La Repubblica 29 ottobre 2000
ROMA - Lui, scienziato, usa un termine "artistico". "Plasticità. Questo serve alla nuova scuola. Che insegni a imparare, e a saper cambiare. Che formi alla flessibilità. Questo era il nostro obiettivo. Spero sia stato raggiunto".
Professor Alberto Oliverio, lei psicobiologo è stato tra i 300 che hanno scritto i capitoli della rivoluzione post-gentiliana, quella che veramente cambierà pelle alla scuola, ancor più dell'autonomia. Che cosa va in archivio per sempre?
"L'idea che bastino nozioni o materie specifiche per aver accesso al lavoro. La cultura è duttilità".
Si smantellano anche le vecchie elementari, ritenute tra le migliori in Europa, per accorparle alle ex medie inferiori in un ciclo di sette anni. Come amalgamare lezioni e docenti?
"I problemi potrebbero esserci, è vero. Ma in Inghilterra ha funzionato bene, e la coesistenza tra bimbi e preadolescenti è stata positiva. Potrebbe pure ridurre fenomeni di disagio come il bullismo. Certo, gli insegnanti, specie i più tradizionalisti, dovranno cambiare ottica e metodo. Ci sarà meno insegnamento libresco, solo teorico, e più pratica, più creatività". La riduzione a sette (invece di otto) degli anni di scuola di base, la maturità a 18 anni: non sarà controproducente? "No, affatto. Se gli insegnanti interpreteranno correttamente la riforma, sarà un taglio pragmatico e funzionale. Era stato notato perfino da psicologi che, così come sono oggi, gli anni delle medie inferiori non vanno, rappresentano una caduta di intelligenza e creatività. E poi, pensi alla nostra generazione. Quelli come me, che hanno fatto le scuole durante la guerra, quindi con irregolarità, magari due anni in uno, non si può dire abbiano subito un handicap culturale".
Sarà la scuola del futuro. Ma prima dell'informatica e delle lingue straniere, per la riforma vengono l'italiano e la matematica. Priorità antiche...
"Anzi, attualissime. E fondamentali. Incontro sempre più giovani, anche tra i miei studenti universitari, che hanno difficoltà con l'italiano. Non parlo di ortografia, ma di capacità di costruire una frase che materializzi un pensiero compiuto. Sta diventando un problema serio. Negli Stati Uniti, del resto, è già esploso... l'uomo medio là ormai fatica a leggere le istruzioni della lavatrice. Se hanno inventato le icone, non è solo per usare un linguaggio universale, ma anche per superare un "analfabetismo" diffuso".
E la matematica?
"Se ben insegnata, è cruciale per la formazione. E soprattutto lo diventa la logica. Saper manovrare la struttura del linguaggio. Compreso quello dei computer. I ragazzi imparano in fretta a usare il mouse, invece serve conoscere il funzionamento di un programma. Chi non ha logica, mentalità razionale, non avrà vita professionale facile".
L'umanesimo va in crisi?
"Tutt'altro. Ma se la riforma Gentile guardava a un'élite ristretta, oggi questo Paese è fatto per il 70 per cento di giovani che ai licei preferisce gli istituti tecnici, professionali. Nostro dovere è dar loro strumenti per navigare senza naufragi in un mondo che cambia in fretta. Una buona formazione umanistica, una buona conoscenza dell'italiano, sono anche più utili dell'informatica".
I futuri studenti avranno strade meno in salita per il lavoro?
"Me lo auguro. Mi auguro che la preparazione di base, così rivoluzionata, dia solidità. Quasi ogni azienda, oggi, fa corsi di formazione. Aggiornarsi non è difficile, se si ha metodo nell'apprendere, e nel riciclarsi".
La supercommissione di cui lei ha fatto parte come ha affrontato il suo compito?
"Con... plasticità. Per esempio, tutti gli esperti di impronta umanista hanno usato il computer. Un bel test... Battute a parte, si è proceduto con buona sintonia. Su questioni fondamentali c'è stato accordo pieno. Per dire, sull'opportunità di ridurre gli indirizzi negli istituti tecnici (oltre 150), lasciando un bricolage di materie di contorno. Ma, soprattutto, ci siamo intesi sullo scopo. Abbiamo parlato la stessa lingua. E poi, vede, io sono un empirista. Se qualcosa non andrà per il suo verso, si cambierà. Agli errori si rimedia. Ma dopo tanto parlare, finalmente si passa ai fatti. Era ora".