LA VOCE DEI RAGAZZI E DEI GENITORI

DALL'ALTRA PARTE (2)

Proponiamo la seconda parte dell'opuscolo prodotto dagli animatori del Doposcuola del Giambellino.
In questa seconda parte si dà voce a ragazzi, e genitori degli stessi, che hanno avuto rapporti con il doposcuola.


Bocciare, non bocciare: grandi in una classe di piccoli
Nella nostra esperienza il dato più impressionante per quanto riguarda la questione delle ripetenze è questo: le statistiche dicono che negli anni '90 la percentuale di bocciati nelle scuole elementari di Milano si è attestata attorno allo 0,4-o,5%; dal 1995 ad oggi, quasi la metà dei ragazzi che si sono iscritti al doposcuola era già stata bocciata alle elementari.
Questo ci dice molto sull'uso che è possibile fare dei numeri: 214 bambini bocciati su 38.000 iscritti alle elementari nell'anno scolastico '92-'93 non rappresentano statisticamente una cifra rilevante (anche se andrebbe capito quale criterio può giustificare la bocciatura di un bambino di quella età), ma se questi 214 sono per la gran parte concentrati nei quartieri più degradati della periferia milanese, il problema prende immediatamente le proporzioni di cui noi stiamo facendo esperienza.
Non si tratta semplicemente di "squilibri dovuti alla condizione socioeconomica" ma della negazione di elementari diritti di cittadinanza, il frutto di politiche sociali che continuano ad agevolare chi ha maggiori opportunità e a colpire chi non ha risorse, voce, rappresentanza.
Il quadro non cambia, o meglio, si aggrava se consideriamo la situazione della scuola media. Qui il tasso di selezione si alza notevolmente, con forti differenze tra centro e periferia delle grandi città, tra nord e sud del Paese.

Alunni bocciati nella Scuola Media- anno scolastico '91-'92

   I  II  III  (non ammessi)
Milano
Distretto scolastico 76
(Venezia-Buenos Ayres)
 8,7  5,0  3,7    
Milano
Distretto scolastico 88
(Chiesa Rossa-Gratosoglio)
 12,3  8,6  9,2    


Alunni bocciati nella Scuola Media-anno scolastico '92-'93

   I  II  III  (non ammessi)

Milano
 8,3  5,1  3,4    

Palermo
 16,5  13,1  17,7    

 

Abbiamo conosciuto molti ragazzi bocciati più di una volta tra elementari e medie: molti di loro la scuola non l'hanno mai finita. In genere scompaiono anche dalle statistiche. Una volta superata l'età dell'obbligo sembra non importare più a nessuno che raggiungano il diploma di licenza media oppure vadano ad ingrossare (quando va bene) le fila del lavoro nero, precario, sottopagato.
Per chi decide di non lasciare, in ogni caso, la sensazione più brutta è quella di essere tagliato fuori dalle relazioni tra compagni di classe: diversi gli interessi, diverse le esperienze, ormai segnato il rapporto con la scuola.

Antonella, mamma di Ezio: "E' stato bocciato in I media e in II media. Lui se ne è fregato, diciamo. Aveva un po' paura all'inizio. Ma poi se ne è fregato perché ripetendo l'anno sembrava lo stesso. Al momento aveva paura di qualche rifiuto in casa, oppure di botte..queste cose qua. Noi gli abbiamo detto:'Ezio, sino a 18 anni la terza media la devi fare, per cui...' (Dopo) si è trovato male, perché lui si vedeva più grande degli altri. Gli altri erano più piccoli di lui. Si, facevano amicizia..si, però dentro di sé lui notava questo, da quanto ho capito io".

Walter, 14 anni, già bocciato in seconda elementare: "Potrei studiare, però. Adesso anche alla mia età. E' che io dovrei essere un anno in più. E' che loro (i compagni) sono più piccoli, io sono più grande... però è sempre che vuoi avere ragione tu perché sei più grande e così non va bene.
(...) Non mi va proprio di andarci (a scuola) perché non mi piace. Non mi piace star lì a perdere cinque ore per dopo non apprendere niente. No.ma le capisco le cose, però non mi va di stare là, me ne voglio andare a casa a mangiare.
(...) E' colpa di Franco, mi fa pigliare lui le note. Beh, oggi non c'era Franco a scuola, però sono io che ho fatto prendere la nota a uno. Ho tirato la gomma, (la prof.) non m'ha visto, lui era disattento e gli ho dato la colpa a lui. Lui s'è messo a piangere. Ha detto 'Non sono stato io'. Io poi ho detto 'Sono stato io', ma lei non mi ha messo la nota e non l'ha tolta a lui. Si spiega perché a me anche se ne mette un'altra (nota) non lo capisco, ha detto. Ha detto così che me ne può mettere anche quaranta però dopo io non lo capisco lo stesso. Lui che ride ed è disattento gliene mette una però a lui può recuperarlo. Me l'ha anche detto che sono irrecuperabile.
Per me è il contrario, io so come gestirmi". Qualche mese dopo Walter è stato nuovamente bocciato, in seconda media.
Daniela, che la terza media nella sua scuola non è mai riuscita a prenderla, parlando dei suoi compagni, ci ha parlato di sé: "E' ingiustizia. Perché si, perché i miei compagni sono stati bocciati perché non andavano bene, per esempio, con una professoressa e allora si sono messi tutti d'accordo e hanno detto 'Dai, bocciamolo. L'anno prossimo vedi che andrà bene.' Ma non andava bene. Per certi mi dispiaceva che li avevano bocciati, poverini. E' peggio secondo me se li bocciano, perché l'anno prossimo o non ci vanno proprio a scuola o fanno cazzate. Tu non potrai mai bocciare uno e metterlo in classe con quelli di undici anni, cazzo. Quelli hanno un ragionamento da bambini, tutti mammoni. Tu ormai".

Invariabilmente, tutti i ragazzi con i quali abbiamo ragionato su questo tema, ci hanno confermato il disagio di sentirsi diversi, perché più grandi in una classe di "piccoli". Più dell'arrabbiatura dei genitori (destinata prima o poi ad esaurirsi), più dello sconforto di dover rimanere un anno di più in un ambiente in cui non ci si sente a proprio agio, più del dispiacere di aver perso la "vecchia" classe, conta il fatto di sentirsi dei "diversi": "Eh, ero la più grande, ero con i puffi. Mi prendevano in giro come al solito e io li ammazzavo".
E' curioso notare come pochissimi insegnanti tra quelli che abbiamo incontrato in questi anni abbiano colto questo aspetto del problema, riconoscendo che nell'esperienza emotiva dei ragazzi esso occupa un posto dominante.

Bocciati nelle scuole medie della zona Giambellino-Lorenteggio
Anno scolastico '98/'99

   I  II  III  (non ammessi)
 Dante Alighieri  4,2 7,1  3,5    
 Cardarelli  3,0  1,2 2,9     
 Gioberti 13,3  7,1  11,5     
 Donatello

manca il dato 
   
 Campo Lodigiano 7,8  12,5  2,8     
 Galileo Ferraris 17,2  11,1  2,7     
 Rinascita-Livi 1,7   1,1 2,7     

A proposito delle bocciature, Daniela, insegnante d'italiano in una scuola media di RHO, ci ha detto: "Dovrebbe essere un rimedio estremo, per ottenere dei miglioramenti. Bisogna entrare nell'ottica che la bocciatura è un evento vissuto dai ragazzi come traumatico. Un ragazzo bocciato si sente davvero diverso dagli altri. Quindi bisogna valutare bene ogni aspetto di ogni singolo caso. E anche nei casi in cui si decida di bocciare, si deve sempre cercare la collaborazione del ragazzo. Rivolgersi direttamante a lui e in un secondo tempo ai genitori, per fargli capire che non lo si vuole scavalcare, ma che si vuole lavorare insieme a lui. E poi fargli capire che è una soluzione utile e non una punizione. Poi però ci sono insegnanti che usano l'idea della bocciatura come una minaccia: 'guarda che ti boccio!'. Non ha senso".

A colloquio con gli insegnanti
Il rapporto tra genitore e insegnante dipende in larga misura dalla disponibilità di entrambi a pensare il colloquio come un'occasione per imparare qualcosa dall'altro: io ti dico 'cosa va e cosa non va' a scuola, tu mi parli di tuo figlio fuori dalla scuola; io ti chiedo delle informazioni che competono il tuo ruolo di genitore, tu me ne chiedi altre che riguardano il mio ruolo di insegnante, eccetera. In sostanza si tratta di stabilire un rapporto di collaborazione e scambio nell'interesse del figlio/allievo. Detto così sembra facile, lineare. In realtà le cose vanno diversamente.

Antonella, mamma di Ezio: "Tutti i miei colloqui con i professori erano demoralizzanti: 'Signora, Ezio è sempre lì che dorme, sempre col cappellino in testa, non è mai attento.' Ed ero sempre demoralizzata.
I primi anni ci andavo spesso perché lavorando saltuariamente potevo andare, ma gli ultimi anni, lavorando come custode, andavo soltanto nei colloqui principali serali, nel ritiro delle pagelle oppure nelle riunioni generali.
Tutti i professori la stessa cosa, tutti. E io penso sia stato dovuto a quello perché non era compreso come ragazzo. Cioè, non era capito.vabbè che, come ripeto, Ezio non è un ragazzo tranquillo.
(Dicevano) che aveva sempre il cappellino in testa, era all'ultimo banco e si metteva con le mani incrociate ed era lì che dormiva. Non disturbava gli altri perché non era un ragazzo che disturbava, però non era attento. Era attento solo a quello che gli interessava e basta. La professoressa di Religione e quella di Musica erano le uniche con cui c'era un bel rapporto".

L'esperienza che ha fatto Luisa, mamma di Giovanni, è invece molto diversa: "Io ne ho tre di ragazzi, li conoscono tutti. Lavoro, faccio otto ore al giorno, una casa, un marito, cioè.c'è da fare. Tante volte, dico, io arrivo la sera a casa e non c'ho neanche voglia.ogni sera prendere il diario, vedere se c'è qualche nota, cominciare a far casinoe quello litiga e quello risponde. Tante volte, dico, sta alla fiducia dei miei figli di starsene un po' tranquilli, perché io non posso..Però, dico, se c'è qualcosa che non va l'unica cosa che potete fare è farmi una nota sul diario (...).
(Sulla scuola) sinceramente non ho niente (di negativo) da dire. Una volta sì, magari era un po' frequentata da ragazzi tipo anche il mio ­ ti ricordi il Fabrizio che con un gruppetto dava problemi? - però adesso no. Cioè, mi trovo bene. I professori sono tutti abbastanza attenti. Li vedo molto attenti per quanto riguarda il seguire i miei ragazzi: se c'è qualcosa che non va, subito intervengono, mi chiamano a casa (...).
Mi mandarono a chiamare la professoressa di Italiano e quella didi per cui mi dissero: 'Come ragazzino lo vediamo molto immaturo: Secondo noi se lo portiamo avanti in II Media avrà delle difficoltà maggiori di quelle che ha avuto quest'anno e poi si troverà anche lui male. Diremmo di bocciarlo, di fargli ripetere l'anno; vedrà che si troverà negli anni successivi molto bene. Noi ne parleremo con lui per prepararlo, anche per dirgli che non lo stiamo bocciando perché sa meno degli altri ma perché lo vediamo troppo bambino, piccolino'.
Infatti ne ha parlato. L'ha presa anche lui bene. Io lo sapevo già che non passava l'anno e forse sarà stato anche quello (che l'ha fatto migliorare), il fatto che ha dovuto ripetere l'anno, ha dovuto ripetere le basi perché nella prima media ci sono delle basi che preparano per tutti e tre gli anni, penso".

A differenza della mamma di Giovanni, la maggior parte dei genitori che abbiamo conosciuto ha forti resistenze ad andare a scuola per parlare con gli insegnanti. Alcuni non ci vanno addirittura mai.
I colloqui avvengono quasi esclusivamente in momenti di crisi, quando si presentano gravi problemi. Note, sospensioni, brutti voti, assenze, mancato svolgimento dei compitimotivano in genere la richiesta di incontro da parte dell'insegnante. I genitori non vengono educati ad usare correttamente lo strumento del colloquio che è essenzialmente un diritto ad essere informati su come il proprio figlio sta crescendo. Non si tratta solo di sapere 'come va a scuola', ma di pensare insieme il suo percorso educativo.

Franco ci parla così del rapporto del padre con gli insegnanti: "Non gli va perché magari sa già come mi comporto e allora... per non perdere tempo.magari ha qualche impegno, così... E' che mi comporto male. E' per il comportamento che devono parlare le prof.; la prof. già me lo ha detto. Quest'anno non è andato".

Non si tratta di trovare delle giustificazioni, ma di capire le cause di comportamenti così gravi: Ignoranza, sfiducia, mancanza di strumenti, difficoltà legate al lavoro.sono tutti elementi che si legano insieme e che contribuiscono a rendere difficile il percorso di crescita dei figli e il processo di assunzione di responsabilità dei genitori. Chi, se non la scuola, può assolvere a questo compito educativo? Troppo spesso il colloquio con il genitore si risolve in un atto di accusa, in una comunicazione a senso unico. Anche questo, e forse soprattutto questo, contribuisce a tenere molti genitori lontani dalla scuola.

Daniela: "A me arrivavano proprio i fogli scritti a macchina, con busta chiusa da consegnare a mia madre. Convinti che io glieli davo, e invece no. Falsificavo io la firma. Mia madre tanto non andava mai a scuola. Cosa andava a fare? Dicevano sempre le stesse cose: 'Sua figlia si comporta male, non porta i compiti a scuola, non studia'. Qualche volta c'è andata. Si vabbè, si sentiva una merda perché tutti dicevano. 'Eh, signora, suo figlio va bene'. Arrivavano al punto di mia madre.e si mettevano le mani nei capelli. Non me ne fregava niente. Mi spiaceva solo per mia madre, però, per gli altri non mi interessa".

Materie e professori
Renzo, 13 anni, terza media: "Quest'anno c'è stato un cambiamenti: la prof. Di Matematica che avevamo è andata via, noi abbiamo beccato una prof. di Scienze nuova e la nostra vecchia di scienze è diventata la nostra prof. nuova di Matematica. La nuova di Scienze all'inizio mi stava tanto antipatica, però adesso di meno, non lo so perché, non c'è un motivo, perché come persona è brava, ride sempre, scherza, però il carattere non mi piace. Con la prof. di Scienze dell'anno scorso andavo bene in Scienze e non in matematica; adesso che quella prof. di Scienze è in Matematica, vado bene in matematica. Mi segue molto: all'inizio dell'anno mi ha fatto l'esempio di una scaletta di tanti piani che all'ultimo arrivi a sapere tutto senza che ti dica niente la prof., senza farti aiutare. All'inizio dell'anno mi aveva detto che ero proprio in fondo e adesso dice che sto salendo piano piano e che sto quasi arrivando. Però lei si arrabbia con me perché a volte quando inizio a salire scendo, poi risalgo ancora di più ma riscendo (...)".

Quando ai nostri ragazzi si chiede quale materia preferiscono, la risposta è quasi sempre legata all'insegnante che gli è più simpatico e dal quale hanno ricevuto un messaggio di conferma. Per loro, come per chiunque, la componente affettiva è molto importante. Gli insegnanti che piacciono di più sono quelli che ridono, che stimolano a migliorare, che notano i piccoli passi in avanti dei ragazzi e che glielo fanno notare. Tutti coloro, insomma, che mostrano un po' di umanità.

Antonella, mamma di Ezio: "Gli piaceva molto la musica, anche perché si era affezionato tantissimo alla professoressa di musica. Anche con la professoressa di religione lui andava d'accordo, anche se in Religione faceva poco o niente".

Legato a questo aspetto del rapporto, un problema molto sentito è quello del continuo avvicendamento dei professori: "(L'esperienza delle medie) è stata negativa perché purtroppo è capitato in una classe ­ almeno penso io - di professori che non l'hanno saputo capire e comprendere, anche perché purtroppo ogni anno cambiavano i professori. Quella di Italiano andava in pensione, poi se ne è andata quella di Matematica, di Ingleseinsomma il ragazzo di questo ­ vabbè che lui è svogliato - ma di questo ne ha risentito moltissimo".

Della stessa opinione è la mamma di Emma: "Io non riesco ad accettare 'sto fatto che cambiano sempre i professori. Cioè ogni anno ce n'è uno nuovo (...). Però il fatto che cambiano spesso questi professori. Li vanno a cercare? Cioè, sai, cominciano a capire i ragazzi, fanno un programma, i ragazzini si abituano a loro, e poi di colpo. O trasferimento o ne arriva un altro nuovo. 'Sto fatto qui che cambiano spesso i professori. Per me non va bene. Per esempio la Emma quest'anno ne ha due nuovi, tipo quella di Inglese e quella di Matematica. Huu... quella di Matematica, Gesù mio. Quando arriva a casa: 'Non la posso vedere, non ce la faccio più, l'ammazzerei'. Cioè (quella di prima) conosceva la Emma (...), poi sai cos'è. Comincia a nascere anche una certa. Un rapporto personale tra alunno e professore, poi di colpo cià, non c'è più, ne arriva un'altra nuova".

Al contrario di quanto si possa pensare, gli insegnanti che 'lasciano fare' non sono affatto apprezzati dai ragazzi.

Walter: "La vedo un po'si fa fare tutto. In classe quando c'è lei fanno baldoria, lei non dice niente. Scrive. E' stupida, non si fa rispettare, non dice niente. Gli insegnanti devono essere duri, perché sennò tutti fanno macello. Già lo fanno con quelli che sono cattivi, figurati".

A modo loro, anche i ragazzi più 'difficili' esprimono un bisogno di contenimento e chiedono un atteggiamento autorevole e coerente nei loro confronti.

Il sostegno scolastico
Daniela: "(...) Magari io sto facendo matematica in classe, questa prof. veniva e mi portava via. Mi faceva fare altre cose, magari aiutavo lei, andavamo al mercato, andavamo in panificio a comprare le cose, a mangiare. E' più il tempo che ero fuori che dentro. Eh, vicino a Natale facevamo le cazzatine di Natale da appendere. Era la prof. di sostegno. C'ero solo io perché le piacevo io e allora. Eravamo sempre in giro, a fare i disegnini, quelle cose lì. Andava bene perché non rimanevo in classe con quelli lì. Era sempre meglio di quello che facevo in classe".

L'attività di sostegno si fonda su due principi:
1. Per usufruirne è necessaria una certificazione di handicap fisico e/o psichico.
2. Il sostegno è stato concepito come sostegno alla classe e non al singolo.
Per quanto elastico sia il concetto di handicap, è difficile sostenere che un ragazzo irrequieto, che interrompe le lezioni, che rende difficile il lavoro dell'insegnante attraverso un comportamento disturbante, sia necessariamente handicappato. Eppure la gran parte dei ragazzi con sostegno che abbiamo conosciuto sono fatti così: gran disturbatori, spesso insofferenti alle regole scolastiche, non certo degli handicappati. In compenso sentono fortemente su di sé il marchio di una "diversità" che può avere conseguenze molto gravi. Sono ragazzi che in genere, oltre a difficoltà di tipo scolastico, hanno problemi di relazione con i compagni ­ o perché eccessivamente aggressivi o perché timidi o altro ancora. Spesso vengono portati fuori dalla classe per svolgere altre attività. Per l'insegnante si tratta certamente di un alleggerimento del carico di lavoro, di una ritrovata 'normalità', ma per loro che significato ha questo allontanamento? Forse capiranno la lezione che insieme agli altri non avevano neppure ascoltato, forse riusciranno col tempo a migliorare in questa o quella materia, ma il vero problema si accentuerà anziché risolversi: la loro presunta diversità sarà sottolineata ogni volta che lasceranno la classe e i compagni.
Detto questo non c'è da stupirsi che alcune famiglie rifiutino il sostegno, anche nei casi in cui ce ne sarebbe un effettivo bisogno.
Questo strumento infatti, così mal utilizzato, può rivelarsi molto efficace se usato entro i limiti che la normativa prevede; abbiamo conosciuto ragazzi, portatori di handicap, che hanno tratto beneficio da un lavoro differenziato e individualizzato; abbiamo conosciuto insegnanti di sostegno che gran parte del loro tempo lo passavano in classe. Tuttavia questa, che dovrebbe essere la regola, non lo è affatto.
Infine c'è il problema della competenza. Se da un lato capita che per usufruire del sostegno alla classe venga certificato un handicap a un ragazzino assolutamente normale, dall'altro succede anche che si trovino a gestire situazioni molto complesse ­ casi di gravi menomazioni fisiche o psichiche - persone che non hanno gli strumenti e le competenze per farlo.

Daniela, insegnante: "Spesso l'insegnante di sostegno è molto giovane, a volte al suo primo incarico, privo di esperienza e quindi totalmente impreparato per un compito tanto delicato. Altre volte sono addirittura i professori che, per non perdere punti in graduatoria, accettano qualunque lavoro, anche quello che non sanno fare".

Riassumendo:
1. Molti insegnanti di sostegno vivono questo incarico come una soluzione di ripiego, non avendo trovato diversa collocazione nel mondo della scuola. Accedono dunque a una così delicata funzione senza specifiche motivazioni e competenze.
2. A fronte di un percorso che dalla segnalazione del problema dovrebbe portare all'attribuzione del sostegno per i casi di handicap conclamato (secondo questo iter: insegnante, preside, psicologo dell'ex-SIMEE, Provveditorato), è in uso invece il sostegno per bambini e ragazzi con svantaggio socio-culturale.
3. Il sostegno, da strumento di risocializzazione, diviene spesso strumento di separazione, percorso handicappante.

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