Ilmovimento antiglobal in Australia.
Una piccola storia del movimento antiglobalizzazione in Australia, una analisi delle sue potenzialità e dei suoi limiti, una ricognizione delle diverse componenti che lo animano. I prossimi appuntamenti. Di Jacky Pinko Dinkum. Luglio 2001.


 

Due sentenze di opposto tenore hanno segnato la storia del movimento australiano anti-globalizzazione proprio questo mese: da un lato il Difensore Civico (1) del Victoria (2) cui era stato rivolto uno specifico reclamo, ha archiviato il procedimento nei confronti della polizia, accusata di aver brutalmente assalito la pacifica manifestazione contro il World Economic Forum (W.E.F.), tenutosi a Melbourne dall'11 al 13 settembre dello scorso anno. Pur ammettendo qualche irregolarità e qualche eccesso di zelo, il Difensore Civico ha ritenuto di non doversi procedere nei confronti dei singoli responsabili. Nello stesso tempo il Tribunale di Melbourne ha condannato Marcus Brumer, attivista del movimento, ad un mese di carcere e 750 dollari di multa (circa 900.000 lire), per aver colpito al volto il primo ministro del Victoria, Steve Bracks (in Italia proprio in questi giorni, alla ricerca di nuovi mercati per le tecnologie australiane) con una... torta alla crema.
Proprio il boicottaggio del W.E.F., nel settembre 2000 a Melbourne, manifestazione qui conosciuta come "S11 blockade", ha rappresentato un significativo punto di svolta e di crescita per l'intero movimento anti-globalizzazione.
Iniziativa largamente partecipata e di notevole successo, ha messo insieme per la prima volta attivisti di centinaia di diversi gruppi e gruppuscoli e anche persone non normalmente coinvolte, ma la cui partecipazione è stata sollecitata dalla capillare campagna di informazione effettuata prima dell'evento. Le ripetute cariche della polizia a cavallo hanno provocato oltre 300 feriti e garantito una copertura dei media al di la delle più rosee aspettative, visto che le immagini sono rimbalzate sui telegiornali di tutto il mondo.
Da quella data il movimento ha avviato una analisi più approfondita delle proprie possibilità, obiettivi e risorse, ponendosi come un punto di riferimento su tematiche che vanno dalla globalizzazione alla questione aborigena, allo scottante problema dei centri di detenzione per rifugiati, alle miniere di uranio, al ruolo di gendarme giocato dall'Australia nella regione del Pacifico Orientale. Una spina nel fianco per le autorità federali e statali e uno stimolo per la sonnolenta società australiana, largamente spoliticizzata e scarsamente partecipativa.
Tuttavia all'interno stesso del movimento anti-gobalizzazione permangono enormi problemi. Teoricamente composto da centinaia di gruppi di ogni genere e tendenza, è in pratica espressione prevalente, se non esclusiva, della "Socialist Alliance", una coalizione di partitini e gruppi di ispirazione marxista, che si autodefinisce come "sinistra radicale".
L'organizzazione delle proteste, le strategie anti-globalizzazione, le scadenze e ogni altro aspetto sono discusse e decise nell'ambito della coalizione socialista, che del resto si è posta come programma di costruire e dirigere il movimento. Questo rappresenta un freno alla partecipazione di gruppi meno radicali e pone una seria remora circa l'effettiva capacità di mantenere le attività in un ambito pacifista e nonviolento: ambito che alcuni dei componenti dell'alleanza, legati ad una visione tradizionale di lotta di classe e rivoluzione socialista, negano decisamente.
D'altro canto i gruppi non radicali, ovvero associazioni di volontariato, gruppi di riflessione, chiese, organizzazioni di vario genere, non sembrano avere la forza e la capacità di organizzarsi in modo alternativo, né l'effettiva volontà di farlo. Ancora legati ad un modello di intervento che risale alle "charities" di stile anglosassone, che affrontano le problematiche evitando di occuparsi direttamente di politica, incapaci di andare oltre il ristretto ambito delle proprie "competenze" specifiche, questi gruppi non hanno influenza né visibilità di alcun genere, né, apparentemente, proposte concrete di azione. Questo sembra essere l'ostacolo principale alla formazione di un movimento più ampio e pluralista, espressione di varie tendenze della società civile, come è oggi quello italiano.
La geografia stessa dell'Australia (circa 19 milioni di abitanti) e la conformazione delle sue aree metropolitane, sono altrettanti fattori di limitazione delle possibilità del movimento di esprimersi efficacemente: i pochi attivisti sono dispersi su un territorio vastissimo, con pochi e costosi mezzi di comunicazione. I sobborghi cittadini sono altrettanto dispersi e poco comunicanti fra loro.
Infine, solo per mettere in evidenza i problemi più rilevanti, il consenso e la simpatia guadagnati in occasione del W.E.F. di Melbourne sono in parte stati corrosi proprio dal fatto che il movimento è espressione prevalente dei gruppi della sinistra radicale, per le modalità con cui si è mosso dopo "S11" e per la sostanziale mancanza di una proposta "positiva".
Sull'altro fronte è necessario sottolineare l'acerrima lotta senza frontiere contro il movimento anti-globalizzazione, portata avanti da un ben distinto e determinato cartello di interessi: il governo federale, liberista e apertamente razzista, le società di capitali, le multinazionali, il tutto ben sostenuto dai media, che ripetono all'infinito la storiella dell'Australia che ha bisogno dell'intervento dei capitali stranieri per sviluppare l'asfittico mercato interno.
Nei mesi successivi alla manifestazione di settembre 2000 il movimento anti-globalizzazione ha cercato di rafforzarsi attraverso la costituzione di una vasta rete di piccoli gruppi, distribuiti nelle università e nei quartieri delle principali città. Non mancano i motivi di riflessione: l'Australia, con una popolazione così esigua, è il quarto produttore mondiale degli agenti inquinanti che provocano il buco nell'ozono, grazie alla sua industria estrattiva; ciò nonostante (ovvero proprio per questo) ha fatto di tutto per boicottare qualsiasi accordo in materia di limitazione e riduzione di emissioni inquinanti.
Inoltre l'Australia mantiene una posizione ambigua nei rapporti con i Paesi dell'area: da una parte, con l'accordo militare con gli USA, si propone come gendarme dell'occidente nella regione, imponendo spesso la sua presenza militare nelle aree di crisi del Pacifico e offrendo il suo territorio per le attività statunitensi di spionaggio a vasto raggio in Asia (l'orecchio più importante di Echelon sembra sia posizionato nel deserto australiano, in una zona strettamente inaccessibile al pubblico). Dall'altra ha una spregiudicata politica economica di espansione nei mercati dei vicini Paesi asiatici, senza tenere in alcun conto le vicende dei diritti umani violati da parte di molti dei governi con i quali fa lucrosi affari.
Il governo federale, diretto dal Premier Howard, conservatore fino alla nausea, ha mantenuto su una serie di importanti questioni, una politica spregiudicata e reazionaria: detenzione dura e lunga, in campi militari, per i "boat people" che sbarcano sulle coste settentrionali in cerca di asilo e rifugio; rafforzamento dell'esercito e lancio di una dottrina militare che prevede la possibilità di intervento al di fuori dell'Australia, in difesa di pretesi interessi strategici (una dottrina ben nota in Europa e Stati Uniti); rifiuto assoluto di addivenire ad una trattato con gli aborigeni e rifiuto di offrire le scuse ufficiali del governo per le brutalità del passato (per non parlare di quelle del presente!); deregulation del mercato del lavoro, rafforzamento delle assicurazioni private, diminuzione dei diritti dei lavoratori, ostacoli all'attività sindacale; finanziamenti diretti alla scuola privata e taglio della spesa federale per la scuola pubblica.
L'elenco potrebbe continuare e così non mancano certo al movimento i punti all'ordine del giorno.
Dopo "S11" l'obiettivo su cui il movimento si è concentrato è stato "M1": cioè l'organizzazione di un blocco delle otto borse australiane, nelle principali città, il primo maggio 2001. Il primo maggio non è una festività nazionale in Australia (si celebra invece il "labour day" il 12 marzo) e le borse, come ogni altro ufficio, funzionano regolarmente. L'alleanza socialista ha voluto quindi indirizzare i propri sforzi verso l'organizzazione di una giornata di lotta contro il potere delle grandi società multinazionali, in congiunzione con le grandi manifestazioni che si tengono in tutto il resto del mondo per celebrare la giornata dei lavoratori. L'idea era di radunare un gran numero di manifestanti all'ingresso delle borse a Sydney, Melbourne, Adelaide, Perth, Brisbane, Canberra, Darwin e Hobart, per ottenere, mediante il blocco delle strade e il picchettaggio degli ingressi, la chiusura, almeno parziale delle attività, come atto di denuncia delle conseguenze funeste della globalizzazione dei mercati, condotta dalle multinazionali (è interessante osservare che la stampa alternativa utilizza più spesso la definizione meno generica di "anti-corporate globalisation", per sottolineare appunto questo aspetto).
Molti gruppi si sono formati nelle università, nei quartieri, nelle sedi dei vari partiti e movimenti socialisti, con lo specifico intento di studiare le strategie, apprendere le tecniche e predisporre i dettagli per le manifestazioni del primo maggio. Si sono tenute decine e decine di riunioni e sessioni di formazione e l'iniziativa è stata pubblicizzata nelle varie città con distribuzione di volantini e fogli informativi nei luoghi di lavoro, e nelle principali stazioni, da cui transitano quotidianamente centinaia di migliaia di australiani, diretti dai sobborghi residenziali alle "city" e viceversa. Si sono formati gruppi di avvocati volontari, che hanno stilato veri e propri manualetti con le indicazioni base su come comportarsi in caso di arresto o fermo da parte della polizia e che si sono dichiarati pronti a monitorare il comportamento delle forze dell'ordine per ravvisare e denunciare qualsiasi eccesso. Medici volontari si sono preparati per assistere i manifestanti eventualmente feriti nel corso dei probabili scontri.
Nella settimana precedente il primo maggio, notizie allarmanti hanno cominciato a circolare, alimentando una campagna di stampa che tendeva a identificare i manifestanti come possibili fomentatori di disordini e incidenti. La polizia, memore dell'esperienza di "S11", ha assicurato il diritto allo svolgimento delle manifestazioni ma ha severamente redarguito i promotori circa la necessità di mantenere l'iniziativa nei limiti di una non meglio definita legalità. Imponenti misure di sicurezza sono scattate per, garantire la regolare attività lavorativa nelle zone interessate. Gli impiegati sono stati invitati a recarsi a lavorare all'alba per evitare il blocco.
I risultati di "M1" sono stati piuttosto deludenti, anche se la stampa di sinistra ha titolato enfaticamente al successo delle manifestazioni. Inanzitutto la partecipazione è stata al di sotto delle aspettative (2000 partecipanti a Sydney, 3000 a Melbourne, ma solo 500 a Perth e 300 a Canberra, secondo le stime degli stessi organizzatori). Cifre simboliche, se confrontate con gli oltre 100.000 che hanno sfilato a Melbourne il 5 dicembre nella marcia per i diritti degli aborigeni (un evento cui gli stessi gruppi socialisti hanno dato il loro appoggio, pur se con molti distinguo rispetto alla piattaforma programmatica degli organizzatori). In secondo luogo, a differenza di "S11", non vi è stata significativa adesione da parte di altri gruppi o di semplici simpatizzanti. In terzo luogo i sindacati, pur avendo assicurato un significativo sostegno, non hanno di fatto dato seguito alla promessa, con l'eccezione di Melbourne, dove un corteo di 7000 lavoratori si è unito per qualche ora al blocco.
La realtà è che a differenza di "S11", dove il significato di bloccare pacificamente i lavori del W.E.F. era chiaro, nel caso di "M1" la relazione è stata meno evidente, e molti hanno visto i blocchi come un irritante impedimento a semplici cittadini che dovevano recarsi a lavorare. Inoltre le temute violenze e le modalità care alla sinistra radicale (cortei, picchettaggi: a un certo punto, nel corso della mattinata, la zona intorno alla borsa di Melbourne, effettivamente bloccata sia per l'attività dei manifestanti che per il cordone sanitario della polizia, è stata dichiarata "liberata"), hanno tenuto molti lontani dalle zone interessate.
In quasi tutte le città, con l'eccezione di Melbourne, hanno avuto luogo scontri significativi con la polizia con cariche selvagge, ingiustificate secondo gli organizzatori, necessarie secondo le aurorità.
La stampa alternativa che fa capo all'alleanza socialista ha dato grande rilievo all'avvenimento, sottolineando che un evento del genere non sarebbe stato possibile neanche immaginarlo fino a due anni fa. Un modo di evidenziare quanto il movimento sia comunque cresciuto.
Lo stile di azione che ha caratterizzato fin qui il movimento anti-globalizzazione è molto pragmatico. Si procede per valutazione di quanto fatto e individuazione di obiettivi precisi verso i quali muovere i passi successivi. Così, immediatamente dopo il primo maggio, sono state già messe a punto le prossime scadenze: la giornata nazionale per i diritti dei rifugiati il primo giugno e la manifestazione degli aborigeni a Canberra, prevista per il primo luglio, sono stati considerati altrattanti momenti di un percorso di crescita del movimento anti-globalizzazione. Ma il vero evento, per il quale sono già in corso minuziosi preparativi, sarà il C.H.O.G.M. (3) l'incontro dei capi di governo del Commonwealth, che si terrà a Brisbane dal 6 all'8 ottobre 2001, preceduto da una conferenza d'affari a Melbourne, il 3 ottobre. Nell'ottica del movimento le proteste che saranno organizzate in occasione di queste due importanti conferenze, consentiranno di mettere a confronto i due aspetti della globalizzazione: da una parte le conferenze che rappresentano le élite al potere e gli interessi delle multinazionali, dall'altra la globalizzazione della solidarietà e della protesta.
Su quest'ultimo aspetto è opportuno avanzare alcune riserve: la effettiva possibilità del movimento anti-globalizzazione di uscire dal ristretto ambito in cui adesso sopravvive e opera e di presentarsi come movimento autenticamente unitario sarà determinata da una serie di fattori: primo fra tutti la capacità e la volontà dell'alleanza socialista di dialogare con altre organizzazioni della società civile senza necessariamente pretendere di presentarsi come leader indiscussa della protesta. In secondo luogo questo eventuale dialogo dovrebbe consentire di avviare una riflessione critica sulle azioni fin qui realizzate, accettando eventualmente anche di rivedere strumenti e modalità operative. In terzo luogo è necessario stilare una piattaforma politica nella quale si possano cominciare a intravvedere anche proposte alternative: nuovi modelli di vita, finanza etica, economia solidale, sono tutti aspetti ancora largamente assenti dalla scena australiana e letteratura in merito non si trova neanche nelle librerie alternative del circuito socialista. Infine è essenziale stabilire contatti con i vari movimenti all'estero. Attivisti internazionalisti si sono visti in tutte le manifestazioni più importanti in giro per il mondo, fino in Messico e in Brasile, ma la protesta australiana rimane per ora essenzialmente autoctona. Ovviamente le grandi distanze, l'isolamento del Paese, il rigido atteggiamento del Dipartimento Australiano per l'Immigrazione (4) non facilitano certo l'arrivo di manifestanti dall'Europa o dagli Stati Uniti. Tuttavia uno sforzo in questo senso consentirebbe al nascente movimento australiano di perdere un po' del suo provincialismo.
Vale la pena menzionare che a fianco delle iniziative principali fin qui descritte, hanno luogo qua e la alcune campagne "storiche", sostenute da un numero relativamente ridotto ma notevolmente agguerrito di attivisti. Fra queste la campagna ECPAT (End Child Prostitution in Asian Tourism), ben conosciuta anche in Europa, che qui ha ottenuto l'emanazione di una legge federale, assai simile a quella italiana, che consente di punire gli abusi sessuali compiuti su minori da cittadini australiani anche se commessi all'estero. La campagna contro la NIKE, particolarmente attiva a Melbourne, con punti fissi di distribuzione di materiale informativo e, ogni venerdì, il blocco degli ingressi del "NIKE Mega Store", nel cuore della città, attività che si conclude molto spesso con cariche della polizia per disperdere i manifestanti. Infine: la campagna contro l'apertura di una nuova miniera per lo sfruttamento dell'uranio, a Jabiluka, zona sacra agli aborigeni.
La creazione di una rete di dialogo e azione comune fra queste campagne e gli organizzatori di "S11" e "M1", potrebbe rappresentare un importante passo in avanti verso la costruzione di un più maturo movimento anti-globalizzazione in Australia. Ma per adesso questi passi non sono in agenda.

 

NOTE

(1) Ombudsman: un'istituzione del Commonwealth. E' un funzionario indipendente che svolge indagini su attività e decisioni di autorità governative, federali e statali, a seguito di reclami presentati da singoli cittadini.

(2) Victoria: lo stato della federazione australiana che ha per capitale Melbourne, nel sud-est del Paese.

(3) Commonwealth Heads of Government Meeting.

(4) Nessuno può entrare in Australia senza visto d'ingresso, a parte i possessori di passaporto neozelandese, e la trattazione della materia è soggetta a controlli rigidissimi sia presso i Consolati che all'arrivo in frontiera.