La temibile scuola che sogna Berlusconi

di Mario Pirani, La Repubblica, 26 marzo 2001

 

Su queste colonne abbiamo dato spazio a non poche critiche sulle riforme scolastiche della maggioranza, lamentando soprattutto il modello aziendalistico che per alcuni versi le ispira. Avevamo anche aggiunto che i progetti di Berlusconi, riassumibili nelle famose «tre I» (Inglese, Internet, Impresa), non ci sembravano molto diversi. Sbagliavamo: sono anche peggiori.
Ce ne siamo resi conto andando a esaminare sia il progetto di riforma scolastica presentato dal leader del Polo nella legislatura ormai conclusa, sia le iniziative dei suoi più importanti luogotenenti, da Formigoni a Storace, i quali, in qualità di governatori, stanno prefigurando la politica scolastica che, in caso di vittoria, i cattolici di Comunione e Liberazione e la destra post fascista applicherebbero su scala nazionale. Non va poi sottaciuta la convergenza, che in questo caso presenta una rilevanza notevole, delle proposte della Lega da un lato, e della Confindustria dall'altro.
Alle spalle di tutto vi è, infine, impegnata in prima persona, la Chiesa cattolica.
Uno schieramento davvero impressionante.
Procedo per punti. Il primo riguarda la volontà di arrecare un colpo mortale alla scuola statale, smantellando il principio costituzionale secondo cui gli istituti privati sono assolutamente liberi ma non possono gravare sul bilancio pubblico. Nel programma della Casa delle Libertà si sbandiera la volontà di cancellare questo «tristissimo primato», di «porre in concorrenza» pubblico e privato, finanziando quest'ultimo attraverso il sistema del buonoscuola, già oggi applicato in Lombardia, malgrado penda contro di esso il ricorso del governo alla Corte costituzionale. Per intanto Formigoni ha deciso di elargire direttamente alle famiglie un buono di rimborso pari al 25% delle spese scolastiche, aumentabile in futuro.
Naturalmente, per essere coerente, questo metodo presuppone che l'insegnamento non sia più gratuito ma a pagamento e che le famiglie scelgano, tra scuole in concorrenza fra loro, in quale istituto inviare i figli. Le scuole pubbliche, sempre povere di mezzi, finirebbero per essere rifugio dei meno abbienti, mentre quelle private, con l'ausilio dei buoniscuola, sarebbero scelte dalle famiglie più facoltose, invogliate a pagare la retta residua.
Il secondo punto ce lo indica Berlusconi in persona, il quale ha, appunto, dichiarato, alla conferenza del Ccd, che sulla scuola «occorre procedere rapidamente nella direzione del federalismo e della sussidiarietà».
Lo smantellamento della scuola pubblica andrebbe, quindi, di pari passo con la destrutturazione del ministero della Pubblica Istruzione e la devoluzione dei suoi compiti essenziali alle autorità regionali. Programmi, metodi didattici, criteri (magari etnici) di assunzione degli insegnanti sarebbero determinati, in modo diverso, a seconda delle maggioranze politiche locali. Ci si può immaginare la storia d'Italia impartita attraverso l'ottica della Lega o di An. Del resto, per l'occasione, Storace ha subito riesumato il desiderio di installare una commissione di sorveglianza sui libri di testo, spacciandola come «una battaglia di libertà», mentre il responsabile degli enti locali di Forza Italia si è limitato a suggerire la distribuzione in tutte le biblioteche scolastiche del libro scritto dal Cavaliere, «L'Italia che ho in mente».
Tanto per completare il quadro, il responsabile delle politiche scolastiche della Confindustria, Guido Barilla, afferma: «Il finanziamento statale a fondo perduto, che ha il benefico effetto di assicurare un basso costo o, addirittura, la gratuità per gli utenti, ne ha anche uno pesantemente negativo. Mettendo fuori gioco la concorrenza dei privati, di fatto abbassa la qualità del servizio. La scuola italiana soffre di un soffocante centralismo ed è organizzata senza tener conto del rapporto costibenefici». Siamo, dunque, di fronte a un disegno globale che mira a cancellare la scuola pubblica come matrice dell'unità nazionale, capace di trasmettere ai futuri cittadini valori condivisi, una lingua unificante, una storia in cui riconoscersi, una cultura di base condivisa. Una scuola accessibile a tutti e finanziata dall'erario in base a una tassazione proporzionale e progressiva.
Gli si contrappone un mercato dell'istruzione come merce, offerta in competizione, parcellizzata regionalmente in chiave politica.
La sinistra, azzoppata dagli errori di una riforma, sembra incapace di vedere il pericolo e soprattutto di farlo percepire nella sua globalità ai cittadini.

 

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