Marco Camenisch
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23 maggio 2000 | |
Chi ha paura... | 11 marzo 2001 |
AA.VV.: Rassegnazione è complicità - il caso Marco Camenisch | 1 giugno 2002 |
28 luglio 2002 | 10 dicembre 2003 |
10 maggio 2004 |
23 maggio 2000
TERRORISMO DA 270BIS ("ASSOCIAZIONE EVERSIVA")
Risale a più di un anno fa che il compagno Marcello Ghiringhelli, detenuto in Svizzera, mi informò che la Procura di Milano starebbe investigando, per dei "fatti di Milano", contro lui, me, mio fratello, cittadino svizzero e lì residente, la mia compagna e sua figlia della Toscana, e forse altre due o tre persone non meglio specificate.
Suppongo che questa è la "ragione" per cui nel '98
per quasi un anno i colloqui con mia madre, mio fratello e la mia compagna
si svolsero isolati dagli altri colloqui con controlli e perquisizioni
particolari. Fu un provvedimento mai ammesso né motivato come
tale da parte della direzione e cessò in concomitanza d'un intressamento
da parte del mio avvocato.
Metà aprile 2000 ricevo notifica da parte della GIP Cristina Mannocci di MI, che il PM Elio Ramondini avrebbe chiesto una proroga dei termini d'indagine per ipotesi di "reato di cui all'art. 270bis cp commesso in Italia ed all'estero dal dicembre '98". Poco dopo stessa notifica è inoltrata alla mia compagna e sua figlia e in seguito anche a mio fratello.
L'art. 270bis perseguita "l'associazione eversiva", per definizione di natura "politica". Ma i rapporti criminalizzati e perseguitati con quest'art. emergenzialista sono, in questo caso come in tanti altri, di natura esclusivamente personale, affettiva e di solidarietà familiare.
Marcello e io siamo diventati amici stretti dal '93, il mio arrivo nello speciale di Novara, amicizia che si mantiene attraverso tutte le sue vicende di declassificazione, lavoro esterno, fino al suo non ritorno al carcere, e continua dopo il suo arresto e carcerazione attuale in Svizzera. Negli anni Marcello è diventato parte della "mia" famiglia.
Politicamente però lui, M-L, ed io, anarchico, siamo tanto distanti da rendere improponibile una qualsivoglia "associazione", che comunque, nei termini "ipotizzati", come anarchico, non potrei che rifiutare.
Lo stesso vale, a maggior ragione, quando vige non solo una distanza ma una netta e irriducibile contrapposizione come quella tra posizioni di sinistra rivoluzionaria e le posizioni d'estrema destra della figlia della mia compagna.
È anche assurdo ipotizzare questo tipo di "associazione" tra/con persone "apolitiche" come la mia compagna e mio fratello. Va ricordato qui che la mia compagna, poco dopo che, dopo il mio arresto, iniziò prima un nostro rapporto epistolare e poi d'amore, per questo motivo fu già perseguitata, coinvolta ed arrestata nel '93 per tre settimane con suo marito, alcuni/e loro amici/che e la compagna Raffi della tipografia di Carrara, nella montatura della "cattura del gruppo di fuoco ecoterrorista" in Toscana (Massa), montatura che si risolse solo dopo vari anni con l'archiviazione del caso. Già in quel contesto gli "inquirenti" si diedero alla ridicola ipotesi d'un coinvolgimento della figlia della mia compagna in "azioni" risalenti, allora, ad anni prima, e cioè quando questa era ancora bambina.
Il parossismo inquisitoriale, nonché di grave negligenza investigativa, si raggiunge quando si vuole coinvolgere una persona come mio fratello, invalido per dei gravi problemi di natura psicologica e mnemonici protratti in un passato periodo da etilista e da decine d'anni dipendente dalle cure e dall'assistenza permanenti di mia madre. Problemi cronici e dipendenza che a priori dovrebbero escludere, anche per il più imbecille degli sbirri, qualsivoglia ipotesi di coinvolgimento in attività "illegali" o anche solo attivamente "politiche".
Inutile dire che, quali che siano i "fatti" che si vogliano collegare alla "investigazione", questa certamente manca d'ogni fondatezza obiettiva di fatto e, in questo caso, anche d'un "fondamento ideologico" tanto caro ai vari rosmarini per costruire qualche montatura anti anarchica o anti chicchessia. Per coincidenze di tempi (inizio colloqui "speciali") è addirittura possibile ipotizzare che queste "investigazioni" si riferiscano ai fatti cui si riferisce la qui presente copia d'articolo del corsera del mese di aprile o maggio [non acclusa, si tratta di un articolo su Luca Giannasi, confidente dei servizi arrestato per le bombe inesplose passate al tempo per bombe anarchiche - nota del dattilografo].
È noto che questo ed altri articoli simili del codice penale prescindono a priori da qualsiasi fondatezza obiettiva di fatto, perché sono invenzioni giuridiche con finalità antisociali di terrorismo giuridico e psicologico di Stato per criminalizzare, perseguire e sancire anche con lunghi anni di carcere i rapporti sociali, familiari ed affettivi d'umana solidarietà (per non parlare di solidarietà ed affinità anche politica!) tra detenuti/e per motivi politici o sociali e tra i loro familiari ed amiche/i. Sono strumenti per isolare le prime dal loro contesto sociale/familiare solidale e quest'ultimo, ulteriormente, dalla società, con il fine del loro annientamento.
Di fatto trattasi d'azioni di guerra sporca preventiva di classe a "bassa intensità", dall'alto verso il basso e contro civili, e questa non è l'unica né sarà l'ultima azione di terrorismo di Stato anche contro anarchici e i loro familiari. If we ask gunsmiths, shooters, or custom builders what the most critical piece of the accuracy puzzle is, most will tell you 80% of a rifle’s accuracy potential comes from the barrel. However, to realize the full potential of that awesome tube you have screwed to your action, you need a great trigger as well. We’ll cover things to look for in the perfect trigger + recommendations to span different budgets. Read our TOP-rating of Best Remington 700 Triggers - Best Remington 700 Triggers – Buyer’s Guide! - In this article, we’ll be talking about the Remington 700 trigger mechanism and you’ll learn about the basic qualities
Per buona soddisfazione dell'internazionale terroristica degli sgherri
"d'Italia e all'estero" (Schweiz, Suisse, Svizzera) devo segnalare
che, combattendo con abnegazione e coraggio contro una donna anziana
ed una persona invalida ambedue incapaci a nuocere, sono riusciti ad
impedire da più di un anno a mio fratello di accompagnare mia
madre ai colloqui, per il terrore che incute la possibilità d'un
arresto o fermo che comprometterebbe il mantenimento del suo precario
equilibrio psicologico/esistenziale e potrebbe avere conseguenze soggettive
e familiari oltremodo traumatiche.
Marco Camenisch
Novara speciale, 23 maggio 2000
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Chi ha paura di Marco Camenisch?
Mentre, da 9 anni, Marco Camenisch è recluso nelle galere italiane i tossici inquinatori dell'atomo, della chimica assassina, dell'elettrosmog diffuso e della manipolazione genetica continuano ad avvelenare noi e l'intero pianeta.
Lo scorso anno a Seattle migliaia di manifestanti gridavano la propria rivolta al WTO e alla mercificazione/inquinamento del globo intero.
Nel 1994 la rivolta zapatista, segnando un punto di svolta alle politiche liberiste, ridava dignità alle popolazioni indigene del Chiapas.
Vent'anni fa - quando l'equilibrio del pianeta non era ancora così sconvolto e l'ingegneria genetica muoveva i suoi primi passi fuori dalla fantascienza - ecologisti antiautoritari come Marco Camenisch praticavano l'azione diretta sabotando nelle strutture dell'alta tensione i tentacoli della piovra nucleare Elvetica.
Energia atomica che in buona parte continua ad alimentare la rete elettrica italiana e le sue industrie altamente nocive, le fabbriche di armi, le solite multinazionali
Oggi Marco Camenisch continua dignitosamente il suo percorso di ecologista non sottomesso, in sintonia con ogni idea e azione tesa alla liberazione dall'attuale sistema di dominio. Per questo la sua è una presenza scomoda anche all'interno di un carcere speciale, privandolo dei più elementari affetti con la negazione sistematica di visite e colloqui esterni all'ambito strettamente familiare.
La punizione contro Marco significa anche colpire con indagini e persecuzioni giudiziarie i parenti e gli amici a lui più vicini e solidali e tutti coloro che non accettano l'idea di un ecologista ribelle sepolto vivo, in un mondo dove la criminalità legalizzata delle multinazionali non tollera alcun dissenso.
Non dimenticando che, per questo, siamo tutti in libertà provvisoria esprimiamo solidarietà a quanti, come Marco, non possono essere fisicamente al nostro fianco.
Per contatti: MARCO CAMENISCH, V.LE DEI TIGLI, 14, 13900 BIELLA
Fonte: Alpi in Resistenza - per l'ecologia sociale - 23 Maggio 2000
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11
marzo 2001
Avevo chiesto a Marco di scrivermi una sintesi dei fatti che lo hanno
portato a passare molti anni nelle galere prima svizzere e poi italiane,
per due diversi motivi. Il primo è che queste storie sono note a molti ma
non a tutti: soprattutto per i più giovani quello di Marco Camenish può
essere il nome familiare di un compagno in galera e non molto altro; in
secondo luogo, è già capitato in passato di aver letto delle versioni
riguardanti fatti anche abbastanza "delicati" di compagni/e
detenuti/e con imprecisioni se non addirittura delle sviste grossolane. Ho
ritenuto quindi preferibile aspettare del tempo e avere una versione assai
sintetica ma evitare di diffondere notizie dubbie. Quella che segue è la
risposta di Marco, riportata in tutti i suoi passi significativi (sono
state omesse solo alcune frasi con riferimenti personali).
Biella, 11.03.2001
[...]
Riassunti sulla "mia" storia ne circolano o ne circolavano su
stampa di movimento ma man mano la do fuori e poi vallo a recuperare [...]
purtroppo tenere un archivio come si deve non è da me e sarebbe anche
arduo nelle ristrettezze qui, di mezzi e di spazio. [...] Un sunto veloce
posso tentarlo subito, così mi tolgo il tarlo, sapessi quanti ne ho,
perché non sei l'unico che attende e forse crede che non ci penso, ma ci
penso eccome, nella gran frustrazione di non farcela mai a rispondere a
modino e come sarebbe giusto a tutti e tutte. È un po' infernale,
frustrante, scrivere e poter solo scrivere, per poche cose passa un'ora di
tempo, e passo ore ed ore a scrivere, non dimentico nessuno, ogni persona
che aspetta è un "tarlo" perché non dimentico nessuno/a. C'è
anche la grande relatività del tempo qui dentro, da un lato è
insignificante, fermo, sempre uguale, dall'altra passa come il lampo.
Dunque,
sono stato preso insieme ad un compagno dopo due sabotaggi in Svizzera, un
traliccio ed una sottocentrale di una delle maggiori ditte dell'atomo nel
'79, e ci hanno condannati a 7 anni e mezzo lui e dieci me un anno dopo;
ho fatto una lunga dichiarazione di rivendicazione e di accusa a questa
società in tribunale che da sola mi sarà valsa la condanna allora, per
le consuetudini ed i precedenti in materia, smisurata. Fine '81 sono evaso
dal carcere di Regensdorf vicino a Zurigo con altre cinque persone,
nell'occasione è stata uccisa una guardia e ferita un'altra. Non da me,
processualmente chiaro tramite giudizi di altri, dopo degli evasi con me,
ma tanto basta perché ora sono accusato d'omicidio per quei fatti, sarò
giudicato al mio "ritorno" in Svizzera. Rimasi dieci anni
latitante, nell'89 in una sparatoria fu uccisa una guardia di confine, una
volta accertato che ero stato in zona in quel momento sono accusato anche
di questa uccisione, per via indiziaria. Accusato si fa per dire, meglio
è dire condannato sia dalla stampa sia da dichiarazioni ufficiali dei
servizi svizzeri. Sarò processato anche per questo al mio
"ritorno". Nel '91, in novembre, dopo una sparatoria con una
pattuglia di CC, ferito io e ferito un CC, sono arrestato, ed il tribunale
di Massa mi condanna credo nel '93 a 12 anni per lesioni gravi e, per via
indiziaria, per uno dei tanti tralicci caduti e che ancora sarebbero
caduti dopo il mio arresto.
Subito la
Svizzera chiede l'estradizione concessa dal tribunale di Genova. Rivendico
di nuovo il mio essere anarchico rivoluzionario, combattente di classe ed
"ecologico". Lavoravo ed abitavo presso la tipografia anarchica
a Carrara, i compagni si dichiarano subito solidali. Dopo mezz'anno di
centro clinico a Pisa finisco a San Vittore in una sezione speciale di
transito da dove nel '93 sono trasferito allo speciale di Novara, dopo uno
sciopero della fame, per avere il trasferimento in una struttura vivibile,
di complessivamente 60 giorni; chiedo anche la riunione con altri detenuti
politici e denuncio la situazione negli speciali con la differenziazione e
una invivibilità segregativa molto alta. A Novara un altro scioperetto di
20 giorni contro l'invivibilità, la sanità carceraria, l'assenza di
spazi di formazione e ricreazione/socializzazione. E ora sono andato in
pensione [...]
Sarò
trasferito in Svizzera alla imminente fine della pena di 12 anni italiana.
Cioè verso fine quest'anno fino a metà del 2002, dipende se chiedo la
scarcerazione anticipata o meno. Per cinque anni li ho chiesto ed
ottenuti, sono via via novanta giorni all'anno e te li danno i magistrati
di sorveglianza, cioè i tribunali di sorveglianza se hai "buona
condotta". Non ho più fatto richiesta dei "giorni" perché
non so bene, tra le tantissime motivazioni e situazioni contraddittorie,
decidermi cosa sarebbe opportuno. [...]
Ora forse
chiederò la misura alternativa alla pena, cioè l'art. 21 o la semilibertà,
visto che della gente fuori è riuscita a reperirmi un posto di lavoro in
una coop. di gestione delle aree verdi. Molto improbabile che mi sia
concesso qualcosa. Succo del discorso son lì lì per andarmene in
Svizzera. Avevo chiesto tempo fa di esservi trasferito nella modalità
"espiazione pena estera nel proprio paese", ma in Svizzera
dissero di no, che volevo solo "approfittare" delle maggiori
comodità (sic!) delle galere svizzere
Bene, non
è tanto, ma sono contento che finalmente mi sono fatto sentire, ripeto,
non dimentico nessuno, ma, per i motivi sopra citati, i tempi di risposta
possono essere anche di sei mesi, più vorrei approfondire, più lungo il
tempo. Ho circa 60-80 indirizzi "attivi", in tutto saranno un
duecento, è dura non permettersi di morire socialmente [...]
Marco
Fonte:
lettera di Marco Camenish dell'11.03.2001.
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Saluto per la passeggiata del 1 giugno 2002 davanti al carcere
Saluto con gioia tutte le amiche e gli amici, tutte le compagne e i compagni qui e quelli
che non possono essere qui. Non è solo un saluto dalla galera, ma anche un saluto del mio
ritorno. Ero contento di tornare perché ci siete voi, e questa gioia era molto più forte del
terrore che ci incutono tutte le Ritorno del mondo e chi per loro (Ritorno è la
traduzione del cognome della giudice Claudia Wiederkehr, responsabile per il mio caso!).
Ma non avevo
nostalgia, poiché la nostra casa è in ogni luogo dove della gente e dei popoli si oppongono
agli Stati, allo sfruttamento, alla guerra di conquista e di sterminio, alla miseria mortale
ed alla crescita della civiltà capitalista e lottano per un ambiente intatto e, dentro di esso,
per l'autodeterminazione, la libertà e la
giustizia.
Essere una delle ragioni per cui siete qui ovviamente non mi garba
troppo, ma mi piace appartenere alla gente come noi che sa quanto
siamo importanti ed insostituibili le varie lotte per la vitale eliminazione della civiltà
capitalista; che sente o è cancerogena ed illimitata fino all'esaurimento di ogni risorsa,
anche della vita; che è cosciente che questa civiltà ha bisogno del carcere e lo rende
necessario, poiché essa stessa è carcere; che sa che non è
possibile eliminare il carcere ed affermare la libertà e la vita senza eliminare questa
civiltà del capitale.
Un altro mondo è necessario. Deve consistere di tanti mondi tutti
necessari l'uno all'altro e dei quali nessuno può essere impossibile.
Noi siamo di questi mondi, dove la gioia di vivere è qui ed ora
e dove la propria libertà e dignità esattamente la libertà
e dignità di tutti gli altri mondi necessari. Dove non ci sono
primi, secondi, terzi ed ultimi. Dove la tenerezza è la forza
della vita e della lotta; ma non ha modo d'esistere l'odio, poiché
l'odio annienta, divide, acceca e debilita ogni lotta del suo significato.
Dove non si sacrifica la gioia di raggiungere l'utopica banalità
del possibile nella brodaglia unica consumista del progresso capitalista
...
Laddove, ove e come sia, si vive e si lotta per questo mondo necessario, fianco a fianco o
insieme, con parità, con solidarietà critica, onesta e responsabilità secondo le proprie
capacità ed i propri veri bisogni. Dove la pace è giustizia, e non un luogo comune
ideologicamente definito dai rapporti dominanti di sfruttamento e di violenza per pacificare
e denigrare la lotta di classe e di liberazione dei combattenti. Dove la morte e la sofferenza
siano un fatto naturale, e non l'insensato annientamento dell'essere nella ferocia del mercato
e della produzione capitalista; o che siano, nella lotta, l'umile coraggio
di amare e tener dentro alla vita.
Ogni morte, sofferenza e prigionia d'ogni compagna e d'ogni compagno, d'ogni persona e popolo
per libertà, giustizia, dignità e ogni vita è la forza crescente ed il crescente dovere dei
nostri cuori indignati, sono la forza crescente delle nostre voci, della nostra volontà di
resistere.
Onore e gratitudine a tutte le nostre cadute ed ai nostri caduti!
Solidarietà contro ogni persecuzione, discriminazione e prigionia!
Libertà per tutte e tutti!
Marco Camenisch, carcere di Pfäffikon, fine maggio 2002
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Comunicato di Marco Camenish
dal carcere di Pfäffikon
28 luglio 2002
Trasferimento del sottoscritto all'ospedale universitario di Zurigo
- presso l'Istituto diagnostico di Radiologia - per essere sottoposto
alla risonanza magnetica all'addome, alle ore 15,30 del 1 luglio 2002.
Alle ore 14,30 abbandono la cella ed al pianterreno mi attendono
2 poliziotti in borghese e 3 o 4 in uniforme della polizia
cantonale di Zurigo.
Informo l'agente in borghese che si comporta
da caposcorta che circa mezz'ora prima del controllo devo assumere l'acqua
che mi porto dietro, dentro una bottiglia di plastica, poiché
la vescica dovrebbe essere piena per il controllo.
Consegno all'agente la convocazione della clinica universitaria
con le relative indicazioni. Nel caso mi fossero messe le catene
ai piedi chiedo che per il percorso in clinica, probabilmente
lungo, si organizzi una sedia a rotelle. L'agente mi dice di non
preoccuparmi che ci penseranno loro.
Vengo ammanettato con le mani dietro alla schiena e mi pongono
la catena ai piedi; dai contatti radio riesco ad intuire che il
dispositivo di sicurezza sia superiore rispetto a quello
visibile. Con le catene ai piedi, l'altezza tra il suolo ed il
furgone (senza predellino) non può essere superata con un passo;
pertanto sono costretto ad inginocchiarmi sul pavimento del
furgone e tirarmi su in qualche maniera con le mani dietro alla
schiena per arrivare al sedile.
Mi informano che il tragitto durerà circa 20 minuti.
L'aerazione della cabina detenuti, priva di aperture o finestre,
non funziona. All'arrivo, probabilmente nel cortile di una
caserma di polizia a Zurigo, viene aperta la portiera posteriore
del furgone e la porta a sbarre interna; mi informano che
attenderemo qui fino all'esatto termine del controllo.
Un agente mi porta la bottiglia alla bocca
per bere, al che chiedo di essere ammanettato con le mani in avanti.
Il caposcorta si rifiuta e dice "Lei sa come funziona", al
che rispondo "Certo, sono in galera da più di 12-14 anni,
mai con le catene ai piedi e le manette dietro la schiena". L'agente
risponde "Lei conosce la sua nomea", al che dichiaro che questo
tipo di ammanettamento/incatenamento è un umiliante maltrattamento
tipico dei metodi fascisti americani e svizzeri, non necessari con un
tale spiegamento militare e soprannumero. "Così o niente"
dice l'agente. Al che svuoto la bottiglia tenuta dal secondo agente
in borghese.
Non rifiuto, non potendo a cuor leggero mettere
in questione la necessità del controllo medico con un rifiuto
coerente. Fino alla partenza la portiera posteriore del furgone è
lasciata aperta per aerazione, ovviamente con il cancello a sbarre chiuso
e sotto vigilanza.
Dopo un'attesa, alle 15,30 circa il caposcorta mi informa che
stiamo partendo per il controllo. Scendendo davanti
all'ospedale, suppongo presso l'entrata principale, mi devo
sedere sul pavimento del veicolo e, poggiando le mani
ammanettate all'indietro prima sul sedile e poi per terra e sul
culo, arranco fuori dal furgone. Inginocchiarsi è pericoloso
(caduta) e doloroso per le invalidità alle gambe ed alle
ginocchia causate da ferite d'arma da fuoco.
Il caposcorta mi comunica che purtroppo non sono disponibili
delle sedie a rotelle, ma che il percorso sarà breve. Il
percorso dal pianoterra all'ascensore e dall'ascensore al piano
C, fino alla radiologia si rivela però lungo, anzitutto con le
catene ai piedi che non permettono di fare dei passi, ma solo
dei ridicoli passettini. I cerchi alle caviglie non provocano
dolore, poiché preventivamente mi sono messo tre paia di calzini.
La scorta visibile d'agenti uomini ed una donna, in borghese ed
in uniforme, consiste in almeno 8 poliziotti.
In radiologia chiedo di nuovo che mi vengano tolte le manette o
che almeno mi vengano messe in avanti, visto che per effettuare
la risonanza bisogna coricarsi sulla schiena e che sono
necessarie delle torsioni per poter fare delle esplorazioni
anche dal dorso, all'altezza dei reni.
In questa maniera, inoltre, non si pregiudicano la corretta
respirazione ed i trattenimenti del respiro necessari. Gli
agenti chiedono al medico cosa sarebbe necessario, questi
risponde che in queste condizioni farà quel che è possibile. Mi
dovrei pure alzare la maglietta, faccio presente che sarebbe
anche necessario abbassare i pantaloni e che sicuramente non
permetterò a nessun poliziotto di armeggiare con la patta dei
miei pantaloni.
Ma qui in Svizzera non è necessario abbassare i pantaloni.
Sempre per la stessa necessità sopra accennata mi corico sulla
schiena, cioè sulle braccia e mani legate dietro di essa e sulle
manette, tentando di far sporgere più possibile queste dal lato
sinistro. Prima informo il medico sulle patologie da
controllare: varicocele sinistro, angioma epatico, neoplasia
surrenale destra. "Non mi riguarda il varicocele, qui c'è
scritto solo del rene, posso controllare anche il fegato" dice
il medico. Ripeto per la seconda volta che lo stesso controllo
l'ho fatto varie volte come detenuto speciale in Italia, senza
manette poiché altrimenti questo controllo non può essere
eseguito correttamente.
Il caposcorta dice "Non c'è nulla da discutere". Io dico che
questa è una porcheria fascista.
Il controllo dura circa 20 minuti, il medico esplora gli organi
dall'alto e di lato su di una superficie corporale molto minore
che nei controlli precedenti. Le manette tagliano le braccia e
le mani sulla schiena nuda e mi contorco per i forti dolori,
mentre il medico mi dice di stare fermo.
Prima del ritorno non sento la necessità di andare al bagno.
Ritorno senza aerazione e bagnato di sudore; penso ai 300 maiali
crepati poco tempo fa nella calura per l'aerazione guasta,
vicino a Pfäffikon, e che le porcherie fasciste e della
giustizia svizzera non sono porcherie ma umanerie.
Arrivo a Pfäffikon, mi levano manette e catena. Chiedo al
caposcrota se è lui il capo del gruppo, ed annuisce. Lo prego di
dirmi il suo nome e grado di servizio.
Insicuro, mi chiede perché, non rispondo. Poi dice che saprò il
suo nome, ma non adesso. Gli faccio presente che lui, il signor
anonimo, avrà mie notizie.
Le guardie che mi accolgono mi chiedono se ho dei problemi. Io
chiedo loro quanto alta è la temperatura esterna.
Ci sono circa 28 gradi C� sopra lo zero.
Marco Camenisch
Hörnlistrasse, 55
8330 Pfäffikon
Svizzera