Animalia.
Le
logiche dello sfruttamento degli animali, come cibo industriale, oggetti di
affezione, cavie, ecc., sono drammaticamente correlate alle stesse logiche
di dominio, proprie dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Contributo di
Giuliano Sadar. Febbraio 2002.
All'inizio, la solita obiezione. C'è
tanto da fare per gli umani, che i "non umani" possono pure attendere.
Detta così, fila liscia che è un piacere, e l'animalismo appare
un passatempo per borghesi annoiati e disattenti ai veri problemi del mondo.
In realtà, i meccanismi di questo ragionamento sono ingenui (nel migliore
dei casi) o disonesti (nel peggiore) quanto quelli per cui è necessario
abbracciare la filosofia del transgenico per non far morire la gente di fame.
O quelli per cui i problemi del sottosviluppo sono legati a una scarsa produzione
di risorse e non alla loro iniqua distribuzione. Subito un esempio per chiarirci:
un manzo adulto ogni giorno consuma una quantità di vegetali dodici
volte superiore a quella di un umano. Lo sviluppo dell'industria della carne
richiede quindi uno sfruttamento di alimenti vegetali che da soli permetterebbero
di sfamare un miliardo di persone. I milioni di ettari di foresta tagliata
nel terzo mondo per farne pascoli (esercizio profittevolissimo per le multinazionali
degli alimenti) sono terra tolta ai contadini, costretti ad emigrare nelle
città e a lavorare nei macelli, e distruzione della biodiversità.
E quando ciò non è possibile, la logica del profitto consente
in Occidente allevamenti intensivi (di polli, bovini, suini, visoni, struzzi,
cavie da sperimentazione) dove la manodopera è ridotta al minimo e
il rendimento cadaveri/ora è massimo. Catene di montaggio di morte
dove gli animali, imbottiti di tranquillanti, estrogeni e altre schifezze,
vivono nella sofferenza e nell'attesa della fine. Catene di montaggio. Di
morte. Dove le urla di dolore e disperazione dei non umani vengono vissute
con abominevole distacco della specie superiore. È breve attesa per
i vitelli, ad esempio, lasciati anemici per soddisfare le nostre voglie da
culi pieni di carne delicata e bianca, che lasciano nella disperazione le
loro mamme. Sì, le mucche. E allora? La morte più o meno atroce,
dipenderà dal buon cuore degli umani. I quali poi si ammaleranno di
tumori all'apparato digerente o di patologie cardiocircolatorie per le loro
gozzoviglie di grassi animali. Discorsi distanti? No, vicinissimi. Li vedete
dentro la vostra bistecca o nel vostro panino di mortadella. O nella confezione
a basso prezzo nel superdiscount.
Per un animalista (parola stupida, come se non fossimo tutti animali), il
problema sta a monte: l'animale è essere capace di provare dolore,
paura, angoscia, condizioni necessarie e sufficienti per venir rispettato
come essere vivente. Tutto diverso dallo specismo stile WWF. Ma l'obiezione,
anche qua: l'uomo ha un livello di coscienza e di arbitrio che lo rende diverso
e superiore. Attenzione: è la stessa logica che fece dire ad altri
umani che i nati "male", i portatori di handicap non servono, quindi
vanno eliminati. E così i vecchi, e così le donne, e così
i diversi
È questo il nodo che sinora non è stato sciolto. I diritti degli
uomini in gran parte del mondo sono traditi e vilipesi. Ma i diritti degli
animali non sono riconosciuti dagli uomini, soprattutto dagli uomini sfruttati.
Perché il nemico è il medesimo. E il pensiero "democratico"
accusa su questi temi un ritardo di anni-luce. In questo, figliato della stessa
tradizione giudaico-cristiana che mette l'uomo appena sotto Dio. Lo sfruttamento
degli esseri non umani è quindi legato alle stesse logiche di dominio
di quello degli umani. E l'imbarbarimento dei rapporti fra umani, frutto dell'economia
di mercato, ha portato a un imbarbarimento dei rapporti fra umani e animali.
Altro esempio? I pellerossa. Annichiliti, più che sterminati. Stragi,
certo. Ma la loro eliminazione come soggetto storico e sociale è passata
attraverso lo sterminio dei bufali, che, all'arrivo dei primi colonizzatori
bianchi, popolavano le terre dell'Ovest americano. I pellerossa avevano con
i bufali un rapporto di stretta simbiosi ed ecosostenibilità. Ne cacciavano
e ne uccidevano quel che bastava per il loro nutrimento, usavano il pelo per
scaldarsi, le ossa per costruire utensili. E li veneravano come fonte di vita.
Lo sterminio, sistematico e mirato, operato dai cacciatori bianchi a metà
'800 (nell'ordine dei milioni di capi) ha tolto alle culture pellerossa identità
e autosufficenza economica e alimentare. Tanto che poi è stato facilissimo
per i colonizzatori estendere la dominazione totale su terre spogliate dei
loro naturali abitanti "non umani".
Oggi la forbice che separa la percezione dei diritti umani e i diritti "non
umani" si è amplificata a dismisura. Accompagnata da una allucinante
schizofrenia: si sprecano le professioni sul rispetto per gli animali, si
piange per il proprio cagnolino morto, magari per cause naturali, mentre l'animale
della cui carne ci si nutre non esiste. Non ci si cura di quanto sia stato
sfruttato e umiliato, malnutrito quando era in vita. "Se i macelli avessero
i muri di vetro, tutti diverrebbero vegetariani", fa un detto. Ma prima
dei macelli, punto d'arrivo cruento della filiera di morte, vengono gli allevamenti.
Alle galline ovaiole, vere e proprie macchine da produzione di uova, tenute
vive sino a quando serve, stipate in loculi ridottissimi, una vicina all'altra,
vengono somministrati calmanti e, spesso, tagliato il becco perché
non si feriscano fra loro. I pulcini diventano polli in 40 giorni, invece
che in sei mesi, perché vengono tenuti in ambienti con luce accesa
e imbottiti di antidepressivi e antibiotici. I pulcini non considerati "idonei"
a diventare polli o le pulcine non considerate idonee a diventare galline
ovaiole, vengono triturati vivi appena nati, e vanno a costituire materiale
per i mangimi animali: che per più di dieci anni sono stati somministrati
ai bovini, erbivori, costretti a diventare carnivori per sopravvivere. Con
il placet dei baroni della zootecnia. In ossequio al falso mito, circolato
per anni in Italia, che la ricerca deve coniugarsi all'industria per avere
un senso. Esistono allevamenti di fagiani "pronta caccia", liberati
poi in natura per diventare bersaglio dei cacciatori delle aziende faunistico-venatorie
(all'Arcicaccia e a Legambiente non fischiano le orecchie?), e non sopravvivono
neppure la prima notte, per il disappunto dei cacciatori, perché muoiono
di stenti, o predati, dato non riescono neanche a volare sugli alberi, perché
un albero non sanno neppure cosa sia. Una cifra: solo in Italia nel 2000 gli
allevamenti di fagiani "pronta caccia" hanno "prodotto"
più di due milioni e mezzo di animali.
Tocchiamo solamente di striscio l'argomento della vivisezione e degli esperimenti
su animali. L'obiezione anche qui è tanto ovvia quanto superficiale,
e dice che il "sacrificio" di animali permette la messa a punto
di medicinali e cure utili per l'uomo. Sarebbe obiezione su cui fermarsi almeno
a riflettere, se non fosse che esistono modelli vivisettivi virtuali (troppo
costosi) e se non fosse che gli esperimenti vengono fatti soprattutto per
testare l'allergenicità di saponi e bagnoschiuma, di prodotti per la
casa, di prodotti petroliferi. Proprio in questi giorni è nel mirino
di una campagna animalista la Huntington Life Sciences, società anglo-americana
che effettua esperimenti su animali su commissione. Alla Hungtinton muoiono
circa 180.000 animali all'anno. Il "giro di affari" è sterminato.
Per dare un'idea, solo in Italia, secondo la SHAC (Stop Hungtinton Animals
Cruelty, sito www.shac.net), la Hungtinton Life Sciences ha o ha avuto come
clienti Aventis, Bayer, Biotech Italia, Bristol-Myers Squibb BV, Chiron, Dow
Corning Corporation, DuPont, DuPont Pharma, Eli Lilly, Glaxo Wellcome, Merck,
Merial Italia, Monsanto, Novartis, Parke-Davis, Pharmacia & Upjohn International,
l'Istituto di Ricerca di Biologia Molecolare, Roche, Searle Farmaceutici,
Shell Italia, Smithkline Beecham farmaceutici, Yamanouchi Pharma.
Gli animali sono sempre più merce da consumare, privi di una propria
dignità, immessi in mercati lucrosissimi e globali. Il mercato delle
specie esotiche e selvatiche a livello mondiale è minore come giro
d'affari solo al traffico mondiale di droga. E anche qui, il massimo della
schizofrenia! Ci si scandalizza del leone in gabbia nella villa del camorrista,
dell'orso ammalato nello zoo (altro discorso delicato, che qui non tocchiamo),
ma non ci si volta neppure per le tartarughe che da decenni vengono importate
a milioni dagli allevamenti americani della Louisiana per venire a morire
nelle vaschette di casa nostra. Sino a qualche anno fa, la percentuale di
sopravvivenza al primo anno di vita era di una su dieci. Sono animali a sangue
freddo, difficili da allevare con successo in cattività. Ma questo
gli allevatori, gli importatori e i gestori di negozi di animali non lo dicono.
La storia delle tartarughe d'acqua vendute come animali d'affezione è
sintomatica per capire come funzionano gli interessi nel mercato globale.
Dagli anni '60 sino a quattro anni or sono, dagli Stati Uniti, via aeroporto
di New Orleans, arrivavano in Europa sino a 8 milioni di tartarughe "dalle
orecchie rosse" dette così per una striscia rossa che disegna
i lati del loro muso. Dopo che, finalmente, le associazioni animaliste e conservazioniste
statunitensi erano riuscite a far entrare le "orecchie rosse" nell'Allegato
II CITES, lista che raccoglie gli animali dichiarati a rischio di estinzione
e quindi protetti, la Comunità europea nel 1997 ha bandito l'importazione
in Europa di questi animali. Ma gli allevatori hanno facilmente aggirato la
norma, catturando e mettendosi ad allevare specie ibride, ipocritamente chiamate
"cugine" delle "orecchie rosse", liberamente esportabili
in tutto il mondo perché non facenti parte della lista CITES. E questo
vale per tutti i tipi di rettili, gli iguana, i camaleonti, vittime ultime
sarco-moda dell'animale "strano" in casa.
Questo scritto, inevitabilmente superficiale, ha trattato solo una parte dei
problemi. L'uomo parafrasando una felice espressione usata dalla Lega
Antivivisezione in un suo manifesto - dovrebbe finalmente dichiarare la pace
agli animali dopo aver fatto loro guerra da secoli. Ma l'uomo, specie nel
secolo appena trascorso, non ha dichiarato guerra agli animali per gioco.
Gli animali sono oggetto di sfruttamento. Il loro sfruttamento è direttamente
proporzionale al profitto degli umani. Gli animali non hanno sindacati. Solo
gruppi spesso considerati dai più anche a sinistra manipoli
di sconsiderati acchiappasogni.
E invece le logiche dello sfruttamento degli animali (come cibo industriale,
oggetti di affezione, cavie, oggetti di divertimento, fornitori di materiali
per oggetti spesso inutili) sono strettamente, drammaticamente correlate alle
stesse logiche di dominio proprie dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo.