Le privatizzazioni dell'oro
blu.
In
tutte le parti del mondo le multinazionali hanno fiutato il business dell'acqua,
ma esiste la possibilità di sconfiggerle. Fonti: "Loro blu
del XXI secolo" di Daniele Cerreoni, e altri. Ottobre 2002.
Processi in atto per la gestione dell'acqua e i tentativi
di privatizzazione. Sono diverse le soluzioni prese in esame e le tematiche di intervento
per gestire al meglio la crescita del consumo di acqua. Comunque è
evidente che mancano delle regole mondiali di controllo sulla gestione dell'acqua
e la sua difesa come bene comune, patrimoniale, e prevale l'approccio di considerare
l'acqua un bene da lasciare alla libera regolamentazione del mercato. Tuttavia,
per quanto riguarda la gestione dell'acqua, c'è da fare i conti con
un fenomeno di abdicazione delle strutture pubbliche in favore di soggetti
privati e di alcune multinazionali che cominciano a fiutare l'odore di un
grande business. La principale fonte di vita, dunque, corre il serio pericolo
di trasformarsi in merce preziosa su cui lucrare, con gravi conseguenze sul
futuro. In Gran Bretagna, durante il governo della Tatcher la privatizzazione
è stata una scelta politica sulla spinta della libera economia di mercato.
In Francia si è deciso di puntare sulla "gestione delegata", ovvero, il conferimento
dei servizi idrici ai privati. In Canada, la diminuzione dei fondi federali
e provinciali alle municipalità ha costretto queste ultime a tagliare le spese
per nuove infrastrutture e aprire agli investimenti delle compagnie private.
La diminuzione delle finanze pubbliche e, soprattutto, di quelle locali è
uno stato di fatto che vuole "giustificare" la volontà di ricorrere alla privatizzazione
dell'acqua anche in altri Paesi come la Germania, l'Italia, i Paesi Bassi
e l'Irlanda. Inoltre, negli ultimi anni si è registrato un aumento
vertiginoso in città di Asia, Africa e America Latina, che hanno deciso
di privatizzare la gestione dell'acqua, argomentandola proprio con la mancanza
di risorse finanziarie. Giacarta, Manila, Casablanca, Dakar, Nairobi, El Alto,
Medan, La Paz, Cordoba, Città del Messico e Buenos Aires, sono soltanto alcune
delle città in cui l'acqua adesso è in mano a privati (Petrella, Avvenire,
3/2/2000). Insomma, si vuole vendere l'acqua al capitale privato per la gioia
di quelle multinazionali che già pregustano il grande affare. Sono loro che
stanno spingendo affinché l'acqua diventi un prodotto da mercato. Per
fare un esempio, in Canada c'è stata un'impresa americana, la McCurdy
Enterprises, che ha espresso la volontà di voler commercializzare (ed esportare)
l'acqua dei grandi laghi e del fiume SaintLaurent. Altre compagnie statunitensi
stanno avanzando identica richiesta. Dietro c'è la regia dell'ALENA,
l'accordo per il libero scambio nel Nord-America. Queste imprese si fanno
forti delle loro ingenti disponibilità finanziarie e delle loro notevoli possibilità
tecnologiche per potersi accaparrare la gestione del prezioso bene dell'umanità.
Secondo l'ALENA, l'acqua è un prodotto da mercato e quindi soggetto
al libero scambio. Al tempo stesso c'è da fare i conti con l'entrata in gioco
dei grandi produttori di bevande gassose come la Coca Cola e la Pepsi Cola,
che si vanno ad inserire in un settore dove già ci sono i giganti dell'acqua
minerale e di sorgente come Danone e Nestlé, oppure gli specialisti dell'acqua
trattata come la francese SuezLyonnaise e l'americana Culligan. Obiettivo:
sfruttare al massimo ogni goccia di acqua esistente nel mondo. La Danone ha
acquisito la gestione di tre sorgenti: una in Indonesia, una in Cina e l'altra
negli Stati Uniti. La Nestlé ha iniziato a commercializzare in Pakistan la
sua prima acqua "purificata". Proprio queste due multinazionali sono le più
grandi produttrici nel mondo di acqua minerale e per conquistare il mercato
mondiale si stanno lanciando all'accaparramento di sorgenti in ogni latitudine.
Parallelamente sia Nestlé che Danone non perdono di vista il settore dell'acqua
"purificata", ritenuto importante per l'espansione mondiale: acqua di rubinetto
trattata con l'aggiunta di minerali. La guerra mondiale dell'acqua è lanciata.
Da una parte le multinazionali si sfidano tra loro, dall'altra l'acqua diminuisce
sempre di più. La società civile dice no alla privatizzazione L'opposizione alla privatizzazione dell'acqua, comincia a prendere
il via e si è già messa in moto una sensibilità, forte e decisa, a non lasciare
spazio ad alcun tentativo di mercificare il prezioso bene. In Canada un'inchiesta
del 1996 ha evidenziato che il 76% della popolazione canadese è contraria.
A Montreal una manifestazione di 10 mila persone scese in piazza lo scorso
anno, ha fatto recedere le autorità del Quebec dalla messa in atto del piano
di privatizzazione dell'acqua. Lo stesso è accaduto a Panama dove la popolazione
locale ha vinto il primo round contro la concessione dell'acqua ai privati
(Petrella, Avvenire 3/2/2000). A Cochabamba, città della Bolivia, si
sono verificati violenti scontri a seguito di una manifestazione pacifica
organizzata dai campesinos che protestavano contro uno sconsiderato aumento
del prezzo dell'acqua. Nella circostanza le famiglie si sono ritrovate a dover
pagare in media circa 20 Pesos boliviani al mese, una cifra notevole se rapportata
alla paga minima di 350 Pesos che percepisce la maggior parte dei lavoratori.
Dietro a questo aumento si nasconde una legge approvata di recente come Legge
Nazionale per l'acqua, che in realtà è quasi la fotocopia di un contratto
privato stipulato qualche settimana prima tra imprese private sorte nell'agosto
dello scorso anno. Questa legge prevede l'esproprio totale di ogni sorgente
d'acqua nel territorio di Cochabamba a favore di un progetto portato avanti
da questa società privata. Di conseguenza, anche i vecchi pozzi utilizzati
dai campesinos sono destinati ad essere controllati e tassati.