L'Acquedotto Pugliese.
Come è avvenuto laprivatizzazione del più grande acquedotto italiano: quello pugliese. Fonti: I molti misteri dell'acquedotto pugliese spa. di Gabriele Corona dal Manifesto del 26/07/02 e altri. Ottobre 2002.


Le autobotti e gli aiuti agli agricoltori non scongiureranno il pericolo di emergenza igienico-sanitaria lungo i fiumi in secca, a causa di captazioni insostenibili delle sorgenti e dell'inquinamento causato da milioni di litri di liquami non depurati. Non basterà qualche temporale estivo ad alimentare i pozzi. Continueranno inoltre ad essere inutilizzabili le acque delle falde inquinate dai nitrati provenienti da quella agricoltura intensiva che utilizza il 70% dell'acqua disponibile. La crisi idrica, destinata ad aggravarsi nei prossimi anni, è il risultato di una disastrosa politica di gestione del territorio e della rapina sistematica delle sue risorse.

Eppure, nonostante la drammaticità della situazione, il governo - e perfino certa sinistra - continuano a limitare i ragionamenti alla necessità di una gestione più efficiente degli acquedotti: privatizzando i servizi. Naturalmente il caso su cui si concentrano molte attenzioni e "speranze" è l'Acquedotto pugliese, il più grande d'Europa con 20.000 chilometri di reti idriche in 5 regioni, per approvvigionare 6 milioni di persone: un mostro in vita dal 1915, diventato con il tempo sinonimo di carrozzone clientelare che ha dato più da mangiare che da bere, con enormi buchi di bilancio. Il centro sinistra, cinque anni fa, decideva di avviare il risanamento attraverso "la privatizzazione". E qua comincia la storia dei misteri, non ancora svelati, dell'Acquedotto pugliese.

Nel 1997 il governo Prodi, dopo 20 anni di bilanci in rosso, nomina Commissario dell'Acquedotto pugliese l'avvocato Lorenzo Pallesi. E lui, nel giro di un solo anno, il 1998, riesce a produrre un utile di 29 miliardi. L'Ente sarà addirittura in grado, in pochissimi mesi, di investire in Giordania per un "Centro di sviluppo ecosostenibile per la gestione delle risorse idriche e naturali per il mondo arabo e nord africano". Nello stesso periodo, però, diverse interrogazioni parlamentari sostengono che la gestione dell'Acquedotto è tutta fallimentare: grandi sprechi, moltissimi contatori manomessi o addirittura girati a piacimento, utenti abusivi. Il governo smentisce e insiste: il miracolo Pallesi è vero e reale tant'è che ancora nel 1999 il bilancio si chiude con un utile di 35 miliardi. Risultati straordinari, quindi. Si poteva dunque continuare con la "buona" gestione dell'Ente pubblico Acquedotto pugliese; invece il governo decide che l'Ente deve diventare una spa, inizialmente con il 100% delle quote nelle mani del Tesoro.

Con un decreto del marzo 2000, D'Alema decide di cedere l'Aqp spa all'Enel, tra grandi polemiche. Interessante la disputa per stabilire il valore del mostro. Alcune valutazioni ufficiali parlano di 3.000 miliardi di lire, altre si mantengono sui 900. E affiorano i dubbi per "gli artifici contabili che avrebbero determinato i risultati eclatanti dei bilanci sorprendentemente in attivo: crediti inesigibili ancora iscritti ma impossibili da riscuotere (circa 300 miliardi); richieste di pagamento in acconto sproporzionate; valutazione anche del valore delle reti periferiche che invece appartengono ai Comuni. L'Enel assicura alla Regione Puglia la cessione gratuita del 25% di proprietà della spa e versa al Ministero un acconto per l'acquisto di circa 2.000 miliardi. Ma il presidente della Regione Puglia, Fitto, non ne vuol sapere e rilancia. L'Aqp deve dimostrare buona salute e allora via ad altre 300 assunzioni e ad una campagna stampa contro lo scippo governativo. Alla fine l'Enel si ritira, ma ancora non si sa che fine hanno fatto i circa 2000 miliardi già versati.

Con il colpo di mano dell'articolo 25 della finanziaria 2002, il governo Berlusconi decide di trasferire le quote azionarie dal Ministero del Tesoro alle regioni Puglia e Basilicata, in proporzione agli utenti serviti. Incredibilmente, però, non assegna alcuna quota alla regione Campania: "dimenticando" che gran parte dell'acqua di sorgente che alimenta l'Acquedotto viene prelevata nell'Alta Irpinia e che 15 Comuni campani sono serviti dall'Aqp. Ancor più incredibilmente, il presidente Bassolino decide di non opporsi, per quanto sollecitato. I prelievi alle sorgenti dei fiumi Sele e Calore continuano a ritmo crescente e i due corsi d'acqua sono a secco. L'acqua è sparita. Intanto i dati ufficiali sui prelievi e i consumi attestano che 280 milioni di metri cubi di acqua sottratta alle sorgenti vengono dispersi. Si tratta di 20.000 litri di acqua al secondo di cui si perde traccia! Ma Fitto e Pallesi non sostenevano che l'Aqp era efficiente e in buona salute? Ora anche il presidente della regione Basilicata, il diessino Bubbico, pensa che la privatizzazione sia una buona soluzione: vorrebbe cedere a Fitto le sue quote azionarie e costituire la società Acqua spa per la gestione degli invasi per vendere acqua alla stessa Puglia. Intanto Fitto si appresta a privatizzare. Molti sono interessati: alcune multinazionali francesi, Colaninno e poi anche l'Acea che già gestisce in Campania i servizi di depurazione di molti Comuni, proprio insieme ad Aqp spa.