Il frutto velenoso dell'occupazione
di DANIEL AMIT, da il manifesto 5 aprile 2002
Strumentalizzando l'autorevolezza di un passato di condivisione politica con le migliori anime della sinistra italiana, dalla militanza in Lotta Continua fino ad oggi, Gad Lerner sta dando lezioni di coraggio e di onestà intellettuale alla direzione e ai lettori del manifesto, e ancora più significativo, ai volontari italiani (e suppongo anche israeliani) che cercano di interporsi tra i carri armati israeliani e la società civile palestinese (scuole, ospedali, Ong) mentre è sotto un attacco senza quartiere. E' curioso che un protagonista mediatico di questa statura si appelli a centinaia di parole di autocertificazione: famiglia, storia politica, religione, amicizie. I punti principali del suo ragionamento sono tre. E' erroneo e fuorviante non essere equidistanti tra i palestinesi e lo stato di Israele; tra gli attacchi terroristici suicidi e la risposta di guerra israeliana. Il vero pericolo viene dal terrorismo suicida dei palestinesi. Ogni deviazione da questa linea non è che espressione di un antisemitismo aperto o latente ("per far male agli ebrei"), imputato anche al Vaticano.E' difficile per me, israeliano, condurre un tale dibattito in un contesto puramente italiano, in cui l'autorevolezza di un passato politico porta un peso storico-morale è palese e schiacciante. Forse potrebbe dimostrarsi utile riportare e ascoltare anche altre voci israeliane. Ieri è apparso in Israele l'appello, promulgato dall'ex avvocato del consiglio dei ministri dello stato Ben Yair e firmato da industriali, accademici e professionisti, che dice: "Esprimiamo la profonda convinzione che la pace con i palestinesi sia possibile e che questa guerra sia vana, e chiediamo al governo israeliano di fermare la guerra; di ritirarsi immediatamente dalle città palestinesi e dai campi profughi; di iniziare lo smantellamento delle colonie e il ritiro dai territori occupati con l'obiettivo di tornare alle frontiere del `67; di accettare l'iniziativa saudita e di aprire i negoziati di pace partendo dai suoi principi. Ci appelliamo alla comunità internazionale perché mandi una forza di interposizione che fermi lo spargimento di sangue e che promuova un'accordo di pace basato sull'iniziativa saudita". In questo disperato appello non si fa nessun riferimento al terrorismo suicida, nessuno. Ma si chiede con forza l'interposizione internazionale.
L'altro ieri è stata promulgata una nuova dichiarazione dei "Combattenti che dicono no a Sharon" (www.seruv.org): "Il governo di Israele ha compiuto un altro passo distruttivo le cui dimensioni e implicazioni sono imprevedibili. Questa è una guerra falsa di una leadership che preferisce ficcare la testa nella sabbia e trascinare lo Tzahal nel fango dei territori. Questa guerra porterà perdite non necessarie della vita di soldati e di civili. La guerra non farà altro che amplificare gli attacchi crudeli al nostro interno. Noi, circa 400 firmatari della lettera degli ufficiali e combattenti, continueremo a eseguire ogni ordine che serva lo stato di Israele e che difenda le sue frontiere. La mobilitazione per la riconquista dei territori non serve a questo obiettivo, noi non parteciperemo".
La guerra si sta rivelando un disastro. Questi riservisti (combattenti, come si definiscono loro stessi) non sono stati avvelenati dal manifesto, non sono cresciuti nel grembo della sinistra israeliana, e neanche loro fanno riferimento al terrorismo palestinese, suicida o no, né c'è richiamo all'equidistanza, o a una reciprocità palestinese. Hanno partecipato, hanno visto, e hanno detto basta, non ne possono più. Perché, come dicono nel loro manifesto: "questa guerra è per la pace delle colonie, per dominare, espellere, affamare e umiliare un intero popolo".
E' inamissibile che Lerner scriva: "Non a caso l'irriducibiltà del terrorismo suicida ha pressoché estinto il fenomeno dell'obiezione di coscienza fra i riservisti di Tsahal". Un errore curioso da parte di un giornalista come Lerner, in grado di controllare i fatti su internet. Nonostante gli attacchi orrendi della pasqua, il numero dei firmatari di Seruv è cresciuto del 20%, ed è passato da 342, e sono 395 in questo momento. Solo oggi sono giunti 7 nomi nuovi. Il numero di obiettori in prigione è raddoppiato ed è molto al di sopra di ogni periodo precedente.
Il portavoce del moderato Peace Now (Moria Shlomot) dichiara: "La sicurezza di Israele non può essere raggiunta senza frontiere. Le frontiere non si possono stabilire mentre l'occupazione è in atto. L'occupazione continuerà fin quando rimarranno le colonie. La reazione del governo ... che spinge verso una guerra totale, è vigliacca e porta alla bancarotta. Una maggioranza crescente degli israeliani pretende lo smantellamento delle colonie, la fine dell'occupazione e la creazione di una frontiera". Guarda caso, nessun riferimento al terrorismo palestinese, nessuna equidistanza.
Noi israeliani sappiamo che il problema di fondo non è il terrorismo palestinese. E' l'occupazione militare, la negazione di tutti diritti e in contravvenzione di tutte le convenzioni internazionali e di tutte le risoluzioni dell'Onu, e l'esproprio legato alla costruzione e all'espansione delle colonie. Non come dice Lerner, "dal 1993", ma dal 1967. E' imperdonabilmente miope attribuire a una strategia palestinese il terrorismo. Il terrorismo è una via senza uscita, e lo sanno i palestinesi ben prima di noi. Anzi, lo considerano un pericolo mortale per la loro società futura, post-occupazione. Il terrorismo serve come pretesto a Sharon, che non ha alcuna politica alternativa alla guerra, a Bush per distruggere l'Afghanistan, e forse a qualcuno in Italia.
Non dimentichiamo che il terrorismo suicida non esisteva affatto fin a sei-sette anni fa, ma l'occupazione invece sì. Non riusciamo a non leggerlo come il frutto partorito dall'occupazione. Muoiono persone innocenti da entrambi le parti, ma nessun governo israeliano a tutt'oggi ha avuto il coraggio e la saggezza di proporre che noi israeliani restituiremo i territori occupati nel `67 ai palestinesi, poiché è nel nostro interesse ridurre le motivazioni che portano alla violenza con una progressiva risoluzione del conflitto sulla base delle risoluzioni Onu (242,338), con una risoluzione equa e praticabile del problema dei rifugiati.
E' perciò che quando un israeliano con gli occhi aperti si trova di fronte ad un atto di terrorismo orrendo, risponde come Nurit Peled (la figlia del generale Matti Peled), la cui figlia prediletta è stata uccisa in un esplosione al centro di Gerusalemme: alla telefonata di condoglianze dell'allora primo ministro Netanyahu, ha risposto senza pensarci due volte: la colpa è tua.
Tanti di noi, israeliani e palestinesi, guardano gli interventi volontari di separazione, interposizione, umanizzazione che stanno crescendo dal basso in alto, con ammirazione e profonda gratitudine. E' uno dei pochi barlumi di luce (che vede in testa l'Italia e Luisa Morgantini) che pone la società civile in opposizione alla distruzione totale del controllo dei conflitti, subita dalle organizzazioni internazionali da parte degli Usa, con l'aiuto benevolo della crema del giornalismo occidentale.