Aldo Capitini, filosofo e fondatore della Marcia per la Pace Perugia-Assisi, su cui tanto si è discusso recentemente, in un libro del 1955 (Religione aperta) discute le ragioni della nonviolenza. Abbiamo pensato di riproporre alcuni brani del libro, senza pretendere di essere esaurienti nel presentare il suo pensiero, ma sperando di non tradirne lo spirito e di fornire un contributo per la discussione attuale sulla guerra (guerre chirurgiche, azioni di polizia internazionale o altro). Una precisazione è doverosa: la religione di cui parla Capitini non è una delle religioni istituzionali, ma "semplicemente un insieme di pensiero e di azione, di princìpi e di atti [...] allo scopo di preparare e formare in noi l'apertura religiosa. Ma ciò che conta non è di avere sempre la religione, ma che venga una realtà liberata che comprenda tutti [...]"
Alcuni brani tratti da Aldo Capitini - Religione aperta - Neri Pozza editore, 1964La nonviolenza (pag. 141)
La nonviolenza non è cosa negativa, come parrebbe dal nome, ma è attenzione e affetto per ogni singolo essere proprio nel suo essere lui e non un altro, per la sua esistenza, libertà, sviluppo. La nonviolenza non può accettare la realtà come si realizza ora, attraverso potenza e violenza e distruzione dei singoli, e perciò non è per la conservazione, ma per la trasformazione; ed è attivissima, interviene in mille modi, facendo come le bestie piccole che si moltiplicano in tanti e tanti figli. Nella società la nonviolenza suscita solidarietà viva e dal basso. Anche verso gli esseri non umani la nonviolenza ha un grande valore, appunto come ampliamento di amore e di collaborazione. Non bisogna impantanarsi nei casi e nelle ipotesi in cui sia lecita o no la violenza; anzitutto c'è una minaccia di violenza che investirebbe tutti, la guerra, ed è contro di essa che bisogna scegliere l'atteggiamento più religioso; e poi nei casi individuali è da tener presente che la nonviolenza è creazione, è un valore, e che può essere sempre svolta meglio. La nonviolenza ha diritto al suo posto in mezzo alle rivoluzioni, e aggiunge princìpi preziosi nell'educazione.La nonviolenza è amore (pagg. 143-144)
[...] Della nonviolenza si può dare una definizione molto semplice: essa è la scelta di un modo di pensare e di agire che non sia oppressione o distruzione di qualsiasi essere vivente, e particolarmente di esseri umani. [...] è l'amore che non si ferma a due, tre esseri, dieci, mille (i propri genitori, i figli, il cane di casa, i concittadini, ecc.); è amore aperto, cioè pronto ad amare altri e nuovi esseri già conosciuti. [...] E' da notare che l'iniziativa della nonviolenza non è affare individuale, privato, come se uno non volesse sporcarsi con il sangue altrui. Anche così sarebbe da rispettare [...] Ma oggi la cosa è più larga e coinvolge tutti: chi sceglie la nonviolenza parla col suo atto a tutti: segnala una via per tutti, e rompe l'indifferenza o l'incantamento mentre si prepara un'altra guerra. E poi la nonviolenza , quando è professata sul serio ed eventualmente con sacrificio, è un valore [...]La nonviolenza non per la conservazione, ma per la trasformazione (pagg. 145-147)
E' [...] un errore credere che la nonviolenza si collochi nel mondo lasciandolo com'è: più si pensa alla nonviolenza e si cerca di attuarla, più si vede che essa ha un dinamismo tale che non può accettare il mondo com'è, ma porta tutto verso una trasformazione: l'umanità, la società, la realtà. Come strumento di conservazione del mondo, la nonviolenza è discutibile; come strumento di trasformazione in meglio, essa ha un valore inesauribile, appunto perché non fa modificazioni e spostamenti in superficie, ma va nel profondo, al punto centrale.
E un altro e simile errore è credere che la nonviolenza sia contro le violenze attuali, ma accetti quelle passate, dell'umanità, della società, della realtà. Se fosse così, la nonviolenza sarebbe conservatrice e accetterebbe il fatto compiuto, le prepotenze avvenute, le monarchie, gli sfruttamenti. La vera nonviolenza non accetta nemmeno le violenze passate, e perciò non approva l'umanità, la società, la realtà, come sono ora. Non accetta la realtà dove l'animale grande mangia l'animale piccolo; [...] non accetta la fortuna dei forti e dei potenti, e perciò tende a soccorrere i deboli, gli stroncati; non accetta il potere e la ricchezza privata, e perciò tende a costituire forme di federalismo nonviolento dal basso e forme di aiuto e reciprocità sociale e fruizione comune di beni sempre più larghe.
Perciò essa tende a ridurre ed eliminare gli schemi generici e impersonali. [...] La guerra invece è il mostro più immane di questo uso di schemi, che divora le singole individualità: non ci sono che i nostri e i nemici; è perciò sommamente diseducatrice.
[...] la nonviolenza non può mettersi nel mondo così com'è, e lasciarlo tale e quale; la nonviolenza è lotta (contro se stessi, le proprie tendenze, i propri sogni di quiete), è dramma tormentoso, è spinta a scegliere ciò a cui uno tiene di più, a fare una prospettiva;
[...] Ora, in una società se io sto inerte, sono colpevole. Ma se io, pur essendo per la nonviolenza, sono attivissimo, e con quella scelta e quella fede, la vivo e la concreto e la diffondo con il mio costume, sono a posto con la societàTrionfano i cattivi? (pag. 148)
Ci siamo così preparati per affrontare una delle obbiezioni più insistenti: se usiamo la nonviolenza, trionfano i cattivi. Rispondiamo che, anzitutto, l'uso della violenza non ci dà sufficiente garanzia che trionfino i buoni, [...] Se per tenere testa ai cattivi, bisogna prendere tanti dei loro modi, all'ultimo realmente è la cattiveria che vince [...] alla fine scompare la differenza tra noi e loro, e c'è bisogno che sorga una differenza netta tra chi usa le armi potenti, e chi usa altri modi, con fede che essi trasformino il mondo
[...] Ciò che stupisce è che credenti in Dio, e perfino i cristiani, usino le armi e uccidano i propri simili [...]Le ragioni della nonviolenza (pagg. 149-151)
Il nostro punto di vista è tuttavia diverso da quello di chi è per la nonviolenza per la ragione che Dio glielo comanda [...] Noi siamo risaliti dal precetto di "non uccidere" così dentro alla realtà stessa di Dio, come Uno aperto a Tutti, che abbiamo visto convertirsi il comando in un atto di realizzazione di una realtà; altri tra di noi sono arrivati al "non uccidere" per l'interesse e l'affetto alle singole persone, elevato ad atto universale, per tutti; ed altri, avendo visto a che cosa si arriva una volta ammesso di usare la violenza: tra i danni dell'una e i danni dell'altra, quelli della nonviolenza portano, almeno un'educazione e una trasformazione dell'uomo.
[...] Là dove la nonviolenza interviene è nel primato da dare; il mondialismo dice: facciamo un'assemblea mondiale ed un governo, e un codice, e una polizia mondiale; la nonviolenza dice: persuadiamoci della interna ragione dell'unità umana attraverso l'impegno nonviolento, poi vedremo le forme sociali che ne conseguono. Il mondialismo sembra più concreto, ma corre il rischio di mantenere la violenza e di appoggiarsi ad un impero vincente, e tutto resta quasi come prima; diminuirà qualche guerra, perché il diritto di farla rimane al centro dell'impero, ma è grave l'inconveniente che se questo governo mondiale fa ingiustizia, non c'è scampo
[...] La nonviolenza, per quello che vede finora, considera ogni rapporto non in senso di autorità, potere, repressione, ma in senso federativo, orizzontale, aperto.Nonviolenza e società (pagg. 152-153)
[...] la nonviolenza tende anche a trasformare le strutture delle comunità, e stabilire rapporti diversi da quelli repressivi. Tuttavia si può osservare che l'azione dell'organo di polizia in una comunità è lontana da quegli eccessi di distruzione e di eccitazione psichica e di impersonalità che ci sono per gli eserciti e la guerra: quell'azione è circoscritta, diretta specificamente contro chi porta violenza e con lo scopo più di distogliere dalla tentazione che altro. Naturalmente il nonviolento tende ad altro, e a smobilitare polizie e prigioni, ed ha ragione che questo sia possibile, perché crede alla superabilità del male e dell'attuabilità di migliori rapporti umani; e per intanto compie un'opera instancabile perché la repressione sia umana e non torturatrice, educatrice e non vendicatrice, ma cooperante al bene anche del criminale stesso [...]Casi, ipotesi (pagg. 154-155)
[...] non c'è da stupirsi se la violenza si moltiplica, quando i governi la insegnano negli eserciti e nelle guerre (dicendo che alcune volte è lecito usarla) , e la praticano nelle condanne a morte. [...]
[...] Viene talvolta obbiettato che è bene arrestare il violento con altrettanta violenza, proprio per il suo bene, per amore di lui, perché conosca ciò che è giusto, e trovi, fuori di sé, un aiuto di forza per costringere la propria bestialità e cattiveria. Rispondiamo che se fosse sempre così, sarebbe realmente già miglior cosa della violenza che trascura la situazione della persona che la riceve. Tuttavia è da notare che l'efficacia di un tal metodo per migliorare gli altri è ben discutibile, e nella realtà il violento si vede vinto da una violenza maggiore, e non impara a trasferirsi su un altro piano. Anzi vede che non c'è che il piano della forza, e che vince chi ne ha di più [...]L'educazione alla nonviolenza (pag. 161)
[...] facendo partecipare i singoli, fanciulli ed uomini, alla istruzione, all'esercizio e al controllo della vita pubblica, alla produzione ed alla distribuzione, si tende ad eliminare i modi coercitivi, autoritari, le chiusure nazionalistiche, razziali, gli abusi burocratici, le prepotenze del potere e lo sfruttamento, tutte cose che sono, esplicitamente o implicitamente, violenza; la sostituzione di un imparare facendo e in libera ricerca, nell'apprendere passivo di schemi fissi, tende a svegliare e incoraggiare le capacità creatrici, ad offrire il mezzo di affermarsi normalmente, e quindi di eliminare quella certa violenza che sarebbe sia nell'imposizione da parte dell'educatore, sia nella reazione da parte dell'educando. L'educazione alla sincerità e alla libera discussione, al rispetto delle minoranze, dei refrattari, degli eretici, l'attenzione a chi è fuori del gruppo [...]