Dopo
Nizza .
Da Seattle a Praga a Nizza: proviamo
a individuare meriti e limiti del movimento contro la globalizzazione
dello sfruttamento. Il salto di qualità necessario dalla
ritualità della contestazione alla costruzione dal basso
dell'alleanza tra soggetti oppressi. REDS. Gennaio 2001.
E' forse
prematuro tirare un bilancio dalla fase di movimento aperta da Seattle. Eravamo
nel dicembre dell'anno scorso e quell'evento ha suscitato molte speranze ed
aspettative. Ci aveva colpito favorevolmente l'eterogeneità delle forze
che allora contestavano la riunione dei potenti della Terra; ci aveva anche
piacevolmente sorpreso lo smarrimento dei capi di stato, e dello stesso Clinton,
costretto a correre sulla difensiva; e lo spiazzamento dei media spinti dalla
forza degli eventi a dare spazio alle ragioni del movimento. Da allora
vi sono stati altri appuntamenti, tra cui Bologna, Praga, ed ora Nizza. Se
ne preparano altri: a Genova, a Palermo... Ormai c'è
una scansione della mobilitazione abbastanza consolidata: c'è una riunione
internazionale di organismi sovranazionali, parte il tam tam informatico,
e non solo, per organizzare il "controvertice" e la contestazione,
un gruppo organizzativo locale si offre di fare da supporto, e, alla fine,
nel giorno dell'appuntamento, convergono i vari settori a disturbare la riunione
dei grandi capi. Nella sinistra
antagonista e non solo vi è una certa speranza che quello che viene
definito a volte "movimento di Seattle" e altre volte "la generazione
Seattle", possa smuovere le acque troppo stagnanti in cui abbiamo dovuto
muoverci in questi tristi anni di riflusso. Cerchiamo qui di seguito di accennare
a quelli che ci paiono i meriti e i limiti di questo movimento. a. Vi è
una nuova generazione, anche se limitata nel numero, che sta crescendo in
una concreta educazione "internazionalista". Il dibattere temi di
importanza globale serve a uscire dal ghetto della propria "patria",
l'organizzare scadenze sovranazionali serve a mettersi in contatto con altre
realtà "straniere", a confrontarsi con loro, conoscere e
scambiare esperienze. Significa nei fatti costruire un'Europa dal basso aprendo
relazioni al di là delle barriere statali che ci sono state imposte.
Non è un salto di poco conto per una sinistra, la nostra, che si è
sempre distinta per provincialismo e scarso interesse per ciò che a
sinistra accade altrove. b. La contestazione
serve a rendere percepibile una possibilità di alternativa. Se questa
opposizione non fosse anche mediaticamente visibile passerebbe l'idea, nel
senso comune, che vi sono processi così "grandi" che, su
di loro, non è possibile alcun tipo di influenza: verrebbero considerati
ineluttabili. L'Europa ad esempio si può costruire in mille maniere
e il modo con cui stanno procedendo i nostri governi è quello che più
fa comodo alle oligarchie del denaro e delle merci. La contestazione serve
a sottrarre "sacralità" a questi eventi, che hanno anche
una funzione scopertamente ideologica: servono a convincerci che i potenti
pensano a noi, e che ce ne dobbiamo stare buoni e tranquilli a casa, a guardarli
in televisione mentre parlano del nostro futuro. c. Questo
movimento ha obbligato ed obbliga le forze di sinistra a prendere posizione
e a spostarsi su un piano più critico. Questo risultato è stato
evidente nella stessa Seattle dove DS e Verdi erano andati ad integrare le
schiere dei governanti del mondo, ed hanno dovuto con grande imbarazzo relativizzare
la propria posizione. Il movimento sta attuando un benefico "svecchiamento"
dell'immagine e, in parte, della pratica del PRC. Nel campo dell'associazionismo,
troppo attento di solito al proprio impegno monotematico, sta avvenendo un
positivo processo di apertura a tematiche più politiche. d. Questo
movimento è trasversale e mette in comunicazione tra loro tradizioni
politiche anche radicalmente diverse. Quelle di tradizione cattolica e quella
comunista, i centri sociali e i giovani comunisti, ecc. Questa contaminazione
è positiva e feconda e aiuta ad uscire dal particolarismo e dal settarismo. e. Registriamo
inoltre una certa attenzione, positiva, a non creare leader carismatici e
burocrazie più o meno evidenti. Più che le singole personalità,
sul palcoscenico stanno dei collettivi, e non ci sembra, vista la storia della
sinistra, un salto qualitativo di poco conto. E passiamo
ai limiti. Ci pare risultino evidenti soprattutto dopo Nizza, anche se dei
segnali erano avvertibili anche dopo la mobilitazione di Praga. Individuare
dei limiti comunque non significa affatto condannare il movimento, ma porre
le condizioni per compiere un passo in avanti. a. Risulta
abbastanza chiaro che dopo il primo disorientamento visibile a Seattle, i
potenti della Terra abbiano "fatto il callo" a queste contestazioni.
Essi dicono tra sé e sé: sì, lo so, verranno a contestarci,
ma sono pochi e sempre gli stessi, basta prendere un po' di contromisure perché
non ci entrino in casa e per il resto facciamo quel che vogliamo. Si sono
così potuti permettere repressioni brutali e selvagge a Praga, e in
parte a Nizza, senza pagare alcun prezzo nemmeno in termini di immagine. Queste
contestazioni, è evidente, non li spaventano più. b. Queste
contestazioni non provocano alcun spostamento reale degli equilibri e delle
decisioni che i padroni del vapore intendono prendere. Ciò è
risultato del tutto evidente a Nizza, dove il vertice è andato avanti
in tutta tranquillità, e dove le contraddizioni che si sono registrate
erano tutte interne agli equilibri tra i vari imperialismi che là si
confrontavano. Il "movimento Seattle" cioè, risulta, da solo,
non sufficiente per bloccare i processi mondiali che vengono avanti, e neanche
in grado di influirvi in qualche modo. c. Abbiamo
notato un certo restringimento delle aree politiche che aderiscono a questo
movimento. All'inizio l'universo che aderiva era piuttosto variegato. Oggi
abbiamo l'impressione che esso coinvolga sostanzialmente anarchici, centri
sociali e giovani comunisti. Dato che negli altri Paesi queste aree sono piuttosto
ristrette, negli appuntamenti europei risultano sempre preponderanti gli italiani.
Non riteniamo negativo l'impegno di queste forze che hanno dimostrato notevole
spirito di iniziativa e capacità organizzativa, ci pare però
che in queste occasioni dovremmo riuscire a mobilitare un arco più
largo di forze. d. Gli scontri
che si registrano in occasione di queste contestazioni hanno acquisito un
che di rituale. Gli stessi mass media "vogliono" gli scontri, perché
costituiscono la merce migliore dei loro notiziari. Sono "colore"
senza cui l'audience crollerebbe miseramente. Quando gli scontri non ci sono,
si creano. A Nizza per esempio erano stati di modestissima entità,
eppure il giorno dopo sulle prime pagine dei giornali pareva che l'intera
Nizza fosse in fiamme. Non siamo pacifisti. Pensiamo che l'uso della forza
da parte degli oppressi sia a volte necessario. Siamo dell'opinione però
che in queste occasioni, proprio per evitare di restringere l'arco delle possibili
alleanze sociali necessarie, sia opportuno evitare di fornire l'esca per lo
scoppio di incidenti specialmente in situazioni in cui l'impreparazione e
l'improvvisazione provocano guai a coloro che sono meno preparati a sostenerli. e. Vi è
il pericolo che queste mobilitazioni finiscano per concentrare in maniera
totalizzante l'attenzione e le energie militanti dei giovani che vi si impegnano.
Eppure questi appuntamenti non possono che essere il momento conclusivo di
un percorso di coinvolgimento che parta dalla base. Insomma: una associazione
che si sposta a Nizza, lo deve fare perché sul proprio territorio ha
compiuto un infaticabile lavoro di sensibilizzazione ed organizzazione su
quelle tematiche. Troviamo invece un po' troppi compagni che ormai concentrano
la propria attenzione sul vertice in sé e sulla contestazione relativa,
quando, se realmente vogliamo mutare i rapporti di forza, è soprattutto
nella massa, pazientemente, che dobbiamo lavorare per mutare il senso comune
della gente, oggi orientato nettamente dall'ideologia dominante. f. In ultimo
la cosa più importante. Questo è un movimento che in buona sostanza
coinvolge giovani, anche perché i lavoratori non hanno generalmente
la possibilità di spostarsi in Europa e stare in giro due o tre giorni.
Alla contestazione nei confronti del fenomeno che genericamente viene definito
"globalizzazione", manca un elemento fondamentale per essere incisivo:
la presenza dei lavoratori. Capiamo che la cosa a molti giovani può
sembrare astratta, ma dato che a questo movimento partecipano anche settori,
come il PRC, che con settori organizzati di lavoratori hanno contatti, pensiamo
ci debba essere un salto qualitativo nei settori sociali che il movimento
coinvolge. Se non ci saranno risultati concreti anche i giovani che partecipano
ai vari appuntamenti internazionali prima o poi si stancheranno, misurando
la distanza tra i propri sforzi e i risultati raggiunti. E senza il coinvolgimento
di settori sostanziali del movimento sindacale, non si ha alcuna realistica
possibilità di spostare i rapporti di forza tra governi e cittadini.
A Nizza il 6 si è realizzata una grandissima manifestazione europea
dei sindacati, dove gli italiani (a parte il coordinamento RSU e il Sin Cobas)
si sono distinti per la propria assenza. Il giorno dopo c'è stata la
contestazione dei giovani, ma tra le due giornate non vi è stato alcun
tipo di "incontro", chi ha manifestato il 6, il 7 non c'era. Dunque:
positivo che per la prima volta abbiamo visto una manifestazione "europea"
dei sindacati, negativo che questa non si sia incontrata con il movimento. In breve,
per far compiere un salto qualitativo al movimento, e non precipitare nella
ritualità della contestazione, occorre focalizzare la nostra attenzione
nella costruzione del movimento a partire dalla base, nel nostro quartiere,
nel nostro posto di lavoro, nel nostro sindacato.