Il successo dell'estrema destra al primo turno delle elezioni presidenziali
francesi si spiega con il malessere sociale e al tempo stesso con la paura.
La paura è quella della "mancanza di sicurezza", che per i
media e i principali candidati, deriva dalla violenza urbana, quasi mai dalla
precarietà, dall'educazione, dal salario. È un tropismo che viene
da un tempo lontano e da uno spazio anch'esso lontano: è negli Stati
uniti degli anni '90 che la questione della delinquenza ha cominciato a rivestirsi
di un discorso apparentemente scientifico, dando così vita ai miti del
nuovo pensiero unico securitario.
Sicurezza e "tolleranza zero": una leggenda americana
L'Europa è pervasa dal panico e dallo sdegno per le "violenze
urbane" e la "delinquenza giovanile", che minaccerebbero l'integrità
delle società avanzate. Da qui l'esigenza di risposte penali severe.
La messinscena politica in materia di "sicurezza" - intesa con esclusivo
riferimento alla criminalità, a sua volta ridotta alla sola delinquenza
"di strada", cioè alle nefandezze dei ceti popolari, ultimo
anello della catena - ha la funzione di permettere agli aspiranti leader o
ai dirigenti in carica di riaffermare la capacità d'azione dello stato,
nel momento in cui dichiarano unanimemente la sua impotenza in materia economica
e sociale (1).
La canonizzazione del "diritto alla sicurezza" è in correlazione
diretta con l'accantonamento del diritto al lavoro, iscritto nella Costituzione
ma vanificato dal perpetuarsi della disoccupazione di massa e dalla crescente
diffusione del precariato, cioè dalla negazione di ogni sicurezza di
vita a un numero sempre maggiore di persone.
Sui grandi canali televisivi, i Tg delle 20:00 si sono trasformati in rapporti
di cronaca giudiziaria, con il moltiplicarsi delle aggressioni che d'un tratto
ci minacciano ovunque: là l'insegnante pedofilo, qui il bambino massacrato,
altrove la sassaiola contro un autobus di linea. Nelle ore di massimo ascolto
proliferano i servizi speciali tipo "Ça peut vous arriver"
("Può capitare a voi") del 13 febbraio scorso su Tf1, che
sotto il titolo "Violenze a scuola" ha dipanato il caso di un bambino
delle elementari, spinto al suicidio dal racket organizzato nel cortile della
ricreazione: un caso del tutto anomalo, subito eretto a paradigma in omaggio
alle esigenze dell'auditel.
I settimanali rigurgitano di servizi che rivelano i "dati reali",
i "fatti di cui nessuno parla" e altri "rapporti esplosivi"
sulla delinquenza, ove il sensazionalismo fa a gara con il moralismo. Senza
dimenticare la periodica, paurosa cartografia dei "quartieri proibiti"
e i "consigli pratici" indispensabili per far fronte a pericoli
descritti come onnipresenti e multiformi (2).
Dovunque l'ossessiva, ripetitiva protesta per l'inazione delle autorità
e l'imperizia dei giudici, e lo sdegno esasperato o impaurito della gente
per bene. I governi moltiplicano le misure repressive di facciata, delle quali
neppure i dirigenti più ottusi possono ignorare l'inefficacia rispetto
ai problemi che dovrebbero affrontare. Un esempio per tutti: l'ingente somma
stanziata per dotare tutti gli agenti francesi di giubbotti anti-proiettile,
quando è noto che il 97% dei poliziotti non vengono mai coinvolti,
in tutto l'arco della loro carriera, in un conflitto a fuoco, e che in dieci
anni il numero degli agenti uccisi nell'esercizio delle loro funzioni è
diminuito della metà.
I partiti di destra non sono da meno, e in ogni campo promettono di fare le
stesse cose, ma più in fretta, con più forza e più durezza.
Ad eccezione del rappresentanti dell'estrema sinistra e dei Verdi, tutti i
candidati alle cariche elettive hanno promosso la "sicurezza" al
rango di priorità assoluta dell'azione pubblica. E tutti propongono,
nel segno dell'improvvisazione, le stesse soluzioni rozze e punitive: intensificare
l'attività della polizia focalizzandola soprattutto sui giovani (ovviamente
di origine operaia o immigrati), sui "recidivi" e sugli "zoccoli
duri" della criminalità nelle "banlieues" (escludendo
così comodamente la criminalità dei colletti bianchi o delle
sciarpe tricolori); accelerare le procedure giudiziarie, inasprire le pene,
estendere il ricorso alle pene detentive, anche quando si tratta di minori
- mentre è ormai ampiamente dimostrato che il carcere ha effetti eminentemente
criminogeni. Infine, per tradurre tutto questo in realtà si esige uno
spropositato aumento della spesa per il mantenimento dell'ordine sociale mediante
la forza. Non fa eccezione neppure il capo dello stato francese, delinquente
recidivo, che non si vergogna di invocare l'«impunità zero»
per qualsiasi infrazione, anche lieve, commessa nei quartieri diseredati.
Questo nuova figura politico-discorsiva della "sicurezza", che in
tutti i grandi paesi europei ha riconciliato la destra più reazionaria
con la sinistra di governo, trae la propria forza impositiva essenzialmente
da quelle due potenze simboliche contemporanee che sono la scienza e l'America
- o meglio, dal loro connubio: la scienza americana applicata alla realtà
americana.
Pseudoscienza
Così come la visione neoliberista dell'economia si fonda su modelli
di equilibrio dinamico costruiti dalla scienza economica ortodossa made
in Usa - nel paese che detiene il quasi monopolio dei Premi Nobel in questa
disciplina - l'attuale vulgata della sicurezza si ammanta di un discorso sapiente,
con la pretesa di porre la "teoria criminologica" di punta al servizio
di una politica risolutamente "razionale", dunque ideologicamente
neutra e indiscutibile, in quanto guidata da considerazioni di pura efficacia
ed efficienza. Questa concezione, al pari della politica di sottomissione
al mercato, proviene direttamente dagli Stati uniti, divenuti la società-faro
dell'umanità, l'unica che in tutto il corso della storia abbia avuto
i mezzi materiali e simbolici per trasformare le proprie particolarità
storiche in ideale avulso dalla storia, trasformando dovunque la realtà
a propria immagine (3).
È dunque a New York che i responsabili politici francesi (ma anche
britannici, italiani, spagnoli e tedeschi), di destra come di sinistra, si
sono recati in pellegrinaggio in questi ultimi anni, per sottolineare la loro
rinnovata determinazione a sconfiggere la criminalità di strada, iniziandosi
all'uopo alle concezioni e alle misure adottate dalle autorità americane
(4).
Il pensiero unico della pubblica sicurezza, ricalcato sulla scienza e sulla
politica del crime control sperimentate degli Stati uniti, si presenta
sotto forma di un complesso di "miti sapienti", dei quali è
urgente esaminare la trama e mettere a nudo i meccanismi.
- Il primo mito è quello di un'America, già "supercriminale",
oggi pacificata e superata dalla Francia. Gli Stati uniti, dove fino a poco
tempo fa la criminalità imperversava con tassi astronomici, avrebbero
"risolto" l'equazione grazie alle innovazioni introdotte nella
polizia e nell'apparato penale, prendendo esempio da New York.
Nello stesso tempo, le società della vecchia Europa avrebbero peccato
di lassismo, lasciandosi fagocitare dalla spirale della "violenza urbana".
Difatti, Alain Bauer, amministratore delegato della società di consulenza
Alain Bauer Associates, che tra l'altro è anche consulente
di vari ministri socialisti in materia di sicurezza e gran maestro del Grand
Oriente di Francia, ha annunciato con clamore che dopo "lo storico
scavalcamento delle curve" dei due paesi, avvenuto nel 2000, "la
Francia è oggi più criminogena degli Stati uniti (5)".
Diffusa dai media dell'establishment, questa "rivelazione"
dimostra che nel campo dell'allarme-sicurezza chiunque intoni il ritornello
catastrofista oggi in voga può parlare a vanvera ed essere preso
sul serio. In effetti, è accertato da almeno dieci anni, grazie all'International
Crime Victimization Survey (Icvs) (6),
che i tassi di criminalità degli Stati uniti non si discostano dai
livelli ordinari quando vengono misurati sulla base dell'incidenza della
"victimization", e non su quella delle statistiche della criminalità
dichiarata presso le autorità, le quali, come ben sanno gli esperti,
misurano più l'attività della polizia che quella dei delinquenti.
Con l'eccezione, notevole oltre che spiegabile, degli omicidi, i tassi americani
sono da tempo comparabili, e anzi generalmente inferiori a quelli di molte
altre società avanzate.
Ad esempio, nel 1995 gli Stati uniti erano al secondo posto dopo il Regno
unito per i furti di auto e le lesioni; al terzo, fortemente distanziati
dal Canada, per i furti negli appartamenti; al settimo per le aggressioni
sessuali; e figurano addirittura in coda per i furti semplici, con un tasso
inferiore alla metà di quello olandese.
Tuttavia, il tasso degli omicidi, con 10 casi ogni 100.000 abitanti all'inizio
dello scorso decennio, oggi ridotti a 6 ogni 100.000 abitanti, è
tuttora sei volte maggiore di quello della Francia, della Germania e del
Regno unito. Negli Stati uniti esiste dunque un problema specifico di violenza
omicida con l'uso di armi da fuoco, fortemente concentrato nei ghetti urbani.
Questa violenza va ascritta da un lato ai 200 milioni di fucili e pistole
liberamente venduti (4 milioni di americani girano abitualmente armati),
e dall'altro alla diffusione dei traffici illegali nelle vie dei quartieri
diseredati delle metropoli.
L'andamento della criminalità violenta in Francia, e in senso più
lato in Europa, non denota una tendenza ad avvicinarsi al "modello
americano", ove predomina la violenza omicida. In Francia, in dieci
anni il tasso di omicidi è sceso di un quinto, passando dal 4,5 su
100.000 abitanti nel 1990 a 3,6 su 100.000 abitanti nel 2000. Se si è
dovuto registrare un notevole aumento delle risse e lesioni volontarie,
esse però non colpiscono "chiunque e dovunque", ma riguardano
soprattutto le fasce giovanili della popolazione di origine operaia, e sono
generalmente di lieve entità: nel 50% dei casi, le aggressioni segnalate
alle autorità sono esclusivamente verbali, e solo in un caso su 20
comportano ricoveri ospedalieri o periodi di incapacità lavorativa
(7).
Perciò, l'affermazione che l'America sia stata "supercriminale",
e abbia cessato di esserlo grazie all'avvento della "tolleranza zero"
non è una tesi criminologica, ma una panzana ideologica; così
come lo è la tesi secondo la quale la Francia starebbe diventando
"supercriminale" (sottinteso: perché non si è affrettata
a imitare l'esempio americano).
- A New York come altrove, la contrazione della criminalità sarebbe
merito della polizia. In un recente rapporto del Manhattan Institute, centro
nevralgico della campagna mondiale di penalizzazione della miseria, questo
mito è affermato con enfasi: il costante calo delle statistiche sulla
criminalità negli Stati uniti andrebbe ascritto all'azione delle
forze dell'ordine, una volta svincolate, come è avvenuto a New York,
dai tabù ideologici e dalle pastoie giuridiche che la bloccavano
(8).
Ma anche in questo caso, i fatti sono cocciuti: tutti gli studi scientifici
concludono che la polizia non ha affatto svolto il ruolo propulsore e primario
che le viene attribuito dai fautori di una gestione penale dell'insicurezza
sociale.
Prima prova: il calo della violenza criminale a New York è iniziato
tre anni prima dell'avvento al potere di Rudolph Giuliani, alla fine del
1993, ed è proseguito con ritmo costante dopo la sua nomina a sindaco.
Non solo: il tasso degli omicidi senza armi da fuoco sta diminuendo regolarmente
fin dal 1979; soltanto quelli commessi per mezzo di armi da fuoco, che tra
il 1985 e il 1990 hanno fatto registrare un'impennata in ragione della diffusione
del commercio del crack, hanno iniziato a calare dal 1990. E nessuna di
queste due curve presenta una particolare accentuazione legata alla leadership
di Rudolph Giuliani (9).
Seconda prova: il riflusso della criminalità violenta è altrettanto
netto nelle città che non applicano la politica della "tolleranza
zero", comprese quelle impegnate in una politica di segno opposto,
volta a curare un rapporto costante con la cittadinanza per prevenire i
reati, anziché reprimerli a oltranza. A San Francisco, una politica
di orientamento professionale, di consulenza e di assistenza sociale e sanitaria
nei confronti dei giovani delinquenti ha consentito di dimezzare il numero
delle incarcerazioni, riducendo del 33%, nel corso del quadriennio 1995-1999,
l'incidenza della criminalità violenta (contro il 26% a New York,
dove nel frattempo gli ingressi in carcere sono nuovamente aumentati di
un terzo).
Terza prova: durante il triennio 1984-1987, la città di New York
aveva già posto in atto una politica di mantenimento dell'ordine
simile a quella adottata dopo il 1993, con il risultato di un netto aumento
della violenza criminale...
La strategia poliziesca attuata da New York durante gli anni '90 non è
quindi né necessaria, né sufficiente per spiegare la minore
incidenza del crimine in questa città.
Sei fattori, indipendenti dall'attività della polizia e della giustizia,
hanno contribuito a ridurre fortemente gli atti di violenza e le aggressioni
nelle metropoli americane. Innanzitutto, una crescita economica senza precedenti
per ampiezza e durata ha dato lavoro a milioni di giovani, che prima erano
condannati all'inattività o ai traffici illeciti. Anche nei ghetti
e nei barrios, il numero dei disoccupati è nettamente diminuito,
anche se i posti di lavoro sono per lo più precari e sottopagati.
In secondo luogo, il numero dei giovani (in particolare tra i 18 e i 24
anni) che rappresentano la fascia più incline agli atti di violenza,
si è assottigliato, con il risultato quasi automatico di un riflusso
della criminalità di strada. Per di più, il commercio di massa
del crack nei quartieri diseredati si è strutturato e stabilizzato.
I consumatori si sono orientati verso altri stupefacenti (marijuana, eroina
o anfetaminici) il cui traffico genera meno violenze, poiché non
si svolge tanto per scambi anonimi nei luoghi pubblici quanto attraverso
reti di rapporti interpersonali (10).
Al di là di queste tre cause economiche e demografiche, c'è
da considerare il fatto che i giovani nati dopo il 1975 hanno fruito di
un "effetto di apprendimento", grazie al quale hanno spesso voltato
le spalle alle droghe dure e allo stile di vita legato ad esse, rifiutando
di soccombere alla macabra sorte dei loro fratelli maggiori, cugini o amici:
tossicodipendenza incontrollabile, criminalizzazione, carcere, morte prematura
e spesso violenta. Inoltre, numerose chiese, scuole, associazioni varie,
club di quartiere, collettivi costituiti da madri di giovani vittime della
violenza di strada si sono mobilitati nelle zone più colpite, dando
vita ovunque possibile a una forma di controllo sociale informale. Le campagne
di sensibilizzazione e di prevenzione portate avanti da questi gruppi hanno
accompagnato e rafforzato la tendenza, che già si stava facendo strada
nei giovani, ad allontanarsi dall'economia predatoria di strada. Questa
dimensione è totalmente occultata nel discorso dominante sul calo
della criminalità negli Stati uniti. Infine, i tassi di violenza
criminale raggiunti negli Stati uniti nei primi anni '90 erano talmente
anomali da comportare una naturale tendenza al calo, tanto più che
la coincidenza dei fattori all'origine di quella straordinaria impennata
(tra cui ad esempio l'esplosione iniziale del traffico di crack) non poteva
avere carattere permanente.
La convergenza di questi sei fattori basta ampiamente a spiegare il riflusso
della criminalità violenta negli Stati uniti. Ma i tempi lunghi e
lenti dell'analisi scientifica non sono quelli frenetici della politica
e dei media. La macchina propagandistica di Rudolph Giuliani ha saputo trarre
partito da questo naturale ritardo dell'investigazione criminologica, colmando
il vuoto di spiegazioni con il suo discorso prefabbricato sull'efficienza
della repressione poliziesca. Un discorso seducente, tutto imperniato sulla
"responsabilità", che fa eco alla tematica individualista
e utilitaristica portata avanti dall'ideologia neoliberista dominante. Ma
ammettiamo, a fini dimostrativi, che la polizia abbia effettivamente avuto
un impatto notevole sulla criminalità a New York. Resta allora da
vedere come avrebbe prodotto questo risultato.
- "Riparare i vetri rotti"
Secondo la mitologia planetaria diffusa dai think tank neoliberisti e dai
loro megafoni, mediatici o politici, la polizia newyorkese avrebbe abbattuto
l'idra criminale applicando una politica particolare, denominata "tolleranza
zero", volta a perseguire senza tregua le più minute infrazioni
sulla pubblica via. Dal 1993, chiunque venga sorpreso in città nell'atto
di mendicare o di vaneggiare, di ascoltare l'autoradio a tutto volume o
di istoriare i muri con scritte e disegni vari deve essere immediatamente
arrestato e chiuso in cella: "Basta con i semplici controlli al commissariato.
Chi urina per strada va in galera. Siamo decisi a riparare i "vetri
rotti" [cioè i minimi segni esteriori di disordine], e a impedire
a chicchessia di spaccarli di nuovo". Questa strategia, secondo le
affermazioni del suo capofila, William Bratton, "in America funziona",
e funzionerebbe altrettanto bene "in qualunque città del mondo
(11)".
Dietro la "tolleranza zero", la riorganizzazione burocratica
Lo slogan poliziesco della "tolleranza zero" ha fatto il
giro del mondo; ma di fatto, è una nozione-schermo che nasconde,
per il fatto stesso di amalgamarle, quattro trasformazioni concorrenti
ma distinte del mantenimento dell'ordine pubblico. Innanzitutto, la polizia
di New York si è impegnata in una vasta ristrutturazione burocratica:
decentramento dei servizi, livellamento dei gradi gerarchici, ringiovanimento
dei quadri, indicizzazione delle remunerazioni e delle promozioni dei
commissari di quartiere in base alla "produzione". I mezzi di
cui dispone sono stati decuplicati: gli effettivi in servizio di polizia
sono passati in meno di un decennio da 27.000 (nel 1993) a 41.000 il che
ha comportato un'impennata dei costi, compensata dalla contemporanea riduzione
della spesa per i servizi sociali.
La polizia ha altresì intrapreso il dispiegamento di nuove tecnologie
informatiche, tra cui il sistema Compstat, che consente di seguire in
tempo reale gli sviluppi delle attività criminose per coordinare
gli interventi immediati degli agenti nei settori interessati. Infine,
ha riveduto il complesso delle procedure dei servizi in base agli schemi
forniti dai consulenti in "ingegneria aziendale", e avviato
azioni mirate contro il porto d'armi, il traffico di stupefacenti, la
violenza coniugale, le infrazioni stradali e così via. Nel complesso,
una burocrazia considerata passiva e corrotta, da tempo abituata ad aspettare
semplicemente le denunce delle vittime dei crimini, accontentandosi poi
di registrarle, si è trasformata in una vera e propria "azienda"
preposta alla "sicurezza", zelante e dotata di mezzi colossali
in termini materiali e umani, caratterizzata da un atteggiamento aggressivo.
Se questa mutazione burocratica ha avuto un notevole impatto sulla criminalità
- cosa che nessuno ha comunque dimostrato - non si tratta comunque di
un impatto dovuto alla tattica adottata dalla polizia.
- Dai ladri di polli alle rapine a mano armata
L'ultimo mito planetario venuto dall'America in materia di sicurezza è
l'idea secondo la quale la politica della "tolleranza zero", cui
si ascrive il successo della polizia di New York, si fondi su una teoria
criminologica scientificamente convalidata: la famosa "teoria del vetro
spaccato". Secondo questa tesi, la repressione immediata e severa di
ogni minima infrazione sulla pubblica via serve a creare un argine contro
i reati più gravi e a ristabilire un sano clima di ordine. In altri
termini, arrestando i ladri di polli si bloccherebbero le rapine a mano
armata. Ora, questa sedicente teoria è tutt'altro che scientifica,
poiché è stata formulata una ventina d'anni fa da due politologi
ultraconservatori, James Q. Wilson e George Kelling, sotto forma di un testo
di nove pagine pubblicato non già sulle colonne di una rivista di
crimininologia, sottoposta alla valutazione di ricercatori competenti, bensì
su quelle di un settimanale culturale di vasta tiratura. E da allora, neppure
l'ombra di una prova empirica è venuta a suffragare questa tesi.
Per corroborarla, i suoi sostenitori citano regolarmente un'opera del politologo
Wesley Skogan, Disorder and Decline, pubblicata nel 1990, che analizza
le cause e i rimedi della disgregazione sociale in 40 quartieri di sei metropoli
americane. Ma questo libro dimostra di fatto che le cause principali degli
alti livelli di criminalità urbana sono l'indigenza e la segregazione
razziale, e non il clima di "disordine urbano". Peraltro, le sue
conclusioni statistiche sono state invalidate per il gran numero di calcoli
errati e per i dati mancanti. Infine, lo stesso autore attribuisce al famoso
"vetro spaccato" la valenza di una semplice "metafora"
(12).
Dal "vetro spaccato" alle "palle spaccate"
Ma c'è un aspetto ancora più strano: per ammissione dei suoi
stessi inventori, l'adozione di vessazioni poliziesche permanenti nei confronti
nei poveri di New York è priva di ogni collegamento con qualsivoglia
teoria criminologica. I responsabili pubblici di New York hanno scoperto
e invocato il famoso "vetro spaccato" solo a posteriori, per rivestire
di una parvenza razionale misure che di fatto sono popolari tra l'elettorato
(in maggioranza bianco e borghese), ma discriminatorie nei principi come
nell'applicazione. In questo modo si fa passare per innovazione la pura
e semplice riesumazione di una vecchia ricetta poliziesca.
Peraltro Jackie Maple, definito da Rudolph Giuliani "un genio nella
lotta anticrimine", che aveva inaugurato questa politica nella metropolitana
prima di estenderla all'intero tessuto urbano, lo dice senza mezzi termini
nella sua autobiografia dal titolo Crime Fighter, pubblicata nel
1999: "La "teoria del vetro spaccato" è solo un'estensione
di quella che chiamiamo abitualmente "teoria spaccapalle""
(breaking balls theory). Una teoria che ha la sua origine nell'ordinaria
saggezza dei poliziotti. Tutti sanno che quando un delinquente noto per
i suoi reati minori viene tartassato e preso di mira con insistenza, finisce
per stancarsi e se ne va a far danni da qualche altra parte.
L'esecutore in capo della politica repressiva di Rudolph Giuliani non esita
a ironizzare apertamente su chi crede nell'esistenza di un "legame
mistico tra i reati minori contro l'ordine pubblico e i crimini più
gravi". Considera "patetica" l'idea che la polizia possa
far regredire la criminalità violenta perseguendo gli atti di inciviltà,
e a dimostrazione del contrario cita un gran numero di esempi tratti dalla
sua esperienza professionale. A suo parere, adottare una tattica del genere
è un po' come "proporre un lifting a un malato di cancro"
o a "dare la caccia ai delfini anziché ai pescecani".
Jack Maple sarebbe indubbiamente sorpreso di leggere la "Scheda n°
31" redatta dagli "esperti" francesi dell'Institut de
Hautes Etudes de la Sécurité Intérieure (Ihesi),
l'organismo di "ricerca" del ministero dell'Interno. In questo
documento, destinato a guidare i sindaci francesi nella stesura di "contratti
locali di sicurezza", si afferma tra l'altro: "Secondo quanto
hanno dimostrato ricerche americane, la proliferazione degli atti di inciviltà
è solo un segno premonitore di una crescita generalizzata della delinquenza.
Se i primi comportamenti devianti, anche di entità minima, arrivano
a generalizzarsi, caratterizzando un quartiere e facendone un polo d'attrazione
per altre devianze, è la fine della pace sociale nella vita quotidiana.
Si avvia la spirale del declino, si instaura la violenza, e con essa tutte
forme di delinquenza: aggressioni, furti, traffico di stupefacenti e così
via (Cfr. J. Wilson e T. [sic] Kelling, "la teoria del vetro spaccato").
Il capo della polizia di New York si è basato sui risultati di queste
ricerche per mettere a punto una strategia di lotta denominata "tolleranza
zero" contro i fautori di atti di inciviltà, che sembra aver
costituito uno dei fattori della fortissima riduzione della criminalità
in quella città" (13).
Si fa fatica a reprimere un senso di incredulità davanti a quest'ondata
di bestialità transatlantiche. Di fatto, la tattica della vessazione
poliziesca dei poveri avviata a New York altro non è che l'applicazione
intenzionale e puntuale delle "teorie" indigene basate sul buon
senso spicciolo dei poliziotti. Un buon senso che però, in questa
materia, non ha molto senso.
Una valutazione rigorosa, condotta dai due migliori esperti americani, sul
complesso delle ricerche scientifiche destinate a valutare l'efficienza
della polizia in materia di lotta anticrimine ha portato alla conclusione
che né il numero degli agenti impegnati nella battaglia, né
i cambiamenti interni delle forze dell'ordine sul piano organizzativo e
culturale (tra cui l'introduzione della cosiddetta polizia di quartiere
o di prossimità) e neppure le strategie mirate su singoli siti o
gruppi a forte propensione criminosa (con l'«eccezione possibile e
parziale» delle azioni specifiche contro il traffico di stupefacenti
per strada) hanno avuto di per sé un impatto sull'evoluzione dei
reati. Oltre tutto - ironia finale - gli autori considerano il dispositivo
"Compstat" e la "tolleranza zero" come "le spiegazioni
meno plausibili del calo della criminalità violenta" in America
(14)...
Questi quattro "miti sapienti" d'oltre Atlantico si incastonano
uno nell'altro un po' come le bambole russe, in modo da formare una concatenazione
di apparenza sillogistica, che consente di giustificare l'adozione di una
politica di "pulizia classista". Politica fondamentalmente discriminatoria,
in quanto stabilisce di fatto un'equivalenza tra l'agire fuori dalla norma
e l'essere fuori legge, e prende di mira quartieri e popolazioni sospettate
in maniera preconcetta, se non addirittura considerate colpevoli per principio.
Se fosse vero che la società statunitense è stata pacificata
dall'azione della polizia - proprio nel momento in cui altri stati subiscono
un'ondata di criminalità - grazie alla sua politica di "tolleranza
zero", basata su una solida teoria criminologica (il "vetro spaccato"),
come non affrettarsi ad applicare queste nozioni apparentemente così
ben fondate? In realtà, le quattro proposte chiave della nuova vulgata
della sicurezza made in Usa sono sprovviste di qualsiasi validità
scientifica, e la loro efficacia pratica è un mito collettivo che non
ha fondamento nella realtà. Ma il loro assemblaggio serve da rampa
di lancio planetaria a una frode intellettuale che avalla lo sfrenato attivismo
dei servizi di polizia, contribuendo così a legittimare la gestione
penale dell'insicurezza sociale, generata ovunque dal disimpegno economico
e sociale dello stato.
Fonte: Le monde diplomatique, maggio 2002. Traduzione di E. H.
Note:
(1) Si veda Loïc Wacquant, Les Prisons de la misère,
Raisons d'agir, Parigi, 1999.
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(2) Leggere Annie Collovald, Violence et délinquance
dans la presse: politisation d'un malaise social et technicisation de son
traitement, Editions de la DIV, Parigi, 2000, e Serge Halimi, "L'insécurité
des média", in Gilles Sainati e Laurent Bonelli (a cura di), La
Machine à punir, Dagorno, Parigi, 2001.
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(3) Vedere Actes de la recherche en sciences sociales,
n. 138 e 139, giugno e settembre 2001, dedicati a "L'exception américaine".
Leggere inoltre "L'Amérique dans les têtes", Manière
de voir, n° 53.
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(4) Si legga Loïc Wacquant, "Tolleranza
zero, il credo si diffonde", Le Monde diplomatique/il manifesto,
aprile 1999.
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(5) Le Figaro, 18 giugno 2001. "Etude", ripreso da
France Inter. Si legga inoltre Laurent Bonelli, "La paura, lucrosa rendita
della politica", Le Monde diplomatique/il manifesto, febbraio 2001.
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(6) L'International Crime Victimization Survey è
un'inchiesta basata su questionari, che dal 1989 viene condotta ogni anno
presso le famiglie sotto l'egida del Ministero della Giustizia olandese, mediante
il raffronto del numero delle vittime di azioni criminose nei principali paesi
avanzati.
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(7) Laurent Mucchielli, Violences et insécurités.
Fantasmes et réalités dans le débat français,
La Découverte, Parigi, 2001, p. 67.
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(8) Geoge L. Kelling e William H. Souza, Does Police Matter?
An Analysis of the Impact of NYC's Police Reforms, New York, Manhattan
Institute, Civic Report N° 22, dicembre 2001.
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(9) Jeffrey Fagan, Franklin Zimring e June Kim, "Declining
Homicide in New York City: A Tale of Two Trends", Journal of Criminal
Law and Criminology, 88-4, estate 1998, pp. 1277-1324.
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(10) Sul funzionamento quotidiano del traffico del crack
a East Harlem, si legga Philippe Bourgeois, En quête de respect.
Le commerce du crack a New York, Editions du Seuil, Parigi, 2001.
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(11) William W. Bratton con Peter Knobler, Turnaround:
How America's Top Cop Reversed the Crime Epidemic, New York, Random House,
1998, pp. 229 e 309.
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(12) Cfr. Loïc Wacquant, "Désordre dans
la ville", Actes de la recherche en sciences sociales, 99, settembre
1993, e Bernard Harcourt, "A Critique of the Social Influence Conception
of Deterrence, the Broken Windows Theory, and Order Maintenance Policing New
York-Style", Michigan Law Review, 97-2, novembre 1998, pp. 291-
389.
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(13) Istitut de hautes études de la sécurité
intérieure, Guide pratique pour les contrats locaux de sécurité,
La documentation française, Parigi, 1997, pp. 133- 134.
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su
(14) John E. Eck e Edward R. Maguire, "Have Changes in
Policing Reduced Violent Crime?", in Blumstein, The Crime Drop in
America, Cambridge University Press, New York, 2000.
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