Riflessioni sulla pace
Di Ornella Caslini, terapeuta di analisi transizionale, ottobre 2001


La pace è la fatica di non fare la guerra. Dentro di noi c'è la guerra: c'è un bambino egocentrico, sordo alle ragioni degli altri, che vuole la piena soddisfazione dei suoi bisogni, che non vuole limiti alla sua libertà, che non cede i suoi giocattoli, che pesta i piedi e cerca di sottomettere chi gli sta accanto.
Poi c'è il nostro genitore interno che giudica il bambino, gli vieta di fare tutto questo e gli impone le sue regole.
Da qui nascono le paure, l'angoscia di non esserci o di non essere importante, che è lo stesso. è per tenere a bada questa angoscia che spostiamo il giudizio sugli altri; questo ci rassicura: l'esito di una guerra interna si muta nella nostra personale guerra contro la realtà esterna.
Come si esce da questo meccanismo di conflitto costante? Con pazienza, ascoltando le ragioni del bambino e del genitore che sono i noi, mediando tra i tanti voglio e i tanti devo, confrontandoci con gli altri, osservandoli, riconoscendo in loro lo stesso conflitto, le stesse paure.
È attraverso questo faticoso percorso che chiamerei disciplina , che arriviamo a definire i posso cioè l'incontro-scontro tra i devo e i voglio, lo spazio della nostra libertà.
Ho letto in un articolo che: gli americani hanno diritto alla loro reazione... Niente di più falso.
Le reazioni sono dei bambini, possono essere comprese, ma non sono un diritto; per diventare tale devono essere trasformate in azioni . Le reazioni non sono libere ma obbligate e automatiche, le azioni lo sono perché guidate da una scelta adulta.
Naturalmente le prime sono più facili e prevedibili mentre per le seconde è indispensabile l'esercizio della ragione.
È questo esercizio che, nel corso dei secoli, ha contraddistinto le conquiste sociali della nostra cultura e società portando alla costruzione di valori quali democrazia, solidarietà, giustizia, parità di diritti, rispetto per le differenze.
Valori spesso disattesi ma che fanno comunque parte del nostro tessuto sociale, ai quali ci richiamiamo ogni volta che ci troviamo di fronte alle ingiustizie, valori per difendere i quali persone hanno lottato e sono morte. Io ne sono fiera: fiera dell'Illuminismo, della Rivoluzione Francese, del femminismo, del '68; mi sento costituita da questi valori, me ne rendo conto proprio adesso che questa storia di diritti è messa in discussione e in pericolo.
Ma proprio perché la nostra storia, tra mille peripezie e contraddizioni, ci ha portato a questo, noi non possiamo fare la guerra, non possiamo più fare la guerra, a meno di non rinunciare proprio a quei valori e a quella storia.
Non siamo più disposti a mandare esseri umani a morire per la patria, il concetto di Patria rimane certo un valore, almeno per me, ma è subordinato a valori ben più importanti. Altri lo fanno è vero, muoiono per la patria, ma hanno meno da perdere.
Si dice in questi giorni: la libertà di informazione mette a repentaglio le strategie di movimento delle truppe. Il fatto è che non possiamo più muovere le truppe, se no mettiamo a rischio la libertà di informazione che è il nostro valore cardine ed è anche la nostra forza. Le nostre armi sono altre, perché non le usiamo? La nostra forza è la conoscenza dei nostri limiti e dei nostri errori. Lo sforzo invece viene dal negare la nostra debolezza. Sarà per questo che si dice sforzo bellico e non forza bellica?
Perché non chiediamo scusa e non porgiamo l'altra guancia? Perché questo concetto mi veniva insegnato da bambina e non capivo e adesso che sono grande e ho la maturità per capire mi si dice che non vale più se non per i bigotti e gli ingenui? Ma è su questo concetto che si fonde l'umanità. Gesù Cristo era un dio perché porgeva l'altra guancia. Non un Dio con la maiuscola, ma un Uomo con la maiuscola.
Ho letto anche che questa pace sarebbe unilaterale, per forza dico io, come si fa a fare la pace con chi è già sulla nostra linea? Ci vuole più coraggio a fare una pace asimmetrica che una guerra asimmetrica. Fare la pace significa perdonare, e, mentre lo scrivo, subito mi sembra madornale; mi è uscito dalla penna da solo e io intanto mi chiedo: ma come si può perdonare chi ha ucciso 6 mila persone?
Allora vediamo che il concetto di perdono non prescinde dalla giustizia, parola difficile perché inevitabilmente per fare giustizia dobbiamo allargare il campo, non possiamo fermarci ai terroristi, dobbiamo guardare ai nostri errori, così ci accorgiamo che quei 6 mila li abbiamo ammazzati anche noi.
E qui viene l'antiamericanismo, altra parola che si usa tanto, come accusa rivolta a chi questi errori li vede e li denuncia. Ma non è questione di America, è questione di noi, di tutto il mondo occidentale che dall'America è stato colonizzato e monopolizzato. Che ci possiamo fare se gli USA sono la superpotenza che ha indirizzato le nostre scelte e la nostra vita nell'ultimo mezzo secolo? Così la nostra è un'autocritica, e ben venga.
La pace non è un optional, è la condizione di misura e armonia che ci consente di essere felici. Paradossalmente la pace è l'unica cosa per cui vale la pena di lottare.
È ora di finirla diceva Marco Aurelio di cercare uomini giusti e capaci, è ora di essere giusti e capaci e questo naturalmente costa fatica.

 

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