Dopo
il 10 novembre: il movimento antiglobal visto da Roma.
Intervista
a Nando Simeone, del Roma Social Forum e della Segreteria della Federazione
romana del PRC. A cura di REDS. Dicembre 2001.
Che fase
sta attraversando il Movimento? Come ci si è presentati alla manifestazione
del 10 novembre? Dopo la Perugia-Assisi
si è aperto nel Movimento il dibattito sulla partecipazione alla manifestazione
del 10 novembre. Si è trattato di un dibattito piuttosto complesso.
Da una parte le organizzazioni nazionali erano per non mantenere la mobilitazione,
al contrario nel Roma Social Forum vi era molta determinazione a rispettare
questa scadenza, anche sulla base del successo della Marcia per la Pace. La
marcia dimostrava che il Movimento è in grado di esercitare una egemonia
politico-culturale anche su settori che tradizionalmente non sono nella sua
area di riferimento. Il fatto che D'Alema e Rutelli fossero stati contestati
non solo dal Movimento ma dagli stessi militanti classici della marcia pacifista
dimostrava come la parola d'ordine contro la guerra fosse stata assunta da
una larga maggioranza dei partecipanti alla manifestazione. Se il movimento
era in grado di esercitare una influenza così importante bisognava
allora mantenere la mobilitazione. Quali
erano le ragioni di chi non voleva la manifestazione nazionale il 10? Ognuno aveva
le sue: l'Arci aveva già fatto la sua mobilitazione, il gruppo dirigente
del partito temeva probabilmente la rottura con una componente importante
del movimento; i centri sociali si sono un po' accodati a questa linea. Dall'altra
parte c'erano invece Attac e Cobas. La spinta dei Social Forum ha determinato
infine la decisione di manifestare e al Roma Social Forum è stata delegata
gran parte dell'organizzazione. Fortunatamente il PRC ha dunque preso atto
della volontà della maggioranza del movimento e ha infine investito
risorse, energie e sostegno politico. La manifestazione
è andata molto bene... Sì,
si è trattato di una specie di valanga che cresceva continuamente.
Forse anche grazie alla decisione scellerata del governo di mantenere la sua
parata. Una concomitanza che ha spinto ampi settori del popolo di sinistra
a mobilitarsi. Poi il voto al Parlamento per l'invio delle truppe italiane
in Afghanistan, con la rottura del centro-sinistra e il voto contrario non
solo del PRC ma anche dei Comunisti italiani, dei Verdi e di un pezzo dei
DS. Questi elementi e la capacità del Movimento di articolare una proposta
politica che non si limitava al corteo ma prevedeva anche altre iniziative
ha consentito di tener dentro tutti. I forum anti-liberisti dell'8, 9 e 10,
come la giornata sui migranti al Villaggio Globale, hanno coinvolto attivamente
anche quelle componenti che non prediligevano particolarmente il momento della
manifestazione di piazza, penso soprattutto alla Rete Lilliput... Anche altre
strutture, come l'Arci, la Legambiente hanno deciso di partecipare ai forum
e al concerto, ma non al corteo. E dopo il voto parlamentare sia l'Arci che
la Fiom hanno deciso di aderire anche al corteo. Il Movimento ha quindi mostrato
di saper difendere un'ottica unitaria e di massa: si è rifiutata ogni
idea di radicalizzazione dello scontro con l'altra piazza, ribadendo invece
l'idea della mobilitazione pacifica e di massa, e conquistando così
un ruolo importante di riferimento per quella significativa fetta di opinione
pubblica che si è schierata contro la guerra. La provocazione di Berlusconi
e il voto parlamentare per la partecipazione militare dell'Italia hanno inoltre
fatto della manifestazione l'appuntamento per tutto il popolo anti-liberista
e pacifista, e questa è stata la forza della mobilitazione, la ragione
del suo successo. Cosa possiamo
dire delle componenti del Movimento a Roma? Come si sono evolute le loro relazioni
reciproche dai tempi di Genova? A Roma le
componenti sono tante. Le più importanti sono la Rete Lilliput, l'Arci,
i centri sociali Disobbedienti, il PRC, i Cobas. Poi ci sono altre strutture
associative che svolgono un ruolo significativo, come le Donne in Nero, le
donne della Marcia Mondiale, e tutta una serie di associazioni più
piccole ma che hanno peso soprattutto nel Forum ambientalista, o alcuni centri
sociali che non stanno con i disobbedienti, come l'ex-SNIA o il Villaggio
Globale. Moltissimi
giovanissimi anche, molti studenti medi, dietro alle camionette con la musica... Si, moltissimi
giovani non organizzati ai quali dobbiamo fornire una sede unitaria nella
quale la loro opinione possa contare. La cartellizzazione porta ad una specie
di intergruppi allargato che obbliga i non organizzati ad aderire all'una
o all'altra struttura o a starsene a casa, per uscire fuori solo al momento
delle grandi mobilitazioni... A questo
scopo da un mese circa o poco più molti Forum Sociali locali stanno
nascendo e si stanno sviluppando anche qui a Roma. Quanti sono, e come stanno
lavorando? Una metropoli
come Roma certamente non può avere un unico Social Forum centrale.
Si stanno costituendo molti Social Forum locali, quasi uno in ogni Municipio
[i dipartimenti amministrativi corrispondenti alle vecchie circoscrizioni,
N.d.R.]. Alcune sono già realtà molto interessanti e partecipate,
altre un po' più contraddittorie, altre ancora a immagine e somiglianza
delle aree che le promuovono. La scommessa è che questi forum locali
si possano radicare nel territorio dei municipi e che il Roma Social Forum
diventi un reale coordinamento. Tra l'altro domani [giovedì 22 scorso]
è prevista una riunione che avrà all'ordine del giorno proprio
il modello organizzativo del Roma Social Forum. Qual è
la prospettiva del Movimento? Quali le sue parole d'ordine, le prossime scadenze? Il Roma Social
Forum ha lanciato l'ipotesi dello sciopero generale. Indire o meno lo sciopero
sarà di competenza delle organizzazioni sindacali, ma siamo di fronte
ad un movimento pacifista che (a detta di sondaggi persino del Corsera) rappresenta
quel 50% e più di italiani che sarebbero contrari alla guerra. Abbiamo
avuto scioperi in categorie importanti, nella scuola, nel pubblico impiego,
nei trasporti, fino allo straordinario sciopero dei metalmeccanici. La proposta
che facciamo è allora quella di ricomporre da una parte il movimento
contro la guerra, dall'altra il movimento delle forze sociali, contro la guerra
economica, sociale e militare. La guerra non è soltanto quella delle
bombe su Kabul, ma anche quella delle morti per infortunio sul lavoro, dell'attacco
ai diritti dei lavoratori, all'articolo 18. È il libro bianco di Maroni,
la finanziaria che taglia alla scuola e alla Sanità per dare al Ministero
degli Interni, è la legge sull'immigrazione Bossi-Fini. La proposta
del Movimento è quella di ricomporre il tutto su una piattaforma che
sia contro la guerra e contro le politiche neo-liberiste. Auspichiamo che
sia i sindacati confederali che quelli di base trovino una unità di
azione in questa direzione. Nel frattempo noi lanceremo delle campagne contro
la guerra e il neo-liberismo: contro le banche armate (che fanno profitti
finanziando industrie militari ), per l'obiezione fiscale, per il salario
sociale contro la povertà. Ancora
un paio di questioni. Innanzi tutto, cosa è cambiato nella prospettiva
politica del Movimento dopo l'11 settembre e con l'inizio della guerra? Gli attentati
dell'11 settembre hanno sicuramente messo in difficoltà la capacità
di analisi del Movimento, che è nato sostanzialmente da una opzione
anti-liberista, mentre la guerra pone alcune questioni di fondo, ovvero le
politiche dell'imperialismo su scala internazionale e presuppone un altro
livello di analisi. All'interno del Movimento convivono interpretazioni diverse
tra loro... E soprattutto si è verificata una crisi di quell'area di
consenso che si era acquisito dopo i fatti di Genova. Il Movimento era riuscito
a reagire con determinazione alla provocazioni del Governo, alle accuse di
violenza, ai tentativi di criminalizzazione e attraverso i media era riuscito
a mostrare come la violenza fosse venuta dalla polizia. Attorno al Movimento
si era costruito un clima di consenso importante. Dopo l'11 settembre abbiamo
assistito ad un tentativo esplicito del Governo e della borghesia italiana
di assimilare il Movimento al terrorismo, per il suo carattere anti-americano.
Abbiamo avuto la forza di respingere queste provocazioni. Siamo contro la
guerra ma anche contro il terrorismo, che è uno dei mostri creati dal
capitalismo, è il Frankenstein che si ribella al suo padrone. Ma è
chiaro che questo attacco ha limitato l'area di consenso. Nelle manifestazioni
seguenti all'11 settembre il settore militante ha reagito in modo compatto,
ma l'area di influenza che aveva coinvolto larghe masse si è ridotta.
In parte però la Marcia di Assisi e la manifestazione del 10 novembre
hanno dimostrato una capacità di recuperare il dialogo e di esercitare
una influenza su larghi strati della popolazione italiana. L'11 settembre
ha inciso poi negativamente sulla ripresa del conflitto sociale, mentre tutti
aspettavamo un autunno molto caldo, ma anche da questo punto di vista la manifestazione
dei metalmeccanici è stato un segnale positivo... Non ti
sembra che ci sia nel Movimento e nella sinistra in generale una certa difficoltà
a interpretare il fenomeno del fondamentalismo islamico e le ragioni specifiche
di questa guerra? Sulla natura imperialista della guerra in corso sono tutti
d'accordo, ma sui caratteri peculiari del terrorismo, sulle questioni etniche,
sull'origine del fondamentalismo si sentono in giro valutazioni superficiali
o poco coerenti... Che ne pensi? Un'analisi
approfondita e condivisa di questa guerra nel Movimento non c'è ancora
stata. Coesitono interpretazioni molto differenti. Una di quelle che va di
moda ad esempio è quella che si rifà a Toni Negri, cioè
tutto il discorso sull'Impero, le moltitudini, che circola soprattutto nell'ambiente
dei Centri Sociali che hanno dato vita all'area della disobbedienza. Secondo
questa visione esiste l'Impero americano e gli altri sono dei vassalli: non
si parla di categorie sociali, di contraddizioni tra imperialismi. Poi ci
sono analisi più classiche, sull'imperialismo e le sue caratteristiche.
Altre più moderate, che fanno propria più che altro una scelta
anti-liberista per ragioni etico-morali... Il PRC ha aperto il dibattito nei
circoli, ma, ripeto, nel Movimento non c'è ancora stato un confronto
ed una analisi approfondita, tanto meno sul fenomeno islamico. Abbiamo privilegiato
per ora la costruzione di un fronte unico sulle due discriminanti fondamentali
del rifiuto delle politiche neo-liberiste e della guerra, su cui siamo tutti
d'accordo. Un ultima
domanda allora. Che possiamo dire del ruolo del PRC? Direi che
il ruolo di Rifondazione è stato proprio quello di sostenere un fronte
unico dal basso, il rafforzamento del carattere unitario del movimento. Da
questo punto di vista siamo stati decisivi nella costruzione della manifestazione
del 10 novembre. Abbiamo lavorato per mantenere il carattere unitario e combattere
le tentazioni delle varie componenti di rafforzarsi a svantaggio della lotta
comune. E poi abbiamo dato un contributo essenziale alla costruzione dei Forum
territoriali, perché il PRC ha comunque una sua presenza territoriale
ed è stato in grado di incoraggiare e sostenere la nascita dei forum
nei quartieri. Oggi ce ne sono una quindicina, tra Roma città, Ostia
e Fiumicino.
Le strutture nazionali non erano dello stesso parere e si è sviluppata
una dialettica piuttosto aspra, che ha caratterizzato anche l'assemblea nazionale
di Firenze. Da una parte la rete nazionale, con l'ARCI, Lilliput e, all'inizio,
anche il PRC, che erano contrari alla manifestazione, e dall'altra i social
forum, pieni di militanti di base del PRC, che spingevano per la manifestazione
nazionale. Nell'assemblea ha prevalso la spinta di movimento che voleva la
manifestazione, che si è preparata però nel totale disimpegno
delle strutture nazionali, con il Roma Social Forum che si è trovato
ad organizzare tutto quasi da solo. All'inizio anche i centri sociali erano
contrari.
Rispetto a Genova si è consolidato un lavoro comune, si riesce a lavorare
di più collettivamente, anche se le spinte a una cartellizzazione del
Movimento, ad una sua divisione per aeree sono sempre forti. La costituzione
dell'area dei Disobbedienti spinge un po' tutti gli altri ad organizzarsi
separatamente: i non-violenti, i Cobas, e via via gli altri. Questo è
un pericolo, perché il Movimento ha bisogno di una casa comune. Una
casa comune che abbia la capacità di attrarre tutte le persone non
organizzate che hanno peraltro riempito le piazze durante le manifestazioni.
Il 10 c'erano moltissime persone che non stavano dietro agli striscioni.
Il 10 è stato certamente un grosso risultato del Movimento, perché
ha mostrato che le aree organizzate possono venire ben scavalcate. Il Movimento
ha una grande potenzialità ma non ancora la forza per auto-organizzarsi
sul piano locale e nazionale, creando strutture autonome di rappresentanza.
Ma io credo che debba marciare verso questa auto-organizzazione.
Il ruolo di Rifondazione è oggi centrale, riconosciuto e riconoscibile
all'interno del Movimento, e ha l'opzione della battaglia politica per la
sua tenuta unitaria, anche a scapito di una scarsa capitalizzazione e organizzazione
della propria area. Non siamo impegnati innanzi tutto alla costruzione della
nostra componente, ma stiamo facendo uno sforzo che speriamo possa pagare
in futuro, sia in termini di radicamento nel territorio, sia per l'obiettivo
concreto dello sciopero generale. Questo senza negare i limiti del partito:
anche dentro Rifondazione ci sono diverse anime e alcuni fanno più
fatica a pensare e ad agire da movimentisti, ma nel suo complesso il gruppo
dirigente locale e nazionale mi sembra stia sostenendo a fondo la lotta del
Movimento. In questo Movimento antiglobalizzazione vediamo le precondizioni
per costruire un nuovo movimento operaio. Il PRC vede il movimento no-global
come un soggetto centrale da cui partire: è un movimento internazionale
e internazionalista, non si è sviluppato dietro all'idea di uno Stato
guida, cresce e si sviluppa contro le politiche neo-liberiste, mostra un anti-capitalismo
latente ma che potrebbe divenire gradualmente più organico e coerente.
E questo può avvenire solo parallelamente allo sviluppo concreto e
materiale della lotta di classe: se ad esempio arriveremo allo sciopero generale
ed assisteremo ad un nuovo protagonismo dei lavoratori opzioni decisamente
anticapitaliste avranno maggiori possibilità di essere assunte nel
corpo largo del Movimento...