Avvenire - Martedi 31 Ottobre 2000

Lucio Russo: penalizzate le competenze di docenti e studenti. Strumenti privilegiati sui contenuti
«Un cambiamento che punta al basso»

di Enrico Lenzi


Milano. «Una riforma figlia di una società che abdica alla sua capacità di creare eccellenza». Non ha dubbi Lucio Russo, ordinario all'Università «Tor Vergata» di Roma, e tra i componenti della «commissione non ministeriale» sui nuovi cicli promossa dalla fondazione «Nova spes». Questa riforma «punta ad un abbassamento delle competenze sia dei docenti sia degli studenti». Senza dimenticare che si è «preferito partire dallo strumento piuttosto che dagli obiettivi».

Un giudizio duro. Su quali elementi si basa la sua analisi?
«Prenda il campo dell'alta tecnologia, i particolare quella informatica. Ormai nel nostro Paese si produce poco o nulla di informatico, mentre si importa molto dall'estero. E così lo stesso mondo delle imprese non richiede a quello della scuola ragazzi dal grande ingegno per creare tecnologia in casa, ma buoni consumatori o venditori di un prodotto fatto da altri. E il discorso si può allargare ad altri settori».

Ma cosa la preoccupa di più della riforma dei cicli?
«È l'atteggiamento con il quale si è affrontata tutta la questione. Prima bisogna discutere i contenuti e poi l'architettura della scuola che deve insegnarli. E poi mi pare che vi sia una spinta a rinviare gli studi seri a livelli sempre più alti, allungando i tempi della scolarizzazione».

Insomma sempre più addestramento e meno educazione?
«Brutalizzando il discorso si potrebbe proprio dare questa definizione. È un po' l'atteggiamento che ha dominato la scuola americana, anche se adesso proprio negli Stati Uniti quel modo di procedere è messo in discussione. Inoltre a noi mancano flussi migratori di ingegno nei nostri centri di eccellenza. Fenomeno invece presente negli Stati Uniti. Ma è il clima generale di queste riforme a preoccupare»

A cosa si riferisce in particolare?
«Al restringimento dei tempi concessi alla formazione, che costringe a comprimere lo spazio per le materie propedeutiche, lasciando spazio a quelle più professionalizzanti».

Eppure i promotori della riforma evidenziano l'attenzione all'orientamento.
«È vero, c'è l'orientamento, ma nello stesso tempo si elimina, o si comprime, la scuola che fornisce una base culturale polivalente. Anzi si anticipano anche in questo caso i tempi della scelta, senza fornire strumenti validi».

Tante critiche alle riforme. Ma allora ritiene che la scuola italiana non abbia bisogno di cambiamenti?
«Certo che la scuola italiana ha bisogno di essere riformata e la commissione non ministeriale che abbiamo creato vuole offrire proprio un modello di riforma. Bisogna, però, partire da una scuola che fornisca una conoscenza di base comune».

E così torniamo a parlare dei contenuti. Perché secondo lei bisogna partire da questi nel processo di riforma?
«Perchè soltanto stabilendo i fini della scuola si può poi dare vita ad una scuola che sia utile alle nuove generazioni. Invece si continua a procedere al contrario»

Per esempio?
«Prenda lo studio della storia. Si è voluto dare più spazio al '900. Niente di male, ma il vero obiettivo non è stato quello di fornire maggiori conoscenze su questo periodo storico ai giovani, bensì quello di dimezzare lo spazio per la storia antica. E tutto questo a scapito della formazione culturale dei ragazzi»

Dunque avremo in futuro buoni tecnici, ma con scarsa cultura di base?
«Purtroppo temo che non avremo neppure buoni tecnici. Manca il tempo per prepararli».

Un fallimento totale?
«Lo ripeto, la nostra scuola sembra più orientata a formare degli utenti, dei consumatori, piuttosto che dei progettisti».

Un progetto, per lei, condiviso dai riformatori, o un rischio non calcolato?
«Credo che ci troviamo davanti ad un mix di responsabilità. Ma da qualunque punto si parta, purtroppo il risultato è identico e negativo».

 

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