COME LIBERARSI DEL LIBERISMO
RECENSIONE
DEL LIBRO DI ALAIN TOURAINE: COME LIBERARSI DEL LIBERISMO
aprile 2000, di Sabina Zenobi
Tra i libri pubblicati in questi ultimi mesi, vale sicuramente la pena di soffermarsi con attenzione sull'ultimo lavoro del sociologo francese Alain Touraine, Come liberarsi del liberismo, ed. Il Saggiatore, £22.000.
In maniera estremamente sintetica, possiamo dire che i lavori di Touraine si collocano tutti all'interno di una corrente del pensiero sociale e pedagogico che riafferma il ruolo della storicità dei movimenti sociali locali come agente di sviluppo, dove per storicità si intende la capacità di emanciparsi dalle forme e dalle norme di riproduzione dei comportamenti e del consumo, per partecipare alla produzione dei modelli culturali. Tanto per citare alcuni nomi, a questa corrente si rifanno anche Paulo Freire (autore de La pedagogia degli oppressi) e Raffaele Laporta. Questa tradizione di pensiero è alternativa a quella marxista, famosa è infatti la polemica contro Althusser e, in generale, contro i teorici marxisti "del conflitto". Touraine stesso nelle pagine finali del suo libro scrive che:"esistono, beninteso, diverse figure di intellettuali. La più classica, e forse anche la più nota, è quella dell'intellettuale impegnato nella denuncia, la cui attenzione è esclusivamente concentrata sulla critica del sistema dominante. Lui svela gli interessi nascosti dietro determinati discorsi moralizzatori e dà voce alla sofferenza di chi è sfruttato, alienato e strumentalizzato(..) nella Francia di oggi, Pierre Bourdieu, esemplare rappresentante di questa tipologia (..) nella Francia delle ultime guerre coloniali, Jean Paul Sartre e i suoi sodali in particolare Frantz Fanon e Jean Genet (..) nel decennio 1965-75 la figura di Louis Althusser (..) infine chi coniugò meglio il pensiero critico con una produzione di grande qualità intellettuale fu Michel Foucault.(..)
Ci sono poi gli intellettuali che fanno il loro mestiere, che consiste nell'analizzare e nel comprendere, ricercando il significato delle azioni che appoggiano o a cui si oppongono. (..)
La differenza tra questi intellettuali e quelli del primo gruppo consiste nel fatto che quelli di cui sto parlando adesso credono nell'esistenza, nella coscienza e nell'efficacia dei soggetti, benché conoscano i loro limiti, mentre gli altri credono solo nella critica delle contraddizioni interne delle crisi e del male. Ciò non significa che quelli che cercano di capire i soggetti e di elaborare un'interpretazione della loro azione siano ottimisti, convinti che il bene prevarrà sempre sul male, ma soltanto che non pensano che la vittoria del male sia inevitabile e che la storia sia fatta solo di crisi interne e di strategie di dominio delle forze dominanti".Inutile dire che Touraine fa parte del secondo gruppo e che, come tale, sostiene le politiche riformiste di centrosinistra. Tuttavia, non credo sia questo l'aspetto più interessante del libro (ovviamente - direte voi - visto che non sei riformista!), quanto l'analisi che in esso viene fatta dei diversi movimenti sociali che si sono avuti in Francia, come anche in altri paesi, negli ultimi anni. Il libro di Touraine merita di essere letto e discusso perché, effettivamente, al di là della proposta della via del "due e mezzo" (in opposizione alla "terza via" di Blair) o della disamina delle varie tipologie di sinistra che il panorama politico ci offre (chi volesse approfondire tali punti può sicuramente leggere le recensioni presentate dai vari giornali e riviste, ad esempio il Manifesto del 5 Marzo), offre un'analisi attenta e puntuale dei nuovi movimenti sociali (quello dei beurs, dei disoccupati, dei sans-papiers, o degli omosessuali), movimenti che il nostro sociologo tratta sempre con estremo rispetto, cosa che spesso gli autori marxisti non hanno saputo o voluto fare.
Leggiamo a questo proposito quanto scrive Touraine:"Quando si parla di movimento sociale senza ulteriori specificazioni, si dà l'idea che le lotte sociali abbiano un'unità e che questa si fondi sul rifiuto delle politiche neoliberiste, di cui sono ben note le conseguenze: subordinazione della vita sociale alla logica oppressiva di una globalizzazione che incide sui salari, aumento della disoccupazione, rimessa in discussione del sistema previdenziale, indebolimento della capacità di intervento dello Stato. Come, infatti, non difendere il sistema previdenziale e i livelli salariali? Come non essere contrari alla disoccupazione e al precariato? Ma queste dichiarazioni di principio non soltanto non propongono di per sé alcun rimedio, ma ignorano che molte mobilitazioni popolari, pur non essendo affatto indifferenti a questi obiettivi, sono di natura diversa: mirano a far riconoscere diritti culturali. (..) Cosa significa questo processo? Non, com'è evidente, che i problemi del lavoro e del salario abbiano perso la loro importanza, ma che la formazione dei soggetti, e quindi la rinascita della vita pubblica, passa perlopiù attraverso la rivendicazione di diritti culturali cioè di valori considerati fondamentali dalla società nel suo complesso.
La tesi di Touraine è che un movimento sociale esiste ed ha successo quando al rifiuto si accompagna un'affermazione, ad esempio nel passato il mondo operaio è riuscito a contrapporsi al padronato in nome del progresso, e i popoli colonizzati hanno fatto lo stesso in nome dell'autodeterminazione e della libertà, vi sarebbe sempre cioè una rivendicazione in nome di un attributo positivo. Quando non si verifica questo passaggio dai movimenti di rifiuto ai movimenti propositivi, i primi si esauriscono rapidamente per via delle loro divisioni interne e della facilità con cui i poteri pubblici possono strumentalizzarli.
"Niente può garantire che queste lotte riescano a coalizzarsi o a unificarsi per costituire un equivalente di quello che avevamo chiamato movimento operaio. Ma esse stanno affrontando i problemi legati alla modernizzazione capitalistica e alla cultura di massa e perciò stanno rimettendo in discussione le forme principali dell'oppressione. Il governo è liberissimo di considerarne solo il carattere minoritario, perché la cosa più importante non consiste nel farsi riconoscere dallo Stato e dalle forze dominanti nella società, bensì nell'imporsi a loro e trasformare alla radice l'assetto della società e l'immagine che ne abbiamo".In realtà, Touraine non vuole che i vari movimenti sociali trasformino l'assetto della società e, giustamente, egli preferisce parlare di movimenti culturali. Nel caso in cui su una data questione, come ad esempio può essere l'Aids, il movimento appare diviso in un'ala più radicale (Act Up) e in una più moderata (Aides), Touraine non esita a schierarsi dalla parte della seconda, accusando gli altri di "avanguardismo", "le cui provocazioni attirano sì un largo sostegno, ma contribuiscono assai meno a formare una coscienza di soggetti collettivi", per cui, secondo lui, ciò che chiedono gay e lesbiche è "di essere riconosciuti, più che pretendere di cambiare la società nel suo complesso".
Effettivamente siamo arrivati a un punto tale che quando un governo di centrosinistra è disposto a riconoscere determinati diritti civili a gruppi sociali come gli immigrati o gli omosessuali, gli intellettuali di fede illuminista sono disposti a cantar vittoria e ad impegnarsi nel cercare di convincere i cittadini a votare centrosinistra alle prossime elezione. Scusate ma è un po' poco. Da un punto di vista così minimalista sembrano perfino estremiste le rivendicazioni dei senza-casa o dei senza-lavoro, i quali, loro malgrado, non possono fare a meno di mettere in discussione l'assetto economico della società.
Touraine ha senz'altro il merito di non voler ripetere nelle sue analisi sulla società "il catechismo del pensiero unico", come lui stesso lo definisce, e di mostrarci, finalmente, la globalizzazione per quello che realmente è, cioè un'ideologia, abbracciata tanto dalla destra che dalla sinistra."Nella misura in cui siamo sommersi dai discorsi sulla globalizzazione o sulla mondializzazione, che è la stessa cosa veniamo privati della dimostrazione concreta della nostra impotenza sociale e politica nei confronti di quella che dobbiamo chiamare con il suo vero nome: un'offensiva capitalista. (..) La globalizzazione è solo un insieme di tendenze, tutte rilevanti ma poco solidali tra loro. L'affermazione che sta nascendo una società mondiale, essenzialmente liberista, governata dai mercati e impermeabile agli interventi politici nazionali, è puramente ideologica".
A tale lucidità, ormai rara in campo intellettuale, Touraine fa purtroppo seguire una proposta politica debole e, tutto sommato, poco convincente, che intende far leva sui buoni propositi e sull'importanza che si crei un clima di fiducia tra governati e governanti. Per questo auspica un isolamento di tutte le Cassandre della politica (il PCF come il PRC, mentre le sue simpatie vanno decisamente alla CGIL e ai DS!!!), che contribuirebbero a diffondere sfiducia e pessimismo nei cittadini.