:: Famiglia freak
C'è una scena dal film Freaks di Todd Browning del 1932 che può essere istruttiva rivedere per tutti noi queer. Anzi tutta la comunità di freaks e artisti del circo nel film di Browning può essere letta con sguardo queer per riflettere sul rapporto tra normalità e mostruosità, non in astratto ma praticamente e socialmente - cioè nel rapporto tra gruppi socialmente ascritti alla normalità e gruppi mostruosi, freak.

I due nani del film, il piccolo Hans e Frieda sono fidanzati, ma la tragedia è annunciata dall'inizio. Il piccolo Hans posa il suo sguardo di desiderio sulla avvenente trapezista Cleopatra e nella scena clou del film, quella del banchetto di nozze, sembra che Hans possa realizzare il miracolo di unire insieme mostri e normali mediante la cerimonia normalizzante per eccellenza: quella del matrimonio. Si tratta però in questo caso di un rituale fallato e fratturato in partenza. In primo luogo la tavolata è divisa chiaramente in due estremità. All'estremità più lontana dalla macchina da presa i "diversi" del circo: i freaks di Madame Tetralini (notiamo le categorie della diversità: il metà-uomo-metà-donna, le teste a spillo ovvero i tre microcefali, le gemelle siamesi, la donna barbuta che nel film rimarrà incinta di un'altra bambina, forse barbuta, il torso umano di razza nera, la nana Frieda metà bambina metà adulta. Sono mostri al confine tra i generi, al confine tra le età, sono corpi tra virgolette "disabili" - in realtà fanno tutto ciò che c'è da fare -, sono donne e neri). Da una parte dunque la "famiglia freak", all'altro capo Cleopatra e Hercules, suo complice, i quali rappresentano l'altra categoria di corpi circensi, quelli sani, quelli atletici, quelli esteticamente oggetto di desiderio. Tra di loro, il nano stupendo, bambino adulto, Hans, che sta per sposare Cleopatra, oggetto impossibile del suo desiderio, ma forse non così impossibile.

Che cosa sa lo spettatore e la spettatrice che il piccolo Hans non sappia? Che il matrimonio è una burla architettata da Cleopatra e il suo body-builder per poter ereditare la fortuna del nano. Che il piccolo Hans è stato per tutto il tempo oggetto di derisione della coppia, come Frieda ha sempre sospettato ma Hans ha scelto di non credere. Il rovesciamento geniale del film arriva adesso. All'inizio si potrebbe credere che ad essere assimilato sia il piccolo Hans, finalmente promosso al rango della rispettabilità dei normali attraverso le credenziali della moglie. Dal momento che per tutto il banchetto Cleopatra ubriaca si prende gioco di Hans, lo spettatore viene indotto innanzi tutto a riconoscere la perfida vittoria dei normali e a compatire al tempo stesso l'ingenuo e innamorato Hans. Sarebbe già un bello sguardo demistificatorio. Ma Browning fa di più. Dall'estremità freak della tavolata si leva una coppa, una coppa dell'amore, che i freak fanno passare perché tutti ne bevano. La macchina da presa si posa sui primi piani dei freak libanti mentre in coro intonano una litania che sempre più si fa ossessiva: "Chi beve diventa uno di noi!" e ancora: "Facciamola diventare una di noi. La coppa dell'amore! L'accettiamo come una di noi, una di noi, una di noi!". Il rito del matrimonio eterosessuale in cui un soggetto inferiore può essere promosso in modo vicario al rango di soggetto di diritti riconosciuto (la donna in passato, il freak nel film di Browning) viene sovvertito con un semplice contro-rituale per diventare in realtà il rito in cui è Cleopatra a essere assimilata e accettata come una freak virtuale. Chi sta sposando chi? E' Hans a sposare Cleopatra e diventare "come" un normale, oppure Cleopatra a sposare Hans e diventare "come" un freak?

Lo scherzo dell'assimilazione di Hans tra i normali si è tramutato nell'orrore dell'assimilazione reale di Cleopatra tra i freak. La macchina da presa si sofferma sul volto di lei, mentre si fa strada l'orrore di quel rovesciamento, così banalmente, tremendamente possibile. "Luridi schifosi mostri [freaks]" - urla - "Andatevene!". Questa scena, se vista con occhio queer, con il nostro occhio di mostri sociali, rappresenta per un attimo la possibilità più alta di potere che abbiamo: far diventare i normali mostri come noi, soggetti attraversati dallo spettro della mostruosità. Una mostruosità di cui i freaks non sono costretti ad avere paura, mentre la bella Cleopatra sì. Il volto di Cleopatra, nella frazione di secondo in cui passa dal sorriso compiaciuto all'orrore della propria contaminazione, mostra la maschera drammatica di quella che nel film si può definire freakphobia e che noi possiamo leggere ugualmente come la maschera drammatica dell'omofobia, o della transfobia. Dicevo la possibilità più alta di potere, perché in quel passaggio vediamo la detronizzazione del normale, da normale vittorioso e sicuro di sé, a normale sconfitto perché insicuro di sé.

Naturalmente nel film la trasformazione di Cleopatra in freak non è solo virtuale, prodotto della sua fobia allucinatoria. Come è anticipato dal prologo e come ci viene a mostrare l'epilogo drammatico, tutto il finale di Freaks è occupato dalla vendetta della famiglia freak che nell'inseguimento finale sotto la tempesta ridurrà fisicamente a un moncherino freak la bella Cleopatra, vale a dire proprio il fenomeno da baraccone che il presentatore iniziale del freakshow introduce ai suoi spettatori con le seguenti parole: "Ecco a voi il mostro più affascinante…". Val la pena di risentire le parole con cui vengono presentati i soggetti in mostra nel freakshow (vi ricorderanno qualcosa, ne sono sicuro): "Avete riso di loro, eppure per un capriccio della sorte sarebbe potuto capitare anche a voi. Certo, non hanno chiesto loro di venire al mondo, ma al mondo ci sono venuti. Hanno un loro codice che è legge a parte. Offendetene uno, e li offendete tutti". Passa quindi a esibire il freak più terribile a vedersi. Non è uno dei freaks di natura, però - quelli di cui ha parlato sinora scusandoli con le stesse parole con cui noi omosessuali ci scusiamo perché siamo fatti così per natura - no, il freak più terribile è quello che è diventato tale, la bellissima Cleopatra che una volta era la femme fatale che faceva innamorare di sé principi ma ora è un corpo dilaniato e dimezzato, vittima della feroce vendetta dei freak, i quali hanno, come tutte le società segrete, come tutti i clan banditeschi, come tutte le subculture - mi verrebbe da dire - un codice di condotta, una legge dei fuorilegge: "Offendetene uno, e li offendete tutti". Come codice d'onore e principio etico-politico non c'è male. Ma non è il principio della vendetta di gruppo che vorrei sottolineare, bensì qualche considerazione sulle condizioni per definire una "famiglia freak". La famiglia o il clan freak di Madame Tetralini è certamente un gruppo sociale ma non ha nessuna intrinseca qualità che li possa definire unitamente. Il soggetto freak è il soggetto singolare per eccellenza; essendo il non previsto (sino all'Ottocento il freak è visto come una meraviglia, come una manifestazione terribile e al tempo stesso mirabile della Natura, prima di essere visto come un errore da medicalizzare), essendo l'imprevisto, come potrebbe costituire logicamente una categoria unica? Anzi, i freaks sembrerebbero essere al contrario un'accozzaglia sparsa di relitti, di soggetti mancanti di qualcosa, e disabili. In alcuni casi la mancanza sembrerebbe ovvia, ma in altri? E in ogni caso, mancanza rispetto a che cosa? In che cosa è "mancante" un uomo con "due" teste, o le gemelle siamesi del film? E in che cosa sono disabili se fanno tutto, anzi è proprio il fatto che sappiano fare altrimenti gesti banali e quotidiani ad attirare spettatori? Come i freak sessuali che siamo noi omosessuali, o i freak corporei che sono i transessuali o gli intersessuali (il cui corpo viene chirurgicamente modificato alla nascita per adattarsi al modello binario normalizzato), essi sono mancanti soltanto perché non hanno il potere di definire in base a che cosa stabilire la mancanza o la pienezza. Hanno però il potere di ridurre alla mancanza freak il cosiddetto normale, come abbiamo visto almeno in due scene del film: in primo luogo attraverso il rovesciamento del cerimoniale eterosessuale, in un secondo momento attraverso la vendetta di gruppo che concretizza praticamente la trasformazione virtuale in freak paventata da Cleopatra. Perché è questo quello che conta: nel momento in cui il normale teme di diventare freak, la sua normalità è già sospesa e interrotta.

La famiglia freak non è composta di soggetti uguali, tuttavia può a tutti gli effetti costituire un corpo sociale a cui possono avvicinarsi altri, anche quelli apparentemente non freak - nel film, Venus, la ragazza che anche lei ha sperimentato il rifiuto, da parte degli uomini, e il clown Phrozo che di lei si innamorerà. La famiglia freak è caratterizzata dalla solidarietà ("Offendetene uno, li offenderete tutti"), ma dal momento che non è un corpo a parte, non costituisce un ghetto, uno spazio separato. Sia i corpi sani e atletici degli artisti circensi sia quelli deformi e difformi dei freaks lavorano infatti nello stesso spazio alienato del lavoro, anzi diciamo meglio - fanno parte di uno spettacolo. Il film di Browning lavora quasi tutto dentro il mondo del circo; solo in due momenti abbiamo brevi visioni di quello che sta fuori o sopra il circo che ci esibisce: la scena iniziale e finale dove il freakshow è rivelato come uno spettacolo per i rispettabili borghesi (uno spettacolo che come abbiamo visto li interpella con il terrore del contagio freak); e una breve scena a metà, in cui Madame Tetralini porta i suoi "bambini " freak a giocare nei prati, che altro non sono se non la proprietà privata di un gentiluomo francese. Nonostante le minacce espresse di far passare leggi per eliminare o perlomeno rinchiudere i freaks, la comitiva infantilizzata viene lasciata stare, libera di circolare e di tornare a esibirsi nel circo.

Leggere politicamente in modo freak e queer questo film - come tanti altri libri e tanti altri film e testi - è fondamentale per poter continuare a pensare alla realtà in modo diverso. In particolare la metafora della famiglia freak suggerisce invenzioni, nuove o meno nuove, ma produttive e piene di capacità trasformative, rispetto all'idea, altrettanto metaforica, di comunità omosessuale. Sappiamo che abbiamo allargato questa comunità, almeno nominalmente, sino ad abbracciare gay e lesbiche, transessuali e transgender (senza sapere cosa siano questi ultimi/e), qualche volta i bisessuali qualche volta no, a seconda del capriccio dei soggetti. Ma l'idea di comunità omosessuale- che pure riconosciamo non realizzata compiutamente in Italia - ha le sue derive negative e in ogni caso dovrebbe essere riconosciuta come soltanto una delle metafore ispiratrici. Innanzi tutto l'idea di comunità è troppo ambigua: comunità basata su che cosa, o su chi? Basata su un'identità simile? In che senso una identità lesbica è simile a una gay? Per il fatto che gli uni NON andiamo a letto con le altre? Oppure basata su interessi comuni? Certo, esistono all'interno dei gruppi gay o lesbici o transessuali e transgender degli stili, dei codici di riconoscimento e condotta che si sono prodotti socialmente e vengono perlopiù trasmessi come "obbligatori" - come ogni gruppo tende a fare. Sono questi gli interessi da riconoscere come identificanti? Oppure si intende "interessi" nel senso di "obiettivi"? Ma una comunità basata su obiettivi è per definizione piuttosto che una comunità "esistente", legata a un presente, una comunità legata a un futuro, una comunità si può dire utopica. Inoltre parlare di comunità porta a privilegiare i momenti di comunanza e a svalutare, se non marginalizzare, i momenti di dissonanza, i loro portatori e portatrici.

In una definizione possibile di "teoria queer" si suggerisce che un obiettivo di una strategia queer è quella di creare una "ossimorica comunità di differenza", inclusiva non solo di tutte le varietà di identità gay, lesbiche e bisessuali (identità quindi già di per sé plurali), ma di altre sessualità definite come marginali e non considerate: travestiti, transgender, coppie interrazziali (in America, dove la normalità è bianca per definizione), sessualità sadomaso… Rispetto a una concezione della politica che è prevalente nel movimento omosessuale gli obiettivi unitari sono definiti nel rapporto con le istituzioni e da quello che è possibile ottenere come riconoscimento: i diritti civili, le unioni, con un gradualismo tutto pragmatico e non radicale: non si chiedono insieme tutti i diritti ma quelli più ragionevoli per la norma eterosessuale. L'agenda dei diritti da chiedere è di fatto dettata non dalle esigenze dei reali soggetti marginali queer, ma dalla disponibilità psichica e politica della maggioranza eterosessuale ad accettarne alcuni e a rimuoverne altri. La ragionevolezza politica si trasforma facilmente in una graduatoria di diritti: di seria A e di serie B, da chiedere subito e da chiedere dopo, forse.

Secondo alcuni l'affermazione della norma eterosessuale è perpetuata persino da molti attivisti gay. Tutte le volte che si privilegia un diritto su di un altro, si crea una comunità gerarchizzata. Tutte le volte che si agisce rispettando le sensibilità e le limitatezze dei portavoce della norma eterosessuale, si tratta loro come bambini mentre si procede a nascondere sotto il tappeto e a rinchiudere temporaneamente nello sgabuzzino quei freak che ci farebbero fare brutta figura. Altro che visibilità! La famiglia freak si comporta in Browning altrimenti. Al suo interno è dissonante, riproduce persino le aspirazioni di buona coppia e di relazioni romantiche del normale mondo eterosessuale (tranne che in quello esse nascondono quasi sempre rapporti maschilisti di potere); nulla li contraddistingue in assoluto se non la pericolosa tendenza a eliminare i confini tra la loro "comunità di differenza" e quella dei normali che invece si pensano come "comunità di uguali", tranne sperimentare l'orrore della diversità a ogni pié sospinto.

La famiglia freak ha anche un'altra caratteristica che dovrebbe interessarci. E' definita freak rispetto al loro corpo. Se fossero diversi dentro e basta, che sollievo! Ma la loro dissonanza è tutta inevitabilmente esibita, sulla superficie del loro corpo. La loro stessa emarginazione è il risultato di una politica che si muove con, sui e rispetto ai corpi. Se una possibile fantasia di potere (velato) omosessuale sarebbe quella fondata su omosessuali che pur non riconoscibili sono dappertutto, questa è invece la fantasia di potere opposta: i freak sono la riconoscibilità fatta persona. Andrebbe fatto un discorso sulla visibilità più serio e articolato. Prendiamolo dal versante freak. I freak non possono non essere riconosciuti, ostentano la loro dissonanza corporea, così come le checche, i travestiti, le lesbiche butch, e tanti altri queer nei modi più o meno sottili, ostentano la loro differenza. Sappiamo perché e quando diamo fastidio: quando "ostentiamo". Come dice bene un volantino fascista di quelli disseminati a Verona: noi omosessuali dovremmo tornare nelle nostre camere da letto e rimanerci, magari scopando sino a scoppiare. Perché il fatto che scopiamo o meno e in che modo, con chi e quanto spesso, non dà sostanzialmente fastidio a nessuno. A meno che non siano costretti a vederlo. E costretti a vederlo vedendoci. Quindi specializzandoci semplicemente come comunità sessuale dedita a piaceri privati (nelle case o nei club con tessera non fa tutta questa differenza) confermiamo sotto questo aspetto la norma eterosessuale che è principalmente una norma omofobica. Cleopatra nel momento dell'orrore non è inorridita dallo spettacolo dei freaks (ci è abituata ormai, anche se li deride continuamente), ma è inorridita dallo spettacolo di sé come possibile freak. I freak hanno il vantaggio di non dover scegliere la visibilità, mentre noi possiamo scegliere di farci freak o meno. Farsi freak significa quindi provocare l'orrore della mostruosità di tutti, in primo luogo di chi si ritiene normale. Ecco il binomio suggerito da una lettura queer del film: rendere sé stessi freak e trasformare in freak chi ne è fobicamente inorridito. Trasformare in freak chi li offende è la legge d'onore della famiglia freak in Browning.

Uno dei modi in cui noi facciamo la prima cosa (trasformare noi stessi in freak) è attraverso la parata del queer pride (o di quello che dovrebbe essere un queer pride). La parata è la nostra versione di freakshow, un freakshow che a differenza del film non è nelle mani dell'imbonitore (e più ambiguamente del regista stesso) ma nelle nostre stesse mani. Nel freakshow l'assenza di scelta nella visibilità freak li rende forti ma anche deboli perché essi pur sempre costantemente esibiti dal potere dello spettacolo; nel freakshow queer la scelta dell'ostentazione è una delle forme più creative che un soggetto come quello omosessuale e transessuale ha avuto a sua disposizione, non solo per esprimersi ma anche per riconoscersi. Nella mia lettura del freakshow queer , infatti, direi che quando sfiliamo insceniamo sostanzialmente la metafora della famiglia freak come fantasia di appartenenza. L'unica famiglia che merita di essere formata è quella che non ti obbliga a essere uguale agli altri.

Il corpo, infine. La politica gay che si batte sull'astratto dei diritti dimentica troppo facilmente che è la bio-politica quella che domina il nostro secolo. Un recente libro scritto dalla lesbica radicale Beatriz Preciado (tradotto collettivamente a cura del centro studi GLTQ) si intitola Manifesto contra-sessuale,. Si tratta di una riflessione politica tutta giocata sul corpo come luogo politico per eccellenza: il corpo è il luogo meno naturale che esista, segnato com'è dalle pratiche di indottrinamento, di disciplina, di formazione e deformazione (estetica e culturale), e di adeguamento alle richieste dell'identità di genere cui siamo ascritti. Le nostre parti organiche sono disegnate dalla cultura che, ad esempio, le differenzia come sessuali o meno, oppure come indicatrici della maschilità o della femminilità biologica. Analogamente i piaceri del corpo vengono irreggimentati secondo modelli accettabili, così da trasformare il nostro corpo singolare in corpo "sociale", un corpo "che conta", come scrive Judith Butler. I corpi che non si adeguano, che non producono, o che non riproducono, che non piacciono, che non consolano e confortano, con le loro sessualità nascoste e mai esplorate, fatte parlare soltanto quando possiamo definirle eterosessuali o omosessuali (con al massimo qualche altra manciata di categorie medicalizzabili o psicologizzabili) … tutti questi corpi e le loro sessualità, i loro piaceri improbabili e imprevisti, dove finiscono? Sono i nostri freak dimenticati, sono i freak che persino noi, già freak designati dalla norma, tacitiamo, perché neppure noi siamo sicuri di essere una famiglia solidale come quella, criminale ma produttiva, dei freak di Browning. Che ha un'unica legge, un unico codice: trasformare tutti in freak. A partire da chi li offende.

Marco Pustianaz