Luca Rastello
Ponte della Ghisolfa
29 marzo 1999
Iniziamo subito questa serata che probabilmente non avremmo voluto fare in questo modo, nel senso che Luca già pensavamo di invitarlo, perché ci sembra altamente significativo il suo libro, ma purtroppo le contingenze ci hanno portato ad essere facili profeti, a vedere quelle analisi, quelle tesi, quei valori, in questo caso antimilitaristi, purtroppo fortemente motivati.
Direi che in questo periodo, dove uno sarebbe abituato a leggersi un "niente di nuovo sul fronte occidentale", un "E Johnny prese il fucile, tristemente dobbiamo fare i conti non semplicemente con un’ipotesi di guerra, ma di una guerra che ci troviamo in casa, per cui è quasi drammatico non avere nulla da dire oltre a quello che erano questo tipo di valori se non un'esperienza straordinaria come quella di Luca che ha saputo a nostro giudizio interpretare e cercare, attraverso il suo libro di far capire che cosa sta succedendo là, perché al di là della guerra che tutti vediamo, al di là di quello che ci dicono c’è un dato di fondo, che è quello di capire i meccanismi di comprensione di questo tipo di situazione particolare e non a caso io direi che questo libro non solo ci aiuta, ma è significativo il fatto che è stato oscurato…. (Il grossista dell’Einaudi per l’Altitalia, Mondadori ha 16 copie a disposizione)….
Luca:
Io penso che sia più opportuno parlare di una guerra che c’è invece che di una guerra che è stata e di cui parla il libro. E’ vero che nel libro sono raccontati alcuni meccanismi di innesco di quella guerra che riguardano la totalità e la complessità delle crisi jugoslave e quindi servono da elementi di interpretazione per quello che sta succedendo adesso, però credo che in una serata come questa è meglio parlare di quello che sta succedendo. Se vogliamo parlare di quello che sta succedendo è veramente difficile decidere da che parte cominciare, perché una situazione come questa, complessa, è una situazione in cui credo che gli ideali, i pensieri politici che penso in larga parte condividiamo si trovano messi in grave difficoltà’ siamo in qualche modo nell’angolo, la domanda che fare di fronte a questa crisi, a questa guerra impressionante che si svolge di nuovo a pochi chilometri dalle soglie di casa nostra è una domanda che ha alcune risposte molto semplici e tragicamente sbagliate, e che invece non ha risposte plausibili, è difficile capire quale può essere l’atteggiamento davanti a questa guerra, che cosa sta succedendo. Io penso, e il libro ne parla, che certi atteggiamenti in cui, in maniera idealmente forte, e fondata culturalmente, ideologicamente, politicamente fondata, tanti si sono mossi nei confronti della guerra dell’ex Jugoslavia, quando questa guerra si svolgeva in Croazia siano da rivedere. Io penso che oggi, davanti ad un’analisi concreta, fredda, razionale degli esiti dell’intervento di pace, dell’azione di pace, dell’azione antimilitarista, per esempio nella guerra di Bosnia, si debba essere analiticamente impietosi, e si debba ragionare anche in termini, usando la categoria di fallimento, io penso che gli interventi di pace, gli interventi umanitari in Jugoslavia abbiano segnato fino ad oggi un fallimento, che è un fallimento politico. Mi spiego brevemente perché è di altro che vorrei parlare: non di un fallimento caritativo si può parlare, perché l’intervento umanitario ha avuto dei risultati straordinari, 70000 contatti censiti dall’Italia alla Bosnia, vuole dire che 70000 persone hanno preso una nave o una macchina e sono andate di là, e questo credo che sia un fatto senza precedenti nella storia, e anche un grande patrimonio di relazione da non mandare sprecato, decine di migliaia di vite probabilmente salvate da questo intervento umanitario, però si era partiti con un’idea politica, che era quella di influire sui fenomeni bellici, di intervenire in qualche modo sul corso degli eventi. Qualcuno pensava ad interposizioni, qualcuno pensava di portare una cultura di sensibilizzazione della società civile, forse con un’idea un po’ imperialista, come dire, noi dall’occidente facciamo le cose meglio di quelli che ne sono coinvolti, però con dei principi eticamente condivisibili, eppure nessun intervento umanitario, nessun intervento pacifista, nessun discorso antimilitarista, nessuna mobilitazione politica ha modificato in nulla l’andamento della guerra in Jugoslavia. Questo per varie ragioni, magari dopo parliamo di queste ragioni.
Io credo però che oggi ripetere quei rituali di mobilitazione, ripetere quelle parole d’ordine potrebbe essere ingenuo ai limiti della connivenza, perché la guerra moderna, oggi, la guerra come si sta sviluppando negli ultimi conflitti e come si sta perfezionando nei conflitti in Europa, prevede nei suoi meccanismi, nelle sue articolazioni, prevede un ruolo anche per le associazioni informali, per le realtà informali della società civile, è previsto anche il ruolo del volontariato, anche il ruolo del pacifismo, anche il ruolo della mobilitazione, oggi le tattiche, le strategie della propaganda comprendono anche noi, e io credo che con questo si debba fare i conti, io credo che il ritorno all’analisi politica non sia tempo perduto fatica sprecata, non sia lentezza esasperante davanti a eventi, fenomeni che corrono, che ci precedono e che ci trascinano tragicamente all’azione senza bene capire quali siano le conseguenze di questa azione.
La guerra in Bosnia purtroppo ha insegnato che la società civile è coinvolta, ha un ruolo, che gli attori belligeranti di una guerra decidono un ruolo anche per gli attori non belligeranti. La grande vetrina al neon che è stata Sarayevo, per esempio, evento mediatico senza precedenti, una guerra in diretta, una guerra vera, tragica, un massacro, una città trasformata in un lager, tutto vero, ma tutto sotto le telecamere di tutto il mondo. Nicola ?, che era il presidente del Parlamento Serbo di Bosnia, uno che poi per fortuna si è ammazzato impiccandosi, a un certo punto ha convocato i giornalisti occidentali e ha detto "povera Sarayevo, ve la siete goduta per tre anni sotto i vostri riflettori e nessuno di voi sa neanche dove si trova Ternopoli, Ternopoli è per la cronaca un luogo nella Bosnia occidentale dove in una scuola elementare era stato allestito un lager che aveva come specializzazione la violenza carnale in chiave etnica per le donne di etnia non gradita ai vincitori. E questo è un dato di fatto, così come è un dato di fatto che nel corso di tutta la guerra Bosniaca l’aiuto umanitario è stato uno strumento condizionante utilizzato dalle parti in guerra, non in tutti i casi, ma in molti casi, e con questo bisogna fare i conti, è stato utilizzato dalle parti in guerra come strumento di condizionamento nei confronti della società civile del nemico. Per fare un esempio si può richiamare quello che sta succedendo in Chiapas, dove per strangolare la guerriglia, per strangolare i movimenti antagonisti armati nella selva si usa il condizionamento della società civile, le bande paramilitari aggrediscono i villaggi, non aggrediscono le zone controllate dall’esercito Zapatista di liberazione, aggrediscono i villaggi, li svuotano, colpiscono le punte alfabetizzate della società civile, i catechisti, i maestri di scuola, gli insegnanti, gli intellettuali, i giornalisti, fanno piazza pulita dei villaggi riversando masse di profughi nelle zone di selva controllate dall’esercito di liberazione. Questo gonfia le contraddizioni sociali di questa zona, le contraddizioni sociali vengono rese ancora più drammatiche dall’isolamento che viene creato in queste zone, il risultato, come sapete sono migliaia, decine di migliaia di morti in pochi anni, per malattie curabili, in zone sovraffollate, sottoalimentate, non controllate succede questo. Oggi la guerra di bassa intensità in queste forme accompagna la guerra di alta intensità combattuta con le bombe, coi cannoni con gli aerei. In questa guerra a bassa intensità si prevede anche l’uso condizionante e condizionato dell’enorme flusso di ricchezza garantito dall’aiuto umanitario, e si prevede anche la creazione di situazioni vetrina da presentare all’opinione pubblica internazionale, che è un elemento fortemente condizionante per gli attori in un conflitto di proporzioni sovranazionali. Chi fa una guerra, se non è una guerra di area, se non è un conflitto da cortile, deve rispondere in qualche modo all’opinione pubblica di casa sua e in qualche modo anche all’opinione pubblica internazionale, questo ormai viene previsto dagli attori di una guerra. Vengono create delle situazioni che servono per condizionare i gesti le scelte e le azioni degli attori politici e degli attori militari, con questo bisogna fare i conti. Questo significa che anche il volontariato, anche la mobilitazione, anche la protesta di piazza hanno un ruolo. E io credo, questo per fare un esempio più recente, con questo bisognerebbe fare i conti quando in una mobilitazione antimilitarista ci troviamo pezzi di corteo nazionalisti che inneggiano al Kosovo serbo, alla culla del popolo serbo ecc., sono cose gravi, che bisogna tenere in considerazione.
Allora, questo volevo dirlo come premessa di metodo, perché che cosa facciamo?, che cosa facciamo non si sa, e adesso proverei a dire perché non si sa, che cosa diavolo sta succedendo.
Io butto lì una provocazione, apro il discorso sul Kosovo con una provocazione, io credo, una riflessione ottimista e una pessimista. Prima quella pessimista: siamo davanti alla quarta guerra mondiale, e la riflessione ottimista è che la terza guerra mondiale era fredda, quindi possiamo sperare che la quarta non sia calda come le prime due, però gli attori, ancora una volta, non sono limitati ad una regione del mondo. Gli interessi in conflitto in questa guerra non sono limitati in una regione del mondo. I moventi delle parti che oggi si confrontano in armi sono moventi strategici di portata globale e non certo di portata regionale. Io non sto dicendo che con le considerazioni che facciamo e che faremo in questa sede, e che magari voi mi contesterete e delle quali discuteremo si spieghi questa guerra. Questa guerra non può essere spiegata con un’unica causa o con un unico schema interpretativo, sto dicendo però che il conflitto che questa guerra mette in moto, la contrapposizione di interessi coinvolge interessi globali che non hanno a che fare soltanto in quest’area, soltanto con in cui dove combatte, dove parlano le armi, e questi interessi globali ci spingono a considerare questa crisi come una crisi potenzialmente deflagrante, una crisi espansiva, una crisi che mette in pericolo una porzione del mondo ben più grande di quella in cui stanno cadendo le bombe della N.A.T.O.
Io penso che una considerazione da fare immediatamente sia la diversa qualità di questi bombardamenti. Può piacere o non piacere questa considerazione, ma le truppe americane in Bosnia hanno messo fine al combattimento, hanno creato una soluzione che non ha risolto nessuna delle contraddizioni per cui era scoppiata la guerra e anzi che ha acuito quelle contraddizioni, e quindi una situazione esplosiva che potrebbe portare domani ad un conflitto peggiore, quindi io non sto facendo l’elogio delle bombe in Bosnia, ma è un dato di fatto che hanno chiuso una crisi, hanno sancito un risultato raggiunto. Le bombe in Kosovo, tutto al contrario, aprono una crisi, non sanciscono alcunchè, non chiudono una crisi di combattimento, perché non c’era un combattimento…(…) terribile, contro la quale bisognava muoversi, senza dubbio, ma non c’era una guerra in corso, non chiudono una crisi e ne aprono un’altra creando uno stato di fatto irreversibile ancora più conflittivo di quello da cui si era partiti. Per esempio uno dei risultati più evidenti dei bombardamenti in queste ore, lo constatano tutti quelli che guardino la televisione o sentano la radio, è il massacro sempre più rapido, sempre più efferato dei civili albanesi in Kosovo. In questa condizione, chiunque vinca questa guerra, è impensabile che si torni a una proposta di autonomia del Kosovo all’interno della federazione Jugoslava, di fatto la questione dell’indipendenza è posta in maniera irreversibili, indietro non si torna. Se vince la N.A.T.O., e con la N.A.T.O. la rappresentanza albanese in armi dell’UCK avremo un Kosovo indipendente, se vince Milosevic, semplificando gli schemini, avremo un Kosovo neanche autonomo. Quella linea mediana che le trattative hanno cercato di proporre come soluzione è stata superata dagli eventi, e io credo che questo fosse interesse di tutte le parti che oggi stanno combattendo, io credo che ai bombardamenti volessero arrivare tutti, però la situazione davanti alla quale ci troviamo è questa, i bombardamenti hanno creato una contraddizione più forte di quella che sono partiti per sanare, a questo non voglio agganciare una valutazione sull'opportunità’ o meno di intervento militare, a questo magari arriviamo dopo, però di fatto credo che questo si possa dire senza eccessivo impegno e senza essere smentiti, poi vedremo come vanno le cose. I bombardamenti hanno raggiunto un altro scopo: legittimare Slobodan Milosevic alla guida di una nazione che tanto Milosevic quanto la parte che a lui si contrappone, che si chiami N.A.T.O., che si chiami comunità’ internazionale, Stati Uniti o UCK, tende ad accreditare, l’idea di una Serbia unita, l’idea di una Serbia monolitica di un popolo unico che si stringe o non si stringe, a seconda delle scelte politiche , attorno alla sua leadership. La Serbia non è così, la Serbia è un paese dalla grande complessità sociale, non esiste un popolo serbo, ma esiste una vastità e una varietà di comunità con interessi diversi, con ascendenze culturali e appartenenze diverse, con tradizioni storiche, esperienze storiche e politiche diverse. Slobodan Milosevic ha lavorato per ormai quasi 15 anni per semplificare questa complessità sociale e creare un destino unico sostituendo la tensione sociale con la tensione nazionalista, per legittimarsi come unico garante del popolo serbo, come unica legittima guida, in sostanza, la partita di Milosevic, semplificandola, è stata sostituire un popolo a una società, trasformare la società serba nel popolo serbo, parola cara ai nazionalisti, ai fascisti e credo a tutti i regimi totalitari. Il popolo serbo non esiste ma fa comodo a tutti.Serve a Milosevic per legittimare il suo potere criminale, serve ai nemici di Milosevic per giustificare il fatto che una lotta contro questa leadership in realtà deve essere una lotta contro la Serbia, deve essere una guerra contro uno Stato, contro una nazione.Le bombe hanno costruito intorno a Milosevic un’unità che la Serbia dell’altro ieri non conosceva, perché di fronte alla guerra del Kossovo c'è stata una grossa differenziazione politica, sociale, e di natura economica. La guerra del Kosovo è stata un’operazione assolutamente in perdita per l’economia serba, La guerra nel Kosovo è stata un’operazione perdente per il dominio ed il controllo della società, basta pensare per esempio alle manifestazioni dei padri dei militari che non volevano che i loro figli andassero a combattere per il Kossovo e che non credevano più nella vecchia parola d’ordine Kossovo come culla dei serbi, basta pensare alle spinte secessioniste del Montenegro (non daremo una sola vita per il Kossovo). Oggi il Montenegro ha in effetti una situazione molto particolare rispetto alla Serbia. La situazione prebellica creava anche una tensione tra Milosevic e l’esercito serbo. L’esercito serbo tendeva ad essere estremamente critico (il generale ? si era espresso, un vecchio veterano delle purghe nazionaliste nell’esercito nel 1991 che però oggi si era espresso contro l’ipotesi della guerra in Kossovo e della necessita’ di combattere per la difesa del Kossovo) c’erano delle divisioni che le bombe hanno eliminato compattando il consenso sociale intorno a Milosevic, permettendogli ancora una volta di trovare un nemico all’esterno che mettesse il tappo sopra alle grandi tensioni e contraddizioni sociali e politiche che la Serbia in questi anni ha attraversato. La vecchia strategia che ha trovato questa volta nelle bombe americane un volano. E poi queste bombe hanno ottenuto come terzo obiettivo quello di legittimare definitivamente come unica salvezza dei civili albanesi nel Kossovo l’UCK, l’esercito clandestino, ex clandestino, ora ufficiale, di liberazione del Kossovo, di scavalcare definitivamente, ben più di quanto le trattative di pace a Rambouillet, a Parigi abbiano già permesso di scavalcare definitivamente le altre rappresentanze politiche , quelle pacifiche, quelle moderate. Di fatto l’UCK non è soltanto un’organizzazione militare, ma è anche l’espressione di un disegno politico che pone l’indipendenza come condizione fondamentale dell’organizzazione civile in Kossovo, e questo è stato voluto fortemente da chi ha voluto prima le trattative con l’UCK come soggetto privilegiato, da chi ha voluto l'UCK al tavolo al posto di Ibrahim Rugova e delle altre componenti della società civile albanese, che non era ridotta all’UCK e Rugova, ma aveva, come molte società una sua complessità e da chi poi, creando una situazione di guerra, come abbiamo detto prima, che fa dei massacri, che favorisce i massacri, da chiaramente ai difensori in armi dei civili il ruolo di unica salvezza, l’unica salvezza possibili. Quindi, al momento, i bombardamenti hanno ottenuto tre risultati, i massacri in Kossovo, un rafforzamento di Milosevic, un rafforzamento dell’UCK. Forse varrebbe la pena di raccontare come nasce l’UCK, di che anime è portatore, anime contraddittorie, e che rapporti ha avuto prima di questa guerra con le autorità dello stato in cui comunque nasceva, cioè la federazione jugoslava. Prima però vorrei dire una cosa che riguarda gli interessi globali in gioco in questa guerra. Io credo, sinceramente, che in questa guerra costituisca in qualche modo anche un confronto diretto fra l’America, oggi sola potenza internazionale capace di gestire un intervento militare, di supportarlo economicamente e di dare efficacia alle proprie strategie internazionali e il vecchio nemico indebolito ma ancora in grado di gestire una politica di potere che è la Russia, per cui è un confronto diretto tra interessi americani e interessi russi. Non penso di poter dire che questo confronto sia la causa del conflitto, ma credo che il conflitto dia una grande occasione per definire una partita globale più importante che riguarda la contrapposizione tra l’America e la Russia, e che riguarda alcune partite geopolitiche decisive che si giocheranno nei prossimi anni e forse nei primi decenni del prossimo secolo. E questo penso che, se non spiega la guerra però spiega due cose.Primo spiega perché l’America in testa, attraverso lo strumento della NATO si impegni in una guerra offensiva, mettendo a repentaglio non soltanto uomini e mezzi ma anche un fragile accordo raggiunto da poco sull’allargamento della NATO ai paesi del vecchio est europeo che possono andare in crisi rispetto a questo. Prima a cena scherzavo, dicevamo per la posizione peggiore oggi è essere un leader curdo, però la seconda è essere un generale ungherese, un esercito che è appena entrato nella NATO con una guerra ai confini con i vecchi alleati insieme ai vecchi nemici, è una condizione difficile questa. Perché la NATO si imbarca in un’impresa così? E perché i russi, benchè siano allo stremo, benchè siano socialmente instabili all’interno, mossi da agitazioni nazionaliste, da tentativi golpisti, economicamente disastrati, costretti ad appendersi ai finanziamenti del Fondo Monetario Internazionale, a scelte politiche della banca mondiale, quindi costretti a quelle avventure iperliberiste che hanno già mandato in rovina le società di molti paesi se non le loro economie, perché i russi in queste condizioni disagiate si mettono tanto fortemente alle spalle di Milosevic, addirittura a un certo punto arrivano a minacciare un intervento diretto nel conflitto ma poi comunque garantiscono tutto il loro sostegno e il loro appoggio? Che cosa si sta giocando?
Si stanno giocando alcune cose interessanti. Una, senza dubbio, io penso sia persino banale dirlo, è testimoniata dal crollo registrato oggi dall’Euro sulle borse di tutto il mondo. Trascinando l’Europa in una guerra offensiva incerta, di lunga durata, dagli esiti imprevedibili, gli americani hanno dimostrato ancora una volta l’incapacità europea di gestire le contraddizioni di questo quadrante geografico e hanno creato delle crisi. Noi sappiamo che oggi l’Italia è spaccata, anche all’interno del governo è spaccata. Più spaccata e più sbilanciata è la Francia, io penso che oggi Milosevic coti più sulla Francia che sull’Italia per un eventuale rottura del fronte offensivo, sappiamo che ci sono delle contraddizioni all’interno dell’Europa, che i dettati di facciata sulle scelte politiche comuni nascondono a malapena, sappiamo che l’Europa si trova in difficoltà davanti alla possibilità di avere realmente una politica estera unitaria. Questo crea tensioni, crea una debolezza nell’autorevolezza dell’Europa sul piano internazionale. Questo sicuramente è oggi un obiettivo che agli Stati Uniti fa comodo. Gli Stati Uniti vengono da un esperienza devastante in Bosnia, che ci limiteremo ad accennare, sono stati messi al palo per tre anni, dal 91 al 94. L’intesa fra Francia, Inghilterra e Russia sul quadrante jugoslavo ha tenuto la diplomazia americana, ha mandato Clinton totalmente fuori dall’Europa, li ha resi impotenti, incapaci di influire, messi in scacco. Gli Stati Uniti sono intervenuti pesantemente dal 94 con la forzata creazione della federazione croato mussulmana in Bosnia, poi con le bombe per ritornare attori nel cuore dell’Europa. E oggi, riottenuto quel ruolo in qualche modo stanno all’offensiva e riempiono quel ruolo di un valore, di un’efficacia, lo usano quel ruolo lì. Quindi, da un lato l’indebolimento dell’Europa, ma dall’altro, fondamentalmente l’indebolimento della Russia. Io penso (a volte capita di usare delle espressioni che sembrano troppo forti, che vorrei provare a giustificare) che questa guerra sia la seconda guerra tra Russia e America per il controllo dei flussi di energia. La prima si è giocata in Asia ed è la guerra dell’Afganistan. La risoluzione dell’impero sovietico ha creato delle potenziali ricchezze nell'Asia centrale di straordinaria importanza, ma di cui il controllo internazionale non è ancora garantito, non è chiaro. Sono nate delle repubbliche importanti fornite di risorse naturali straordinarie ( i grandi giacimenti petroliferi che sono stati trovati sotto il Mar Caspio hanno abbattuto il prezzo del greggio (?) togliendo influenza internazionale ai paesi arabi quasi dall’oggi al domani, hanno creato un nuovo sistema di relazioni internazionali, i grandi giacimenti di gas naturali lo stesso. Questo vale per l’economia legale ma anche per l’economia illegale, le repubbliche centro asiatiche nate dall’ex Unione sovietica sono le maggiori produttrici di papavero da eroina e la ricchezza informale dell’eroina porta in grado in grado di condizionare la politica internazionale, il Kossovo lo sa bene. Proprio la partita per il gestire il condizionamento, il controllo di quelle grandi risorse, di quei grandi agglomerati geopolitici nati all’improvviso dalla caduta dell’Unione sovietica è la partita geostrategica forse più importante di questi anni e dei prossimi decenni.
Una sola considerazione, banale: molte di quelle repubbliche, Kazakistan, Turkmenistan, Uzbekistan, ? Tagikistan sono islamiche, tendenzialmente laiche, come la Turchia, che parlano il Turco. E’ chiaro che i tentativi diplomatici di costruire un ponte verso queste repubbliche che le sottragga in qualche modo dall’influenza russa da un lato e fondamentalista islamica dall’altro passa attraverso la Turchia. Qui c’è una delle ragioni per cui i Turchi si possono permettere di massacrare tutti i curdi che vogliono senza che l’occidente alzi neanche un sopracciglio. Ma non è tutto qui. Le grandi risorse energetiche di quell’area devono essere portate in qualche modo al mondo occidentale. Le strade sono due, una corre verso l’Oceano indiano, dove le petroliere Saudite, Giapponesi e Americane vanno a rifornirsi di greggio. Perché i giacimenti del Mar Caspio, attraverso il Turkmenistan arrivassero via Pakistan all’oceano indiano bisogna attraversare le zone montane dell'Afganistan. L’Afganistan esce totalmente frammentato dalla guerra con l’Unione Sovietica cominciata nel 1980, esce con un sistema micropoteri locali in guerra tra loro, allora la diplomazia occidentale interessata al petrolio comincia a legittimare, armare, finanziare i talebani, un potere militare e politico in grado di unificare il territorio. I cosiddetti studenti delle scuole coraniche dell’Afganistan meridionale, i Talebani, che in realtà sono un’organizzazione politica e sociale molto raffinata vengono legittimati come soggetto di governo. I Talebani si conquistano tutto l’Afganistan, gli oleodotti si possono fare. Con questa linea di deflusso dell’energia dal Caspio all’oceano indiano si evitano le aree a controllo islamico fondamentalista, ma soprattutto le aree a controllo russo. Immaginate cosa succederebbe se un’altra linea di deflusso delle risorse energetiche permettesse (questa va ad oriente, va verso gli Stati Uniti e l’Asia), immaginate se ne realizzasse un’altra che porta all’Europa occidentale quelle stesse risorse, (pensate che l’ENI ha ottenuto una delle sue più importanti concessioni degli ultimi decenni proprio sul Mar Caspio oggi, in Azerbaigian, per esempio) immaginate se si realizzasse un’altra linea di deflusso tanto importante come quella degli oleodotti Turkmenistan Pakistan che porta il greggio in Europa, che porta il petrolio, il gas naturale in Europa evitando ogni area di influenza russa. Se si realizzasse questa cosa la Russia perderebbe ogni possibilità di esercitare una politica di potenza comparabile con quella dei vecchi avversari, e soprattutto la Russia si troverebbe a non avere un’influenza internazionale in grado di sottrarla dal condizionamento delle istituzioni economiche della banca mondiale, del fondo monetario dai cui prestiti dipende ed ai cui diktat politici la Russia deve rispondere. Questa linea di deflusso dell’energia esiste, c’è già un progetto che si chiama corridoio 8, che è un progetto finanziato dal fondo monetario internazionale, il Paese pilota è l’Italia, probabilmente in virtù di quelle famose concessioni dell’ENI sul Mar Caspio, che prevede dalla Bulgaria, è importante la Bulgaria, attraverso la Macedonia e l’Albania Meridionale la costruzione di un sistema di comunicazione che prevede autostrade, ferrovie ad alta velocità, ma soprattutto gasdotti, il più grande oleodotto nella storia d’Europa. Allora, è chiaro che controllare il corridoio 8 attraverso il condizionamento e la stabilizzazione delle aree attraverso cui questo corridoio passa, e contemporaneamente la destabilizzazione di potenziali concorrenti, alleati infidi come la Grecia, o nemici veri come la Serbia a controllo russo che attraverso il Montenegro è capace di arrivare all’Adriatico anche lei, è una partita geostrategica importante, importantissima. E guardate che lo strumento è una forma di nazionalismo. Purtroppo nei Balcani ha preso piede un’idea dello stato nazionale di tradizione tedesca, germanica, per cui ogni comunità nazionale ha diritto a darsi le sue istituzioni, ogni popolo deve farsi il suo stato. In Francia, pere esempio non erano abituati così, l’idea era che lo Stato si faceva perché si era tutti sudditi dello stesso Re oppure tutti abitanti nello stesso territorio. Là no, là apparteniamo a una cultura ci facciamo il nostro stato. In questa concezione, che è stata legittimata da Dayton, è stata inventata un’architettura politica che garantiva uno Stato ad ogni comunità. E’ difficile spiegare agli albanesi che loro invece devono stare dispersi attraverso altri confini. Ci sono comunità albanesi massacrate nel Kossovo, e massacrate davvero nel Kossovo, ci sono albanesi in condizioni esattamente opposte in Macedonia, ma in difficoltà, possiamo chiamarla difficoltà di tipo leghista, sono molto più ricche del resto della società civile macedone, c’è l’Albania, c’è una comunità albanese molto forte in Montenegro nella provincia di Uzi, ci sono comunità albanesi nell’Epiro settentrionale. Allora è chiaro che un progetto che dia a questo popolo albanese qualche garanzia, io non dico che si tratta di costruire la grande Albania per forza, però diciamo che crea un consenso internazionale, che sia l’Unione Europea allargata, sia la NATO, comunque un’istituzione internazionale che comprende tutti gli Stati dove ci sono degli albanesi e quindi liberalizza le frontiere tra loro e gli scambi commerciali che oggi nel clima balcanico non sono possibili, con questo ci si garantisce un protettorato sull’Albania, sull’eventuale Grande Albania, in tutto il territorio a controllo albanese.Dare queste garanzie all’Albania significa saldare il proprio controllo sull’area di sbocco del cosiddetto corridoio 8, significa ottenere il controllo sulla seconda grande linea di deflusso delle risorse energetiche asiatiche, significa sottrarre definitivamente il controllo di questi deflussi di energia alla Russia, significa indebolire definitivamente la Russia e toglierla da ruolo di potenza mondiale, significa aprire le grandi partite del ventunesimo secolo da una posizione strategica di controllo delle risorse energetiche nuove dell’Asia, direttamente a confronto con una potenziale potenza nascente che è la Cina, significa garantirsi stabilita’. L’Albania ha una questione forte, che destabilizza lo stesso potere politico interno a Tirana, la questione del Kossovo. Non è complottismo raccontare che nel 1996 a partire dall’estate del 1996 il direttore della CIA è un albanese, George Tennet, di Valona, e che George Tennet fa le vacanze in Albania, che George Tennet ha gestito per conto degli Stati Uniti la crisi albanese nel 1997 con il ricambio di potere, ma soprattutto la riapertura di relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Albania che erano stati interrotti in chiave nazionalista da Berisha, il vecchio leader albanese di destra che era al potere fino al 97 gode di ottime relazioni, paradossalmente oggi Berisha è l’alfiere della lotta per l’indipendenza del Kossovo, ma Berisha aveva grandi relazioni con la vecchia Jugoslavia perchè era stato il regista dei traffici di petrolio, di armi di generi alimentari che permettevano alla Serbia di violare l’embargo, queste merci passavano dal lago di Scutari, dall’Albania del nord entravano in Serbia e hanno garantito la sopravvivenza della Serbia nelle guerre balcaniche. Gli Stati Uniti hanno gestito il ricambio del potere a Tirana, hanno ricostruito una relazione internazionale, hanno favorito l’unità delle comunità albanesi, hanno un interesse strategico. Dopo di che hanno armato, organizzato, legittimato l’UCK facendo piazza pulita di tutte le altre rappresentanze civili del popolo albanese, sacrosante rappresentanze di un popolo sterminato, soggetto a genocidio, hanno costruito i loro Talebani. Questo non è un paragone tra l’UCK e i Talebani, sono realtà completamente diverse, è un’analogia tra le strategie di legittimazione di un soggetto politico militare rispetto ad un soggetto politico civile. L’Afganistan, l’area albanese, linee di deflusso di energia là, linee di deflusso di energia qua. Questa non è una spiegazione della guerra, questa però è una rappresentazione di alcuni interessi fondamentali in gioco che danno a questa guerra un carattere deflagrante e inquietante e un carattere di confronto mondiale. Io penso a questo punto di poter dire, neanche più troppo provocatoriamente, senza creare troppo allarme, perché non sto parlando di trincee, di sbarchi in Normandia, che davvero questo è un conflitto mondiale, ripeto il terzo era freddo per cui possiamo sperare che questo non sia terribile oltre misura, ma c’è molta ragione di avere paura. In questo contesto Slobodan Milosevic, che è un grande stratega, io credo che sia una persona estremamente intelligente, e credo che sia pericoloso e criminale il consenso velato, ottuso di cui gode a sinistra in Italia. Milosevic è pericolosissimo, massacratore, uomo che sa usare a meraviglia le convenienze internazionali a suo favore per garantire il suo potere e lo stretto controllo dittatoriale criminale della società serba, è un uomo che conosce esattamente le partite
diplomatiche in cui è inserito e le volge tutte a proprio favore. L’uomo che ha scatenato le guerre nei Balcani si è presentato anche come il perno delle possibili soluzioni di pace, ogni volta che si doveva andare a un tavolo per fermare una guerra, Milosevic era l’interlocutore privilegiato. Oggi Milosevic sta ordinando i massacri, che sono massacri spaventosi, si stanno di nuovo dividendo i maschi dalle femmine, come a Sebreniza, io spero che tutti si ricordino
Sebreniza , mancano 9000 persone da Sebreniza, e sono 9000 persone che sono state massacrate a freddo, uccise, uccise, alcune buttate vive nelle fosse e coperte con i bulldozer. Questi sono fatti di cui si è parlato troppo poco e che sono già stati oggetto di strumentalizzazioni internazionali sia mediatiche sia diplomatiche. Sebreniza era sotto gli occhi di tutti, lo sapevano tutti il 10 luglio del 95, ma è stato scoperto solo nel novembre quando agli Stati Uniti ha fatto comodo dare una smossa agli accordi di Dayton, allora sono saltate fuori quelle misteriose foto del satellite, mesi dopo, quando forse Sebreniza si poteva impedire. Oggi in Kossovo sta succedendo la stessa cosa, sta succedendo per colpa di Milosevic, ma sta succedendo anche grazie a questa crisi bellica voluta da tutti per riaprire le partite balcaniche, per definire l’ordine internazionale, per cambiare le cartine, per ridefinire il controllo sulle risorse, partita strategica, partita strategica che si gioca sulla pelle di migliaia, migliaia, migliaia, forse centinaia di migliaia di persone, se contiamo anche i profughi di milioni di persone. Davanti a questo però la domanda che fare è tragicamente senza risposte, io ve la rimonto, non ce l’ho la risposta e quindi non posso darvela.
Capire, analizzare, rilanciare l’analisi, cercare di creare una comprensione diffusa, radicata, al di là dei patetici spettacoli che ci mostra la televisione in questi giorni, dei depistaggi, delle cortine fumogene, l’involontaria, perché il giornalismo non è cattivo, è approssimativo, questo sì, ma questo ovviamente non basta. Il problema è che questo intervento militare è stato costruito nel tempo, voluto da entrambe le parti, è stato disastroso, producendo un massacro. Il problema, però, è che se oggi l’intervento semplicemente cessasse perché si disuniscono coloro che lo portano avanti, questo intervento criminale, se semplicemente cessasse oggi creerebbe una vittoria politica, diplomatica, militare straordinaria del massacratore serbo che permetterebbe una situazione di fatto irreversibile: il Kossovo, la gente del Kossovo non avrebbe mai più l’autonomia, e questo creerebbe altro potenziale conflitto, perché ci si rivolgerebbe alle potenze d’are, alle micropotenze d’area. Non pensiate che se i bombardamenti cessano domani finisce la guerra, questa guerra, si diceva all’inizio, questi bombardamenti aprono una crisi di lungo periodo, non la chiudono. Se cessano i bombardamenti gli albanesi del Kossovo si rivolgeranno alle altre comunità albanesi. In Albania si stanno facendo trattative per un governo di unità nazionale, cose senza precedenti, perché sapete che i socialisti e i democratici in Albania sono abituati a spararsi, a tagliarsi la gola e addirittura a cannoneggiarsi, stanno facendo un governo insieme per sostenere una guerra, semplicemente la fine dei bombardamenti per una moratoria dovuta a problemi politici nell’alleanza creerebbe un’altra guerra regionale, d’area, combattuta sul terreno, forse ancora più conflittiva e più pericolosa, perché in questa guerra entrerebbe inevitabilmente la Macedonia, a causa delle comunità albanesi di cui parlavamo prima, entrerebbe la Grecia, per interessi diretti sulla Macedonia, entrerebbe la Bulgaria, verosimilmente anche la Turchia, insomma diventerebbe uno di quei conflitti fra Stati che finora, ufficialmente in Europa non abbiamo ancora visto. La domanda che fare rimane tragicamente senza risposta, a tutt’oggi. Io per il momento mi fermo qui, spero che ci siano altri interventi.