SCUOLA: UNA QUESTIONE TROPPO SERIA
PER DELEGARLA AI DIRIGENTI D'AZIENDA

 

La creazione di un sentiero formativo professionale consentirà a tutti
quelli che sono più portati all'azione che alla riflessione di cimentarsi
subito nelle attività produttive (Guido Maria Barilla, delegato di
Confindustria all'istruzione).

Ovvero, la svolta linguistica del postmoderno: un secolo fa erano "quelli
che sono più portati al lavoro dei campi e delle officine".

 

CHI SIAMO E COSA PROPONIAMO

 

Il 10 gennaio 2002 un'assemblea di docenti e ATA, convocata nella sede dell'
Itsos - Varalli da un appello di delegate e delegati RSU di 12 scuole di
Milano e provincia, in sintonia con molte analoghe iniziative che si vanno
realizzando in tutto il paese, ha promosso la formazione di una Rete di
resistenza per la difesa della scuola pubblica cui attualmente partecipano
rappresentanti di 70 istituti.

 

 

Lo squallido futuro della scuola disegnato dal Ministero dell'(ex-Pubblica)
Istruzione con un colpo di legge delega e poi il ritiro dei Sindacati
confederali dallo sciopero del Pubblico impiego del 15 febbraio 2002
(scadenza che noi con convinzione abbiamo inteso mantenere) ci hanno
confermato l'urgenza di rilanciare efficaci iniziative di autorganizzazione
come quelle messe alla prova due anni fa contro il "concorsone" di
Berlinguer.

 

 

Quell'esperienza ha sedimentato una rete diffusa di comunicazione fra
scuole, persone, associazioni e iniziative che può offrire un contributo
rilevante alla mobilitazione generale e alla realizzazione della più ampia e
creativa unità d'azione proprio attraverso forme autonome e trasversali alle
organizzazioni politiche e sindacali. Perché siamo convinti che l'
insopportabilità dello stato di cose presente e ancor più delle prospettive
future sia tale da prefigurare un larghissimo fronte di lotta (obbligato a
muoversi da subito su un livello complessivo) e da scoraggiare qualunque
atteggiamento di pura e semplice testimonianza minoritaria a futura memoria.

 

 

Per cominciare, rigettiamo farsesche consultazioni del punto di vista dei
docenti e degli studenti, come in occasione degli strombazzati Stati
generali dell'istruzione, mentre con arroganza decisionista e vocazione all'
autoritarismo plebiscitario, poggiato su una maggioranza parlamentare
blindata e un'informazione omologata, si abbattono diritti e garanzie (sull'
istruzione come sul lavoro, le pensioni, la sanità, la giustizia, la
fiscalità, l'ambiente, l'informazione, l'immigrazione, l'ordine pubblico) e
si aggredisce o si svilisce ogni istanza di confronto democratico. Ma i
precedenti ministri dell'allora Pubblica Istruzione hanno dovuto apprendere
che nessuna "riforma" della scuola è attuabile senza o contro chi ci lavora.

 

 

 

 

COSA NON VOGLIAMO

 

Una scuola definitivamente appiattita sul modello aziendalistico,
del quale è già costretta a parlare linguaggio e cultura: evocati dall'
apprendista-stregone Berlinguer, i dirigenti d'azienda ne hanno assunto in
prima persona il governo centrale e si apprestano ad affidare ai loro soci
quello locale, attraverso le prerogative dei dirigenti scolastici e dei
consigli d'amministrazione che subentreranno ai consigli d'istituto, l'
esautoramento dei collegi docenti e la soppressione dei consigli di classe.
Come recita la riforma degli organi collegiali.

 

Il rovesciamento del dettato costituzionale, evidente nell'
affermazione che lo Stato si fa garante solo dei "livelli essenziali delle
prestazioni in materia di istruzione e di formazione professionale": che
significa svuotamento di ruolo e significato della scuola pubblica nella sua
funzione primaria di assicurare a tutti un'istruzione omogenea e di qualità.
Svuotamento cui concorre un processo di regionalizzazione teso a
parcellizzare o depotenziare valori condivisi, contenuti culturali, punti di
riferimento comuni per l'educazione delle nuove generazioni, e per converso
a consolidare appartenenze e identità chiuse (su basi religiose e
ideologiche, economiche e sociali, etniche e territoriali) in contrasto con
i bisogni di confronto e di dialogo interculturale scaturiti dalla
mondializzazione.

 

La canalizzazione precoce, con abolizione dell'estensione dell'
obbligo scolastico, e la rigida divisione fra istruzione secondaria e
formazione professionale, che compromettono ulteriormente l'unitarietà della
formazione: le inverosimili passerelle non mascherano l'incomunicabilità di
percorsi contraddistinti dalla netta separazione tra cultura di base e
cultura professionale, cultura speculativa e cultura operativa, che
avvilisce entrambe. La scuola torna ad attribuirsi il compito di sanzionare
e aggravare i divari sociali e culturali di partenza attrezzandosi a
marchiare subito "tutti quelli che sono più portati all'azione che alla
riflessione".

 

 

L'accentuata ossessione valutativa, estesa perfino agli ambiti
"affettivi ed etici", che denuncia il carattere arbitrariamente selettivo
connaturato al "nuovo" sistema scolastico (equiparazione dei debiti relativi
al profitto con quelli relativi al comportamento; confusione tra valutazione
del profitto degli studenti e valutazione del funzionamento dell'istituto;
indebita sopravvalutazione delle presunte misurazioni "oggettive"). In
aggiunta alla drastica riduzione oraria dei curricoli obbligatori, ne deriva
un deterioramento della qualità delle relazioni tra insegnanti e studenti e
l'incoraggiamento ai più screditati metodi trasmissivi di insegnamento.

 

 

La preannunciata abolizione del valore legale del titolo di
studio, surrogato da un portfolio attestante competenze e saperi
parcellizzati e "certificabili" dalle più disparate agenzie formative
extrascolastiche: così con la privatizzazione di grandi settori
dell'istruzione, favorita anche dalla riduzione oraria dei curricoli
obbligatori, si spalancano una volta per tutte le porte al business della
formazione e a un mercato del lavoro interinale flessibilissimo e perfino
gratuito. Da subito, la mutata composizione delle commissioni dell'esame di
stato conclusivo avvantaggia le scuole private (affette, in quanto tali, da
un interesse privato alla promozione dei loro allievi, oltre che ai bonus
promozionali) e marginalizza ancora di più la funzione della scuola
pubblica.

 

 

La frammentazione della comunità scolastica e la gerarchizzazione
degli istituti scolastici (sempre più in competizione fra loro a caccia di
risorse economiche aggiuntive) e degli insegnanti (riguardo al grado di
precarietà e perfino in relazione alle materie insegnate: obbligatorie,
facoltative ed extra curricolo).

 

 

L'aggravio di carichi di lavoro sempre più alienato per tutti in
cambio di vantaggi economici per pochi: secondo la solita logica ottusa che
considera improduttiva (dunque sempre da tagliare) la spesa corrente dello
Stato per l'istruzione; e secondo la solita logica premiale fatta di
promesse a "quelli che si applicheranno di più" (Berlusconi dixit).

A individuare i quali concorrerà, forse, il nascituro ma già inquietante
codice deontologico della professione: quello che, elaborato da una
commissione esterna alla scuola e perfettamente estranea ad una concezione
laica e pluralista dell'educazione, minaccia di rinverdire con entusiasmo
reazionario bello e buono i fasti di una società disciplinare che abbiamo
creduto morta e sepolta.

Assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori della scuola

ITSOS Albe Steiner e ITT Varalli, Milano

(seguono firme)

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