 |
 |
L'articolo di Bernini comparso sul numero 12 di ("Liberazione femminile ed omosessualità, riflessione sulle possibilità di un'alleanza tra due soggetti sociali oppressi") offre numerosi spunti di riflessione che meritano di essere discussi anche al di là dei gruppi omosessuali. Sono d'accordo con le affermazioni da lui fatte e ritengo utili i richiami necessariamente succinti dei diversi punti di vista che esistono all'interno del movimento omosessuale. Qui di seguito riporto alcune considerazioni e solo in fondo mi permetto una nota critica su un punto specifico di quell'articolo.
Bernini afferma:
"Sull'orientamento sessuale esistono infatti due ipotesi differenti: quella minorizzante, secondo cui esiste una popolazione distinta di persone "realmente" omosessuali, che costituiscono appunto una minoranza; e l'ipotesi universalizzante, secondo cui il desiderio sessuale non è stabile, e non può pertanto definire un'identità: il desiderio omosessuale, come quello eterosessuale, appartiene a tutti".
Credo che non sia indifferente dal punto di vista politico l'adozione di uno o l'altro punto di vista. Il problema è che nessuno dei due è falso, ma si muovono su due piani molto diversi. Come si forma l'identità dei soggetti sociali oppressi? In realtà i soggetti sociali sono tali anche se non hanno alcuna identità o coscienza della propria oppressione. La classe operaia è sfruttata anche se non ha coscienza del proprio sfruttamento e vota in massa per la destra o la Lega. Così gli omosessuali, le donne e i giovani sono discriminati e vivono oppressioni specifiche anche se non hanno coscienza di questo. L'identità è il passaggio intellettuale che porta un membro di un soggetto sociale oppresso a dire: sono un giovane, sono un omosessuale, sono un operaio; a rendersi conto di essere qualcuno di diverso da qualcun altro, è ciò che lo porta ad incorporare nella propria identità di persona l'appartenenza ad un certo gruppo sociale. Questo processo identitario non è affatto scontato. Quanti operai sentiamo rispondere alla domanda sul proprio mestiere "lavoro in ditta"? Quanti giovani laureati costretti a fare lavori alienanti rifiutano di integrare nella propria identità l'essere diventati dei proletari? Questa caratteristica fuga dalla consapevolezza identitaria è abbastanza tipica dei periodi di riflusso, e colpisce anche gli omosessuali, molti dei quali rifiutano pervicacemente di considerarsi tali contro ogni evidenza.
La coscienza è un passo successivo a quello identitario. Il giovane laureato che non assume la propria proletarizzazione come parte della propria identità di persona non si interesserà mai di sindacato, ma cercherà al di fuori dell'ambito di lavoro la realizzazione di ciò che suppone essere la sua "vera" identità. Così non ci si può aspettare da un omosessuale represso che si batta per i diritti degli omosessuali. E così via. La coscienza è dunque successiva all'identità. Ma questo discorso ci porta fuori strada. L'assunzione dell'identità omosessuale (o proletaria, o giovanile, o di donna, ecc.) è la presa di coscienza della propria diversità da altri e dell'appartenenza ad un gruppo. Questa identità, cioè questa diversità, non è qualcosa di astratto, ma di estremamente concreto. I soggetti sociali oppressi sono davvero diversi dagli oppressori. E non solo perchè gli uni stanno sopra e altri sotto, ma perché possiedono caratteristiche, mentalità, cultura diverse.
Come dice Bernini: "l'affermazione dell'identità maschile passa attraverso la rimozione di elementi caratteriali femminili e attraverso la persecuzione dell'omosessualità maschile. Fin da piccoli i bambini che vengono designati come omosessuali vengono derisi nel gruppo dei maschi, e spesso subiscono forme simboliche o concrete di violenza sessuale: il gruppo dei maschi "ha bisogno" di trovare al proprio interno un capro espiatorio omosessuale. Inoltre le barzellette sui "culattoni", così come le battute sulle "fighe", fanno parte del repertorio obbligatorio di ogni conversazione da maschi al bar: il maschio deve dimostrare di essere dominatore di donne e repressore di uomini omosessuali, perchè deve dimostrare di meritarsi il potere maschile."
"Spesso i bambini omosessuali giocano con le bambole assieme alle bambine, e spesso acquisiscono quelle capacità di introspezione e di intimità che caratterizza le donne e di cui gli uomini sono di solito incapaci."
Ora, perché esiste questa diversità? Il che equivale a dire: perché esiste un'identità omosessuale? Da dove sorge? Essa è frutto dell'oppressione. Non esisterebbe alcuna diversità omosessuale e dunque nessuna identità se non ci fosse l'oppressione esercitata sugli omosessuali. Lo stesso accade anche per gli altri soggetti sociali oppressi. Non ci sarebbe alcuna specificità dei neri americani se il colore della pelle fosse tanto indifferente agli umani quanto la larghezza delle orecchie. Gli ebrei in Italia si sono resi conto di essere diversi solo nel momento in cui sono apparse le leggi razziali. Così come la maggiore sensibilità degli omosessuali di cui parlava Bernini cesserà di essere una esclusiva omosessuale non appena tutti i bambini che hanno voglia di giocare con le bambole potranno farlo in santa pace senza vedersi precipitare addosso un padre ansimante.
Se non esistesse l'oppressione contro gli omosessuali, le persone potrebbero essere collocate per il loro orientamento sessuale secondo un continuum dove tra i due estremi, degli etero e degli omosessuali esclusivi, vi sarebbero in mezzo innumerevoli sfumature e casistiche variabili in diversa misura e secondo le diverse epoche della propria vita. Tutte queste sfumature intermedie renderebbero assai difficile l'individuazione di categorie separate. In assenza di oppressione del resto tutti troverebbero abbastanza bizzarro fondare la propria identità sui diversi orientamenti sessuali.
Ciò che forma due gruppi separati, gli eterosessuali e gli omosessuali, è certamente l'oppressione. La separazione secca è necessaria per garantire l'oppressione ed i privilegi degli oppressori. Allo stesso modo un forte razzismo come c'è negli USA determina un basso numero di mulatti, contrariamente ad esempio al Brasile in cui pur essendoci un razzismo strisciante ma minore di quello USA il numero dei mulatti (con innumerevoli graduazioni) è molto più alto. La separazione è un fattore d'oppressione che colpisce tutti i soggetti sociali oppressi, basti pensare alla separazione alla quale sono sottoposti i maschi e le femmine sin da piccoli nella scelta dei giochi, ecc.
Ma questa dinamica separatoria reca con sé inevitabilmente anche la sua contraddizione interna. A livello territoriale ad esempio i soggetti sociali oppressi si ritrovano spesso uniti, quando prima erano dispersi. Le famiglie operaie si ritrovano negli stessi quartieri, negli USA gli omosessuali costituiscono a San Francisco una fetta notevole della popolazione, ecc. Questa separazione crea cioè alcune volte una vicinanza forzata che spesso favorisce le possibilità di espressione ed organizzazione specifiche.
Naturalmente noi dobbiamo lottare contro questa separazione ma non attuando una politica culturale incentrata sul "volemose bene"; risolveremo poco facendo incontrare insieme i bambini di un quartiere borghese con quelli di un quartiere povero oppure cercando di convincere gli eterosessuali a "rispettare" gli omosessuali. Solo attraverso una politica, di lotta, di alleanza, di liberazione possiamo sperare di sconfiggere le diverse forme di oppressione.
C'è chi ritiene che il problema delle discriminazioni stia nell'incomprensione, nella diffidenza verso il diverso, ecc. Al contrario penso che le oppressioni ci sono perché si reggono su vantaggi concreti di un soggetto sociale a spese di un altro. Agli eterosessuali conviene l'oppressione degli omosessuali perché da ciò traggono dei vantaggi di natura prevalentemente psicologica che bene venivano descritti da Bernini. Tra i diversi soggetti sociali esiste uno scontro. Così come c'è una lotta di classe, c'è anche una lotta tra etero e omosessuali. Una politica di lotta, di alleanza e di liberazione consiste nel far sì che i soggetti sociali oppressi organizzati facciano una proposta politica di alleanza tra loro per finirla con tutte le oppressioni. Questa proposta è conveniente per tutti, perché è in grado di mettere insieme la stragrande parte dell'umanità, e il vantaggio finale è di gran lunga superiore alle rinunce che ognuno da subito deve fare. Una delle ragioni fondamentali per cui il movimento operaio ha sempre perso le sue rivoluzioni è dovuta proprio al rifiuto di stipulare una politica di alleanze con gli altri soggetti sociali oppressi: donne, giovani, nazionalità oppresse, omosessuali.
L'ipotesi "universalizzante" è giusta in linea di principio ma inutile ai fini politici, cioè ai fini dell'azione. Noi lottiamo per un mondo dove non esista una separazione che non ha ragione di esistere tra etero ed omosessuali, ma stiamo in un mondo dove questa divisione esiste. È già individuabile un gruppo separato e discriminato. Questa separazione potrà essere eliminata solo dalla liberazione. Così come la liberazione degli operai sarà la liberazione di tutta l'umanità (cioè gli operai lottano per la propria eliminazione in quanto classe), così la liberazione degli omosessuali sarà la liberazione di tutti (e la loro sparizione in quanto categoria separata), anche, dunque, degli eterosessuali che non saranno più costretti a star chiusi in gabbie che si sono costruiti da soli, prigionieri di innumerevoli paure. Ma questo non è un argomento tale che possa convincere qualche eterosessuale a rinunciare ai propri privilegi per abbracciare una politica di alleanze.
Una politica di alleanze deve avere cioè delle gambe su cui camminare. Deve avere dei soggetti organizzati che si fanno carico di portarla avanti. E qui dobbiamo registrare una spaventosa arretratezza, soprattutto in Italia. Da noi c'è un movimento operaio che per forza inerziale mantiene un certo impianto organizzativo. Ma per gli altri soggetti sociali oppressi è ancora peggio, basti pensare alla disastrosa situazione in cui versa il movimento delle donne.
Ne deriva da quanto detto che il compito urgente da parte di tutti i soggetti sociali oppressi è quello della costituzione di propri e separati ambiti organizzativi ("sindacali", cioè larghi, di massa, e politici, quindi più ristretti e definiti programmaticamente) e in questo senso l'ipotesi "universalizzante" non serve a nulla, serve al contrario l'assunzione piena del proprio essere gruppo separato.
Un'ultima notazione, quella critica. Bernini afferma:
"È vero che l'omosessuale maschio, "l'uomo-donna", resta pur sempre un uomo ed ha la possibilità, se non si rivela o non è riconoscibile da comportamenti effeminati, di godere dei privilegi che spettano al proprio genere. Tuttavia nel vissuto degli omosessuali maschi fin da giovane età generalmente si riscontra il rifiuto di alcune modalità maschili - come il gioco violento e le manifestazioni di forza fisica - e la ricerca di un'amicizia-alleanza con le femmine, mentre rari sono i rapporti di vera amicizia con i maschi."
Su questo non sono molto d'accordo. Mi pare un tirarsi via dall'appartenenza ad un soggetto sociale oppressore che francamente trovo un po' troppo comodo. I maschi, tutti, godono di privilegi per il solo fatto di essere maschi. Per esempio un diritto fondamentale per il formarsi del carattere come è quello della libertà di movimento è riservato ai maschi (omosessuali compresi), ma non alle donne. Per le donne vige un coprifuoco non dettato da alcuna legge (in Italia), ma assolutamente funzionante. Inoltre non mi pare che nelle organizzazioni omosessuali miste le lesbiche fossero particolarmente soddisfatte delle pari opportunità date ai due generi. Ho parlato sopra di "identità" degli oppressi. Ebbene, non penso che andiamo da nessuna parte se non assumiamo anche quel che ci compete della nostra identità di oppressori. Gli adulti ad esempio devono essere coscienti di appartenere ad una categoria di oppressori (nei confronti dei giovani) se vogliono evitare di rovinare i propri figli e cercare di limitare i danni. Un appartenente ad una categoria di oppressori che decide di rinunciare ai propri privilegi per una politica di alleanza deve prima di tutto riconoscere la propria appartenenza ad una categoria di oppressori, perché solo così sarà possibile per lui "tradire" il proprio gruppo. Così per un eterosessuale è necessario riconoscere innanzitutto i privilegi di cui gode, indipendentemente dalla propria volontà, per il fatto stesso di appartenere a quella categoria di oppressori, se davvero vuol portare avanti una politica non ipocrita di alleanza con gli omosessuali.
Michele Corsi
|
|
 |