I Massoni in Italia | ||||
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Dal
libro di L'unificazione
fra le obbedienze di Palazzo Giustiniani e Piazza del Gesù Eppure come
nel primo triennio della sua gran maestranza aveva colto il frutto maturo
del riconoscimento da parte della Gran Loggia Unita d' Inghilterra,
anche all'inizio del secondo triennio Salvini realizzò un grosso successo
che aveva tutte le caratteristiche per essere definito storico: la riunificazione
con la Massoneria Universale di Piazza del Gesù. Le due famiglie erano
separate da 65 anni e per tutto quel tempo avevano vissuto ufficialmente
ignorandosi a vicenda in realtà spiandosi, raccogliendo notizie una
dell'altra, cercando di catturare gli uomini migliori. Avevano percorso
strade all'apparenza simili, delimitate dalle stesse pietre di confine
e lastricate dalle stesse antiche costituzioni, ma in realtà divergenti.
Quanto a palazzo Giustiniani erano stati laici sempre e anticlericali
spesso, tanto a piazza del Gesù avevano cercato e trovato contatti e
dialogo con la chiesa già molti anni prima che il paolino Rosario Esposito
cominciasse l'evangelizzazione della libera muratoria. I "giustinianei"
avevano sempre avuto una marcata impronta di sinistra arrivando ad aprire
le porte dei templi ai socialisti rivoluzionari e agli anarchici; i
"gesuih " si erano sempre mantenuti sul moderato, cercando proseliti
tra monarchici, liberali, socialdemocratici, democristiani e sconfinando
frequentemente nel terreno reazionario dei fascisti. Gli epigoni di
Adriano Lemmi avevano sempre coltivato la speranza di poter diventare
un superpartito; i seguaci dello scissionista Fera erano sempre andati
a chiedere ai partiti protezioni e favori. A palazzo Giustiniani la
democrazia funzionava: il Gran Maestro e tutti i dignitari dell'Ordine
e delle logge restavano in carica tre anni e dopo tre elezioni consecutive
il Gran Maestro non poteva più ripresentarsi; a Piazza del Gesù il maglietto
del comando poteva essere mantenuto dalla stessa persona per tutta la
vita. Palazzo Giustiniani aveva conosciuto tempeste, polemiche, battaglie
intestine durissime ma bene o male era rimasto compatto; invece dal
fianco di Piazza del Gesù ogni tanto nasceva qualche nuova obbedienza.
Fino a quando a capo dei "gesuiti " c 'era stato il medico Tito Ceccherini,
ogni tentahvo di dialogo era abortito sul nascere. Poi, morto Ceccherini,
il suo posto era stato preso da Francesco Bellantonio. Siciliano, esperto
commercialista, ex funzionario dell'ENI, Bellantonio si era trovato
nelle mani un gruppo massonico che di certo aveva solo l 'indirizzo
della sede a piazza del Gesù. Il resto era tutto discutibile, a cominciare
dalla legittimità storica. Si era messo al lavoro di buona lena, facendo
leva sui tradizionali punti di forza della famiglia: I 'atteggiamento
politico moderato, la disposizione all'intesa con la chiesa cattolica,
la fedeltà, maggiore che non quella dei giustinianei, alle origini della
massoneria: lavoro in loggia, miglioramento dell'individuo, nessuna
presa di posizione pubblica sui grandi temi della vita sociale verso
i quali ciascun fratello poteva e doveva regolarsi secondo coscienza.
Bellantonio indulgeva volentieri anche a qualche piccola scimmiottatura
degli usi della massoneria inglese: amava vedere i fratelli riuniti
nel tempio con i grembiulini, i collari e i guanti bianchi indossati
sopra gli smoking e gli dispiaceva che qualche gruppo non fosse d'accordo
con questa consuetudine e si presentasse, polemicamente, in camicia
e maglione. In pochi anni Bellantonio aveva fatto dimenticare la controversia
circa la legittimità storica del suo gruppo e aveva messo insieme 3.500
fratelli distribuiti in circa 200 logge. Il nerbo degli iscritti era
rappresentato da funzionari di livello medio alto, professionisti in
ascesa, imprenditori e commercianti, alcuni militari, banchieri autorevoli,
politici di razza. Anche a piazza del Gesù, come in tutte le massonerie
del mondo, esisteva una loggia coperta, destinata a riunire i fratelli
più in vista. Si chiamava Giustizia e Libertà e in passato aveva visto
una comparsa (rapida) dell'ex presidente del Senato e senatore a vita
Cesare Merzagora, dei generali Giuseppe Aloja e Giovanni De Lorenzo;
perfino il caporione fascista Giulio Caradonna era entrato e uscito
diverse volte. Da qualche anno la Giustizia e Libertà era stata affidata
a Giorgio Ciarrocca, direttore centrale della RAI, libero docente dell'Università
di Roma. In quel forziere Ciarrocca aveva concentrato un materiale di
primissima scelta, Franziskus Konig, arcivescovo di Vienna e cardinale
tra i prelati. Tra i politici: Giacinto Bosco, Marcello Simonacci, Eugenio
Gatto, democristiani; Luigi Preti socialdemocratico e perfino il dirigente
comunista, speranza del partito Gianni Cervetti. Formidabile la presenza
dei grandi e inamovibili condottieri delle industrie e delle banche
pubbliche, dai boiardi di Stato di personaggi usi a trattare col potere
da pari a pari, Eugenio Cefis, primo tra i primi, iscritto dal 15 settembre
1961, Leopoldo Modugno, dirigente delle Partecipazioni Statali, in loggia
dal 9 giugno 1965, Giuseppe Arcaini, iniziato il 15 luglio 1963, Guido
Carli, tra i liberi massoni dal 19 settembre 1967. E un altro grande
e riservatissimo personaggio del mondo bancario non solo italiano ma
internazionale, Enrico Cuccia, amministratore delegato di Mediobanca,
seduto tra le colonne del tempio fin dal 27 marzo 1955. Il più importante
di tutti costoro, da un punto di vista massonico, era Raffaele Ursini,
che aveva la carica di luogotenente del Sovrano Gran Commendatore del
Rito. Contenuta ma di altissimo livello la presenza militare: Corrado
Sangiorgio, generale di corpo d'armata, comandante dei carabinieri,
massone dal 14 febbraio 1961 e Arnaldo Ferrara, capo di stato maggiore
dell'Arma, avvicinatosi alla libera muratoria e iniziato il 15 luglio
1969. Oltre ai due generali ormai in disarmo Aloja e De Lorenzo. L'immarcescibile
stirpe dei costruttori romani era rappresentata da Fortunato Federici
e da Aladino Minciarone. Non mancava un intimo del Quirinale, il presidente
della Compagnia Italiana Grandi Alberghi, Alberto Mircangeli e due intimissimi
di casa Fanfani, Ettore Bernabei e Stelio Valentini genero del presidente
del Senato. L'avvocato Francesco Buccellato rappresentava il mondo delle
libere professioni e Salvatore Comes, direttore generale per l'insegnamento
universitario al ministero della Pubblica Istruzione quello della burocrazia.
Il potere giudiziario aveva tra le fila dei liberi muratori di piazza
del Gesù uno dei magistrati all'epoca più potenti d' Italia, Carmelo
Spagnuolo, massone dal 1947. Siccome Bellantonio era parente di Michele
Sindona, in quegli anni lanciato alla conquista di traguardi sempre
più ambiziosi, anche l'intraprendente finanziere era stato arruolato.
Dopo di lui era arrivato un personaggio scontroso e taciturno: quel
don Agostino Coppola, economo della cattedrale di Monreale che sarebbe
stato condannato a diciotto anni di prigione sotto l 'imputazione di
appartenere alla banda di Luciano Liggio. Nessuno sa spiegare come potessero
convivere nella stessa organizzazione ed in spirito di fraternità personaggi
che si odiavano a morte come Cuccia e Sindona, Aloja e De Lorenzo, ognuno
dei quali avrebbe dovuto assistere alla rovina dell'altro e le cui lotte
avrebbero segnato non solo la cronaca ma addirittura la storia d' Italia.
E Dio solo sa cosa facessero insieme lo stalinista Gianni Cervetti,
il socialdemocratico Luigi Preti e il democristiano di destra Marcello
Simonacci. Alla Giustizia e Libertà facevano le cose per bene e ogni
fratello iscritto aveva il suo codice, vagamente somigliante al codice
fiscale. Gianni Cervetti: OKL-0321-L/3; Luigi Preti: OKL-056/B18; Giuseppe
Arcaini: OHNM-796/R.18; Leopoldo Medugno: OHN-1531/R.6; Aladino Minciaroni:
OHN0634/F.18; Marcello Simonacci: OKL-0261/R14; Arnaldo Ferrara: OK-056/R.27;
Stelio Valentini: OKN-051/F.2/1; Guido Carli: OHN-I9.11; Eugenio Cefis:
OHN-05371/5.15; Corrado Sangiorgi: OK-1521/F.55; Ettore Bernabei: OKN-64915/3F;
Enrico Cuccia: OHN-071/MI; Francesco Buccellato: OHT-5531/F; FortunatoFederici:
COP-6945/R.50. Con una loggia coperta di quel calibro, 200 logge ordinarie,
40 templi, 3500 fratelli, Francesco Bellantonio avrebbe potuto camminare
tranquillo per la sua strada. Ma anche lui aveva voglia di passare alla
storia della massoneria con un gesto che lasciasse il segno. E anche
lui, come già subito dopo la guerra il gruppo guidato da Arturo Labriola,
aveva capito che era sciocco, prima che tatticamente sbagliato, continuare
a tenere divise le pur imponenti forze. Del resto molti degli antichi
motivi di contrasto si potevano considerare superati: da sempre vicini
alla chiesa, i dirigenti di piazza del Gesù sapevano benissimo che palazzo
Giustiniani aveva cominciato da tempo un confronto serrato con qualificati
emissari del Vaticano. Sapeva anche che i giustinianei si mostravano
sempre più restii a prendere posizione sui temi che animavano il dibattito
civile: Salvini aveva tenuto una reclamizzata conferenza stampa per
annunciare che la massoneria era schierata a favore del divorzio, contro
il referendum e contro il concordato, ma lo aveva fatto di malavoglia
praticamente costretto a quel gesto dalla battagliera opposizione interna.
Da ultimo, Francesco Bellantonio nutriva la speranza, non del tutto
segreta ne' inespressa di poter diventare Gran Maestro di una grande
famiglia massonica finalmente riunita negli uomini e nelle strutture.
E tutti insieme in marcia, con spirito di concordia e fraternità, alla
ricerca della verità e della vera luce. Per questi motivi il Gran Maestro
di piazza del Gesù aveva ripreso con palazzo Giustiniani un dialogo
che era stato iniziato e interrotto più volte. E era arrivato a un accordo
con Salvini: la sua obbedienza si sarebbe presentata al completo per
fondersi con quella di palazzo Giustiniani. I fratelli avrebbero mantenuto
i gradi raggiunti nella famiglia d'origine; neppure a parlarne di selezione,
esame, controlli e altre trafile del genere. Il tesoro sarebbe stato
riversato in quello di palazzo Giustiniani. Il Gran Maestro di piazza
del Gesù una volta realizzata la fusione sarebbe stato acclamato Gran
Maestro aggiunto del Grande Oriente. La loggia coperta Giustizia e Libertà
avrebbe preso contatti con la consorella P2 per il passaggio degli iscritti
"all'orecchio del Gran Maestro". In tutta questa trattativa Francesco
Bellantonio portava una dose di calcolo, un grande entusiasmo e una
grandissima ingenuità. Era talmente convinto che l 'accordo stipulato
con Salvini avrebbe funzionato che si bruciò i vascelli alle spalle
e cedette al Gran Maestro di palazzo Giustiniani il contratto d 'affitto
dell'appartamento di piazza del Gesù. Può sembrare un particolare poco
importante, ma non è così. Come il Grande Oriente aveva legato il suo
nome al palazzo che ne ospitava il governo, così la Massoneria Universale
aveva la culla a piazza del Gesù, dove era andato a installarsi Saverio
Fera nel l908; nessuno aveva mai chiamato quella comunione con il nome
ufficiale di Gran Loggia Nazionale Italiana degli Antichi Liberi e Accettati
Massoni ma semplicemente con il nome della piazza dove c'era la sede.
In un corpo perennemente sferzato da tentazioni scissioniste come è
sempre stato quello della massoneria italiana, restare ancorati alle
pietre dell'antico palazzo garantiva agli occupanti la possibilità di
richiamarsi alla tradizione, montare se necessario un bluff; stendere
cortine di fumo difficili da diradare. Bellantonio tutto questo non
lo capì e rinunciò con leggerezza al patrimonio rappresentato da quel
semplice indirizzo. Se ne sarebbe amaramente pentito due anni più tardi
quando, naufragata l'intesa con il Grande Oriente, avrebbe cercato di
ridare vita al suo antico gruppo senza però poter rimettere piede nella
sede storica. Il contratto lo aveva in mano Salvini; fraternamente se
lo tenne.Ma nel l973 tutti pensavano a costruire ed era lontano il sospetto
che il nuovo edificio sarebbe rimasto in piedi 24 mesi appena. Il patto
diffusione venne stilato e firmato a primavera; comunicati trionfalistici
vennero spediti a tutte le famiglie massoniche del mondo per annunciare
lo storico evento, il secondo nel giro di soli due anni, che aveva riportato
all'abbraccio e alla concordia due grandi obbedienze separate da più
di mezzo secolo. Se nei saloni di palazzo Giustiniani Lino Salvini gustava
quel trionfo che gli apparteneva a titolo pieno, all'albergo Excelsior
di Roma Licio Gelli guardava con soddisfazione crescere a dismisura
la potenza della sua loggia segreta: era stato lesto a muoversi e aveva
catturato quasi tutti gli iscritti alla Giustizia e Libertà di piazza
del Gesù. Adesso sotto la volta stellata del tempio della P2 era concentrata
una forza imponente, quale in Italia non si vedeva dai tempi di Lemmi
e forse non si sarebbe vista più: non era mai successo che molti degli
uomini che tengono in mano una nazione stessero riuniti nella stessa
sala a celebrare gli stessi riti e professare le stesse idee: il padrone
del Quirinale, che non era il presidente della Repubblica ma il volitivo
e inamovibile segretario generale Nicola Picella; il padrone dei servizi
segreti Vito Miceli; il padrone della Banca d'Italia, Guido Carli; il
padrone della Rai Ettore Bernabei; il padrone della più importante Procura
della Repubblica d'Italia Carmelo Spagnuolo; il padrone del pozzo senza
fondo Italcasse, Giuseppe Arcaini; il motore immobile della Camera dei
Deputati, Francesco Cosentino; il potente capo di stato maggiore dei
carabinieri Arnaldo Ferrara; il padrone di una banca di importanza internazionale,
Enrico Cuccia. E un uomo furbo e ambizioso che teneva strette in mano
le chiavi del cuore di Giulio Andreotti, Michele Sindona.Per questa
eletta compagnia la sede di via Cosenza non andava più bene; oltre tutto
si era dimostrata poco sicura perché c'era stato un misterioso e non
riuscito tentativo d 'effrazione che Miceli e Spagnuolo avevano subito
classificato come "operazione tendente a inserire microfoni d'ambiente
e mezzi d'ascolto elettronici". Allora Gelli fece preparare un codice
dal fido generale De Santis e mise in chiave i nomi degli iscritti.
Poi trovò una sede adeguata a via Condotti a un passo dalla scalinata
di Trinità dei Monti, sopra la gioielleria di Gianni Bulgari, e ci trasferì
la P2. Per qualche mese la massoneria italiana brillò di luce vivissima,
mentre tutto sembrava funzionare alla perfezione: la fusione con i fratelli
di piazza del Gesù procedeva senza intoppi ed erano pochi i dissidenti
che non condividevano la riappacificazione e si mettevano in sonno;
la pace con la chiesa mancava ancora di una qualche pronuncia pubblica
e solenne ma era ormai cosa fatta; le grandi logge straniere con le
quali erano stati stabiliti costanti rapporti sommavano a più di 140;
l'opposizione interna alla gran maestranza di Salvini era sempre vigile
ma aveva smorzato i toni della polemica e, all'ordine nei templi mostrava
di rispettare le regole del gioco democratico; la P2 dava lustro alla
famiglia con tutti i suoi altolocati aderenti, anche se di questo nelle
logge ordinarie se ne sapeva poco o nulla. Come non si sapeva che il
capo della P2 Licio Gelli aveva ormai scalato il colle del Quirinale
e si incontrava abbastanza spesso con il presidente della Repubblica
Giovanni Leone. Per Gelli non era stato difficile farsi ammettere al
cospetto della massima autorità dello Stato: dentro al Quirinale aveva
già un amico fratello fidatissimo, l'onnipotente segretario generale
Nicola Picella ed aveva allacciato rapporti cordiali con un intimo di
casa Leone, quel professore Antonio Lefebvre che, sconosciuto a tutti
nel 1973, sarebbe diventato celeberrimo tre anni dopo in seguito allo
scandalo Lochkeed. Picella o Lefebvre avevano fatto credere a Leone
che la sua elezione era stata propiziata da un signore distinto e riservato
che comandava a bacchetta 110 parlamentari ai quali, nel momento cruciale
delle votazioni, aveva ordinato di votare ad oltranza Giovanni Leone.
E questa era solo una delle cose che il misterioso personaggio era in
grado di fare: il suo potere si estendeva dal mondo bancario a quello
diplomatico a quello militare e dei servizi segreti. Poteva essere utile,
valeva la pena di incontrarlo. E si incontrarono. Gelli cominciò subito
a battere un tasto per lui abituale: la famiglia massonica, ramificata
com'è nei gangli vitali del paese è forse l'unica organizzazione ad
avere costantemente sottomano e aggiornata la situazione dell'Italia.
E' anche in condizione di stendere relazioni su argomenti specifici
basati su dati assolutamente esatti. Desidera mettere questa capacità
a disposizione del presidente della Repubblica che stando tanto in alto
e isolato forse non sempre sa con precisione come vanno le cose. |
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