Riflessioni d'autunno.
Un
commento critico sui limiti del movimento antiglobal, a partire dal Social
Forum di Firenze. Di
Boris Kagarlitsky. Da
ZMag.
Traduzione di Melippa. 22 Novembre 2002.
Prima venne la paura. Per diversi mesi la maggior parte dei giornali italiani ha continuato a raccontare ai suoi lettori come i terribili no global stavano per riunirsi da tutta Europa e distruggere Firenze. Il giorno prima del Forum Sociale Europea il giornale Panorama uscì con una copertina raffigurante il David di Michelangelo con la faccia nascosta dietro una bandana da anarchico.
I titoli urlavano "Firenze Invasa". L'articolo spiegava in dettaglio come hooligans ed estremisti avevano programmato di ridurre in rovine la più bella città del continente, e di come la polizia si stesse preparando all'inevitabile catastrofe.
Come c'era da aspettarsi, la principale sensazione del Forum Sociale Europeo è stata la più totale assenza di violenza. L'evento è trascorso tranquillamente, pacificamente e felicemente. Non avrebbe potuto essere altrimenti; a Firenze, come a Porto Alegre, la gioventù radicale si è riunita non per turbare un qualche riunione governativa, ma per tenerne una propria.
I proprietari dei ristoranti e dei negozi fiorentini erano divisi tra coloro che hanno chiuso tutto in preda al panico, e coloro che hanno continuato ad operare. I primi hanno sofferto delle perdite, mentre i secondi hanno fatto un bel po' di soldi. Sulle serrande dei negozi chiusi i dimostranti hanno lasciato iscrizioni ironiche ed a volte infantili ("Se pensi che siamo malvagi, il malvagio sei tu!")
Sembrava che praticamente tutte le energie degli organizzatori del forum fossero state spese per impedire provocazioni e per assicurarsi che le manifestazioni fossero pacifiche. Da questo punto di vista, è stato un successo. Un'enorme folla (secondo le stime più conservatrici, più di centomila) ha marciato pacificamente attraverso la città. Non solo non ha distrutto niente, ma non ha provocato neppure danni accidentali.
Questa è stata un'impresa non da poco; come ha fatto notare uno dei partecipanti, era praticamente impossibile per un corteo di migliaia di persone passare attraverso una città medievale, perché queste città erano costruite proprio in modo da evitare che vi marciassero attraverso colonne di persone. Di fatto, non c'era ragione di preoccuparsi, perché il percorso era stato scelto in modo da aggirare il centro storico di Firenze.
Per tutta le sera dopo la fine del forum, la televisione italiana ha parlato del successo della manifestazione. Sfortunatamente, questo è stato l'unico successo. L'organizzazione delle attività del forum colpiva per la sua confusione. Nel programma distribuito ai partecipanti, gli organizzatori sono persino riusciti a designare due giorni, Venerdì e Sabato, come 8 novembre.
Questa cosa mi ha fatto immediatamente venire alla mente il film americano "Ricomincio da capo" in cui l'eroe, svegliandosi la mattina, trova continuamente la stessa data sul calendario. Le sessioni cominciavano tardi, perché non solo il pubblico, ma a volte anche i relatori, non riuscivano a trovare i luoghi dei convegni. Quasi tutti i partecipanti erano stipati dentro una piccola fortezza medievale vicino la stazione ferroviaria, la Fortezza da Basso.
Orientarsi era difficile, perché non c'era nessuna guida. La registrazione dei partecipanti era caotica. A completare l'opera, tuttavia, arrivò la decisione di chiudere i cancelli della fortezza il pomeriggio del 9 novembre. Gli organizzatori avevano deciso che c'erano troppe persone pigiate nella fortezza, e che nessun altro poteva essere ammesso. Di conseguenza, alcune persone non riuscirono ad entrare, ed altre non riuscirono ad uscire.
Facendo il diavolo a quattro, la gente scavalcò in massa le mura della fortezza. Giornalisti e cameramen erano isterici. Interviste ed appuntamenti organizzati da tempo andarono a monte.
Questi sarebbero stati fastidi minori, se la confusione organizzativa fosse stata compensata da discussioni interessanti e piene di contenuti. Sfortunatamente, al forum le discussioni non sono mai avvenute. La gente che si era riunita a Firenze per discutere le prospettive del movimento scoprì di essere arrivata ad un comizio lungo tre giorni.
Dai podi arrivavano solo discorsi molto generali. I relatori in successione hanno espresso la propria contentezza per quanti eravamo, e per come apparissimo tutti giovani e belli. Intraprendere un dibattito serio nelle sale gremite da migliaia di persone, riscaldate da una retorica da riunione di massa, era impossibile.
Veniamo ai giovani. L'età media dei partecipanti del movimento è di fatto non più di 22 o 23 anni. Questa è la generazione cresciuta dopo la caduta dell'Unione Sovietica e che ha raggiunto la maggiore età sotto il regime neoliberista. Questo è già un giudizio su questi regimi.
La gioventù del movimento, tuttavia, non è affatto sempre il suo lato più forte. Ai partecipanti manca spesso la benché minima esperienza e maturità. Mancano loro le tradizioni e la memoria storica, e possono solo lontanamente immaginare la rivoluzione del 1968, a cui le loro azioni sono spesso paragonate.
Naturalmente ci sono anche esempi contrari. Quelli che colpiscono maggiormente sono i giovani della sinistra svedese e la gioventù socialista norvegese. Le poche dozzine di scandinavi seri, tuttavia, si perdevano nella massa infervorata dei giovani italiani. Nel frattempo, la mancanza di attivisti e di leader più anziani rappresenta un vero problema per il movimento. Nei primi anni '90 gli esponenti della sinistra erano preoccupati perché non riuscivano quasi ad attirare i giovani dalla loro parte. Adesso ci sono giovani più che a sufficienza, ma si riescono a compensare facilmente le perdite delle ultime decadi.
La questione principale non è però la carenza di persone preparate e con esperienza. Il movimento si trova ad affrontare gravi problemi politici, che praticamente non sono stati discussi al forum. Le dimostrazioni diventano sempre più grandi, ma questo non è per niente equivalente ad un successo politico.
La crescita del movimento è infatti accompagnata da un declino della sua efficacia. Seattle e Praga hanno rappresentato per il movimento delle vittorie reali, come persino i suoi oppositori hanno dovuto ammettere. Un nuovo round di negoziazioni sulla liberalizzazione del commercio mondiale è stato rimandato per diversi anni a seguito delle massicce proteste di Seattle. Politici ed imprenditori cominciarono a cercare di giustificarsi e trovare scuse. L'altra parte, però, sta pure imparando.
Le autorità stanno reagendo sempre meno alle proteste. Proprio all'apice del forum, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha appoggiato all'unanimità la risoluzione statunitense sull'Iraq. Non solo la Russia, ma anche la Siria si è schierata con gli Stati Uniti. Per il movimento pacifista questo ha rappresentato un'enorme sconfitta -- se, naturalmente, prendiamo sul serio le affermazioni che non vogliamo semplicemente criticare la guerra, ma anche fermarla. Questo sviluppo, tuttavia, è stato semplicemente trascurato durante il forum, e non ha in alcun modo offuscato lo stato d'animo dei pacifisti.
I discorsi erano pieni di ambiguità. Se abbiamo ragione a sostenere che i leaders degli USA sono avventurieri irresponsabili, che sono indifferenti alle sorti della gente ed ai valori democratici, allora non possiamo aspettarci che le marce di protesta possano fermare la guerra. Anche enormi marce di protesta. Il movimento contro la guerra ha accumulato un cospicuo arsenale di metodi di disubbidienza civile (inclusi i blocchi stradali, l'occupazione delle basi militari, e così via).
Tutto questo accadeva già nell'Europa Occidentale alla fine degli anni '70. Questa esperienza, tuttavia, non è stata ancora chiamata in gioco.
Anche la soddisfazione per l'elezione di Lula alla Presidenza del Brasile è prematura, per dirlo delicatamente. Le simpatie del nuovo presidente brasiliano e del suo partito per le idee antiglobalizzazione sono una cosa, ma le politiche che attueranno in pratica sono un'altra. Se queste politiche corrispondono anche minimamente agli ideali dichiarati, allora c'è ancora molto lavoro da fare. Ma al forum su questo nessuno ha detto niente.
Nel corso degli ultimi due anni il movimento ha accumulato un bel po' di esperienza, e non tutta positiva. Questa esperienza ha bisogno di analisi critica. Se il movimento può attribuirsi il merito della vittoria di Lula in Brasile, la situazione in Europa è molto meno rosea. Nella maggior parte dei paesi è al potere il centro-destra, oppure quella categoria di socialdemocratici che nella loro devozione al capitalismo e al neoliberismo si spingono persino oltre la destra.
Per di più, le vittorie della destra in Francia ed in Italia sono state ottenute dopo l'inizio di azioni di massa contro la globalizzazione. Forse il movimento e la "politica" sono isolati tra loro? Come possiamo cambiare questa situazione? Che cosa possono ottenere i movimenti, e quali sono le cose che necessitano di un partito? Come possiamo costruire questi partiti e questi movimenti, in modo da non ripetere gli errori del passato? Al forum non c'era tempo e spazio per discutere tutto questo.
Di fatto, la manifestazioni di piazza possono avere un ruolo decisivo sono quando le autorità sono già titubanti. In Europa sembra che si stesse verificando una cosa del genere quando il Cancelliere tedesco Gerhard Schroeder criticò pubblicamente il governo Bush. E l'ammutinamento all'interno del Partito Laburista di Blair dimostrò che la posizione di Schroeder godeva di supporto anche fuori dalla Germania. Ma la retorica anti-bellica di Schroeder era poco più che uno stratagemma per ottenere l'attenzione degli elettori.
Adesso che le elezioni si sono concluse e che la coalizione di governo ha occupato le sue posizioni, il cancelliere socialdemocratico è sempre meno disposto a litigare con i conservatori dell'amministrazione statunitense. E Blair ha dimostrato in diverse occasioni che gli stati d'animo degli attivisti del suo partito contano per lui molto meno dell'approvazione di Washington.
In ultima analisi, questioni di questa portata vengono decise non nelle piazze, ma nei quartieri generali militari, nei ministeri, e nel migliore dei casi, nelle assemblee rappresentative. Queste istituzioni hanno sviluppato un'immunità alle "pressioni dalla piazza" a meno che, come è accaduto a Buenos Aires nel Dicembre 2001, gli eventi che si sviluppano nelle strade minacciano direttamente la stabilità delle istituzioni stesse.
Come dimostra la storia recente della Russia, le autorità possono andare avanti per anni ignorando l'opinione pubblica, pur mantenendo l'apparenza di una "legittimazione" democratica. L'occidente non è la Russia, naturalmente. I politici occidentali devono prestare attenzione a quello che dici la gente. Ma negli ultimi due anni, l'Occidente ha cominciato ad assomigliare sempre di più all'Est. L'establishment politico è consapevole della sua indipendenza ed invulnerabilità.
Questo cambiamento non ha influenzato solo il pubblico in generale; i mass media hanno scoperto che la loro capacità di influenzare chi sta al potere va scemando. Qui è al lavoro una logica di ferro: maggiore la guerra, minore la democrazia.
Il movimento pacifista in Russia ed il Occidente non ha altra scelta se non quella di farsi portavoce dei diritti e delle libertà civili. Sarebbe ingenuo, tuttavia, pensare che questioni di questa portata possano essere risolte marciando in corteo per le strade di alcune città europee. Il movimento pacifista deve prepararsi ad una lunga, dura battaglia.
Deve capire come collaborare con le varie agenzie ed organizzazioni, i partiti politici e la stampa. Deve vincere non solo il sostegno di un pubblico disorganizzato, ma l'appoggio della maggioranza -- le persone che hanno capito che la loro libertà è in pericolo.