STIPENDI EUROPEI? STIPENDI EUROPEI!
di Pino Patroncini, Direzione Nazionale Cgil Scuola, Aderente ad Alternativa Sindacale

 

Gli insegnanti italiani sono sottopagati. Lo ha detto persino il Ministro della Pubblica Istruzione De Mauro e quindi non c'è ragione di dubitare. A questo proposito sono stati tirati in ballo gli stipendi europei. Ed è fuori discussione che da un punto di vista puramente contabile il rapporto non regge sia che si prendano stipendi iniziali, finali o a metà carriera sia che si confrontino i diversi gradi di scuola. Per brevità prendiamo solo i più grandi paesi europei: Francia, Spagna, Germania e Inghilterra. Secondo i dati Ocse chi più si avvicina all'Italia tra i maestri sono i francesi, con circa il 33% di stipendio in più, tra i professori della scuola media sono gli spagnoli con circa il 25% in più, tra i docenti del secondo grado sono di nuovo i francesi con circa il 25% in più. I tedeschi non ci vedono proprio: dall'80% al 100% in più!
Questione della diversa ricchezza dei paesi? Bene: rapportato al PIL l'indice del valore degli stipendi medi degli insegnanti italiani dà rispettivamente nei tre gradi di scuola 108, 119 e 123, quello dei francesi 126, 146 e 206, quello dei tedeschi 165, 183 e 200, quello degli inglesi 192, 200 e 200 e quello degli spagnoli 199, 199 e 257. Come dire che in Spagna, dove sicuramente i redditi sono inferiori a quelli italiani, un docente di secondaria accede a una quota di ricchezza nazionale doppia rispetto a quella di un italiano.
Viene da pensare che in Italia allora c'è una maggior perequazione verso i salari dell'industria e del commercio. E invece no, perché un maestro italiano appena assunto guadagna il 97% di un salario operaio, mentre il suo collega inglese guadagna l'81%, così come il suo collega tedesco guadagna l'81% di un impiegato. Il lavoro docente, mal comune mezzo gaudio, è bistrattato ovunque nel mondo industrializzato, ma dove il lavoro dipendente è trattato meglio, anche il lavoro docente è trattato meglio. La questione salariale degli insegnanti quindi si iscrive a pieno titolo nella più generale questione salariale del lavoro dipendente nel nostro paese.
Ma quando si tocca il tasto dei salari europei c'è sempre qualcuno pronto a obiettare che all'estero gli insegnanti lavorano di più e sono in numero inferiore, quindi costano di meno complessivamente (ultimo, in ordine di tempo, Casalegno sul Sole-24 Ore del 16 settembre). Ma anche questa è solo una mezza verità: come orario settimanale in Italia si lavora meno della Francia nell'elementare, dell'Inghilterra e della Germania nella secondaria superiore e complessivamente nella scuola media, si lavora più o meno come in Spagna e in Inghilterra nella scuola elementare, si lavora di più che in Germania nell'elementare e che in Francia e Spagna nella secondaria superiore. E anche quanto a giorni di scuola i nostri 200 giorni di lezione effettivi non sfigurano a fronte dei 164 giorni spagnoli o di un calendario francese che, pur iniziando il 5 settembre e finendo il 29 giugno, prevede ben 62 giorni di vacanza in corso d'anno.
Quanto al personale, 900.000 operatori scolastici, di cui circa 300.000 maestri e 450.000 professori, non sfigurano a fronte del 1.350.000 operatori francesi, di cui circa 350.000 maestri e 516.000 professori, e dei circa 500.000 insegnanti spagnoli, soprattutto se si calcola che sul corpo docente italiano si caricano funzioni (50.000 insegnanti di sostegno, 30.000 insegnanti di religione, 100.000 precari, di cui nessuno classificato come tirocinante ecc.) e attività (prescuola, mense, copresenze) diversamente gestite negli altri paesi. Se si andasse a vedere nelle cuciture si scoprirebbe che rispetto agli altri paesi europei vi è una sproporzione di personale e di spesa verso la scuola elementare. Ma questo è anche il prezzo che va pagato alla buona considerazione che essa ha, anche a livello internazionale. O no?
Due soli vantaggi possono essere ascritti alla scuola italiana da un punto di vista retributivo: la richiesta di una minor preparazione per accedere ad alcuni insegnamenti e la minor divaricazione salariale tra i gradi di scuola.
In nessun altro dei principali paesi europei basta studiare fino a 17 anni per insegnare alla scuola dell'infanzia, né fino a 18 per insegnare nelle elementari. Ma ormai col prossimo anno questa possibilità non ci sarà più.
In nessun altro paese, tranne forse l'Inghilterra, la differenza retributiva tra i tre gradi di scuola arriva al massimo al 16%, mentre in Germania e Francia supera il 20% ed in Spagna il 30%, pur in presenza di titoli di studio più omogenei. E questo senza ricorrere a premi di professionalità che quando esistono, come nel caso degli agregé francesi, portano la differenza al 65%. È un dato da tener presente se si vuole la funzione unica: il modello europeo porta in ciò a una divaricazione e per di più, dal momento che il secondo grado corrisponde grosso modo al nostro triennio superiore, su cicli anomali rispetto a quelli italiani, vecchi e nuovi.
Un terzo elemento, una volta vantaggioso, si sta rivelando un boomerang: la progressione di carriera. Compressa negli anni settanta e ottanta per scelte sindacali a favore di un corpo docente maggioritariamente giovane (degli attuali 900.000 operatori circa 600.000 entrarono in ruolo tra il 1974 ed il 1984), oggi pesa sugli stessi docenti ormai invecchiati, costituendo un ulteriore scarto con gli altri paesi europei di per sé, senza cioè ricorrere a premi di professionalità, presenti soprattutto in Francia e in Inghilterra e la cui funzione in tal senso è stata spesso mistificata o ingigantita ad arte, per esempio, dai sostenitori nostrani dell'art.29.
Non è dunque tutto oro quello che luccica in Europa, ma non vi è dubbio che oggi i docenti italiani fanno un lavoro reale superiore a quello ufficiale e ricevono un salario reale inferiore al lavoro ufficiale. In Europa la prima di queste questioni è aperta e dibattuta, la seconda è definita. Da noi occorre colmare entrambe queste distanze. Quindi: stipendi europei? Sì, stipendi europei!

 

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