La
logica della repressione.
Perché
la destra ha deciso l'attacco frontale contro il movimento? Perché
poliziotti e carabinieri hanno picchiato ed umiliato manifestanti indifesi?
Si tratta di "follia"? O di forze "fuori controllo"? Di
"disorganizzazione"? Qualcuno parla di situazione "sudamericana":
è corretto? Siamo convinti che ogni più piccolo dettaglio di
quanto accaduto a Genova risponda ad una logica stringente. REDS. Agosto 2001.
Perché
la destra ha deciso l'attacco frontale contro il movimento? Perché
ha vistosamente "ecceduto" nelle azioni repressive? Perché
poliziotti e carabinieri hanno picchiato ed umiliato semplici manifestanti?
Si tratta di "follia"? O di forze "fuori controllo"? Di
"disorganizzazione"? Qualcuno parla di situazione "sudamericana":
è corretto? Siamo convinti che ogni più piccolo dettaglio di
quanto accaduto a Genova risponda ad una logica stringente e in questo pezzo
cercheremo di spiegarla. Possiamo
per punti riassumere i dati di fatto che ormai, alla luce anche dell'accumularsi
delle testimonianze dei prigionieri liberati, lasciano adito a pochi dubbi,
e quindi proporre le nostre interpretazioni. Il Black
Bloc è stato lasciato libero di agire Si tratta
dell'unico settore del corteo che lascia incolume, o quasi, le giornate di
Genova. Diverse testimonianze (tra le quali alcuni Black Bloc) attestano
che, anche indipendentemente dalla sua volontà, il Black Bloc
è stato lasciato libero di agire per essere usato come pretesto per
colpire la massa. Esempi. In Piazza Novi, la piazza tematica del Network
per i diritti globali, era già piena di black che smontavano
il selciato con la polizia che stava a guardare e che solo nel momento in
cui i compagni del Network hanno fatto dietrofront ha attaccato. Il
Black Bloc scappava da Piazza Manin, ma le cosiddette forze dell'ordine
invece di inseguirlo si sono fermate a picchiare selvaggiamente i pacifisti
che lì avevano la loro piazza tematica. Il corteo delle tute bianche
è stato attaccato a pochissima distanza da dove era partito e ben lontano
dalla zona rossa, dopo qualche provocazione dei black che venivano
tenuti fuori dal corteo. Del resto è stata attaccata anche la piazza
tematica di ATTAC, che non ha visto nemmeno l'ombra del Black Bloc,
e dopo che i tentativi di invasione della zona rossa erano finiti.
In occasione della grande manifestazione del 21 ci sembra abbastanza chiaro
che fosse pianificato anche il luogo dell'aggressione al corteo: ovunque
i contingenti di polizia e di carabinieri avevano accettato, dopo brevi trattative,
di ritirarsi lungo il percorso del corteo fino a Piazza Ferraris, ma non in
via Marconi. Le cosiddette forze dell'ordine si difendono affermando che non
hanno attaccato i Black Bloc perché per ragioni di sicurezza
potevano spostarsi solo in grosse unità. Non è vero perché
la gran parte degli arresti sono avvenuti ad opera di singoli cellulari e
volanti che circolavano da soli e si fermavano ad aggredire piccoli gruppi,
per lo più inermi. Vi è
stata la volontà di attaccare la massa dei manifestanti La determinazione
ad attaccare l'insieme dei manifestanti è dimostrato dal fatto
che il 20 nessuna piazza tematica si è salvata. Il corteo del 21 del
resto è stato attaccato direttamente, anche dagli elicotteri, e lo
spezzone di testa "inseguito" fino a piazza Ferraris, mentre gli
altri vagavano per Genova, aggrediti in varie riprese. Le perquisizioni e
gli appostamenti fuori dai campi, gli attacchi a singoli gruppi, la sensazione
che nella città non esistessero zone franche, ha creato per due giorni
tra i manifestanti un clima di stanchezza, insicurezza, prostrazione, senso
di rabbiosa impotenza. L'attacco alla sede del gsf è altamente significativo
da questo punto di vista. Le caratteristiche
degli attacchi delle cosiddette forze dell'ordine Vi è
stato un legame diretto tra esecutivo (Scajola) e le cosiddette forze dell'ordine,
saltando il filtro della magistratura. Francesco Pinto, il PM che avrebbe
dovuto indagare sulla perquisizione della scuola Diaz e prontamente rimosso,
ha dichiarato al Corriere della Sera, pur all'interno di un ragionamento
teso a giustificare comunque le cosiddette forze dell'ordine, che le comunicazioni
tra queste e la magistratura "si sono interrotte", e che "quando
le azioni di polizia assumono carattere militare, è inevitabile che
per la magistratura vi siano dei problemi." E poi: "La legalità
è incompatibile con la guerra e in questi giorni a Genova c'è
stata una guerra". La guerra c'è stata tra le cosiddette forze
dell'ordine e l'insieme dei manifestanti, una guerra totalmente impari, dato
che i manifestanti non erano in grado né psicologicamente né
tecnicamente di affrontare una guerra, semplicemente perché non se
l'aspettavano. Il filtro della magistratura salta ogniqualvolta si scatena
una repressione generalizzata, non è una particolarità italiana,
dovuta magari ad una residuale diffidenza verso il sistema giudiziario da
parte della destra. Il trattamento
dei prigionieri Le cosiddette
forze dell'ordine si sono sforzate di fare più prigionieri possibile.
Il metodo che utilizzavano per prenderli era volutamente indiscriminato, in
modo da aumentare il clima di incertezza. Essendo il numero dei fermati estremamente
elevato è risultato loro impossibile preparare una adeguata documentazione,
magari falsa, che avrebbe potuto incastrare i prigionieri: da qui le imputazioni
gravi, ma generiche e difficilmente sostenibili (l'associazione a delinquere
in flagranza di reato imputata ai giovani che dormivano nei sacchi a pelo
della scuola Diaz), fotocopiate in serie. I prigionieri sono stati brutalizzati,
e quelli liberati hanno tutti dichiarato di aver vissuto come una liberazione
la cella della prigione. La tecnica utilizzata consisteva di tre elementi:
percosse ripetute, umiliazioni verbali (insulti, obbligo a dire frasi contro
la propria volontà, ecc.), divieto di riposo (impedimento di andare
al bagno, il dover stare in piedi, non poter dormire, ecc.). La logica
della repressione L'insieme
di questi comportamenti sta a testimoniare della volontà politica della
destra, evidentemente decisa già da tempo, di attaccare l'insieme
dei manifestanti. L'arbitrarietà dei fermi, dei pestaggi, ecc. obbedisce
a questa chiara razionalità: dal punto di vista della repressione non
si tratta affatto di arbitrarietà, dato che i manifestanti erano
colpevoli, tutti, per il solo fatto di essere lì. Alla destra e alle
cosiddette forze dell'ordine i distinguo tra le varie componenti del movimento
non interessano un bel nulla. Sono nemici le tute bianche, ma alla
stessa maniera anche la Rete Lilliput: quando i pacifisti non violenti
venivano colpiti pur alzando le mani, vari testimoni hanno riferito che, dagli
insulti dei poliziotti e dei carabinieri, era evidente che costoro erano assolutamente
consapevoli di chi stavano picchiando. L'arbitrio e la casualità sono
servite per dare una lezione all'insieme del movimento. A Genova c'era
l'avanguardia larga del movimento: i centri sociali, le associazioni, i pezzi
di sindacato più combattivi. Il governo Berlusconi non ha perso questa
succosa occasione di picchiare tutti quanti, sperando così di iniziare
una nuova stagione di intimidazione. Ma poliziotti
e carabinieri sono tutti fascisti? La brutalità
del comportamento poliziesco ha reso assai impopolare la convinzione, abbastanza
diffusa in questi anni di buonismo, secondo la quale i "lavoratori
della sicurezza" sarebbero, alla fin dei conti, lavoratori come noi,
come noi pagati male, ecc. La questione è molto complessa e dunque
dobbiamo fare una premessa. Siamo
dunque in una situazione da golpe latinoamericano? No. Fascismo
e dittature sono un'altra cosa. La dittatura è l'impossibilità
a muoversi, a manifestare, ma non un certo giorno in una certa
città, ma tutti i giorni e in tutte le città.
Decisamente non siamo a questo punto. Semplicemente il governo Berlusconi
vuol far quello che ha fatto la Thatcher e Reagan: distruggere il movimento
di massa, pur in un quadro formale di legalità repubblicana. Solo che
per Berlusconi il compito è un po' più arduo: ha a che fare
con la radicata tendenza protestaria delle masse italiane, caratteristica
che non è dovuta ad un qualche gene, ma, come abbiamo già argomentato
altre volte, alla radicata sfiducia nello stato. Non è un caso
che si sia verificata in Italia la più grande manifestazione antiglobalizzazione,
la più forte e qualificata presenza sindacale, e dunque gli scontri
più duri, e, infine, il primo morto. La destra vuol eliminare il potere
della piazza, cioè il potere di pressione dei movimenti,
quelli che sono stati la causa della sua precedente caduta. Botte dopo botte
le forze di governo sperano che si diffonda tra la gente un sentimento di
impotenza e di rassegnazione, possibilità che sicuramente è
nell'ordine delle cose, se non sapremo reagire in maniera adeguata. La maniera
adeguata non è certo quella di rispondere sul piano "militare"
(anche se si renderanno necessarie e ne parliamo in Gli errori di gestione, misure di carattere difensivo), ma
quello di muoversi per conquistare all'opposizione alla destra le grandi masse,
oggi passivizzate, di questo Paese. Ancora siamo lontani da questo obiettivo.
E il lavoro da fare dunque non è solo quello di prepararsi ad affrontare
la polizia alla prossima grande manifestazione, ma quotidianamente, nel lavoro
nei quartieri, nelle scuole e dei posti di lavoro, allargare il consenso alle
nostre idee.
La guerra condotta dalle cosiddette forze dell'ordine in maniera pressoché
unilaterale si è sviluppata lungo tre direttrici. La prima è
stata la difesa in forze, ma statica, della zona rossa. La seconda è
stata l'approntamento di unità costituite generalmente da una colonna
di 5-6 furgoni blindati, più un paio di mezzi leggeri non blindati,
incaricata di disperdere, attaccare, ferire la massa dei manifestanti; gli
attacchi erano improvvisi, senza possibilità di accordo con le rappresentanze
del movimento, preparati dal lancio fitto di lacrimogeni (a giudicare dai
bossoli a terra un minimo di 100 sparato solo durante l'attacco di fronte
a Piazza Kennedy), seguito dalla carica durissima a colpi di manganello e
tesa a fare più feriti possibile. Una terza direttiva invece vedeva
il passaggio in rapido movimento nelle strade di singoli mezzi (blindati,
ma anche volanti) che in maniera del tutto arbitraria assalivano piccoli gruppi
di dimostranti inermi e non bellicosi, l'aggressione consisteva in un manganellamento
generalizzato (con largo accompagnamento di insulti) e nel "rapimento"
di uno del gruppo, a caso, visto che a nessuno si chiedevano i documenti.
Le persone ferite e portate in ospedale erano fermate e spesso portate via
prima delle cure necessarie. Lo stato di terrore veniva accentuato colpendo
in maniera generalizzata personale del gsf addetto alla salute e all'informazione,
ma anche personale estraneo come ad esempio singole ambulanze o anche giornalisti
delle più varie testate. Le credenziali dei parlamentari sono state
ignorate e spesso sbeffeggiate. Un ruolo enorme, ma che i dati in nostro possesso
non ci consentono di descrivere in maniera esatta, l'hanno svolto una quantità
notevolissima di provocatori, infiltrati, ecc.
Si dirà: ma in questo modo si sono "scoperti", hanno "mostrato
il loro vero volto". Ma presso chi si sono "scoperti"?
Presso quell'avanguardia larga di cui parlavamo prima, presso i compagni solidali
che sono rimasti a casa, ma la massa della popolazione guarda tutto
il giorno la TV e al massimo si legge qualche giornale. Certo, per chi ha
le idee chiare si poteva dedurre anche dai mass media come sono andate le
cose, ma la gran parte della gente, passivizzata e chiusa nelle proprie case,
ha visto mescolate bugie e verità, ha trovato una gran confusione,
e, in assenza di altri segnali, ha provato una generale ripulsa verso "il
manifestare". E' stato solo lo straordinario prolungarsi della mobilitazione
nei giorni successivi alla repressione e il grande sforzo di controinformazione,
che hanno consentito di aprire una breccia nell'opinione pubblica, e di impedire
al governo di portarsi a casa senza pagare alcun prezzo il risultato della
prima manifestazione di massa dispersa dopo quaranta anni. Ora un prezzino
l'anno pagato, ma ci riproveranno, perché sono stati messi lì
apposta anche per compiere questo lavoro.
Commissari di polizia e ufficiali dei carabinieri sono da collocarsi per posizione
di potere e livelli stipendiali, a seconda del grado e delle responsabilità,
tra la classe media e la borghesia. La massa dei poliziotti e i carabinieri
semplici, come del resto gli altri soldati, invece, sono senz'altro dei lavoratori
dipendenti. Come gli altri lavoratori dipendenti ricevono uno stipendio inadeguato,
devono obbedire a degli ordini, sono collocati in fondo alla gerarchia. Godono
però, rispetto agli altri lavoratori, di alcuni privilegi. Il primo
è che ricevono, a parità di livello di istruzione, uno stipendio
superiore a quello di un lavoratore pubblico di un altro comparto. In secondo
luogo hanno una rendita di posizione conferita dal fatto che esercitano un
potere, ad esempio nel quartiere in cui abitano, o sulle persone con cui hanno
a che fare quando indossano la divisa. Ciò porta dei piccoli privilegi
di carattere materiale (sconti negli acquisti, regali, non pagamento di multe,
ecc.) e psicologici (la consapevolezza di essere "superiori"), questi
ultimi particolarmente allettanti per quei militari che hanno personalità
incomplete e frustrate. Tutti costoro vivono in ambienti separati dal resto
dei lavoratori, che paiono loro come un mondo estraneo. Generalmente forniti
di un basso livello di istruzione, odiano istintivamente gli studenti e in
generale gli "intellettuali". Vivendo in un ambiente maschile, si
crea tra loro una atmosfera esaltata di cameratismo maschilista, suprematista
bianco e omofobico, come quello della naja, o delle bande di adolescenti.
Da qui la simpatia, anche ai bassi livelli, che riscuote l'ideologia fascista,
come concentrato di questi interessi di casta, di genere, di etnia. Questo
spiega perché essi possano in genere essere utilizzati per reprimere
altri lavoratori, in molti casi e per molti di loro ciò costituisce
una conferma del proprio privilegio di casta e del potere della divisa che
indossano sul resto del mondo. Entrano in crisi (come "massa") solo
in due occasioni: quando lo stato non è in grado di garantire loro
dei privilegi (e in questo caso le loro rivendicazioni possono incontrarsi
con quelle del resto della classe), e quando le masse sono così forti
e determinate da far vacillare la loro fiducia nelle capacità di resistenza
del regime che li paga: a quel punto possono anche decidere di passare dalla
parte delle masse o per lo meno di restare neutrali.
La larga presenza di personalità profondamente frustrate alle quali
la divisa permette di emanare un po' di senso di onnipotenza, è visibile
dai resoconti dei prigionieri rilasciati che raccontavano di come poliziotti
e carabinieri si divertissero a chiamarli "esseri inferiori", e
di come fossero attratti sadicamente dalla possibilità di sottomettere
e dominare totalmente una persona umiliandola, insultandola, facendole gridare
"Viva il Duce", pestandola. Non è un atteggiamento completamente
diverso da quello di un serial killer che gode della totale sottomissione
e del dolore della sua vittima: è solo una questione di gradazione.
Il maschilismo primitivo era evidente dal particolare accanimento che hanno
riservato alle ragazze, le più insultate (significativi gli insulti
più gettonati: "troia", "puttana"); il suprematismo
bianco s'è evidenziato coi manifestanti di colore fermati, ai quali
era riservato il classico "sporco negro". Questo universo maschile,
perverso e delirante, dove i più profondi istinti emergono liberi e
potenti perché legittimati dallo stato, ha pervaso anche le poche poliziotte
presenti, le più dure, ci riferiscono le vittime, perché ansiose
di dimostrare di essere degne dei valori dell'universo al quale hanno scelto
di appartenere.
Queste psicologie incompiute e perverse si incontrano da sempre con le esigenze
di annientamento dei propri avversari degli stati e dei regimi autoritari.
Per lo stato l'umiliazione degli avversari è di grande utilità.
La logica è la stessa che sovrintende alla tortura. Molti studi si
sono potuti compiere (la materia su cui indagare non è mancata nel
secolo appena scorso) sulla tortura e sull'effetto che questa ha sulle vittime.
Contrariamente a ciò che si pensa infatti la tortura nella gran parte
dei casi non serve a estorcere informazioni, ma ad annientare psicologicamente
l'avversario. Non è vero che essa stimoli rabbia e dunque desiderio
di rivalsa (che si determina invece in chi è uscito indenne ma ha avuto
parenti o amici torturati), al contrario essa abbassa l'autostima, crea uno
stato di depressione che può durare anche mesi, anni, o tutta la vita.
In questo senso l'attivismo successivo alle giornate di Genova ha avuto un
grande valore terapeutico: le vittime hanno potuto parlare, raccontare,
essere ascoltate e profondamente comprese. Tanti incontri infatti hanno messo
al centro le testimonianze. Un'enorme analisi di gruppo che
è servita a cacciare la paura, ad aumentare la determinazione collettiva,
anche di molte delle stesse vittime.
Dunque tutti i poliziotti e i carabinieri sono dei sadici fascisti? No, vi
è una parte che, pur consapevole dell'impunità offerta dalla
stato, non ne approfitta, per le più diverse ragioni. Alcune testimonianze
riferiscono infatti di diversi poliziotti o carabinieri che si comportavano
in maniera civile, ma che, particolare significativo, erano presi in giro
dagli altri. Teniamo conto inoltre che, con ogni probabilità, i reparti
che si sono impegnati in episodi particolarmente efferati erano stati probabilmente
selezionati con cura in precedenza, e usati per sostituire quelli più
"molli".
Dunque non si può dedurre che la massa dei poliziotti e dei
carabinieri siano i nostri avversari. Non solo perché non tutti
sono dei fascisti, ma perché tutti sono degli strumenti
in mano ad altri. Sarebbe un tragico errore di prospettiva esaurire il movimento
in una guerra tra noi e degli strumenti, mentre i loro padroni si divertono
a guardare la guerra dalle proprie ville. Il problema è nel quadro
politico in cui questi strumenti si trovano ad agire: la destra ha
sciolto loro ogni inibizione, ha incoraggiato l'emergere dei più bassi
istinti assicurando l'impunità di stato. La destra è il nostro
avversario.
Ora sappiamo quel che vuol fare Berlusconi, mentre prima non ci era del tutto
chiaro. Non il Cile, ma l'Italia degli anni cinquanta, quando ogni
grossa manifestazione si portava i suoi morti, e l'opposizione era testimoniale
e incamerava sconfitte dopo sconfitte. Scajola è Tambroni redivivo.
La piazza, come strumento di pressione dei movimenti, era stata poi
riconquistata proprio a Genova durante i violenti moti che hanno obbligato
il congresso dell'MSI a svolgersi in altro luogo. La piazza, cioè
il potere di pressione e condizionamento dei movimenti: è questo ciò
che la destra vuol spazzare via.
Estremamente significativo al riguardo il compiaciuto editoriale di Ernesto
Galli della Loggia sul Corriere della Sera del 25 luglio dal titolo "Gli
orfani della piazza":
"Forse quanto di davvero importante accaduto a Genova nei giorni scorsi
è rimasto finora nascosto. A Genova, infatti, forse ha avuto termine
il lungo ciclo iniziato nella stessa città in un altro luglio di (trenta)
anni fa" prima di allora "tutti i governi in carica si erano sempre
sentiti perfettamente legittimati a sostenere la sfida della piazza comunista,
a rispondere ad essa con le buone ma, se serviva, anche con le cattive. Con
il luglio '60 lo scenario cambiò alla radice. Grazie alla nuova legittimazione
democratico-antifascista, guadagnata dal PCI contro Tambroni e supinamente
riconosciuta dai più, a partire da quel momento non fu più possibile
per alcun governo restare al suo posto contro la piazza comunista. Di pari
passo la piazza cominciò a servire al PCI in modo nuovo: come risorsa
di prim'ordine nella schermaglia politica quotidiana, come strumento di pressione
in un accorta strategia sempre di più totalmente iscritta nell'orbita
di un potere consociativamente spartito"; così, conclude Galli
della Loggia, "in ogni senso il poter tenere la piazza è stato
decisivo per definire l'identità e il ruolo politico del PCI. Ma anche
dei suoi eredi: basti pensare a come fu abbattuto il primo governo di Silvio
Berlusconi. Ma il caso ha voluto che ciò che a Genova era cominciato,
proprio a Genova forse finisse."
Vorremmo far notare quel forse. Sta a noi impedire che divenga certezza.