La Repubblica 3 novembre 2000
ROMA - Se lo ricordano tutti, il nome. Della "signora maestra". O del "signor maestro". Sarà un caso? No, ovviamente. Il nome lo sussurrano con nostalgica empatia. Lo evocano subito, e si capisce che non è un ricordo remoto da disseppellire. Il "maestro" è sempre lì, e ha segnato la tua storia. La tua carriera. La tua vita. Come le elementari, lui "non può sparire". Enzo Biagi: "Il mio si chiamava Dallari, maestro Dallari. In quinta ci faceva il cinema a scuola. Il "segno di Zorro", mi pare ancora di vederla, la zeta sui muri... Era moderno, senza rompere le scatole. Senza sbandierarlo, cioè. Ti forgiava, ti accudiva... ci ha insegnato a vivere. Io, quasi contemporaneo del conte di Cavour, resto del parere, poi, che la sintassi non sia un pregiudizio borghese. E noi l'italiano lo imparavamo. Adesso c'è Internet, benissimo. Ma davvero c'era bisogno di buttar via le elementari?".
È chiaro come la pensa Biagi. "L' educazione, a quell'età, più che nozioni è esempio. È presenza. Assorbi un modello di comportamento, non un principio enunciato. Serve un maestro, insomma, non un professore. Mi ricordo quando ebbi la scarlattina. Si moriva allora di scarlattina. Il maestro mi scrisse una lettera: caro Enzo Biagi, guardando il tuo banco hai lasciato un vuoto... io facevo gli scongiuri, mio padre piangeva commosso. Nel delirio della febbre credetti che mi avesse scritto Tarquinio Prisco. Ma mi sentii in un abbraccio d'affetto che non ho scordato".
Pierluigi Celli, direttore generale della Rai: "Si chiamava Dellagiovampaola, era un maestro straordinario. Io ho fatto le elementari a Verrucchio, minuscolo paese di Romagna: lui, ogni pomeriggio, ci portava a casa sua, la classe intera, per continuare la scuola. Suggeriva a ognuno un tema da approfondire. A me faceva leggere tanti libri, perfino Steinbeck, le prime traduzioni degli scrittori americani... Avevo dieci anni. Per me, figlio di muratore, era un sogno". La riforma, come la vede un supermanager? "Per piantare un albero che generi folti rami, cioè per specializzarsi con successo, servono ampie e solide radici. Una formazione di base vasta e fertile. Non sono convinto che razionalizzare il tempo sia utile sempre. Bisogna anche, in principio, saperlo perdere. Non metter fretta ai giovanissimi perché si ultraspecializzino. Perder tempo dà la possibilità di sbagliare, e a volte sbagliare, e imparare dagli errori, è redditizio. La scuola di base deve continuare a insegnare anche questo. Sperimentare, sbagliare, correggersi".
"Sciascia, quando gli diedero una laurea honoris causa, commentò: grazie, ma io sono un maestro, e tale rimango. Con la "m" minuscola, specificò. Un orgoglio ben mirato", osserva Andrea Camilleri, lo scrittore che in una scuola hanno scelto come libro di testo al posto del Manzoni. "Sulla riforma non posso prender posizione, non sono preparato. Le elementari furono cruciali anche per me. Ero figlio unico di una famiglia della buona borghesia. Andai alla scuola pubblica, tra pescatori e carrettieri che mi hanno insegnato la vita. Avevo un maestro con la minuscola, il "signor maestro Vinti"... una cosa è certa: un maestro sceglie questo mestiere per una vocazione che non necessita a un professore. Il "signor maestro Vinti" era imperturbabile. E quell' imperturbabilità mi ha fatto comprendere tante cose. Si metteva al nostro livello, non ci umiliava, eppure restava un mito. Io e il mio compagno di banco facemmo un gioco: infilare quante più parole in una riga. Una calligrafia da formiche. Lui, il maestro, non ci rimproverò. Accettò la sfida e ci disse: io sarei riuscito a metterne almeno due in più. Da quel momento sapemmo che con lui si poteva dialogare".
Margherita Hack, astrofisica: "Quel che trovo comunque azzeccato, nella riforma, è la riduzione di un anno dell'intero curriculum scolastico. I nostri laureati arrivano sul mercato del lavoro a 27-30 anni, più tardi dei colleghi europei. Ma il vero guaio è che ci arrivano, spesso, senza saper scrivere in italiano. Sono più informati ma più ignoranti. Comunque, io le elementari le avrei lasciate così come sono. Casomai, renderei più severi gli esami e i controlli sul rendimento individuale".
"È vero, non sanno scrivere...", sospira lo scrittore Marco Lodoli, professore in un professionale romano. "E non sanno leggere, anche le cose semplici". Lui aveva la maestra Castelli, una "mamma" paziente. "Si sta facendo ancora molta teoria, molto esercizio accademico su questa riforma. La scuola quotidiana è da riempire poi con altri gesti, anche minimi ma essenziali. Che suscitino ammirazione, imitazione. Educazione".
Giovanni Bollea, decano della neuropsichiatra infantile: "Facciamoli pure iniziare a cinque anni, che l'ultimo anno dell'asilo è una noia. Ma per favore non distruggiamo il ciclo elementare. Portiamolo a sei anni, invece, e poi quattro di medie e quattro di superiori. Attorno ai 10-11 anni i bambini cominciano a ragionare come i grandi, in modo deduttivo e non più solo induttivo. Lo stacco esiste e non ha senso abolirlo. I ragazzini oggi sono più svegli di vent'anni fa? Vero, ma questo aiuta a ridurre il trauma del passaggio alle medie inferiori. Un contenitore unico, per i sette anni "di base", non era urgente né auspicabile. Prima di rompere il vecchio modello, mettiamoci dentro programmi nuovi. Poi si vedrà".