Su "rassegna sindacale" del 3 ottobre, il segretario generale della CGIL-Scuola, Enrico Panini, svolge una serie di riflessioni per illustrare la situazione e le motivazioni che hanno portato allo sciopero del 9 ottobre.
Schematizzando, e quindi necessariamente semplificando, ne ho ricavato quanto segue:1. Il malessere dei docenti deriva non dalla contrarietà alle riforme, al loro contenuto, ma dal fatto che non ne sono stati coinvolti, che sono gestite in modo centralizzato, e che la loro applicazione è lenta e contraddittoria;
2. il governo e la sinistra sbagliano nell'assecondare una stasi della spinta riformatrice che i sindacati hanno fortemente voluto;
3. De Mauro sbaglia se pensa di riconquistare la fiducia dei docenti affrontando la loro condizione retributiva, con una logica risarcitoria, con aumenti uguali per tutti, e abbandonando il principio del riconoscimento della professionalità;
4. l'opposizione alla diversificazione salariale c'è stata rispetto al metodo (concorso) e non al merito;
5. esiste una parte della categoria più motivata dell'altra (più brava e più professionalizzata?), con cui sarebbe bene costruire un'alleanza positiva;
6. la CGIL-scuola non sbaglia e non ha sbagliato.Io capisco che è sempre molto difficile ammettere di avere sbagliato. È umanamente comprensibile. Non farlo però impedisce di poter serenamente individuare la radice dell'errore e quindi di costruire nuove e più produttive strategie politiche e contrattuali.
È del tutto evidente, e non si dovrebbe più essere costretti a ripeterlo, che il contenuto strategico centrale del recente contratto è fallito. È fallito non un metodo, ma l'idea stessa di differenziazione salariale basata sulla valutazione e sul "merito".
L'imponente sciopero del 17 febbraio scorso (percentuali di adesione difficilmente riscontrabili nella storia del sindacalismo confederale scolastico), che è stato, dispiace dirlo, anche uno sciopero contro i sindacati confederali, ha dimostrato un disagio docente dai molteplici aspetti: oltre a quello sopra citato ("merito"), l'insofferenza per uno stipendio che non riconosce fino in fondo il lavoro che viene svolto, una crisi di identità e di ruolo sociale, la contrarietà ad alcuni contenuti delle riforme (non a tutto), in particolare a un'autonomia scolastica declinata in senso autoritario, l'insofferenza per una strategia sindacale tanto acquiescente ed acritica verso la politica governativa delle riforme.
La conclusione dell'anno scolastico passato, ci ha consegnato un sindacato in profonda crisi, dal punto di vista delle strategie contrattuali e da quello del suo modo di essere, di rapportarsi con i lavoratori e con le controparti.
Sarebbe sbagliato esorcizzare i propri mali puntando il dito accusatore contro il ministro per le sue incaute (?!) dichiarazioni sugli stipendi degli insegnanti. È meglio cercare di capire gli errori commessi e la loro natura.
Il concorsone è risultato inaccettabile, perché è l'idea del merito che è inaccettabile in quanto la sua valutazione implica comunque un giudizio soggettivo ed insindacabile. Se poi si parte dal principio che solo il 20-30% è meritevole, questo equivale a dire che il 70% non lo è.
La giustizia italiana si regge sul principio che fino a prova contraria tutti sono innocenti. Questo principio va applicato nella scuola, altrimenti dovremmo, anche per coerenza con un principio costituzionale, ripartire tutta la popolazione scolastica tra questo 20-30%, e gli altri mandarli a casa. Cosa evidentemente impossibile.
Al contrario, esistono degli obiettivi formativi da raggiungere. Per conseguire questo risultato occorre che tutti i docenti siano in possesso di capacità professionali adeguate ed elevate. Occorre quindi promuovere la professionalità docente di tutti attraverso meccanismi di formazione mirati e di massa.
Gli insegnanti debbono essere considerati tutti allo stesso modo e debbono essere messi tutti nella condizione di qualificare il proprio lavoro e migliorare la propria professionalità, se non altro perché gli studenti hanno tutti gli stessi diritti e quindi il diritto di avere tutti dei bravi insegnanti.
Con il contratto della scuola si è voluto affermare (con quale consultazione?) un principio tutto ideologico, che faceva della differenziazione salariale basata sul merito e sulla valutazione, il motore di un processo di riforma, il cui cuore, l'autonomia scolastica, avrebbe sempre più dovuto caratterizzarsi in senso gerarchico ed aziendalistico.
Nell'affermare questo principio si è perso di vista il nodo centrale (dal punto di vista sindacale) del fare scuola, oggi, in Italia.
È stato messo in moto, in questi ultimi anni, un processo riformatore di enorme portata, che ha richiesto a tutti i lavoratori della scuola notevoli sforzi di adeguamento della propria professionalità ai nuovi compiti. Un vero e proprio processo di ristrutturazione che ha comportato intensificazione, maggiore complessità, e aumento dei carichi di lavoro per TUTTI.
Questo aumento del carico di lavoro è avvenuto non solo gratis, perché non è stato retribuito, ma addirittura in perdita perché negli ultimi dieci anni il potere di acquisto delle retribuzioni medie dei docenti si è ridotto di circa il 20%. Siamo cioè in presenza di una situazione in cui, nella scuola, esiste una quota di lavoro ufficiale, riconosciuto e sottopagato, ed una quota di lavoro, sempre più consistente, non riconosciuta e non retribuita. Una parte di lavoro, questa, che potrebbe essere determinante per il buon esito scolastico, ma che andrebbe riconosciuta, organizzata e qualificata.
Due quindi i punti centrali:
- la rivalutazione degli stipendi di tutta la categoria
- l'intervento sul lavoro, il suo tempo, la sua qualificazione.
Il contratto della scuola avrebbe dovuto e potuto intervenire su questo.
Se una operazione di innalzamento delle retribuzioni è possibile anche attraverso la leva della diversificazione salariale, quest'ultima avrebbe dovuto retribuire la disponibilità al lavoro cooperativo, la disponibilità a formarsi e riqualificarsi, la disponibilità ad un monte orario diverso.
Attraverso forme di organizzazione del lavoro diverse, si sarebbero potuti sperimentare regimi orari differenziati (part-time, orario normale, orario onnicomprensivo), ricomponendo in un unico contesto coordinato di lavoro cooperativo, attività di insegnamento, di ricerca e progettazione, funzioni e incarichi diversi, evitando anche l'invenzione di figure estranee all'esperienza concreta, come si sono in diversi casi rivelate le "funzioni obiettivo".
La retribuzione, a questo punto, non sarebbe sul merito, ma sulla disponibilità e sul lavoro effettivamente svolto. Questo consentirebbe altresì la coerenza con un principio fondamentale: a uguale lavoro deve corrispondere uguale retribuzione, chi lavora di più, deve essere pagato di più.
Sostenendo un processo di questo genere con una formazione adeguata e strutturata, si potrebbero conseguire risultati importanti per il livello qualitativo della formazione in Italia.
Nessuna meraviglia, quindi, che il re si sia scoperto nudo quando De Mauro ha denunciato che gli insegnanti hanno stipendi di fame e che non li meritano perché è grazie alla loro preparazione che, nonostante le condizioni avverse, si sono raggiunti buoni livelli nella preparazione e nella scolarizzazione di questo paese.
E il re è il M.P.I., il governo, le forze politiche, ma anche il sindacato.