interrompe gli studi ad un anno dalla maturità liceale. Marco si rifiuta di continuare a partecipare a un sistema scolastico che mira a forgiare un'altra rotella ben oliata per il funzionamento degli ingranaggi di una società meritocratica, elitaria e basata sui meccanismi dello sfruttamento. Inizia una formazione presso la scuola agricola Plantahof ma, messo a confronto con la realtà dell'agrochimica, cerca un'alternativa maggiormente in sintonia con il rispetto della natura.Tenta una breve esperienza come alpigiano, ma nell'isolamento della montagna avverte l'esigenza di partecipare più direttamente a un cambiamento strutturale della società mediante azioni dirette.
René Moser, nato nel 1959, di famiglia nomade costretta al soggiorno obbligato da una legge razzista, ha vissuto fin dall'infanzia e sulla propria pelle la disumanità di un sistema repressivo passando dall'istituto minorile all'affidamento tutorio, dalla psichiatrizzazione al carcere. A un certo punto, nella primavera del 1979, la sua strada s'incrocia con quella di Marco, attivo all'epoca nell'ambito del "Comitato di sostegno alle lotte dei detenuti". Con Marco, René condivide essenzialmente il messaggio: "stand up and fight for your rights", come ebbe a scrivere in una lettera dal carcere di Coira dopo aver ascoltato Bob Marley alla radio. In un'altra lettera scrisse: "È la borghesia che mi obbliga ad alzare il pugno!"
Nel carcere di Sennhof a Coira la detenzione avviene, per i primi due mesi, in celle munite di sistemi d'allarme elettronici e finestre blindate. Il passeggio è di mezz'ora al giorno, solitamente in due; doccia una volta alla settimana. In seguito, regime di detenzione normale e, a partire dal mese di giugno, ammissione al lavoro. Ripetute volte Marco si fa promotore di iniziative per il miglioramento delle condizioni di detenzione e la tutela dei diritti dei prigionieri, fra cui una petizione all'indirizzo del Dipartimento di Giustizia con la richiesta del passeggio domenicale.
Il 26 gennaio 1981, davanti al Tribunale cantonale di Coira ha inizio il processo a carico di Marco Camenisch, sposato, 29 anni, "sottoproletario"; René Moser, celibe, 23 anni, operaio; René H., celibe, 27 anni, marinaio. L'atto di accusa, di 74 pagine, contempla diversi reati connessi agli attentati, fra cui l'uso delittuoso di esplosivo e l'infrazione della legge sul materiale di guerra in seguito al furto di 8 mila proiettili di pistola e fucile in uno stand di tiro. Entrando nel merito del movente, il documento istruttorio afferma che Camenisch ha maturato negli ultimi anni una profonda coscienza ecologica e quindi la ferma decisione di combattere i progetti di distruzione del territorio ad opera dell'industria nucleare e idroelettrica. La critica ambientalista dei due imputati si è successivamente estesa a tutte le istituzioni statali, ritenute strumenti di oppressione. Secondo gli imputati, le istituzioni economiche e politiche della classe dominante vanno combattute con la lotta militante.
Il processo si svolge in un clima di assedio. A Zurigo, il movimento autonomo aveva denunciato il carattere di classe del processo esprimendo la propria solidarietà con i prigionieri. Il pubblico viene accuratamente perquisito. Molti i giornalisti e i poliziotti in civile. Il Tribunale: cinque giudici di nero bardati. Marco si presenta con una stella rossa dipinta sulla fronte. Dopo la lettura degli atti, viene esibita una perizia psichiatrica allestita da tal dottor Keller, in cui si afferma "l'insufficienza intellettuale" dell'accusato René Moser, per stabilire la quale è stato sufficiente un colloquio di 45 minuti, una perizia calligrafica e l'esame dei suoi tatuaggi. Marco rifiuta qualsiasi collaborazione, ma legge un lungo documento in cui espone le sue motivazioni. Di seguito riproponiamo integralmente il suo Manifesto: Pace alle capanne! Guerra ai Palazzi!
* * * * *
Se ora parlerò a lungo, non è per giustificarmi o per chiedere clemenza. Vorrei soltanto chiarire il perché si è fatto qualcosa e perché bisogna fare qualcosa. Non voglio dimostrare che abbiamo agito in modo strategicamente corretto. Abbiamo risposto alla guerra del capitale in quanto vittime del capitale. Affermiamo di non riconoscere questa Corte, asservita alla borghesia capitalista. Affermiamo che, se ci presentiamo, lo facciamo per non facilitare alla giustizia di classe il compito di dichiararci pazzi, marionette pericolose, da far scomparire nelle loro tombe di cemento. Non siamo né egoisti né idealisti; siamo esseri umani critici e consapevoli, senza nessuna ambizione di assurgere al ruolo di martiri o di eroi. Per elencare tutti i delitti perpetrati dai veri criminali, i dittatori, i politici, i capitalisti e i loro servi, ci vorrebbero degli anni. Per questo motivo, la presente dichiarazione dovrà limitarsi ad accenni, sintesi, conclusioni e soprattutto omissioni. Chi vuole intendere ha orecchie per sentire, chi vuole vedere ha occhi per leggere e scorgere quotidianamente ciò che capita nel mondo. Chi vuole pensare ha il cervello, chi vuole capire comprende il linguaggio dell'umanità e della vita. I cadaveri viventi capiscono solamente la lingua del denaro, della ricchezza, del potere, della legge. A costoro posso soltanto dire:
Considerando che date ascolto ai cannoni
Che non capite altre lingue
Abbiamo deciso che conviene
Volgere i cannoni contro di voi
Nel 1977, ad una sessione delle organizzazioni non governative dell'ONU a Ginevra, è stato presentato il Messaggio degli Irochesi al mondo occidentale (Per un risveglio della coscienza. Messaggio degli Irochesi al mondo occidentale, La Fiaccola, Ragusa 1989). Siccome questo messaggio esprime molto bene sentimenti anche nostri, ne cito alcuni passaggi:
"...Le nostri radici sono profonde nella terra dove viviamo. Noi nutriamo un grande amore per il nostro paese, perché il luogo della nostra nascita è là. Il suolo è pieno delle ossa di migliaia dei nostri antenati, ciascuno di noi fu creato su queste terre, ed è nostro dovere averne grande cura, poiché da queste terre scaturiranno le future generazioni. Noi proseguiamo il nostro cammino con grande rispetto perché la terra è un luogo estremamente sacro".
"...La cultura occidentale è stata atrocemente "sfruttatrice" e distruttrice per il mondo naturale. Più di 140 specie di uccelli e di animali furono totalmente distrutte, principalmente perché esse erano inutilizzabili agli occhi degli invasori. Le foreste furono livellate, le acque contaminate, e il popolo nativo sottoposto al genocidio".
"...Le grandi mandrie di erbivori furono ridotte a pochi esemplari, il bisonte fu avviato all'estinzione. (...) Nessun disastro naturale è stato altrettanto distruttivo. Neppure l'epoca della glaciazione ha comportato altrettante vittime. Ma come le foreste, il carbone e il petrolio sono anch'essi delle risorse limitate, mentre la seconda metà del XX secolo si avvicinava, gli occidentali hanno cominciato a cercare altre fonti di energia per dare una nuova spinta alla loro tecnologia. I loro occhi si sono fermati sull'energia atomica, una forma di produzione di energia i cui sottoprodotti sono le sostanze più nocive che l'uomo abbia mai conosciuto".
"...Oggi la specie umana è posta di fronte alla questione della sopravvivenza della specie stessa. Il modo di vita conosciuto col nome di civiltà occidentale è su un cammino di morte sul quale la sua cultura non ha risposte vitali da dare".
"...Messi di fronte alla realtà della loro stessa distruzione, essi non possono che andare ancor più lontano verso una distruzione totale. L'apparizione del plutonio su questo pianeta è il segno più chiaro che la nostra specie è in pericolo. È un segnale che la maggior parte degli occidentali ha deciso di ignorare".
"...I nostri antichi insegnamenti ci anticiparono che se l'uomo interferisce con le leggi naturali tutto ciò si avvererà fatalmente. Quando l'ultimo soffio del modo di vita naturale sarà estinto, tutta la speranza della sopravvivenza umana se ne andrà con lui (...) ".
"...La distruzione delle culture dei popoli nativi appartiene allo stesso processo che ha distrutto e distrugge ancora la vita su questo pianeta".
"...La maggior parte del mondo non trova le sue radici nella cultura o nelle tradizioni occidentali. La maggior parte del mondo ha le sue radici nel mondo naturale, ed è il mondo naturale, con le sue tradizioni, che deve prevalere se vogliamo sviluppare delle società veramente libere ed egualitarie. È necessario, attualmente, cominciare un'analisi critica della storia dell'occidente, ricercando le forme attuali delle condizioni di sfruttamento e oppressione subite dall'umanità. Nello stesso tempo in cui noi cominceremo a comprendere questo processo, dovremo reinterpretare questa storia per il popolo del mondo. È il popolo occidentale, alla fine dei conti, il più oppresso e sfruttato".
"Esso è schiacciato da secoli di razzismo, di sessismo e d'ignoranza che hanno reso se stesso insensibile alla vera natura della propria vita. Noi dobbiamo rimettere in discussione continuamente e accuratamente ogni modello, ogni programma, ogni metodo che l'occidente prova a imporci".
"Paulo Freire scrive, nel suo libro La pedagogia degli oppressi, che è nella logica dell'oppresso imitare il suo oppressore e provare a liberarsi dall'oppressione attraverso azioni similari a essa. Noi dobbiamo resistere a questo genere di risposta all'oppressione. I popoli che vivono su questo pianeta hanno bisogno di rompere con il concetto ristretto di liberazione umana, e devono cominciare a vedere che la liberazione deve estendersi all'insieme del Mondo Naturale. Ciò di cui abbiamo bisogno è la liberazione di tutte le cose che sostengono la vita: l'aria, le acque, gli alberi, tutte le cose che sostengono la trama sacra della vita".
"...I Popoli Nativi tradizionali posseggono la chiave dell'inversione del processo della Civilizzazione Occidentale che ci presenta un avvenire inimmaginabile di sofferenza e di distruzione. La spiritualità è la forma più alta della coscienza politica. E noi, Popoli Nativi dell'emisfero occidentale, siamo nel mondo tra i detentori viventi di questa forma di coscienza".
Non sono in grado di spiegare con precisione che cosa sia la spiritualità. Tuttavia, so che è la coscienza del diritto all'esistenza di tutto ciò che esiste nella natura, la coscienza della necessità di un approccio carico di umiltà e gratitudine verso la vita. Non per possedere, non per governare, non per trasformare, ma per convivere in armonia. È la coscienza dell'essere. Il materialismo è la coscienza dell'avere.
Riporterò ora alcune citazioni tratte da: "Spartaco, una controstoria dell'antichità" di Michael Gennet, basata sui racconti tradizionali degli zingari:
"Le radici dello sfruttamento e dell'oppressione nella civiltà occidentale, della tradizione imperialista della schiavitù: collettività nomadi di cacciatori e raccoglitori che, avendo raggiunto un elevato grado di specializzazione e socializzazione nel corso di un processo di sviluppo durato milioni d'anni a partire dalla scimmia antropomorfa, verso la fine della glaciazione e durante un periodo di carenza della selvaggina e terra, diventano sedentarie, in particolare nelle regioni del Vicino oriente. La crisi viene superata, le donne scoprono l'agricoltura, la popolazione si moltiplica. Lo spazio disponibile si restringe, aumenta l'aggressività: verso l'esterno contro vicini e stranieri, verso l'interno si stabilisce una divisione gerarchica fra uomo e donna. Prima, nel periodo del nomadismo, il gruppo era equilibrato. Ognuno aveva il suo posto. Uomo e donna avevano gli stessi diritti e si dividevano il lavoro. Esisteva una gerarchia basata sulle capacità di ognuno. Esisteva un capo, il miglior cacciatore, ma non aveva diritti sulle donne. I figli erano della stirpe della madre -il padre era perlopiù sconosciuto. Questo era il matriarcato, ma le donne non avevano nessuna supremazia".
"Tale era la situazione da millenni. Non appena i nomadi diventarono sedentari, l'equilibrio si ruppe. Le donne presero il potere, eseguivano i lavori, nutrivano la stirpe. gli uomini consumavano le provviste o passeggiavano con la scusa della caccia, anche se ormai la selvaggina scarseggiava. Il matriarcato libero delle tribù dei cacciatori nomadi si trasformò in un matriarcato repressivo, la prima fase della disgregazione della comunità originaria".
"Le donne si scelsero un solo uomo, il quale doveva procurare la carne e poteva essere cacciato se non svolgeva il suo dovere. Ciò costrinse gli uomini a maggiori sforzi. Così iniziò -lentamente, e non ovunque- una specie di monogamia, il primo passo verso la famiglia "moderna". Il matriarcato repressivo abolì il "matrimonio di gruppo", e si scavò così la propria fossa".
"La vita sedentaria limita lo spazio vitale e restringe il pensiero, i primi piccolo-borghesi...I raccolti sono soggetti a crisi, e la loro distruzione è ben più grave di un insuccesso di caccia. Nasce la paura e dalla paura nasce la religione; dai saggi conoscitori di piante e animali e dagli antichi stregoni si forma la casta dei preti. Le confraternite maschili, strumento dei preti, diventano potenti come guerrieri o cacciatori di teste. I primi sacrifici umani...per la terra e la fecondità, visto che i preti devono pur mascherare la loro impotenza. Essi indirizzano perciò le loro aggressioni dapprima contro gli stranieri...poi contro i giovani, le donne e i bambini".
"Lentamente, ma inesorabilmente gli uomini assumono il potere nei clan. Il rispetto per la donna traeva origine dalla sua posizione economica: ma l'uomo aveva conquistato il potere politico e spirituale. Attraverso l'alleanza tra i guerrieri e il clero, il nuovo potere era assicurato. Intanto le donne continuavano nei lavori in campagna, ma non più come libere contadine, bensì come schiave dell'uomo! E quando l'uomo si accorse della convenienza di sfruttare l'abilità femminile...ne volle più di una! Più donne, maggior tenore di vita! E si misero in concorrenza fra loro. Si facevano la guerra per la conquista delle schiave. Chi riusciva a sopravvivere era padrone delle contadine. Nacque il patriarcato poligamo?".
Molti ricercatori si affannano per raccogliere le prove della colpevolezza del matriarcato per i sacrifici umani. In realtà ciò era opera del clero e delle confraternite maschili, e i boia erano uomini. Tuttavia, fino ad oggi certe credenze sono rimaste...le donne sono considerate perverse, crudeli, assetate di sangue...ma la storia l'hanno scritta i vincitori. Allora, come oggi...distorsioni, miti...carnefici, che scaricano i loro crimini su vittime indifese.
"Il patriarcato costituì la seconda tappa di disgregazione. Il progresso storico che ne conseguì è come il passaggio dalla gonorrea alla sifilide. La supremazia del patriarcato creò la base per il potere personale, la ricchezza privata e l'oppressione statale. Inizialmente era il clero che viveva del lavoro altrui, che amministrava la proprietà per il clan".
Non rimaneva altro da creare che la legge per eliminare la giustizia. La controsocietà, i nomadi reagirono alla crisi allevando buoi, capre, pecore, maiali e facendosi amici dei cavalli e dei lupi. Diventarono pastori. Impararono a usare il fuoco e il metallo, diventarono più mobili e le razze si mescolarono. Il collettivo, la parità di diritti fra uomo e donna, la libertà si rafforzarono in un tipo di società capace di progresso.
Vengono così a contrapporsi due modelli di società. La comunità originaria si divise. Da una parte sedentarietà, proprietà privata, confini e società classista; dall'altra nomadismo, comunismo e abolizione delle frontiere...la terra è di tutti e di nessuno. I servi di Dio si abituano a vivere del lavoro degli altri, cresce l'esigenza di lusso e di operai, i nomadi vengono catturati, inizia una caccia all'uomo in grande stile. Dalla sapienza di fabbri ambulanti e di altri artigiani, e dal lavoro degli schiavi si sviluppano quelle "grandi civiltà" riportate nei libri di storia, come gli Assiri, gli Egizi, i Romani, con le loro classi dirigenti, i loro razzismi, le loro democrazie. Da allora ad oggi, imperialismo, espansione, colonizzazione, genocidi, politica della terra bruciata...dai Romani in Italia, agli Americani in Vietnam e nel Salvador.
La situazione attuale è il risultato di questo cosiddetto "progresso" basato sul mantenimento, lo sviluppo e la santificazione del potere e dell'imbecillità politica, economica, tecnologica ed ecologica. A che punto siamo giunti, lo dice chiaramente un documento pubblicato nelle viscere della feroce bestia imperialista, gli U.S.A., in cui si sostiene che non solo abbiamo raggiunto il livello di guardia, ma che forse lo abbiamo già superato. Questo documento s'intitola Global 2000 ed è stato partorito dai santoni della scienza (Global 2000. Der Bericht an den Präsidenten, Frankfurt an Main 1983) .
C'era una volta la rivoluzione -del capitale. Le parole d'ordine erano: libertà, uguaglianza, fratellanza. Ciò che ne risultò fu la libertà...del capitale, mentre l'apparato del potere, la burocrazia e la polizia rimasero intatti, per continuare a mantenere il dominio sul popolo. Se rimase anche il concetto di nazione, o se fu appositamente creato, questo non lo so. Comunque, è stato senz'altro l'elemento sentimentale necessario alla nascita del militarismo. Allora come oggi, la democrazia parlamentare serviva a creare il consenso attorno ad alcune marionette del capitale, alla sopraffazione di gruppi etnici, sociali o economici, alla negazione dell'autonomia o dei diritti delle minoranze. È soltanto una formalità tecnica per far eleggere dei governanti dai governati. Il sistema democratico, come ogni sistema di governo, si basa sul fatto che, finché il lavoro è alienante, ossia destinato al profitto e alla gloria dei potenti, le attività sociali fondamentali per la sopravvivenza della società vengono svolte solo se esiste una coercizione.
Ciò significa che la democrazia è una truffa finché esiste ricchezza, proprietà privata, proprietà di classe. È una realtà ben nota: "tanto al governo fanno quello che vogliono", la partecipazione alle votazioni, "chi paga comanda" e altri indizi dimostrano che il popolo -chiamato "sovrano" quando rispetta l'ordine costituito, "teppaglia" quando si difende- sa bene come vanno le faccende nello Stato "liberale".
Nella ricerca sociologica di H. P. Kriesi sui rapporti di potere in Svizzera, pubblicata parzialmente dal giornale Tell, vengono documentati i seguenti fatti: le principali decisioni politiche in Svizzera dal 1971 al 1976, come il pacchetto finanziario, la legge sulla pianificazione del territorio, la revisione AVS o gli articoli congiunturali, furono elaborate da 1.224 persone, 171 raggruppamenti e decise sostanzialmente da trecento persone. La massima autorità politica, il Parlamento, è una farsa. Un'inchiesta svolta fra l'élite di potere ha evidenziato che nella formazione delle decisioni politiche, risulta determinante non tanto il voto in parlamento o il voto popolare, quanto l'elaborazione del progetto, la procedura di consultazione e il successivo esame in commissione. Nelle sedi decisionali, predominano ovviamente i rappresentanti delle banche, del padronato, delle associazioni dei commercianti e degli agrari. L'élite al potere è formata per l'80% da accademici, la metà da avvocati, tutti di buona famiglia dell'alta borghesia. Soltanto ventiquattro figli di operai e tre donne sono riusciti a scalare la piramide del successo. La ricerca di Kriesi ha altresì messo in evidenza come all'interno dello schieramento borghese predominino i liberali-radicali. La loro preponderanza non è solo numerica, ma anche qualitativa, dato che occupano le posizioni chiave nelle associazioni padronali, nel Dipartimento federale dell'economia pubblica e nelle commissioni. La posizione chiave dei liberali-radicali assume un particolare rilievo se consideriamo che la loro dirigenza è caratterizzata da posizioni marcatamente di destra. Il centro del sistema appare quindi condizionato da interessi relativamente estremi. Il carattere reattivo della politica tende così a creare situazioni predeterminate che precludono la possibilità di ricorrere a vere alternative. La ricerca di Kriesi ha preso in considerazione soltanto l'élite politica. Per verificare l'influenza sociale dei grandi industriali, gli Schmidheiny, i Bührle, la chimica, le S.A., ecc. basta consultare gli elenchi delle partecipazioni e dei mandati nei consigli d'amministrazione.
Il ruolo della piazza finanziaria svizzera, cioè cassaforte a disposizione di truffatori, sfruttatori, evasori fiscali e quale punto d'incontro di speculazioni internazionali e intrallazzi politici è ben noto. Esempi illuminanti sono quei progetti d'aiuto ai paesi in via di sviluppo, presentati come progetti umanitari, ma che in realtà mascherano lucrosi commerci (Sulzer in Argentina, progetto Sari in Brasile, Motor Columbus, ecc.). L'alta finanza svizzera si trova in buona compagnia dei rappresentanti degli U.S.A. in Europa, i colleghi tedeschi dell'ovest, intenzionati a continuare lo sfruttamento delle ex-colonie europee, rapinando e opprimendo i paesi del Terzo Mondo. Con i cosiddetti progetti umanitari, interi continenti vengono dissanguati mediante il traffico di armi, interventi militari, capitalisti indigeni, fascisti, latifondisti mafiosi. In Africa, Asia e Sudamerica è in atto un vero e proprio genocidio. Tutto è lecito: dal latte in polvere Nestlé (Muller Mike, Baby Killer, Lausanne 1975) per neonati al napalm e al DDT. Il Fondo Monetario Internazionale concede crediti soltanto se sussiste la prospettiva di lauti profitti. Finanzia l'insediamento d'impianti industriali a tecnologia complessa in paesi dove si lavora per salari da fame, dove non esiste protezione ambientale, dove c'è la possibilità di accaparrare materie prime a prezzi stracciati. L'alto debito estero rende molte nazioni dipendenti economicamente, politicamente, militarmente. Multinazionali agrarie occupano immense distese per produrre in monocoltura prodotti agricoli destinati ai paesi più ricchi. Grottesco, se si pensa che i nostri fratelli e sorelle laggiù si ammazzano di lavoro, o muoiono di fame per permetterci il lusso di beni superflui come caffè, cacao, banane e carne a volontà, mentre la terra s'inaridisce e la loro miseria cresce. Grottesco, se si pensa allo sperpero di energia alimentare per ingrassare il bestiame destinato al macello per soddisfare la nostra voglia di bistecche.
Ma anche la Resistenza cresce. I paesi del Terzo Mondo non sono più tanto d'accordo a fornirci, per poco o niente, le loro preziose materie prime e cercano di sviluppare una produzione ad alta composizione di lavoro vivo e autonomo. Spazzano via l'occupazione imperialista e i corrotti regimi parassitari al soldo delle nazioni industrializzate. Vietnam, Cuba, Nicaragua. Partigiani nelle città e nelle foreste si battono contro il razzismo e per le libertà culturali, sociali e religiose. El Salvador, Saharoui, Eritrea e molti altri. L'OPEC contrasta il monopolio speculativo-finanziario dell'occidente. Il controllo e l'influenza dell'imperialismo sul Terzo mondo tende a diminuire, la valuta mondiale è indebolita, diminuiscono le grandi commesse. Lo scopo principale dell'imperialismo, il trasferimento di ricchezze dal Sud al Nord, è messo in forse, e con ciò lo scopo principale del capitale, ossia la sua crescita esponenziale. Il capitale risponde sostenendo regimi fascisti, trafficanti di droga pesante, promovendo un massiccio riarmo. Più spese militari, militarizzazione di tutta la società, riarmo nucleare. Occorre rafforzare il dispositivo nucleare dell'occidente, per tenere a bada i paesi dell'Est: i territori occupati chiamati "sfere d'influenza" devono essere conservati, se necessario militarmente. Le conseguenze di questo modo di pensare sono note: armi per distruggere l'intero globo terrestre, bomba a neutroni, esercitazioni NATO comprendenti la previsione della distruzione atomica dell'Europa. La morte nucleare è diventata una minaccia quotidiana, basta pensare agli incidenti ai reattori delle centrali atomiche, ai guasti dei computer, ai bombardieri con armi atomiche precipitati... E intanto via a costruire nuove centrali, il denaro esige il suo reddito, e queste macchine mortali ci vengono imposte con il pretesto dei posti di lavoro, con false statistiche, con spreco energetico spudorato: nel caso della Svizzera il 60% di energia esportata, e rassicurazioni nonostante La Hague, Harrisburg.
I nostri governanti si stanno preparando per l'eventualità che il loro sistema di sfruttamento del Terzo mondo dovesse incepparsi, e il popolo non fosse, una volta tanto, disposto a sopportarne le conseguenze. Sanno che, in tal senso, anche da noi una rivoluzione sarebbe probabile. I segni premonitori già ci sono: rivolte giovanili, scioperi, guerriglia urbana. La controrivoluzione preventiva è già in atto, con il pretesto dell'ordine pubblico e della protezione delle centrali atomiche dai "terroristi". Talvolta, però, anche sulla stampa borghese un "terrorista" diventa improvvisamente un onorevole Primo Ministro, come nel caso di Mugabe. La repressione preventiva viene gestita rinunciando alla maschera di liberalismo a favore di un fascismo strisciante, applicando i metodi di carcerazione U.S.A., eliminando il concetto di "reato politico" e di conseguenza quello di asilo politico; tutto ciò su pressione della R.F.T. Esprimersi in merito alle sezioni di massima sicurezza, e in generale sulla situazione carceraria penso sia superfluo, poiché tutti ammettono, a partire dalle BR in Italia fino ad ampi strati della borghesia, che la funzione dell'isolamento a scopo di lavaggio del cervello e l'annientamento del detenuto rientra nel disegno globale del capitale di rafforzare il potere mediante l'intimidazione.
Sulla situazione nelle carceri svizzere, specialmente per quanto concerne il carcere preventivo, basti qui ricordare le osservazioni di Rolf Binswanger riportate sulle circolari della sezione svizzera di Amnesty International.
L'accordo antiterrorismo viene firmato nel 1977 da diciassette Stati europei. La R.F.T. vorrebbe far passare una proposta similare anche in seno all'ONU, ma si scontra con le resistenze dei paesi del Terzo Mondo. Il Consiglio d'Europa si trasforma in organo di polizia, e il potenziamento delle strutture repressive nei singoli Stati diventa una necessità ineluttabile. L'accordo è stato perfezionato durante le conferenze sulla sicurezza del Consiglio d'Europa, con un gran agitarsi di ministri, Furgler compreso. Nel frattempo, in particolare durante il periodo del sequestro Schleyer, si moltiplicavano le riunioni segrete delle polizie politiche d'Italia, della Svizzera e della R.F.T. e si contrattavano le condizioni. Una convenzione relativa alle estradizioni, che limitava già considerevolmente la nozione di "reato politico", esisteva anche prima dell'accordo antiterrorismo. Ma, guarda caso, questa convenzione esclude l'estradizione per motivi fiscali: la libertà dei padroni, la libertà del denaro viene ampiamente tutelata! Intanto, si decide anche di potenziare l'Interpol. Sull'Interpol, citiamo da un documento sulla situazione nella R.F.T. e sul rapporto R.F.T.-Svizzera dell'Iniziativa Russel di Zurigo, gruppo di lavoro "Detenuti politici" (Thut Rolf e Bislin Claudia, Aufrüstung gegen das Volk, Zurigo 1997, pp. 223-226): "All'Interpol aderiscono 122 Stati. I contributi più cospicui a questa organizzazione privata di polizia vengono pagati dagli U.S.A. e dalla R.F.T. L'Interpol è stata fondata nel 1923 a Vienna. Dal 1938, opera sotto la direzione nazista, anche se, ufficialmente, non esiste tra il 1939 e il 1946. Dopo la guerra, diventa presidente dell'Interpol l'ex capo della polizia politica di Hitler in Belgio, che resta in carica fino al 1956. Costui continua un'attività ampiamente collaudata durante la guerra, attingendo ai fondi della gestione nazista. Inoltre, gli americani fornirono gli schedari del periodo nazista sequestrati: la prevalenza di nomi ebrei negli archivi venne poi giustificata dicendo che ciò dipende da una loro particolare propensione per le attività delittuose che richiedono astuzia e ingegno! Anche Dillon, uno degli artefici della CIA, esercitò un'influenza notevole sull'attività dell'Interpol. Diventano poi presidenti Agostino Lorenco, fascista portoghese e, dal 1968 al 1971, Paul Dickopf, ex SS e capo dell'Ufficio criminale federale tedesco. Su sette presidenti dell'Interpol, quattro erano ex nazisti e altri tre filonazisti".
Analizzando più da vicino l'accordo antiterrorismo, si nota come di fatto viene abolito il diritto alla protesta contro l'oppressione, e in particolare il ricorso a diritti legittimi come l'occupazione di case, manifestazioni, ecc. Si rafforza il potere monopolistico dello Stato, si accentua la centralizzazione del dominio capitalistico. Le leggi applicate per gli scontri di Zurigo dimostrano come la repressione non colpisce soltanto la lotta armata e la guerriglia, ma anche scioperi, manifestazioni, dimostrazioni di massa che vanno oltre la scheda di voto. Si diffondono la delazione, lo spionaggio, la repressione delle idee.
A proposito dell'accordo sull'estradizione di "terroristi", su Le Monde si poteva leggere: "Le soluzioni proposte tendono ad abolire, di fatto, la categoria di "reato politico". Ed è esattamente qui che troviamo, già di là dalle concezioni liberali, il punto che ci preoccupa. Nell'intento di contrastare il terrorismo, si creano istituzioni repressive che sono il contrario di quella civiltà liberale che si dichiara di voler difendere. Il non voler riconoscere il reato politico in quanto tale è un'espressione tipica dei regimi totalitari"
"Dobbiamo agire prima che ci siano dei morti", è stato detto in Consiglio nazionale. Qualche considerazione in merito. In tutto il mondo, si può calcolare grosso modo che l'1% di tutte le vittime di cosiddetti crimini sono vittime del cosiddetto "terrorismo". L'1% di tutta la popolazione dell'occidente detiene 1/3 e più della ricchezza. Nella prima percentuale troviamo in larga misura esponenti della seconda o i loro servi. Ecco perché diminuisce lo spazio di libertà. I potenti hanno paura. Temono per la loro vita, la loro proprietà, il loro potere. Tutti i morti del loro sistema, le vittime del lavoro, del traffico, i suicidi vengono invece qualificati come "rischio calcolato", frase ben nota anche a certi militari che, in caso di pericolo, sarebbero i primi a nascondersi nelle retrovie. Questi morti sono compianti al massimo come perdita economica. Parallelamente all'aumento della repressione legale, si assiste al potenziamento della polizia e dell'esercito, tramite concordati, polizia federale, il piano direttore "Esercito 80", SR speciali con addestramenti antiguerriglia, tecnica degli esplosivi, controrivoluzione. Il Ministero Pubblico della Confederazione, creato dietro pressione di Bismarck per combattere i socialisti, è in pratica una filiale del BKA tedesco. Tanto per non parlare di schedature?
Sul piano della politica economica, e come reazione al ciclo di lotte operaie del secondo dopoguerra, in particolare alla rivolta di massa nelle metropoli alla fine degli anni Sessanta che, costruendo un vasto fronte di solidarietà con il Terzo Mondo venne a costruire una seria minaccia alla spartizione capitalistica del mondo, si procede alla centralizzazione del capitale sull'asse U.S.A., R.F.T. e Giappone. In Europa succede praticamente questo: il capitalista di un paese "instabile", cioè di un paese con accentuata conflittualità di classe, investe il suo capitale, il suo reddito in euro-dollari o in valuta tedesca o svizzera. Ne consegue un rafforzamento del franco e del marco con sviluppi negativi per l'industria d'esportazione, vale a dire che si provoca una recessione artificiosa le cui conseguenze vanno interamente a carico dell'emigrazione. L'espansione diventa così una funzione dell'esportazione di capitale, degli investimenti e della produzione all'estero. La conseguente monopolizzazione dei mercati internazionali e la copertura dell'esportazione tramite l'immenso patrimonio dei capitali in fuga, permettono così, ad esempio, alla mafia delle multinazionali chimiche svizzere di vendere in Colombia il loro Librium ad un prezzo sessanta volte superiore rispetto alla concorrenza. L'esportazione di impianti industriali è indirizzata soprattutto verso la Grecia, la Spagna, la Turchia, l'Italia meridionale e il Portogallo. Ma una maggiore industrializzazione significa anche un incremento della lotta di classe, perciò questo settore di esportazione rischia di perdere in attrattiva. Si pone pertanto la necessità di esportare, assieme agli impianti, anche il sistema di controllo sociale e di repressione. Si pensi alla Turchia, all'entrata della Grecia nella NATO. Concentrazione del capitale e repressione della resistenza sono i mezzi per la distruzione dell'autonomia operaia e dell'indipendenza. I diversi governi diventano parte di un unico governo. Si tratta di spostare la centrale di comando del capitale fuori dalla portata delle rivolte giovanili, della Resistenza, della lotta operaia. E in casi estremi, la NATO tiene pronti piani di invasione, come ad esempio per l'Italia. Il capitale deve provvedere a tenere sotto controllo qualsiasi manifestazione vitale della società. Si pensi a tutte quelle domande poste in occasione dei censimenti nazionali, ai formulari di uffici ed enti pubblici, a moduli delle casse malattia...si pensi allo sviluppo dell'informatica, alla settorializzazione e razionalizzazione delle industrie, dei processi, ecc.
All'interno delle strategie complessive del capitale, anche l'urbanistica diventa mezzo di controllo e di divisione. Divisione dello spazio in aree operaie e aree signorili, compartimentazione in zone di lavoro, di consumo, di divertimento. Ne consegue la necessità di una sempre maggiore mobilità, da cui scaturisce un sempre maggior consumo di energia e l'estensione di traffico privato. Una pianificazione razionale facilita la gestione del patrimonio: è la logica militare, geometrica, morta. Con la loro politica di demolizione, di restauro, dei prezzi e degli alloggi, i padroni completano i piani di accerchiamento definitivo dei proletari, dei reietti del folle vortice produzione/consumo, fino a giungere alla criminalizzazione. Un vortice che è l'incubo quotidiano di ritmi scanditi dal bisogno di profitto, di alienazione, stress, isolamento. Non appena si sfugge al lavoro alla catena o a cottimo o alla noia e allo stress dell'ufficio, inizia la corsa ad ostacoli della soddisfazione dei bisogni. Mangiare, procreare, divertirsi. Gli ostacoli per soddisfare bisogni sempre più fittizi hanno il nome di soldi, stanchezza, tempo, distanza, sia geografica sia umana. Inizia la Grande Libertà, cioè la sofferenza per la rinuncia al bisogno più importante, il rapporto interpersonale. Fra genitori e figli, uomo e donna, nel gruppo. O la libertà di surrogare l'appagamento dei propri desideri nell'orgia dei consumi di beni voluttuari. L'ampiezza e le conseguenze della violenza contro l'anima e il corpo in quest'infernale meccanismo lavoro-consumo-divertimento, la paura quotidiana per la propria esistenza, paura del licenziamento, paura della bomba atomica, paura per la proprietà privata, di perdere la propria identità si ritrovano poi, fra l'altro, nelle statistiche dei suicidi, degli incidenti, delle malattie, dei divorzi. Il consumo di droghe legali e illegali, la violenza contro le donne e i bambini, sono da ricondurre alla ricerca di un'evasione da questo sistema di controllo totale, di costrizione per il profitto di pochi.
È difficile capire come mai non ci si ribelli, come mai non si dia un calcione ben assestato a tutta la mafia al potere, se non si tiene presente il livello di manipolazione ormai raggiunto. L'indottrinamento e l'addomesticamento all'ubbidienza hanno inizio con l'educazione nella famiglia. Il neonato viene ridotto ad un essere ammansito, tanto più apprezzato, quanto meno richieda tempo e attenzione o crei scompiglio. Poi, seguono gli anni del sistema della carota e del bastone, e il bambino viene vieppiù plasmato al sistema?
La propria volontà, i desideri, i bisogni vengono inibiti tramite un'educazione autoritaria, imposta dai genitori schiavizzati dalla produzione. La sessualità e il piacere ludico vengono ridotti a psicopatologie da una morale e da concetti di igiene fasulli. Il bambino viene ingabbiato per non importunare i vicini di casa, per il quieto vivere dei genitori o anche soltanto a causa del traffico stradale e dell'inquinamento. A scuola, l'indottrinamento continua su falsi presupposti storici e sapere nozionistico, cosicché sul bambino incombe la pressione continua di rendimento, la stessa cosa che, domani, incontrerà nel lavoro.
In questa corsa ad ostacoli ci si muove stimolati a volte dalla paura dell'autorità, a volte dal timore di fallire. Tramite la famiglia, scuola e istruzione si diventa carne per l'economia e i cannoni. L'individualità sociale, cioè lo sviluppo di una personalità che può amare ed essere amata in virtù di se stessa, viene repressa. L'origine della solidarietà e della collettività è troppo nefasta per la morale dominante basata, quest'ultima, sul concetto di "divide et impera".
Giornali, radio, televisione, PR, con i loro pidocchiosi trucchi psicologici, hanno per scopo di scolpire nei cervelli l'accettazione acritica del consumismo, di cibi sofisticati, medicinali inutili nonché idee borghesi. Secondo le necessità, diffondono i concetti di ordine e tranquillità, oppure paura, infamia, falsità. Nascondono la verità, diffondono diffamazioni, tacciono di fronte agli interessi totalitari dei loro inserzionisti e finanziatori. Resistenza, controviolenza, la protesta si sviluppa di conseguenza. Ma si sa perfettamente cosa succede ai giornali e ai giornalisti non ligi al potere: si ammalano di "cincerite" (da Ernst Cincera, deputato al Consiglio nazionale svizzero, esponente della destra del Partito liberale e fautore della schedatura degli oppositori) o muoiono dissanguati dal boicottaggio degli inserzionisti. Si produce così abilmente consumo, costrizione, adeguamento, cioè, in poche parole, lo schiavo modello, ubbidiente, produttore e che per di più s'identifica con il suo oppressore. L'opposizione socialdemocratica e i sindacati, nel corso dello sviluppo dello Stato sociale e dell'economia nello Stato capitalista, sono stati perfettamente integrati nel sistema, quindi resi inoffensivi. Disciplina prussiana e fiducia cieca nelle autorità sono, fra altre, premesse necessarie per la forza economico-politica e la stabilità interna, le quali costituiscono la base per la concentrazione del capitale e del potere. R.F.T. e Svizzera sembrano predestinate a questo ruolo. Il modello di sviluppo dei trust e delle multinazionali monopolistiche è quello nazista (IG Farben, Krupp, ecc.) e pertanto non occorre meravigliarsi di trovare polverose mummie naziste fra i dirigenti. Anche in settori come la medicina, l'urbanistica, il controllo dei cittadini si trovano preoccupanti analogie. Chissà quando torneranno in auge le leggi eccezionali, i campi di lavoro, quando quello o tal'altro operaio, magari lo stesso che oggi auspica l'internamento a vita della gioventù in rivolta di Zurigo, finirà a sua volta recluso in un campo di lavoro? Rimane in ogni caso poco probabile che tutti i proletari possano aspirare al posto di squadrista delle SA o di guardiano di un campo di concentramento.
I movimenti di protesta pacifici e le manifestazioni si arenano contro il monopolio della violenza dello Stato, si bloccano di fronte alla polizia, si insabbiano nei meandri della burocrazia e del parlamentarismo; le alternative vengono recuperate in moneta sonante dall'industria, per poi essere rivendute da quest'ultima o da qualche politicante, come esempio di pluralità del sistema. Troppo idealismo, troppa buona volontà viene sprecata nella lotta contro i sistemi.
Vivendo su basi legalitarie, ogni essere umano è coinvolto e corresponsabile delle esigenze funzionali, politiche ed economiche del sistema di schiavitù e di oppressione in quanto strumento ed è perciò, a seconda del suo ruolo nella società, vittima o colpevole delle molteplici conseguenze di questa folle macchina. Una persona che capisce il totalitarismo insito nel progetto e nella prassi del capitale, che ne comprende le ripercussioni e quindi ne prevede lo sviluppo catastrofico, realisticamente e onestamente dovrà, prima o poi, arrivare alla conclusione che è necessario lottare. Non basta mettersi a sbraitare e a piangere perché vengono costruite centrali nucleari, perché milioni di persone muoiono di fame, quando lo Stato di diritto si rivela una farsa...Non basta raccontarsi a tavolino le teorie rivoluzionarie e lasciar seppellire dalla polvere intere biblioteche di testi di Marx, Lenin, ecologia, critiche e analisi. Non basta nemmeno sgattaiolare in montagna o in India, il putridume ti raggiunge ovunque...In fin dei conti, le piccole strategie per tranquillizzarti la coscienza servono ai padroni.
Siamo arrivati al punto che si tratta di lottare per la sopravvivenza, l'ultima possibilità rimasta sulla terra, se non altro per il cosiddetto "Homo sapiens".
In merito all'attentato: perché colpire la centrale Sarelli proprio la notte di Natale? Non solo per ragioni di sicurezza. Voleva essere una dimostrazione di solidarietà con Gesù, il cospiratore, il nomade, il rivoluzionario, il ribelle, il combattente partigiano, che nel Sermone della Montagna diceva chiaramente: "Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati! Beati voi che ora piangete, perché riderete...Ma guai a voi ricchi, perché avete già la vostra consolazione! Guai a voi che siete ora satolli, perché avrete fame! Guai a voi che ora ridete, perché farete cordoglio e piangerete!". La nostra è stata una manifestazione di rabbia per la negazione di un Gesù dell'amore, della forza, dei poveri in una religione che da duemila anni è arroganza di classe e di razza, pretesto per genocidi e conquiste; che si sentì obbligata a creare un'immagine di Gesù servile, asceta, trascendente, oppio dei popoli. Le orge natalizie, il consumismo, la falsità in suo nome, senz'altro gli darebbero il vomito, vomito e rabbia!
Ma torniamo all'essenziale: il tentativo di distruggere il traliccio della centrale Sarelli è da intendere come protesta contro la distruzione dell'ambiente naturale nei Grigioni, contro il colonialismo di questa regione da parte della NOK, con l'ausilio dei loro reggicoda inseriti nelle amministrazioni locali. È però principalmente da intendere come attacco ad un'impresa che è parte del monopolio energetico. Questa mafia è responsabile della costruzione delle centrali nucleari, vuole instaurare lo Stato atomico, vuole l'elettrificazione completa, e quindi la ricattabilità totale di tutta la società. Ciò non significa solo minacciare intere regioni e popoli ma, in quanto elettrificazione della società, significa anche spostare in modo significativo il rapporto lavoro vivo/lavoro morto a favore di quest'ultimo tramite l'automazione
.
Le azioni di esproprio dei ricchi non sono unicamente una questione di sopravvivenza, ma anche la riconquista della ricchezza sociale defraudata e accumulata da costoro. Il rifiuto del lavoro, la vita sregolata, il furto di kerosene militare per garantirci la mobilità, il rifiuto di pagare tasse e multe di qualsiasi genere, sono l'espressione naturale e ovvia della lotta passiva e difensiva alla pretesa illegittima dello Stato e dei padroni di controllare e sovrastare esseri umani liberi e autonomi. Tutte le azioni elencate sono momenti di lotta contro il dominio di classe dei padroni per riappropriarsi delle ricchezze socialmente prodotte, per la liberazione dei nostri corpi e dei sentimenti, per la liberazione e la salvezza della nostra terra, della sopravvivenza e della vita. Si tratta contemporaneamente di legittima difesa e di attacco.
Noi ci riteniamo parte del fronte proletario ed ecologico mondiale, anche se alcune sue frange dovessero distanziarsi da noi. Siamo fattivamente solidali con i popoli in lotta e con gli oppressi di tutto il modo, con la guerriglia metropolitana, con tutte le organizzazioni, i gruppi, le persone che, attivamente o passivamente, lottano per la liberazione individuale e collettiva e siamo parte integrante del fronte di resistenza al capitale, allo Stato, all'imperialismo e al fascismo. Qualora avessimo danneggiato gente semplice, lavoratori, e non compagnie di assicurazioni si trattava di situazioni di emergenza. Con questi vogliamo scusarci. Il tentativo della magistratura di classe di individuare in ciò una contraddizione del contenuto politico della nostra militanza, corrisponde a una tattica di diffamazione nei riguardi di una rivolta, necessaria e legittima. L'allarme bomba alla stazione di Bad Ragaz all'epoca dei nostri attentati, non ci concerne. Se non si trattava di uno scherzo idiota, era una provocazione voluta per rintuzzare paure e odio; abbinare terrore fascista e bieco massacro alla lotta di classe cosciente ha come scopo, ed è risaputo, il soffocamento delle simpatie esistenti nel popolo verso la resistenza. Un'analoga tattica del "dividi et impera" è stata utilizzata nella fase istruttoria e sarà usata anche in questo processo. Ad esempio, nel dare particolare risalto alla responsabilità individuale per azioni specifiche, alle diversità di origine sociale, al comportamento in carcere e durante l'istruttoria, alla formazione e al grado di coscienza. Questo è stato fatto per creare divergenze e rompere la solidarietà collettiva. Ma ciò ha funzionato solo in parte e per poco tempo, sia fra di noi che verso l'esterno. È chiaro che siamo individui, ma ciò non legittima nessuno a presentare, sulla base di una sua autonomia personale, una dichiarazione di dissociazione. Quando si fa opera di delazione, naturalmente la melodia è stonata.
Ora cercherò di spiegare perché non riconosco questa Corte, questa Giustizia, questo Stato; pertanto non parteciperò più a questo spettacolo.
Sono un prigioniero politico! Sono un prigioniero di guerra! Benché sia anarchico, e quindi non ammetto il potere, non ammetto la politica, devo purtroppo riconoscere che alla politica di potere del capitale occorre contrapporre la conquista del potere da parte del proletariato. La nostra militanza è politica proletaria, resistenza, rivolta alla guerra del capitale contro l'umanità. Questo tribunale rappresenta il capitale, i suoi interessi economici, il suo Stato, la sua politica di potere: è un'arma per la sua guerra. Pertanto non è neutrale, e la sua pretesa di giustizia non solo per le questioni politiche ma a livello globale, non trova un riscontro oggettivo. Non può esservi giustizia finché esiste la proprietà privata e la concentrazione del potere, cioè lo Stato; non vi è uguaglianza finché esiste la proprietà privata e il potere statale. Giustizia e uguaglianza hanno lo stesso significato, ossia parità di diritti e di doveri, il che presuppone uguaglianza delle condizioni economiche, cioè proprietà collettiva, democrazia di base, libera federazione di collettività.
Ove esiste l'uguaglianza, esiste anche la libertà del singolo e della società. La libertà del singolo non è limitata dalla libertà di tutti, come intendono gli individualisti puri, poiché la libertà sociale non può limitare la libertà del singolo, in quanto quest'ultima non può esistere in antagonismo alla libertà sociale. Per contro, l'arbitrio che pretende diritti non fondati sull'unità sociale, non ha nulla a che vedere con la libertà: è solo dispotismo, che si basa sulla non-libertà degli altri; dipende quindi dalla disponibilità degli altri a subire il comando e l'autorità. L'arbitrio spezza l'unità tra società e individuo, creando divisioni innaturali e contrastanti con il principio di libertà.
Una conferma della possibilità di un sistema sociale basato sulla libera federazione delle collettività, ci viene quotidianamente dal regno animale, esaminato mediante gli strumenti dell'etologia. Un'altra conferma c'è data dalle società dei Pellerossa, o dalla nostra stessa storia. Ancora oggi esistono tracce di antiche forme di libertà anche nella struttura sociale svizzera. Esistono ancora modelli di democrazia di base e resti di autonomia. Cooperative, pascoli comuni, alpeggi, tuttavia sempre più ridotti dalla brama di ricchezza individuale e dalla necessità di espansione, soprattutto nel settore agricolo. Con ciò si sottrae al contadino povero la possibilità di sussistenza, il territorio diventa vieppiù proprietà delle banche, e questo a causa di sistemi di lavorazione sempre più onerosi sotto il profilo finanziario.
Chi ha assaporato il gusto della libertà, e chi ha fatto di questa la sua amante, non se la lascerà sottrarre. Combatterà il segno più tangibile della violenza che l'uomo arreca a se stesso e alla natura del nostro tempo: le montagne di immondizie e di veleno che contaminano il territorio e le nostre menti stuprate. Combatterà contro chi produce questa spazzatura e questo veleno. Si accorgerà che l'uomo è libero se lo è la società: che una società libera può essere creata solo da uomini liberi interiormente. L'uomo non può essere servo di qualcuno, ma sa che solo colui che non vuol essere padrone non può essere nemmeno servo. Questo è il nostro destino. Chi ora volesse supporre che per questa dichiarazione, con le sue numerose citazioni, io sia strumento nelle mani di una persona, di un potere o di un'ideologia, si sbaglia. Alla base delle mie convinzioni, delle mie azioni e del mio sistema di vita, stanno le mie esperienze come soggetto di questo sistema. Come studente, bohèmien, operaio, consumatore. Esperienze come individuo agente e cosciente nel rapporto con uomini, donne, gruppi, animali. La mia coscienza è il risultato della contemplazione critica della realtà e della mia persona. Risultato del tentativo costante di analizzare ed eliminare contraddizioni ed errori. Se uso parole di altri, se mi dichiaro di sinistra, è perché v'intravedo il più basso livello di contraddizione fra la mia identità, i miei sentimenti e una vera collettività capace di sopravvivere. Vi riconosco cioè la maggiore ricorrenza di punti concordanti tra la mia personalità e l'ambiente.
Ritengo inutili altre dichiarazioni relative alla mia persona, come trovo inutile dialogare con il tribunale. Con esseri umani sono sempre disposto a parlare, anche se sono giudici, poliziotti o danarosi. Ma la premessa è che si parli da essere umano a essere umano, e non con ingranaggi o vittime di funzioni o cariche, vittime di un clima di intolleranza, di fascismo strisciante, di repressione, di reazione, quali ritengo che siano gli individui allineati qui di fronte a me e che si arrogano il diritto di giudicare. Io non vi odio, ma voi siete i nostri nemici e i nostri boia!
* * * * *
Il pomeriggio, ha inizio l'acquisizione delle prove che durerà per un giorno e mezzo. Il mercoledì, il Procuratore pubblico Padrutt tiene la sua requisitoria e chiede una pena di rispettivamente nove anni, sei anni e mezzo e tre anni e mezzo, nonché un risarcimento dei danni dell'ammontare di 750.000 franchi a testa a carico dei due imputati principali. Quindi, la parola passa al difensore d'ufficio di Marco Camenisch, della cui arringa (vedi Marco und René, Eine Dokumentation, Zurigo 1981) riportiamo alcuni passaggi:
" (...) Qui, sul banco degli imputati, non troviamo soltanto delle colpe e dei colpevoli, ma una visione del mondo. Non credo di dover ulteriormente sottolineare che ciò vale in modo particolare per il mio cliente. Egli è quello che esprime con maggiore lucidità il suo antagonismo, è quello che si espone di più, quello che maggiormente attira l'attenzione dell'accusa. Sul banco degli imputati, però, non c'è soltanto la loro visione del mondo, ma anche il nostro mondo, il nostro sistema sociale. Lo scontro tra le autorità giudiziarie e il mio patrocinato è uno scontro tra due differenti visioni del mondo, concezioni e modi di vita che si escludono a vicenda, tra le quali non v'è più alcuna compatibilità possibile. Il mio compito di difensore dovrebbe essere quello di mediare tra le due parti. Indubbiamente, non si tratta di un compito facile, dato che da una parte, in quanto difensore d'ufficio, io rappresento inequivocabilmente gli interessi dell'accusato, mentre dall'altra parte faccio parte di un sistema di procedura penale che si svolge secondo le regole di questo ordinamento giuridico e sociale (...) ".
"Marco ci viene presentato come un criminale insensibile e spietato, come un pericolo per l'ordine e la giustizia, e non si vuol vedere che invece è stata proprio la sua sensibilità che lo ha portato ad aprire gli occhi sulle ingiustizie del mondo. Con i suoi requisiti intellettuali e familiari, Marco Camenisch avrebbe avuto la possibilità di una brillante carriera sociale. Non ha voluto cogliere questa possibilità. Nel corso di un lungo processo di presa di coscienza durato anni, egli ha maturato la convinzione di non poter più accettare il nostro ordinamento, e quindi un sentimento di ostilità nei confronti delle nostre istituzioni, Se andiamo a osservare un po' più da vicino i motivi di questa ostilità, e questo avrebbe dovuto farlo anche la Procura, ci accorgiamo che dietro a questa ostilità c'è un atteggiamento umano positivo, un profondo senso del valore della vita. Contro cosa è diretta la rivolta dell'imputato? In data 2 giugno 1980, egli scrisse al Giudice istruttore Grob: "In nessun modo io potrei riconoscere legittimità a un sistema normativo a una morale che giustificano, incoraggiano, presuppongono, tutelano in tutti i casi e con tutti i mezzi repressivi, un sistema economico criminale, assassino, suicida e fratricida" (...) Marco Camenisch non contesta quindi l'ordine in quanto tale, bensì un sistema normativo che, a suo modo di vedere, non rispetta le esigenze e la dignità dell'uomo. In coscienza, chi di noi potrebbe affermare che il mondo in cui viviamo non presenti anche aspetti preoccupanti, che minacciano la nostra stessa esistenza? Mi sia consentito di ricordare alcuni fra i grandi problemi con cui siamo confrontati: la distruzione dell'ambiente, l'inquinamento, la speculazione edilizia, la minaccia degli armamenti, l'olocausto stradale, il razzismo, la violenza nei confronti delle donne, dei minori e dei più deboli in genere: in fondo, tutti attentati alla dignità dell'uomo, ai diritti dell'uomo, che il nostro sistema giudiziario non reprime o reprime in maniera non sufficiente. Se poi guardiamo oltre i nostri confini nazionali, troviamo un mondo in cui la guerra, l'oppressione, lo sfruttamento, la tortura, la fame e la miseria sono all'ordine del giorno. Ai tempi del liceo, il mio patrocinato era membro di un gruppo di studio che si occupava dei problemi del sottosviluppo e del ruolo della Svizzera nel contesto della politica finanziaria ed economica internazionale. Non penso che ci si possa stupire se qualcuno perde la fiducia nella politica estera svizzera dopo averla attentamente analizzata. Molta gente si sente minacciata e teme per l'avvenire. Sempre più persone dubitano che con i mezzi legali a disposizione si possa impedire efficacemente uno sviluppo che sembra portarci inarrestabilmente verso il tracollo, anche se non tutti ricorrono poi ai mezzi illegali. Vorrei essere molto concreto su questo punto: Marco Camenisch ha deciso di compiere un attentato contro una struttura della NOK al momento in cui è stata messa in esercizio la centrale nucleare di Gösgen. Non è un mistero per nessuno che l'esercizio delle centrali nucleari comporta dei rischi a tutt'oggi incalcolabili. Molti problemi aspettano ancora di essere risolti se mai potranno esserlo: basti pensare al deposito finale delle scorie atomiche. Basta un incidente secondario per rendere inabitabili intere regioni, contaminare la popolazione e produrre danni genetici. Mai finora nella storia dell'umanità una generazione ha lasciato alla generazione successiva un'ipoteca così gravosa. Ciò nondimeno, rimane il fatto che, nella misura in cui la procedura di autorizzazione viene compiuta nel rispetto della normativa, la costruzione e l'esercizio di una centrale nucleare è del tutto legale. Alla popolazione non rimane che accettare il fatto di dover vivere con il terrore. Nessuno sa come impedire l'installazione di questi impianti ora, e non quando sarà ormai troppo tardi. Personalmente non ritengo che gli attentati dinamitardi possano contribuire a risolvere questo problema. Tuttavia, la questione delle centrali nucleari evidenzia i limiti del nostro ordinamento giuridico. Possono prodursi delle situazioni in cui delle evidenti violazioni della legge possono risultare nell'interesse della società intera. Vorrei a questo proposito ricordare gli avvenimenti nella regione di Basilea, dove attualmente la resistenza contro la centrale nucleare di Kaiseraugst avviene in forme perfettamente legali, con la partecipazione di governi cantonali, ma dove l'opposizione è nata con un fatto illegale, ossia l'occupazione del terreno su cui è prevista la costruzione della centrale da parte di un gruppo di antinucleari. Oggi, nella regione di Basilea, la maggior parte della gente è dell'opinione che quell'occupazione è stata necessaria e giusta. È vero, gli autori materiali della violazione di domicilio hanno infranto il Codice penale, non per questo però erano gente cattiva o asociale, bensì persone molto coscienti e preoccupate per il nostro futuro destino. In data 24 marzo 1980, il mio patrocinato ha dichiarato alla polizia cantonale: "Non mi è dato di rimuovere la situazione concreta in cui vivo per rifugiarmi in un paradiso inesistente". Così come non poté conciliare con la sua coscienza di acquisire la maturità federale al termine di una scuola elitaria e di classe, così non se l'è sentita di ritirarsi nel mondo ancora intatto dell'alpe, come fanno oggi molti giovani che non credono più nei valori e nelle norme di questa società. La resistenza contro un ordinamento normativo, percepito come uno strumento per la tutela dei privilegi dei ricchi, è così diventata per lui un imperativo etico, un imperativo che necessariamente veniva a scontrarsi con le norme di questo ordinamento giuridico. Marco Camenisch è il classico autore di reati per convincimento. Le inibizioni a compiere un gesto in seguito alla consapevolezza dell'illiceità, vengono a cadere di fronte all'urgenza di un impegno percepito quasi come un dovere. Quando Marco Camenisch spiega i motivi dei suoi gesti, argomenta con categorie politiche. Usa parole e concetti che non si odono volentieri in questa sede (...) ".
"Il mio patrocinato ha usato violenza contro la proprietà di un'azienda elettrica, che a suo avviso usa violenza contro le esigenze fondamentali dell'uomo e ne minaccia l'esistenza stessa con la costruzione di centrali atomiche. Gli attentati sono stati progettati in modo da evitare qualsiasi minaccia per le persone. La scelta degli obiettivi e della tecnica di esecuzione era tale da escludere il ferimento anche accidentale di qualcuno. Nell'atto d'accusa viene menzionato il fatto che Marco Camenisch ha verificato che sulla strada non passasse nessun'automobile prima di far saltare la carica di esplosivo predisposta per danneggiare la centrale Sarelli. Se fosse passato qualcuno, avrebbe rinunciato all'esecuzione dell'attentato. Anche gli altri reati messi a carico del mio patrocinato evidenziano che, con il suo agire, non ha mai voluto mettere in pericolo la vita o l'incolumità altrui".
"Vorrei a questo punto ribadire che Marco Camenisch si è messo fuori dalla legge per fini del tutto altruistici, con l'unico scopo di partecipare alla costruzione di un mondo più giusto. Pertanto, gli vanno riconosciuti i "motivi onorevoli" a norma dell'art. 64 CP".
" (...) Vorrei dedicare l'ultima parte della mia arringa alla domanda: "Come deve comportarsi la giustizia nei confronti di un autore di reati per convincimento come Marco Camenisch? Con chi ha perso la fiducia nelle nostre leggi e nella nostra giustizia?" Le possibilità previste dal Codice penale sono limitate. Infatti, esso prevede unicamente una pena di privazione della libertà che dovrebbe, secondo l'art. 37, avere un effetto educativo del reo e contribuire alla sua risocializzazione. Personalmente sono stato attivo per molto tempo nel campo dell'esecuzione delle pene e posso dire, per esperienza, che attualmente lo scopo previsto dalla legge non viene raggiunto. Perlopiù, i problemi che hanno condotto alla delinquenza si acuiscono ulteriormente in proporzione alla durata della privazione della libertà. Più è lunga la detenzione, minori sono le possibilità di risocializzazione. Nel caso di un reo per convincimento, che non ritiene di dover essere risocializzato dacché, per lui, è la realtà sociale che andrebbe risocializzata, l'effetto dell'attuale sistema di esecuzione della pena non promette risultati migliori. In fondo, bisognerebbe poter convincere Marco Camenisch, come tanti altri giovani come lui che rimettono in discussione i valori e le norme di questa società, che la società può essere riformata democraticamente, con mezzi nonviolenti, e che anche coloro che detengono il potere nel nostro paese operano per il costante miglioramento delle condizioni di esistenza dell'uomo. Bisognerebbe poter loro dimostrare che, in fondo, il nostro ordine normativo e sociale non è tutto da gettare...Il Tribunale, che dovrà emettere una sentenza in base al Codice penale, non può seguire queste indicazioni, è chiaro. Tuttavia, può contribuire ad abbassare la soglia dell'intolleranza, dando prova che i principi d'equità del nostro Stato di diritto trovano applicazione anche nei confronti degli oppositori".
Venerdì 30 gennaio, il Tribunale cantonale grigionese emette il suo verdetto: i tre imputati vengono riconosciuti colpevoli per tutti i punti d'accusa, e condannati a rispettivamente dieci, sette anni e mezzo e tre anni di detenzione, superando quindi la richiesta di pena della Procura. In particolare, non è stata accolta la richiesta della difesa di assoluzione dall'imputazione di reato contro la Legge federale sugli stupefacenti (un co-imputato aveva accusato Camenisch di detenzione di cinquanta grammi di erba), e neppure quella di stralcio dell'accusa di tentata rapina ai danni di un portavalori a Basilea. Per contro, il Tribunale ha premiato, con una consistente riduzione della pena proposta dall'accusa, il terzo imputato principale che aveva "vuotato il sacco". Inoltre, nell'ambito dell'esercizio dell'azione civile nel processo penale, i due imputati principali sono stati condannati al pagamento di 730.000 franchi ciascuno, a titolo di risarcimento dei danni. Al termine della lettura della sentenza, Marco Camenisch viene trasferito immediatamente da Coira a Regensdorf, senza nemmeno dargli la possibilità di discutere un eventuale ricorso in appello con il difensore, il quale ha inoltrato una protesta al riguardo.
Sul quotidiano Tages Anzeiger di Zurigo, un foglio liberal di larga diffusione in Svizzera, l'opinionista Kaspar Wespi ha scritto un corsivo a proposito di questa sentenza, in cui trova espressione il sentimento di stupore di ampie fasce di opinione pubblica di fronte al carattere esplicitamente repressivo della condanna:
"Il Tribunale cantonale di Coira ha condannato due imputati, il cui reato oggettivamente più grave è il danneggiamento mediante l'esplosivo di un traliccio, a dieci e sette anni e mezzo di detenzione da espiare. La sentenza del Tribunale ha ulteriormente inasprito la richiesta della pena della Procura, che già prevedeva una rigorosa applicazione del Codice penale. Pene del genere, di solito vengono comminate soltanto in caso di omicidio o rapina a mano armata. Per questo motivo, la sentenza di Coira è a dir poco draconiana. Dal punto di vista puramente formale, le pene espresse non sono censurabili. Gli imputati principali sono stati accusati di ripetuto furto, associazione a delinquere, incendio e attentati con l'esplosivo. Visto l'accumulo di reati, il Tribunale avrebbe potuto, al limite, giungere ad una condanna di quindici anni di carcere per Camenisch. Tuttavia, il calcolo di cui sopra, teoricamente valido, non trova applicazione nella prassi giuridica in vigore nel nostro paese. Si può tranquillamente affermare che se gli imputati di Coira fossero stati giudicati a Zurigo, se la sarebbero cavata con al massimo la metà delle pene. In un cantone popolato come Zurigo, il ventaglio della criminalità è molto più ampio ed è quindi più facile per il Tribunale determinare un paragone fra la natura e la gravità dei differenti reati onde giungere a pronunciare una condanna adeguata. Purtroppo, formalmente, l'autorità giudiziaria compete ai cantoni. Di conseguenza, il Tribunale federale si esime dal correggere le pene eccessive pronunciate dai tribunali cantonali. Nell'ambito della giustizia penale, il principio della parità di trattamento non viene rispettato. Tutto dipende dal cantone in cui sono stati commessi i reati. Una decisione ingiusta come quella di Coira può costare a un imputato anni di carcere. Ecco uno dei lati negativi del federalismo svizzero".
* * * * *
Mentre Marco Camenisch si trova in prigione, ignoti compiono un ulteriore attentato dinamitardo a quello stesso traliccio della NOK danneggiato due anni prima. Il fatto avviene nello stesso periodo e alla stessa ora.
Il 17 dicembre 1981, sei detenuti (Carlo Gritti, Gianfranco Lazzarin, Khelef El-Bussaidy, Pierluigi Facchinetti, Marco Camenisch e Mario Rosafio) evadono dal carcere di Regensdorf. Durante la fuga si verifica una sparatoria, nel corso della quale una guardia, il cinquantenne capodarte Jenni, rimane uccisa e un'altra ferita. Secondo le ricostruzioni di quegli accadimenti, tre detenuti collocati al lavoro nell'opificio fabbricazione cesti, verso le 17,00 s'impossessano di una scala con la quale tentano di dirigersi verso l'uscita. Un detenuto impugna una pistola. Il capodarte Jenni cerca di fermare i detenuti, ma viene raggiunto da un colpo mortale. Un altro secondino, che accorre in suo aiuto, cade a terra ferito. I fuggiaschi scendono dal secondo piano verso il primo, dove incontrano altri due detenuti. Nel frattempo, Marco Camenisch, che lavora nell'officina meccanica, si allontana dall'opificio, avendo ottenuto un permesso per una visita medica. Egli però non va dal medico, ma si porta verso l'uscita principale. Qui attende nascosto, fino a quando una guardia non apre la porta a comando elettronico. Marco Camenisch le spruzza un liquido negli occhi, che l'acceca per qualche istante. Quindi, con un piede, tiene aperta la porta verso il cortile, finché arrivano gli altri cinque. Poi, con l'aiuto di una scala, in sei scavalcano il muro di cinta sul lato orientale e fuggono in direzione Pöscholz. Durante la corsa verso due automobili precedentemente predisposte in zona, si verifica un'altra sparatoria con due guardie. Raggiunte le due auto, la VW Golf bianca (vatti a fidare delle auto tedesche?) non parte, e tutti i sei fuggitivi devono usare la berlina nera per poi fuggire in direzione Altburg. Poco prima delle 21,00, la polizia riesce ad arrestare due degli evasi, El-Bussaidy e Facchinetti, a Zurigo-Affoltern.
In seguito, il mensile Azione Diretta riceve una lettera di Marco Camenisch, pubblicata sul n. 65:
"Loro vogliono essere i nostri signori, noi non vogliamo essere né servi né padroni. Per questo ci hanno rinchiuso, per questo siamo evasi. Per questo abbiamo rischiato libertà, morte, isolamento totale. Per questo abbiamo ucciso un mercenario. Ma l'assassino è lo Stato, addestratore di servi volontari, cittadini soldati, poliziotti e altri portatori di divisa, di cui alcuni sono dei robot senza alcun istinto di conservazione, che nelle prigioni dei loro padroni torturano e infieriscono contro la più fondamentale dignità umana. Su comando, uccidono a tradimento, effettuano pestaggi massacratori e avvelenamenti negli appartamenti e nelle strade. Non accontentandosi di assassinare, lo Stato fa anche da sciacallo, sfruttando cadaveri per mantenere, approfondire e ristabilire l'interiorizzazione dell'oppressione, e l'oppressione stessa. Con successo, considerando il fatto della corona donata da parte di detenuti al loro aguzzino morto, considerando le critiche da parte del movimento relative all'azione d'autoliberazione e alla data del suo avvenimento (poiché svoltasi poco dopo una conferenza stampa sulle condizioni carcerarie, da parte dell'opposizione al carcere, tenutasi il 12 dicembre 1981 a Zurigo). Il contenuto politico-spettacolare di qualunque azione lo decide sempre lo Stato secondo i suoi bisogni. Di questi ce ne freghiamo altamente. Un'azione collettiva come quella del 17 dicembre 1981 nel (fuori dal ...ah, ah, ah!) carcere di Regensdorf, può venir sfruttata in modo spettacolare solo perché tra gli evasi c'è gente altamente mistificata dallo Stato, individui decisi e radicali contro le basi del potere e della schiavitù, cioè soldi, uniformi, leggi ed economia. L'azione è stata un pretesto e uno spunto eccezionale per lo Stato per continuare la propaganda per un suo bisogno centrale: cioè giustificare, allargare, perfezionare il sistema carcerario, base di repressione e sterminio di qualunque espressione di vita che si oppone al cancro dilagante dello Stato militare e poliziesco dei padroni. Il porcile politico del vertice e i suoi instancabili portavoce strillarono e grugnirono il loro intero repertorio di cinismi sotto forma di lutto e indignazione ipocrita, le loro menzogne tattiche attorno al mercenario dello Stato repressivo stecchito e a quello ferito. Loro sono ben coscienti che se un guardiano e strumento di sfruttamento dei loro prigionieri, malgrado preciso richiamo di star fermo, si getta su di una 38 puntatagli da mezzo metro, per impedire il recupero di una scala purtroppo assolutamente necessaria, la responsabilità delle conseguenze è loro. Politica è potere. La nostra azione è politica, poiché effettuata da oppressi in una società oppressiva. Ma è effettivamente un atto nella lotta contro politica, potere, Stato, carcere, oppressione. Chi in caso di autoliberazione, critica la data del suo svolgersi e non capisce o condanna uno dei tanti paritari e ugualmente necessari livelli di lotta e di liberazione, non ha compreso la natura di Stato, Potere, Politica, Prigione, Oppressione, non ha capito come siano logicamente intersecati fra di loro, o si muove da politico all'interno di questo tessuto. E non da militante contro l'oppressione, anche se capace di ragionamento politico, al di fuori di questa logica. Liberazione è azione diretta. L'iniziativa propria può vivere e allargarsi solamente se radicale. Contro sua natura e quindi autodistruttrice è trattare e persino agire con padroni, Stato, opinioni pubbliche, masse e classi schiave. Libertà per Pierluigi (ripreso poco dopo, per lui le nostre lacrime), libertà per tutti! Radiamo al suolo le prigioni!"
Dopo l'evasione, Marco Camenisch rimane latitante per dieci anni anche se, di tanto in tanto, si fa risentire qua e là...come, ad esempio sul n. 1 (estate 1989) del giornale anarchico Anarres, dove firma un articolo sull'elettrostimolazione e le nuove tecnologie psichedeliche (brain-machines) con il nome di "Spartacus 2001". Sul n. 4 dello stesso giornale compare un altro suo contributo, dal titolo "Nucleare e non solo".
"È importante ricordarsi che esiste il nucleare, fonte di immane pericolo e distruzione per la vita, fonte di sofferenza atroce inimmaginabile. Nella strategia della guerra psicologica mass-mediale contro la lucidità delle nostre menti, questo problema è stato attualmente relegato nell'oblio. Di conseguenza anche i nostri fin troppo facilmente manovrabili meccanismi di rimozione hanno accantonato anche in noi il problema e la sua portata. Gli addetti al controllo e al contenimento di contraddizioni diffondono la tesi fasulla "che abbiamo vinto il nucleare in Italia"...I mass-media pertanto ventilano il black-out, incutono paura con il pericolo reale e veramente atroce dell'effetto serra con tutto il suo codazzo infinito di sconquassi e distruzioni, conseguenza soprattutto della carburizzazione sfrenata di noi paesi "sviluppati".
"Adducono che però non è scientificamente certo che il clima devastato sia una conseguenza dell'effetto serra, che per ridurre l'inquinamento in modo comunque non sufficiente se non per tranquillizzare almeno ipoteticamente le loro e le nostre coscienze sporche e fradice, ci vuole il governo mondiale e che comunque non si può tornare "indietro", ecc. ecc. Evitando di sventolare troppo vistosamente il drappo rosso del nucleare, coadiuvando la loro sottile propaganda con una massiccia campagna per l'ENEL (vedi anche Avvenimenti, che senza vendersi come e più di altre pubblicazioni non avrebbe proprio nessun avvenire?) seminando degli insidiosi articoletti, qua e là, di tanto in tanto, dove una persona molto autorevole, addirittura un Ministro preoccupato per la nostra salute e il nostro benessere, asserisce che comunque le centrali nucleari si devono costruire, dato che sarebbero meno inquinanti di quelle a carbone o a petrolio, che comunque si faranno, magari pure in alto mare, che è di chi ha più navi con più missili e bombardieri nucleari, dove non c'è nessuno che un po' d'aria respirabile o meno può rompere le scatole. Tanto il mare non ci serve più. Dove non è già morto presto morirà. Non lo divulgano troppo in giro, i nostri organi di libera disinformazione, che il tanto ben controllato buco dell'ozono non arreca il danno maggiore regalandoci qualche cancretto in più, ma in quanto porta alla distruzione dei microrganismi marini, di conseguenza di tutta la vita nei mari, già pesantemente compromessa. L'inizio della fine si è già visto su di un tratto di costa peruviana, poco tempo fa, dove si arenarono milioni e milioni di pesci, per morire. Non lo diffondono troppo in giro perché ci potrebbe passare la voglia di utilizzare degli idioti spray, frigo e fregole varie".
"Che in Francia o in Germania il nucleare è ancora un tema attuale è ovvio. È una minaccia sentita e reale e la fastidiosa presenza di milioni di persone che si permettono pure di contestare un po' attorno alle varie centrali più o meno funzionanti, minaccia vivamente sentita e a gestire per i padroni. Perciò per forza ne devono e gli conviene parlare. All'occorrenza pero non c'è nessun problema. C'è il segreto militare o comunque l'apparato militare o le sue truppe "speciali" specialmente addestrate ad obbedire che risolvono tutti i problemi dei signori. In un paese libero e democratico dell'occidente i cittadini rompevano troppo con le loro misurazioni delle troppe radiazioni che si sprigionavano da una centrale nucleare in disuso...L'area venne semplicemente dichiarata zona militare, perciò non ricoperta da qualche cosa che ne trattenesse le radiazioni, ma qualche cosa che trattiene l'informazione. Bonificare probabilmente costava troppo ai poveri capitalisti della mafia dell'atomo. In una città dell'R.D.T., dei compagni ladroni rubarono i piani d'emergenza in caso di incidente alla Cernobyl nella centrale nucleare locale. Secondo questi piani, il destino di questi milioni di allegri proseliti della religione del consumfascismo tecnologico in caso di incidente grave sarà quello di rimare per decreto e "manu militari" in suddetta zona vietata e attendere democraticamente, pacificamente e civilmente il sopraggiungere di una morte sicura e senza appello e, si può loro solo augurare, più veloce possibile. Qualcuno dirà che vorranno pur scappare. Ma non potranno, diranno le truppe speciali previste per questo eroico compito e al servizio del popolo. Ci saranno infatti le GSG, delle quali i 9 sono ben conosciuti come strenui difensori di cittadini inermi, a garantire che nessuno uscirà. Che bel massacro pianificato! Certamente un massacro democratico, civile, tanto quanto lo è la segretezza ossessiva militare occidentale, in più all'insegna della libertà -e di chi si sa...Chi pubblicò estratti di questi piani naturalmente ebbe delle grane con la legge...uguale per tutti!".
"È ovvio che Liberation la deve un po' menare sulla segretezza smaniosa dell'Est ancora un poco comunista. Ma non troppo, dato che ora si è in affari e spartizioni del pianeta molto redditizie. E una bella catastrofe insegna un po' a tutti come gestirsi il mantenimento del controllo e del comando sulla gente. Anche se le idee chiare non mancano da nessuna parte. La consegna è comunque militarizzare. Chi rompe troppo all'occorrenza si ammazza -come avvenne a una coppia di giornalisti che indagò troppo sull'incidente nucleare a Three Miles Island- o si lascia morire ordinatamente e se possibile silenziosamente- pianificazione citata poc'anzi a Cernobyl- usando la costrizione della forza bruta o della forza della persuasione dell'onnipresente guerra psicologica capillare e quotidiana dei mass-media soprattutto - a Cernobyl si permettono addirittura di dichiarare pazza la popolazione di un'intera regione...E noi, quotidianamente ci si casca, come gli allocchi".
"Ne è sintomo la rimozione costante e nevrotica della nostra distruzione in atto, non sempre spettacolare e condannabile come a Cernobyl, ma non per questo meno reale e micidiale. Ne è sintomo la nostra stessa stampa, che regolarmente fa eco, con non frequenti eccezioni, a ciò che i pennivendoli da noi tanto disprezzati e criticati mettono all'ordine "dei giorni". Ce la menano con l'Est, la meniamo con l'Est, la menano col Salvador, la meniamo col Salvador, la menano con la droga?ecc. Peggio ancora quando siamo noi stessi a dargli l'imbeccata su che cosa menarla, ad esempio con i centri sociali. Spesso gli diamo una mano così a considerare e gestirsi un problema che gli sfugge di controllo, con le buone o con le cattive, o con tutt'e due. Se ce la menano con qualcosa significa che stanno per farci dimenticare, distogliere l'attenzione, aiutando a rimuovere questioni o complessi di questioni, statiche ed eccezionali, che se a noi quotidianamente coscienti e presenti potrebbero diventare pericolose al loro comando e controllo sulle nostre menti e sui nostri comportamenti, per i meccanismi d'opposizione o rifiuto di consenso reale che potrebbero innescare. Evitando accuratamente con la loro propaganda radicata nell'oscurantismo e nella mistificazione dei nostri ricordi collettivi (storia, radici), lo sviluppo di una critica globale e radicale di ciò che è dentro (contraddizioni e complicità) e attorno a noi e di ciò che ci viene propinato, evitano un'azione altrettanto globale e radicale quotidiana".
"Siamo infatti solamente in grado di reagire. E per giunta solo a degli avvenimenti o a delle condizioni estremamente di settore purtroppo quasi sempre insignificanti, oggettivamente. A che serve manifestare per un centro sociale, senza agire contemporaneamente contro la distruzione avanzata e galoppante del pianeta? È come lottare per una cabina su di una nave che sta affondando e bruciando. Per andare a una manifestazione si viaggia, si carbura, si spende, si inquina, si rischia incoscientemente la pelle sull'autostrada. Si paga cioè bravi bravi allo Stato e a Agnelli ciò e più di ciò che esigono".
"Faremmo bene a farci prendere un po' meno per fessi e per paura. Dovremmo riprenderci la facoltà di ragionare e pensare in termini di vita, cioè globalmente, per essere in grado di agire quotidianamente in modo corretto verso noi stessi e di conseguenza verso ciò che ci circonda invece di reagire soltanto, e in più solo in occasioni più uniche che rare?".
* * * * *
Nell'autunno 1989, muore il padre di Marco Camenisch. In occasione dei funerali, la polizia circonda la zona, convinta dell'arrivo del figlio. Due mesi più tardi, il 3 dicembre 1989, alle 7,45 viene ucciso a Brusio, a colpi di arma da fuoco, la 35ennne guardia di confine Kurt Moser. Scattano immediatamente le ricerche dell'autore del delitto, definito un "uomo barbuto". In quelle ore, Marco Camenisch -senza barba- si trova a Campascio, dove abitano sua madre Anna Berta e il fratello Renato. Alle 8,15, Marco Camenisch è ospite della famiglia Scopacasa, amici dei Camenisch. Franco Scopacasa è pastore protestante della comunità evangelica di Brusio, della quale il padre di Marco, Bartholomé, era presidente del consiglio di parrocchia. Verso sera, i coniugi Scopacasa, che nel frattempo avevano saputo della guardia uccisa, accompagnano con la loro automobile Marco Camenisch in località "Le Presse", da cui gli è possibile la fuga verso l'Italia. I coniugi Scopacasa, denunciati per favoreggiamento, sono stati recentemente assolti dal Tribunale federale da una condanna di tre mesi con la condizionale loro inflitta dal Tribunale di Circolo di Brusio.
Nella latitanza, Marco Camenisch allaccia rapporti di amicizia con i compagni del movimento anarchico di carrara. In data 5 novembre 1991, Marco Camenisch, detto "Martino", e un altro compagno, Giancarlo Sergiampietri, vengono fermati mentre a piedi percorrevano una strada di Cinquale di Montagnoso. Ecco il racconto di "Martino":
"Nella sparatoria che iniziai per difendere la mia libertà, sono "fortunosamente" (si fa per dire) rimasto ferito alle gambe; dalle munizioni nel mio borsello, altezza ventre/bacino, sono stati deviati altri due proiettili; con la vecchia pistola inceppata per la seconda volta durante la breve sparatoria mi sono arreso, e i due carabinieri, bisogna dirlo, ben potendo farlo impunemente, non mi hanno più sparato. Un proiettile, passando sotto la rotula del ginocchio sinistro, l'ha frantumata, un altro ha trapassato il polpaccio della gamba destra, attingendo la fibula e recidendo qualche fascio di nervi. Dato che era rimasto ferito anche un carabiniere al braccio, l'arrivo immediato di autoambulanze mi ha probabilmente evitato qualche maltrattamento o l'esecuzione sul posto da parte di altri carabinieri sopraggiunti. (...) Passai tre giorni in ospedale, altri tre o quattro in infermeria a Massa, in galera. All'ospedale, il medico rifiutò l'intervento, che fu eseguito a Pisa tre settimane dopo il ferimento e due dopo il ricovero. Il Centro diagnostico terapeutico del carcere è attrezzato per operare e seguire i casi, gli specialisti sono medici esterni. (...) Ora sono nel supersicuro normale, dove le celle sono da cinque o sei detenuti. Ho fatto una breve esperienza nel CDT a Genova, dove fui tradotto forzatamente su ordine del Presidente del Tribunale d'appello di Genova, per identificazione personale ed eventuale consenso all'estradizione, consenso che ovviamente non darò mai. Questo dopo aver ricevuto un ordine di cattura emesso dallo stesso presidente per mandato internazionale da parte della Svizzera. Il mandato dice che in Svizzera ero detenuto per "stupefacenti", ed è emesso con l'accusa di omicidio di una guardia carceraria e tentato omicidio di un'altra e omicidio di una guardia di frontiera. (...) In Italia, ho a carico tentato omicidio e detenzione di due pistole e sei bombe a mano. Nella caserma, mi dissero che mi avrebbero fatto pagare tutti i tralicci d'Italia?".
Sulla vicenda, "I compagni della Tipografia" di Carrara hanno pubblicato sul settimanale anarchico Umanità Nova il seguente comunicato:
"Il pomeriggio del 5 novembre, nel territorio comunale di Montagnoso (Massa Carrara), una pattuglia di carabinieri ha fermato due individui per identificarli. Mentre il primo ha declinato le proprie generalità, il secondo, estraendo una pistola, ha aperto il fuoco contro i militari, ferendone uno e rimanendo ferito a sua volta. I due sono stati successivamente arrestati".
"I giornali del giorno dopo, riportando le foto dei due arrestati, ci hanno rivelato un'amara sorpresa: non si tratta di due persone qualunque, ma bensì di Giancarlo e Martino, conosciuti come amici e compagni. Nel pomeriggio del 6 novembre, infatti, i locali della Tipografia e dell'appartamento adiacente sono stati perquisiti dai carabinieri, alla ricerca di armi ed esplosivi. Tre compagni della Tipografia sono stati trattenuti in caserma e in seguito rilasciati prima della mezzanotte, non essendo -a quanto pare- emersi elementi per una loro incriminazione. Di almeno tre perquisizioni abbiamo avuto notizia, di cui casa e laboratorio di un compagno di Bergamo "colpevole" di aver lasciato la piantina con le indicazioni per raggiungere la sua nuova abitazione".
"In possesso di Martino sono state rinvenute due pistole e delle rudimentali bombe a mano, e subito la stampa locale ha riprodotto le veline relative alla pista dell'ecoterrorismo e del terrorismo internazionale: Martino sembra sia stato identificato nella figura di Marco Camenisch, un compagno svizzero latitante da diversi anni dopo l'evasione dal carcere di Regensdorf. Per ora il movimento anarchico -a quanto pare- è lasciato fuori da un'improbabile, ma pur sempre possibile, costruzione mega-fanta-terroristico-internazionale, ma non è detto che i cervelloni "preposti" non stiano lavorando in questo senso".
"Non siamo né giudici né tutori dell'ordine, per cui non ci interessa entrare nello specifico delle vicende che hanno condotto Giancarlo e Martino, partendo da situazioni ben diverse, a reagire -almeno uno di loro- con durezza e decisione alla situazione di totale controllo passivo cui siamo ogni giorno sottoposti -non va tralasciato che si è trattato dell'identificazione di due individui che andavano tranquillamente a piedi. Però abbiamo conosciuto e stimato Giancarlo e Martino per le loro idee e per la loro umanità, ravvisando in essi dei compagni; non siamo disposti ora a rinnegarli, consapevoli che questo può comportare il rischio di una montatura nei confronti nostri e dell'area di movimento che non si riconosce nella società del dominio, del controllo, dello sfruttamento e della cultura autoritaria, liberticida e assassina di ogni Stato"
Il Corriere della Sera del 12 novembre 1991, dando la notizia dell'esplosione di due bombe in Toscana, di cui una ha danneggiato un albergo del Cinquale e un'altra un traliccio dell'ENEL a Montagnoso, informa che: "Ieri, alla Procura di Massa, si è svolta una riunione per cercare di stabilire se esistono collegamenti tra i due attentati -di cui uno attuato con la stessa tecnica con la quale in tre anni sono stati danneggiati più di venti tralicci in Toscana -e l'arresto del terrorista svizzero Marco Camenisch, sorpreso dai carabinieri, insieme a un complice, mentre trasportava un chilo di esplosivo, probabilmente destinato a una maxirapina alle Poste centrali di Massa. Ai giudici Camenisch ha detto di voler morire combattendo".
Intanto il giornale svizzero Blick, sbatte il mostro in prima pagina: sotto il titolo "Arrestato Camenisch, l'assassino del doganiere", scrive: "Quasi esattamente otto anni dopo l'evasione, Camenisch si macchia di nuovo di un sanguinoso delitto in Svizzera: uccide nel suo paese natio Brusio il 35enne doganiere Kurt Moser. Il doganiere aveva voluto controllare i documenti di un individuo barbuto, dall'aria sospetta -e Camenisch gli scaricò tre colpi in testa".
* * * * *
Se dal giornale a sfondo sensazionalistico Blick non ci si poteva aspettare di meglio, appare tuttavia quantomeno stupefacente che anche il Consiglio federale svizzero, nel Rapporto del Consiglio federale sull'estremismo in Svizzera del 16 marzo 1992, esprima già a priori una sentenza in merito alla vicenda di Brusio, senza attendere lo svolgimento di un regolare processo, contravvenendo alla regola per cui una persona indiziata è innocente fino alla dimostrazione della sua colpevolezza. La parte del documento governativo che tocca la vicenda di Marco Camenisch, è preceduta da una serie di considerazioni filosofico-sociologiche sull'anarchismo.
"L'anarchismo è correntemente concepito come rifiuto e soppressione di qualsiasi sottomissione della persona alla persona. Esso si fonda sull'immagine ideale di una società in cui non sussistono rapporti di dominazione, in cui nessuno comanda e nessuno obbedisce: una società incentrata sull'autogestione della collettività e l'autodeterminazione dell'individuo. Per raggiungere questo obiettivo, l'anarchismo preconizza metodi evoluzionisti e metodi rivoluzionari. Nella pratica può manifestarsi sotto forma di terrorismo o di estremismo violento".
"Nella misura in cui le tendenze anarchiche restano confinate in Svizzera a cerchie irrilevanti dedite alla discussione teorica, non è il caso di accennarvi nel presente rapporto. Il nostro interesse va invece rivolto ai gruppi e alle persone che perseguono le loro mire ricorrendo a mezzi e metodi illegali, fermo restando che, per quanto riguarda la Svizzera, non si può parlare di un movimento anarchico vero e proprio, bensì solo di persone e di gruppi poco strutturati, aventi tendenze anarchiche".
"Il movimento giovanile degli anni Ottanta, manifestandosi in Svizzera e nei Paesi limitrofi, ha dato origine agli "autonomisti". I disordini giovanili degli anni 1980 e 1981, di cui furono teatro soprattutto Zurigo, Berna, Losanna, Basilea e Ginevra, hanno favorito la nascita di gruppi spontanei. L'ambiente autonomista non può considerarsi veramente organizzato. Esistono certe strutture a livello locale, in particolare nelle città di Zurigo, Berna, Basilea e, in misura minore, anche a Ginevra e Winterthur. L'insoddisfazione profonda degli autonomisti, il loro bisogno di rompere con gli schemi correnti e di rifiutare per principio le forme di vita acquisite nel nostro Stato hanno radici molto complesse, riconducibili essenzialmente ad un atteggiamento di fondo anarchico, sorretto da un'ideologia più che vaga. Essi vorrebbero realizzare forme di vita alternative, sono delusi dallo Stato, rigettano per principio le sue istituzioni, e ricorrono a forme di espressione che esulano dal quadro di partecipazione previsto dalla Costituzione e dalle leggi, ed esulano pure dalle strutture partitiche istituzionalizzate. Le loro parole d'ordine sono sommariamente: "Più libertà, più diritti democratici, meno cemento, più alloggi a basso costo, più libertà d'opinione". Le tematiche sollevate di recente erano: la carenza di alloggi, la politica in materia d'asilo e di rifugiati, la rivolta contro il razzismo, l'estremismo di destra, la politica in materia di stupefacenti e i prigionieri della RAF in Germania. Per attirare l'attenzione sui loro obiettivi, gli autonomisti organizzano azioni, convegni e manifestazioni. Una parte di essi preconizza il ricorso a mezzi illegali, quali l'occupazione di case o la violenza contro le persone e la proprietà. A varie riprese, nei loro ranghi si sono infiltrate persone estranee alla causa, il cui unico scopo era il compiere atti criminali. Diverse manifestazioni e contromanifestazioni autorizzate e no, in particolare contro la penuria di alloggi, sfociarono, soprattutto a Zurigo, in tumulti che produssero danni materiali. Nel 1983 e nel 1984, la regione di Winterthur fu addirittura bersaglio di una serie dia attentati incendiari e dinamitardi. Sino a oggi mancano tuttavia indizi concreti per presumere che i disordini fossero istigati dall'estero o che, come si è spesso asserito, rientrassero in una strategia globale messa a punto nel 1968. In taluni casi, si sono potuti appurare legami con persone aventi affinità ideologiche, residenti all'estero".
"Così come si presenta oggi, il movimento autonomista non costituisce alcun pericolo per la sicurezza interna della Svizzera. Nel nostro Stato di diritto non si può tuttavia tollerare che le opinioni vengano fatte valere ricorrendo alla violenza. Negli ultimi due anni, il rapporto tra autorità e autonomisti si è fatto meno teso e, soprattutto nelle grandi agglomerazioni, si accetta l'esistenza e si sono in parte integrate certe strutture autogestite. Così, ad esempio, un'esposizione d'arte e vari progetti d'animazione teatrale realizzati nel maneggio di Berna hanno favorito, a partire dall'estate 1990, l'incontro tra la popolazione e il movimento autonomista".
La seconda parte del rapporto intitolata "L'estremismo violento in Svizzera: documentazione"
, capitolo 3, pagina 39, "Estremismo di sinistra", recita:
"Nel corso degli ultimi anni, in Svizzera, non si registrano atti di violenza chiaramente imputabili all'estremismo tradizionale di sinistra (comunismo ortodosso e correnti della nuova sinistra). La lotta rivoluzionaria d'ispirazione marxista-leninista subì un adattamento alle circostanze concrete, assunse un indirizzo essenzialmente riformistico e venne condotta nel rispetto dell'ordinamento giuridico esistente".
Il paragrafo 4, "Anarchismo e terrorismo", alla voce "Perturbazioni della pace e dell'ordine nell'ambito della lotta contro l'imperialismo", prosegue:
"Le attività degli autonomisti furono determinate in ampia misura dalla lotta antimperialista internazionale (Africa del Sud, Palestina, Turchia, America Centrale, ecc.) e dai temi conflittuali d'attualità: a) penuria di alloggi e occupazioni di edifici; b) prigionieri aderenti alla RAF, nella R.F.T.; c) altri prigionieri "politici" (GRAPO, ecc.); d) politica d'asilo e dei rifugiati; e) razzismo ed estremismo di destra; f) politica in materia di stupefacenti".
"Numerosi incidenti -non riportati qui nei particolari- premisero di appurare che una minoranza favorevole alla lotta di classe strumentalizzava i simpatizzanti, per seminare discordia e confusione. La città più coinvolta fu indubbiamente Zurigo dove, soprattutto nel 1989, si registrarono -seguiti con viva preoccupazione della popolazione- vari eccessi conclusisi con ingenti danni materiali. In occasione di queste manifestazioni violente venne spesso rivendicata la riunione dei prigionieri della RAF incarcerati in Germania. Esistevano dunque contatti con i Paesi vicini e gli esponenti colà attivi".
Subito sotto, sempre a pagina 41:
"La Svizzera non conosce movimenti terroristici di portata internazionale comparabili a quelli attivi negli Stati limitrofi. Il nostro Paese fu anzitutto risparmiato dalla "offensiva terroristica" dei gruppo marxisti-leninisti che, a un certo momento, concertavano le loro azioni sul piano logistico e operativo. In secondo luogo, negli ultimi anni, la Svizzera fu toccata solo indirettamente dalle azioni dei terroristi arabi. Infine, il nostro Paese non conobbe nemmeno il terrorismo dei movimenti nazionalistici, quale quello che colpì la Spagna, l'Irlanda e la Corsica. Si ricordi nondimeno che, oggigiorno, vista la tattica e la mobilità dei terroristi, anche i Paesi non direttamente coinvolti nei conflitti non possono dirsi al riparo da eventuali ripercussioni di azioni che varcano le frontiere".
"Con intensità variabile, anche la Svizzera fu a più riprese scossa da azioni motivate da ragioni politiche inerenti agli affari interni. Si ricordino anche solo gli attentati contro le installazioni delle società elettriche, come per esempio i vari sabotaggi ai danni dei piloni dell'alta tensione rivendicati dal gruppo Rumperlstilzechen (Strepitolino). Per l'autorità preposta alla tutela dello Stato fu oltremodo difficile identificare gli autori di simili atti di violenza a sfondo politico".
"Una certa importanza assumono pure coloro che simpatizzano per i terroristi o li sostengono senza essere coinvolti di persona in azioni violente. I contatti tra questi simpatizzanti e sostenitori da un lato, e i gruppi terroristici (per esempio la RAF) e gli altri gruppi europei ed esponenti del terrorismo arabo dall'altro lato, furono a tratti molto intensi e sono mantenuti tuttora. Simili contatti furono e sono ancora motivati dalla necessità di ottenere aiuto logistico (informazioni, fornitura di esplosivi) e di poter contare sulla solidarietà politica. (...) ".
"Un altro esempio è quello del grigionese Marco Camenisch. Le autorità preposte alla tutela dello Stato si chinarono per la prima volta sul suo caso nel 1978, a seguito di attività connesse all'Aktion Strafvollzug (Azione esecutiva delle pene). Nel 1979, fu coinvolto a Bad Ragaz in un attentato all'esplosivo contro la centrale Sarelli, appartenente alle Aziende elettriche della Svizzera nordorientale. Nel 1981 fu condannato, per questo e per altri atti delittuosi, a dieci anni di reclusione. Ancora nello stesso anno riuscì ad evadere dal penitenziario di Regensdorf. Durante la fuga, uno dei suoi accompagnatori uccise un sorvegliante. Camenisch è fortemente sospettato di essere stato coinvolto in altri atti delittuosi, segnatamente in attentati con esplosivo e simili. Ai primi di dicembre del 1989, Camenisch uccise a Brusio il doganiere Kurt Moser mentre questi stava per sottoporlo a un controllo della persona. Poté essere arrestato in Italia il 6 novembre 1991".
Il documento governativo cita quale fonte il libro Zeitgenössische deutsche Schriftsteller als Weghereiter fur Anarchismus und Gewalt di Lothar Ulsamer, Deugro, Esslingen 1897. Trattasi di un saggio scritto a difesa della -citiamo- "civiltà cristiana occidentale" dai "nefasti insegnamenti" di scrittori come Böll, Enzensberger, Wallraff, Grass. Con l'Anarchismo questo libro centra ben poco; del resto, la definizione di Anarchismo è tratta da un dizionario di termini politici e da uno di termini sociologici. Può stupire che la massima autorità politica svizzera utilizzi quale fonte di documentazione sull'Anarchismo un testo superficiale e tendenzioso come quello dell'Ulsamer.
* * * * *
Nel mese di aprile del 1992, dal carcere Don Bosco di Pisa, in cui si trova rinchiuso, Marco Camenisch comunica ai compagni un aggiornamento relativo alla sua vicenda giudiziaria:
"Ecco gli sviluppi sul fronte repressivo: per il 30 aprile mi è stata notificata l'udienza preliminare a Massa Carrara per una caterva di reati, assieme al compagno Giancarlo. Le "perone offese" sarebbero "lo Stato e due carabinieri", e nella causa preliminare vogliono stabilire se rinviare a giudizio me per aver sparato ai carabinieri e per detenzione di documenti falsi; tutt'e due per detenzione porto di esplosivi e armi da guerra, furto d'automobile, sostituzione di targhe e vari attentati a linee elettriche e a un ripetitore RAI, e una "trappola esplosiva" contro la forza pubblica. In più, il giorno 19 maggio, avrà luogo la causa a Genova per decidere sulla mia estradizione in Svizzera. Le loro accuse mi possono solo onorare, per il resto è ovvio che non ci potrà essere dialogo tra me e loro. Sono semplicemente un prigioniero di guerra e loro ostaggio. Non ho da fare alcun riferimento a fatti specifici, né dichiarazioni d'innocenza, né rivendicazioni. Semmai, in un eventuale processo, non potrei che ribadire e riaffermare brevemente, in sostanza, la mia identità e le ragioni già affermate al processo di Coira".
In concomitanza con l'apertura del procedimento giudiziario nei confronti di Camenisch e Sergiampietri, la redazione di Anarres pubblica sul n. 10 una propria valutazione dell'evento:
"Silenzio stampa sulla vicenda di Martino/Marco Camenisch e Giancarlo Sergiampietri. Meglio così, che le veline di polizia e carabinieri restino nei rispettivi uffici. Dopo mesi di inchieste -tuttora in corso- novità invece in ambito giudiziario. Innanzitutto è stata rifiutata la libertà provvisoria a Giancarlo, per il quale rimane in piedi l'accusa di concorso in detenzione di armi ed esplosivi. Presso il Tribunale di Massa, inoltre, il 30 aprile 1992 si terrà l'udienza preliminare che costituisce, di fatto, il primo passo giuridico verso un futuro dibattimento pubblico la cui data resta ancora ignota. Ogni udienza preliminare è chiaramente riservata agli "addetti ai lavori". Sempre a porte chiuse, il 19 maggio, questa volta a Genova, è stata fissata una Camera di consiglio per valutare le questioni inerenti all'estradizione di Martino/Marco Camenisch. A questo punto deve essere chiaro che, per le autorità elvetiche, il desiderio di "gestire la detenzione" del proprio connazionale dissidente supera la severità del Codice penale, sconfinando nella vendetta scientifica, nella tortura delle mani pulite. Anche in questo campo la precisione svizzera è da considerarsi all'avanguardia grazie a un sistema carcerario capace di annientare la personalità di ogni individuo. Marco Camenisch, contemporaneamente, costituisce una spina nel fianco delle stesse autorità italiane, reduci dalla cosiddetta pacificazione degli anni Ottanta, desiderose quindi di evitare casi eclatanti di persone che vivono con dignità la propria coercizione carceraria, supportata da consistenti motivazioni più etiche che politiche. Detto questo, è utile fare presente ai lettori che l'eventuale estradizione non è cosa automatica e che non diventerà operativa all'indomani del 19 maggio. In questi prossimi mesi è comunque indispensabile prepararsi ad una diffusa campagna per impedire il tacito trasferimento forzato di Marco Camenisch in Svizzera, tenendo presente il fragile garantismo italiano nella facile ipotesi che il Ministro di Grazia e "Giustizia" decida positivamente in proposito".
Sullo stesso numero di Anarres, appare sotto il titolo "L'estetica della scelta" un nuovo contributo di Camenisch:
"Tutti qui in cella ci sorbiamo il Festival di Sanscemo, Pippo Baudo (al quale fecero saltare la villa) c'è chi se lo sorbe con piacere, c'è chi non, ed è facilmente indovinabile, che sono io che non se lo assume con piacere. Ma non ho scelta. Ed è appunto di scelta e di scelte che ti vorrei, se ci riesco, parlare. Anche perché penso che, dove nella tua lettera accenni a cose condivisibili o meno, in merito a ciò che è successo al Cinquale, sia notevolmente implicito questo nostro problema, che però non considero, tutto sommato, tale, o comunque lo considero un "falso problema", in quanto il concetto di "scelta" non mi pare né utile, né adatto, per affrontare qualsiasi questione, e un loro insieme, che ci stia a cuore. Penso addirittura che è un paravento, una scomoda stampella indotta (da ciò e chi che ci deve contenere) nei nostri cuori per giustificarci il fatto che zoppichiamo attraverso e con le contraddizioni che ci lacerano, perpetuando questo male che ci affligge, e ci costringe a zoppicare. Se non si può guarire, la stampella non è certo una scelta. Tanto meno lo è il buttarla, avendo trovato la forza e il rimedio per guarire".
""Scelta" appartiene, è insito al mondo, allo spirito consumistico, e nasce o muore insieme, da un suo aspetto interiore, a qualsiasi forma di dominio autoritario. Posso scegliere tra le merci negli scaffali dei supermercati, autosaloni, elettrodomestici, religioni, ideologie, correnti di ideologie, partiti, professioni, cassette, discoteche, droghe, testate (di giornali), programmi (TV), ecc., ecc. Più sono ricco e potente, più vasta diventa la gamma delle possibilità di scelte materiali e anche spirituali, più ricco e potente sono, più posso ma devo anche, per rimanerlo, scegliere anche per gli altri, essendo costretto a diventare anche sempre più ricco e potente, e già diventa, anche per chi domina, l'indissolubile legame tra scelta e costrizioni nell'implacabile meccanismo dei dominî autoritari".
"Non posso scegliere che aria respirare e che acqua bere, se andare a scuola o no, se sorbirmi gli ordini impliciti dell'informazione unica, da schiavo. Non posso scegliere la madre dalla quale nasco e il padre che la feconda, il colore della mia pelle, quale terra mi vedrà crescere, quando e quale sarà il sole o la luna a illuminarmi, quale consapevolezza a guidarmi, quale frutto mangiare, quale donna amare, quale morte dare o ricevere, da schiavo o da libero. Se mi suicido, non è certo una scelta, ma perché non sopporto più un male, spesso una solitudine, che certo ho scelto tanto poco come la mia natura che mi impone compagnia amorevole per stare bene. Tra esseri liberi da dominî autoritari, il concetto, e con esso la parola "suicidio", è sconosciuto (e viene praticato solo in situazioni di eccezionale gravità) e inutile quanto "libertà" e, a mio avviso, anche "scelta". Diventano realtà da concepire e definire con la nascita di un dominio autoritario, e l'unica scelta reale, o la madre di tutte le scelte, a questo punto, è tra sottomissione e ribellione, lotta per le libertà ormai da concepire e ridefinire, la scelta è, se scegliere o no, tra alternative comunque e tutte imposte".
"Se l'insegnamento delle nostre origini, e perciò esigenze intime, è valido, dove e quando c'era l'equilibrio su questa terra, esseri o gruppi di esseri vivevano rispettando anche il comando dell'autorevolezza del più forte e saggio, e dell'indissolubile legame con la madre terra e con le sue leggi. Implacabilmente però un gruppo uccideva o estrometteva dalla comunità chi abusava della autorevolezza, chi non rispettava le leggi contro il bene, il sopravvivere e vivere comune. Mi piace chiamare questo abuso, dominio autoritario. Perché guardiamo con tanta attenzione e nostalgia molte tribù dei nostri fratelli Pellerossa (e altri?). Solo per la cattiva coscienza di essere più spesso dei degni discendenti di Colombo e del suo spirito nell'agire e nel pensare, che guerrieri capaci e disposti a ricordarci, che le nostre origini probabilmente erano di una dignità, saggezza e organizzazione sociale simile a quella che tanto, e non solo, ammiriamo?"
"Raramente ho sentito dei guerrieri disquisire sulla famosa "scelta", se non nel tentativo di adottare il punto di vista dell'animo sottomesso, per farsi comprendere, o nel tentativo di trovare un coraggio per l'equilibrio con la propria paura e la propria insicurezza. Significa ciò, che non parliamo la stessa lingua? Non penso di avere avuto scelta, nella mia vita, non posso considerare tali l'avere incontrato insegnamenti, l'avere agito secondo il sentire del mio cuore che è anche mente. Non ho scelto il non sapere mentirmi e mentire, non ho scelto il mio desiderio di stare bene, con me stesso, e con gli altri, il che è un'unica cosa. Non ho scelto di vedere, indignarmi, e avere tanta paura e trovare la forza di tentare di essere guerriero. Non ho scelto di essere povero, in galera, sfigato e sfortunato, l'assassinio delle mie terre d'origine, tanto poco quanto il popolo degli Yanomani ha scelto che i loro boschi e fiumi fossero uccisi, e con questi loro stessi, e che Sting e gli altri sciacalli si arricchissero sulle loro disgrazie. Ti pare una scelta, per uno Yanomani, mettersi giacca e cravatta o tuta da operaio a andare a Rio o altrove, nel mondo delle scelte? L'emigrante del Sud ha veramente scelto di andare al Nord?"
"Lottare fa parte della mia natura, è un dovere, tanto quanto esseri liberi è un dovere. Se qualcuno mi dice che ho diritti, è come se mi dicesse che sono suo schiavo. Libertà, per me, significa, anche e soprattutto, che nessuno scelga per me, che non sia costretto a scegliere per nessuno, che non sia costretto a scegliere, ma che io sappia a che cosa appartengo, cosa sia giusto e sbagliato, nel bene e nel male".
Nel frattempo, Marco Camenisch è trasferito al carcere milanese di San Vittore e Sergiampietri ottiene gli arresti domiciliari, risultando del tutto estraneo alla sparatoria. Il 5 giugno 1992, nel Tribunale di Massa, presidiato dai carabinieri e dalla DIGOS, ha luogo la prima udienza nel processo contro Marco Camenisch e Giancarlo Sergiampietri. Oltre ai capi d'imputazione relativi all'episodio del Cinquale di Montagnoso, il giudice istruttore Lama ha nel frattempo raccolto della documentazione con la quale, secondo lui -e un nutrito stuolo di "esperti"- i compagni dovrebbero essere giudicati anche per l'abbattimento di quattro tralicci nel circondario tra Lunigiana e Versilia. Siccome il rinvio a giudizio per alcuni di questi reati era formulato con insufficienza di dettagli, il difensore Massimo Focacci chiede e ottiene il rinvio del processo a tempi da stabilire -previsto ora per il 4 novembre 1992. In aula era presente anche il difensore svizzero di "Martino", l'avvocato Bernard Rambert.
In merito al processo di Massa, Marco Camenisch ha diffuso la seguente dichiarazione:
"Sono qui per due motivi: per non fare il bidone alle persone che mi vogliono bene, che sono venute qui, e per riconfermare la mia identità e le ragioni del mio dissenso irrimediabile con questa società dittatoriale e consumfascista".
"Respingo fermamente qualsiasi addebito mossomi in questa sede, riconfermo che il mio amico Giancarlo e altri amici o altre amiche del posto non erano a conoscenza della mia situazione di latitante ribelle sociale, tanto meno del materiale di autodifesa ritrovato su di me, nei miei bagagli e nei luoghi che frequentavo. Non sono certamente qui presente per dialogare con l'ingiustizia borghese e di classe, con una legge che è notoriamente più uguale per talune persone che per altre. Non riconosco ovviamente a questo Tribunale né la legittimità né la virtù di giudicare me o chicchessia. Lo considero uno strumento di repressione e vendetta di parte, asservito alle esigenze di governo dei padroni della morte, cioè del capitale coloniale e imperialista, dei suoi Stati e delle sue multinazionali".
"Sono un pastore, contadino e cacciatore delle Alpi retiche, residuo di un genocidio consumato dallo stesso nemico che, nel corso dei secoli, ha distrutto quasi del tutto la mia terra. Nelle vesti delle multinazionali dell'atomo e dello sfruttamento idroelettrico, turistico, del militarismo e dei suoi poligoni, con l'inquinamento radioattivo, chimico, da carburazione industriale e metropolitana, sopranazionale e via aerea, l'ipersfruttamento boschivo e agricolo, è responsabile storico della rapina della mia identità etnica, della mia terra e del mio lavoro".
"È nella presa di coscienza del mio essere sfruttato, schiavo ed espropriato che sono semplicemente andato fino in fondo nel tentativo della mia liberazione e nel tentativo di contribuire con tutto me stesso alla liberazione e difesa della terra che ha ospitato e nutrito i miei avi e me. Sono stato catturato dal nemico e mi sono liberato; sono stato cacciato dalla mia terra, da cacciato sono diventato cacciatore, preda e nomade, ospite di molte terre e genti. La mia solidale coscienza globale, coscienza della globalità del nemico e della sua guerra di sfruttamento e sterminio totale, non poteva che dirmi che la lotta contro di lui è dovere per e su qualsiasi terra che mi ospita. Solo così riaffermo, comunque e ovunque, la mia quotidiana e umana dignità, responsabile, solidale e comune, con le mie sorelle e fratelli di ogni razza e lingua, oppresse e oppressi, sfruttate e sfruttati; solo così affermo la solidarietà con coloro che lottano, in qualsiasi modo lottino; solo così affermo la mia responsabilità, l'amore naturale e scontato per i nostri figli e per tutti i viventi di questo meraviglioso pianeta".
"Anni orsono affermai che chi comprende il modo di procedere del capitalismo, e comprende che le sue esigenze sono totali, che sa o vuole rendersi conto che con questo sistema le previsioni per il futuro sono nulle, e non vuole essere costretto a essere insieme complice, schiavo e vittima di questa delirante dittatura consumfascista, deve per forza opporsi, combatterla con tutte le sue capacità, con tutta se stessa, con tutto se stesso. Dissi anche che si tratta di lotta per la sopravvivenza nuda e cruda, non più, da anni ormai, concepibile e necessaria solo per la salvaguardia delle libertà, della dignità, della terra e perciò del pane individuale o di classe o di gruppo sia esso etnico, ideale o altro. Non si tratta più di poter concepire, e lottare contro, sfruttamento, guerra di rapina, schiavitù, massacro, in un tal circoscritto. No, ormai si tratta della sopravvivenza di tutto il pianeta. Non si tratta di una crisi ecologica, ma degli ultimi attimi prima della fine di una demenziale e criminale corsa verso l'annientamento totale".
"Il motore e la causa di questa corsa è lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e sulla natura. È una storia millenaria di cosiddetto progresso e di cosiddetta civiltà, cresciuta come un cancro, con crescenti orrori di violenza e guerre per il dominio e tra domini, sfociata ora nella dittatura planetaria dei padroni della morte e dei loro capitali, delle loro multinazionali e dei loro Stati. Di fronte a queste evidenze non è certo vero che sia io il criminale, non è vero che sia io pericolosissimo per la società, non è vero che sia io l'ecoterrorista, ma tutto ciò vale drammaticamente per lo Stato e i suoi padroni, servi e apparati vari. Non ho bisogno di ricorrere alla menzogna, denigrazione massmediatico-poliziesca e scientifica, ai loro tribunali e carceri di annientamento per provarlo. Lo sappiamo, lo vediamo, lo respiriamo, lo beviamo, lo mangiamo e lo viviamo, se ancora di vivere si può parlare, tutte le viventi e tutti i viventi di questo pianeta, in ogni luogo, nell'acqua, sulla terra e nel cielo".
"Non mi rimane perciò che rivendicare la giustezza e la pressante necessità di lotta di ribellione anche violenta e totale contro la violenza dei padroni dell'annientamento, la lotta che per dare a noi e ai nostri figli qualche speranza non può che essere socialmente, culturalmente ed ecologicamente radicale e rivoluzionaria. Ed è una lotta che deve partire dal quotidiano, contro le nostre mille complicità ideali e reali con il dominio diffuso del consumfascismo".
"È partendo da noi che è necessario e pressante opporsi e organizzarsi. È necessario e pressante contribuire, individualmente o aggregandosi, alla neutralizzazione del consumfascismo, delle sue metropoli, fabbriche, galere, prodotti, infrastrutture, mezzi di comunicazione, psuedo-scienza, delle sue forme sociali, familiari e sessuali di rapportarsi e le conseguenti autorità dei governi nazionali e mondiali. È col pensiero globale e solidale, con l'azione diretta locale e immediata, che dobbiamo riaffermare l'autodeterminazione, il nostro potere sul nostro lavoro e sui nostri consumi, sul nostro corpo, mente e salute, sul nostro interagire sociale e con il territorio, la terra che ci ospita e nutre, che è dei nostri figli e dei figli dei nostri figli".
"Le accuse che mi vengono mosse qui, mi possono solo onorare. Non ho certamente sparato alla Croce Rossa, né intascato tangenti, né sfruttato qualcuno, né fatto stragi di persone inermi, né torturato, nemmeno violentato donne e bambini...Rassegnazione e paura è complicità! Contro la rassegnazione, pensare l'impensabile! Contro la paura, imparare il coraggio!"
Due mesi dopo, il 16 agosto 1992, la polizia di Massa e Carrara arresta Giancarlo Sergiampietri. Alle accuse di tentata rapina e lesioni ai danni di un metronotte si aggiunge quella di evasione, in quanto Sergiampietri si trovava agli arresti domiciliari.
* * * * *
E guerriero per me, non significa un'entità metafisica, astratta (...), ma una cosa reale, che implica anche QUELLA GUERRA che esclude l'essere soldato, e significa soprattutto: RICONOSCERE I PROPRI LIMITI, COME PRIMO PASSO PER SUPERARLI, ED AVVIARSI ALLA RICERCA DEI PROSSIMI.
E guerriero significa anche imparare l'AMORE, il sentimento-base dell'aggregazione, comunità, che non è in contraddizione con QUELLA GUERRA, ma ne è la più intima motivazione. Guerriero senza amore non avrebbe che un significato piatto, spettacolare, fascistoide-robotico, da film futuristico o da leggenda mistificata, da SUPERUOMO. Ma quelli non muoiono mai. Noi sì, e COMUNQUE.
Il materiale redazionale è stato curato da Croce Nera Anarchica
Composizione : Atelier Scripto, casa Alexander M. Jacob, Somazzo
Finito di stampare nel mese di settembre millenovecentonovantadue
presso la Officina Grafica Sabaini, Milano
edizioni l' "AFFRANCHI" - Salorino - CH