ATTORNO E ALL'INTERNO
DEL FSE
LA
SPARIZIONE DEL CONFLITTO DI GENERE
dicembre 2003, di Silvia
Baratella
L'assemblea europea per i diritti delle donne è stata indubbiamente una grande prima se si guarda al numero delle partecipanti e all'impatto dell'iniziativa: tremila donne circa hanno infatti partecipato alla plenaria, che si è conclusa con un appello di lancio di campagne europee da costruire in comune tra reti di donne dei vari paesi, sui sei terreni corrispondenti ai sei atelier tematici.
In questo, nonostante fosse il primo esperimento, le reti delle donne hanno dimostrato sicuramente di saper convergere sul piano operativo in molti più punti e su molti più terreni dell'assemblea dei movimenti sociali che tradizionalmente chiude il FSE "lanciando" l'agenda politica comune del movimento no global sul piano internazionale.
Vi sono tuttavia alcuni limiti che è il caso di sottoporre al dibattito perché costituiscono a mio avviso elementi di riflessioni da affrontare: un limite è stato il livello estremamente contenuto (sarebbe eccessivo definirlo "automoderato", ma si poteva a mio avviso prendere posizioni più decise e radicali, anche perché non mi è parso che nessuna vi si opponesse) del documento finale, un altro lo scarto di partecipazione che mi è parso di rilevare tra la presenza amplissima alle due sessioni (mattutina e pomeridiana) della plenaria e quella molto più ridotta ai gruppi di lavoro, pur se numerosi e consistenti.
Nel gruppo di lavoro di cui mi sono occupata, quello su "Lavoro, precarietà, povertà", ho avuto l'impressione che la defezione fosse soprattutto quella delle giovani (non che non ce ne fossero, ma in proporzione decisamente minore rispetto al grand chapiteau). Non so se è stato così anche negli altri atelier, ma questo dato sembra confermare anche tra le sole donne una tendenza già presente nelle sedi miste del movimento dei movimenti: una fortissima attrazione delle nuove generazioni per gli eventi no global formato "kolossal", ma una partecipazione e un'assunzione di responsabilità molto più scarse. Creare le condizioni di un coinvolgimento più diretto delle giovani resta quindi una necessità per garantire il domani delle reti di donne (e del resto dell'intero movimento misto).
L'atelier su precarietà, lavoro e povertà ha esaminato forse più il lato del lavoro che non quello dei servizi sociali e dell?insieme dei diritti, anche se la relazione di Giovanna Camertoni di Arcilesbica ha introdotto il tema delle pressioni intrusive sulla vita personale e sulla sfera privata che sono esercitate sulle persone attraverso la ricattabilità discendente dalla precarietà dei rapporti di lavoro. Il discorso ovviamente riguardava l'orientamento sessuale e il diritto a viverlo liberamente, ma penso possa essere un ottimo paradigma dell'insieme delle libertà personali.
È stata analizzata la precarietà non solo dal punto di vista della natura e durata dei contratti di lavoro "atipici", ma anche delle contrazioni di reddito dovute al part-time, le limitazioni del sussidio di disoccupazione dovute al fatto di essere "conviventi", sposate o meno, anziché "capifamiglia", la maggior precarizzazione dei settori a occupazione prevalentemente femminile e in cui si "socializzano" compiti affidati alle donne nelle famiglie, come i servizi sanitari, socio-educativi e socio-assistenziali; è stato osservato come le lotte, anche di natura sindacale, che hanno avuto più successo sono state quelle in cui ci si è individuato più chiaramente come bersaglio la discriminazione di genere, e infine è stato esaminato il rapporto tra donne e lavoro agricolo: la maggior presenza e impegno delle agricoltrici nel settore biologico ed ecocompatibile, in contrasto con le politiche governative di "sviluppo" agricolo, il loro status di "aiuti familiari" e la mancata titolarità della concessione agricola, del reddito, della pensione, dell'assistenza sanitaria.
La relazione di Helena Hirata sul peso delle direttive europee e del processo di costruzione del trattato costituzionale sulla condizione lavorativa delle donne, ha evidenziato fra l'altro come nei paesi in cui sono state praticate politiche di riduzione generalizzata dell'orario di lavoro l'incidenza del part-time sia diminuita, sia pur leggermente, mentre comunque in tutta Europa i "working poors", le persone che vivono sotto la soglia di povertà pur avendo un reddito da lavoro dipendente, sono quasi solo donne.
Ne è uscita come conclusione una traccia per lotte, campagne e piattaforme rivendicative contenente la lotta al part-time accompagnata da quella per la riduzione generalizzata dell'orario di lavoro a parità di salario, la richiesta di una reale uguaglianza salariale tra donne e uomini e dell'aumento dei minimi salariali e delle forme di reddito sociale garantito (per noi italiane potrebbe essere un'occasione di lotta per la sua introduzione), la costruzione di un sistema di diritti sociale a titolarità individuale (a ogni donna e ogni uomo, e non al solo "capofamiglia"), e la lotta per servizi sociali pubblici, con particolare attenzione a quelli dedicati all'infanzia, ritenuti essenziali all'effettivo esercizio del diritto al lavoro dei genitori.Seminario contro le discriminazioni salariali , FSE, 13 novembre
Al di fuori della giornata del 12, nel quadro del FSE, si è svolto un seminario sindacale promosso al fine di creare una rete europea intersindacale contro le discriminazioni salariali dalle donne di FSU (il maggior sindacato di categoria della scuola in Francia), Union G10 Solidaires (Unione dei sindacati di base francesi), S.in.COBAS (sindacato intercategoriale dei comitati di base, Italia) ed E.L.A. (sindacato alternativo nazionale basco, con un fortissimo radicamento in Euskadi).
La partecipazione è stata moderata, vista anche la natura fortemente tecnica dell'argomento trattato, ma dopo le quattro brevi relazioni il dibattito è stato insolitamente approfondito, vivace, complesso.
La questione della discriminazione salariale è stata affrontata da tutte le angolature: le effettive differenze di retribuzione a fronte dello stesso inquadramento per lo stesso lavoro sono infatti ormai la voce meno incisiva delle disuguaglianze salariali, mentre il sottoinquadramento sistematico delle donne rispetto ai loro colleghi di pari mansioni, il blocco sistematico delle carriere femminili, il part-time imposto massicciamente, l'applicazione prevalente alle lavoratrici rispetto ai lavoratori di contratti di lavoro atipico e, in definitiva, la sistematica e generalizzata svalorizzazione del lavoro compiuto dalle donne ne sono le cause molteplici e diffuse.
Anche le risposte, quindi, devono aggredire contemporaneamente più fronti, sia a livello delle battaglie giuridiche, sia nella lotta contro il precariato, sia nell'opposizione al part-time, sia nella modifica delle analisi e delle piattaforme che all?interno stesso dei nostri sindacati vengono prodotte in modo tale da perpetuare le discriminazioni esistenti: valga per tutti l'esempio del part-time, che molti sindacalisti sostengono che va richiesto "perché le donne lo vogliono" per potersi occupare della famiglia, mentre la battaglia per la riduzione generalizzata dell'orario di lavoro a parità di salario non viene mai proposta - quando pure fa parte del programma di un sindacato - come alternativa possibile alla discriminazione salariale e domestica delle lavoratrici.
Ne è emersa la certezza che è indispensabile costruire pratiche dal basso, con la partecipazione diretta delle lavoratrici, e che è indispensabile coordinare a livello europeo le lotte. Ci si è lasciate con uno scambio di contatti necessari a costruire una rete intersindacale che collaborerà, nei prossimi mesi, sull'argomento.Un elemento negativo che ha caratterizzato trasversalmente l'insieme di iniziative, anche molto produttive, che le donne hanno costruito attorno e all'interno del FSE di Parigi resta la "sparizione" del conflitto di genere: rarissimi gli interventi che hanno sottolineato come la divisione del lavoro di riproduzione e cura tra donne e uomini continui a non esistere, come non vi sia nulla di scontato nel fatto che gli attacchi allo stato sociale e le privatizzazioni dei servizi ricadano esclusivamente sulle donne e non rimettano mai in questione la vita lavorativa dei maschi, nessuna o quasi ha rilevato che la svalorizzazione del lavoro "produttivo" e la gratuità del lavoro "riproduttivo" delle donne ha a che fare con l'estorsione sistematica di lavoro alle donne da parte degli uomini che è alla base della nostra società e che fa tutt'uno con la pretesa maschile di disporre dei corpi delle donne in termini di mercificazione della sessualità, controllo della riproduzione, e quant'altro.
Un inquietante elemento di riflessione, dal mio punto di vista, perché se non si comprende che questo è il meccanismo di fondo che dobbiamo andare a spezzare rischiamo di essere destinate a combattere una battaglia infinita sulle singole conseguenze, simile al tentare senza sosta di decapitare una a una le teste dell'idra sempre rinascenti.