Agricoltura e globalizzazione.

La produzione di cibo attraverso la ‘agricoltura globalizzata’, i pesticidi, le biotecnologie e l’ingegneria genetica non dovevano portarci entro breve alla soluzione del problema della fame? La realtà è molto diversa. Come a sinistra si affronta questo problema? Delegare alle "istituzioni internazionali" o internazionalizzare delle lotte "…dai campi e dalle officine…" Di Loris Brioschi. Marzo 2003.


Negli ultimi venti anni il numero delle persone affamate nel mondo, anziché diminuire è cresciuto fino a giungere oggi alla cifra di oltre un miliardo e duecento milioni. La concentrazione della proprietà terriera è aumentata e con essa è avanzato il conseguente processo di impoverimento delle masse contadine. La desertificazione del territorio è progredita senza sosta e lo stesso equilibrio ecologico del pianeta da cui dipende la vita della nostra specie ha subito duri colpi. Oggi, sulla scia delle mobilitazioni per la costruzione di un altro mondo, da Seattle a Praga, da Genova a Firenze, lavoratori, giovani, donne e contadini provenienti dai vari angoli della terra si battono contro tutto ciò e per affermare con la lotta il diritto ad un’esistenza in cui ogni essere umano sia libero dalla fame e della miseria.

Vediamo alcuni esempi specifici. In Kenia e in India, la conversione delle produzioni agricole per l’esportazione ha causato solo un peggioramento delle condizioni di vita.

"…Secondo i dati relativi al biennio '95-'97 il Kenya, con oltre il 77% di popolazione dedita all'agricoltura, con le esportazioni agro-alimentari che rappresentano più della metà del totale delle esportazioni, con un settore agricolo che produce un terzo del prodotto interno lordo, ha oltre il 40% della sua popolazione sottoalimentata. "Riforme più radicali (nel processo di liberalizzazione ed estroversione dell'economia del paese) sono state prese all'inizio degli anni '90.." dice Hezron Nyangito, Nairobi. Queste le conseguenze più rimarchevoli: le esportazioni alimentari sono aumentate nel decennio ad un "tasso lineare di 19 milioni di dollari per anno", le importazioni di prodotti alimentari (quasi il 90% di tutte le importazioni agricole del paese) hanno seguito una tendenza fortemente ascendente che per il periodo 1985-94 è progredita ad un tasso lineare di 27 milioni di dollari annui e che in percentuale è stata nel periodo 1995-98 quasi del 50% più alta del livello raggiunto nel periodo 1990-94. Il Kenya esporta caffè, tè, prodotti ortofrutticoli e fiori: non è difficile vedere come questi prodotti siano frontalmente concorrenti di produzioni per il consumo alimentare interno….."

"….L'India rappresenta, da questo punto di vista, un buon esempio di una spirale perversa di povertà urbana, insicurezza alimentare, povertà rurale e malnutrizione rurale. Se il contributo dell'agricoltura al Pil era pari al 55% nel 1950 ed è solo del 25% alla fine degli anni '90 (Manoj Panda e A. Ganesh-Kumar, Mumbai) oggi il "70% delle famiglie rurali e l'8% delle famiglie urbane vivono di lavoro agricolo".

L'India ha seguito tutti i colori delle rivoluzioni agricole: quella "verde" del produttivismo, quella "bianca" per la produzione del latte, quella "gialla" per lo sviluppo dell'industria degli oli da seme, molto recentemente. Malgrado l'India abbia dichiarato una politica di sviluppo rivolta all'interno, le politiche liberiste in campo agricolo approntate già agli inizi degli anni '90 hanno consentito un raddoppio delle esportazioni agricole nel periodo 1996-98, con una presenza rimarchevole dei cereali che rappresentano quasi il 45% di tutte le esportazioni agricole.

Le importazioni alimentari, però "sono aumentate nel periodo 1995-98 del 168% rispetto al 1990-94". L'impatto di queste cifre sulla povertà può essere così riassunto: negli anni '80 la povertà tendeva a diminuire, negli anni '90 - grazie a vigorose politiche di liberalizzazione - ha avuto un tendenza visibile alla crescita….(1)

LA PRODUZIONE DI CIBO E’ IN AUMENTO, TANTO QUANTO LA FAME

In Europa e negli USA i silos sono stracolmi, le celle frigorifere traboccano di immense quantità di carne e di burro, si produce "troppo" frumento e "troppo" latte, le mucche devono essere abbattute e la frutta mandata al macero, ma nel resto del pianeta la sotto alimentazione è cronica e crescente. La scienza e la tecnica applicate all’agricoltura ed alla zootecnia fanno passi enormi, eppure per l’immenso Sud del mondo ciò comporta solo impoverimento, denutrizione e crescente dipendenza alimentare. Mai come oggi si è assistito ad un crimine di tale portata per cui di fronte a tanta reale (ed ancor più potenziale) abbondanza quattro quinti dell’umanità sono ricacciati nella più nera indigenza. Hanno ragione le masse rurali latino americane, asiatiche ed africane quando con le loro lotte dicono che la fame non è generata dalla penuria di prodotti agricoli o dalla scarsezza di terra e di mezzi esistenti, ma dalla loro distribuzione e dal loro utilizzo.

Secoli di continua e crescente rapina coloniale e neo coloniale hanno portato alla concentrazione di tutte le risorse produttive (alimentari e non) nelle mani delle multinazionali statunitensi ed europee. La globalizzazione capitalista, figlia ed erede legittima proprio di questi processi, li accelera, estende, approfondisce ed intensifica a livelli assolutamente sconosciuti prima. Ogni anno milioni di lavoratori delle campagne vengono sradicati a viva forza, espropriati ed allontanati dai loro appezzamenti e gettati nell’inferno delle baraccopoli o costretti ad emigrare qui in Occidente dove ad attenderli trovano razzismo, altro sfruttamento ed altra oppressione.

Il latifondo - in perfetta alleanza e simbiosi con gli interessi delle multinazionali — è vivo e vegeto più che mai ed i contadini vengono sempre più sottomessi dalle necessità dei "poteri forti" mondiali e trasformati progressivamente in precarissimi salariati agricoli. La produzione di alimenti, al pari di ogni altro tipo di produzione, viene totalmente finalizzata alle necessità di profitto e di mercato delle corporation agro-alimentari e della finanza internazionale. Necessità il cui inevitabile corollario è costituito dal crollo provocato dei prezzi dei prodotti agricoli del Sud del mondo, dalla bassissima remunerazione del lavoro della popolazione rurali, dalla progressiva desertificazione di intere regioni e da altre "delizie" del genere.

Le necessità del profitto e del mercato si sono già fatte sentire, anche da noi in Occidente. Mucche pazze, polli alla diossina, bistecche agli ormoni, ortaggi e frutta geneticamente modificata ad alto rischio di nocività: le tavole ed i supermercati sono sempre più invasi da "cibi spazzatura" d’ogni genere. Mentre l’uso esponenzialmente crescente di diserbanti e di nuovi agenti chimici provoca sempre più gravi danni alla salute di quanti sono addetti alle produzioni alimentari. (vedi nell’archivio il nostro articolo sull’uso dei pesticidi nella produzione di banane)

Abbassare i costi di produzione e incrementare gli utili fregandosene altamente della salute dell’uomo: ecco l’unico comandamento che, anche nel campo della produzione del cibo, conosce il capitale. Anche nel settore alimentare diventa sempre più evidente che la scienza e la tecnica (a cominciare dalla biogenetica) piegate al dominio del profitto, invece di essere dei potenti agenti per sollevare l’umanità dal bisogno, al contrario diventano fattori di peggioramento e deterioramento complessivo della vita della specie.

Scrive Vandana Shiva scienziata indiana impegnata a sostenere le lotte dei contadini:

"Le multinazionali stanno creando povertà deviando il sudato guadagno dei contadini e dei coltivatori verso l'industria delle sementi e dei pesticidi. Le nuove sementi, oltre ad essere costose sono anche ecologicamente vulnerabili a malattie e infestazioni, portando a maggiori perdite di raccolto e ad un maggiore uso di prodotti chimici.

Queste sono tecnologie assassine, indesiderabili e non necessarie. L'attentato delle multinazionali all'agricoltura e' basato su affermazioni false e pseudo scientifiche. Le tecnologie violente dell'ingegneria genetica e dei pesticidi tossici, e la promozione disonesta e criminale di questa povertà, creano capitale e tecnologie non sostenibili, e stanno anche portando alla morte dei nostri coltivatori e alla distruzione delle nostre sicurezze ecologiche ed alimentari. Queste sono tecnologie primitive, rozze e obsolete, efficienti nella distruzione, non nella produzione. Le tecnologie agricole del futuro devono lavorare per le persone, non per le multinazionali, devono lavorare con la natura, non contro di essa. Se i coltivatori e l'agricoltura vogliono avere un futuro, allora deve essere biologico. Ne' il pianeta, ne' la povera gente può permettersi le perdite, l'inefficienza, gli inganni, l'inquinamento e la violenza dei prodotti chimici e dell'ingegneria genetica." (2)

E LE ISTITUZIONI INTERNAZIONALI?

Anche gli agricoltori e gli allevatori europei sono sempre più colpiti e costretti a fare i conti con i diktat che il grande capitale emana attraverso le sue istituzioni "comunitarie" e si vedono sempre ridotti a semplici e totalmente subalterne appendici delle multinazionali. Come hanno dimostrato le stesse lotte dei produttori di latte degli scorsi anni. E questa stessa lotta non porta forse in se la critica all’assurdità di un sistema che per "ragioni di mercato" impone la distruzione del latte a fronte di centinaia di milioni di esseri umani che il latte non ne hanno neanche una goccia?

Enormi finanziamenti pubblici (gli USA prevedono di stanziare centinaia di miliardi di dollari in "sussidio" all’agricoltura nei prossimi dieci anni) alla propria grande industria agro-alimentare, protezionismo e dumping: il dominio alimentare di un pugno di global company sull’intera umanità è accompagnato, promosso e tutelato dall’apparato burocratico militare dell’occidente, e dove non si arriva con le "misure economiche" è pronto ad intervenire con la forza. I milioni e milioni di esseri umani assassinati ogni anno dalla fame sono l’altro aspetto, l’altra faccia di quella stessa guerra che l’Occidente conduce contro i popoli in nome del dio profitto e del dio mercato e che osano opporre resistenza alla rapina di ogni loro risorsa e materia prima.

Se il WTO, il FMI e la Banca Mondiale vengono individuati come i principali responsabili della crescente miseria in cui sono sospinti interi continenti, la FAO - dai movimenti e da quanti si vogliono battere contro l’attuale stato delle cose - viene vista come un qualcosa di "diverso", come un organismo con cui dialogare e su cui fare pressione affinché eserciti realmente le sue "funzioni istituzionali" e contribuisca per tal via ad alleviare le sofferenze alimentari dell’umanità.

Ma confidare nella FAO per combattere la fame è come confidare nell’ONU per fermare le guerre. Come quest’ultimo, si è sempre distinto per aver quantomeno supportato le aggressioni occidentali, così allo stesso modo l’azione della FAO, in tutti questi anni, non solo si è dimostrata "inefficace", ma, alla lunga, ha favorito l’indebolimento delle produzioni agricole del Sud del mondo a tutto vantaggio delle varie multinazionali.

La FAO non è dunque un’istituzione "alternativa", ma una semplice parte dello stesso sistema che domina il mondo e il cui centro risiede nei consigli d’amministrazione delle multinazionali occidentali dell’agroalimentare.

L’ALTERNATIVA NASCE DAI MOVIMENTI DI LOTTA PER LA TERRA DEL SUD DEL MONDO

"Tutti i popoli devono poter disporre di cibo e di acqua a sufficienza". Quando i movimenti contadini del Sud del mondo rivendicano la "sovranità alimentare" e la sottrazione dell’agricoltura alle regole del WTO e del commercio mondiale, essi formulano con altre parole proprio questa "elementare" e sacrosanta esigenza.

Ecco le parole di Rafael Alegria di Via Campesina sulla riforma agraria durante un’intervista radiofonica nel maggio 2002:

"….La nostra strategia di lotta in primo luogo è l'unità, l'unità e la capillarità. Partendo dal locale per arrivare al regionale, al nazionale, al continentale e al mondiale. Portiamo avanti le nostre istanze attraverso la mobilitazione popolare. Con la quale rivendichiamo la terra, i semi, la tecnologia e un mercato giusto. Per ottenere questi obiettivi costruiamo alleanze strategiche con altri movimenti sociali. E' importante riunire la forza di ONG, contadini, chiese, tecnici e scienziati per proporre un nuovo modello economico internazionale che sostituisca il neoliberismo, perché esso è definitivamente in crisi. E' in crisi perché è un modello ingiusto ed escludente. Abbiamo urgentemente bisogno di un modello alternativo che sia più giusto, più egualitario e più partecipativo. Che tenga conto del diritto alla vita nel mondo intero. Riassumendo, questa è la strategia di Via Campesina. Via Campesina chiede ai governi nazionali e agli organismi finanziari internazionali, come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e l'Organizzazione Mondiale del Commercio, alla FAO e all'ONU, che si assumano la responsabilità di una riforma agraria. E la responsabilità dell'accesso alla terra per la maggior parte dei contadini. Con le attuali politiche della Banca Mondiale sul mercato della terra non sarà possibile risolvere i problemi e i conflitti agrari nel mondo. Occorre promuovere processi di riforma agraria in favore dei contadini. Abbiamo fatto molto lavoro, e oggi abbiamo un consenso maggiore da parte dei governi nazionali. Ma abbiamo il timore di essere condannati dagli organismi finanziari internazionali, che non accettano le nostre proposte. Via Campesina porta avanti una campagna globale di riforma agraria. …" (3)

Certo, la penetrazione ed il dilagare del dominio delle multinazionali e le "ferree regole" dei mercati internazionali hanno distrutto le originarie strutture economiche e produttive agricole, hanno espropriato della terra e dello stesso "sapere" gli originari produttori, hanno devastato intere regioni e portato la fame a livelli cronici e di massa mai visti prima.

Dopo oltre cinque secoli di colonialismo ed imperialismo che hanno autenticamente dissanguato interi continenti ed unificato a scala planetaria l’intero ciclo produttivo, la risposta a tanto enorme disastro non può più essere quella di un "ritorno al passato" in cui ogni paese provvede "individualmente" a se stesso. Per tal via chi oggi ha continuerebbe ad avere sempre più, e chi oggi non ha resterebbe solo con la propria povertà.

IL MERCATO LIBERISTA AUMENTA LA MISERIA

Tra coloro che giustamente vogliono opporsi ai vergognosi "squilibri" prodotti dagli attuali rapporti mercantili, è diffusa l’idea che praticando e sperimentando dal basso un altro tipo di mercato - "equo e solidale" - si possa costruire un argine allo strapotere devastante delle multinazionali. Spesso questa "pratica" viene anche vista come un possibile strumento per avvicinare i popoli del Nord a quelli del Sud del mondo e per aiutarli nelle battaglie. Occorre però riaffermare che viste le modeste proporzioni di mercato, questa attività risulta utile più come educazione alle masse del primo mondo, che per la soluzione reale dei problemi economici del terzo mondo. Lo stesso discorso, pensiamo, vale per le numerose campagne contro le multinazionali agro-alimentari, utili per far capire i problemi, quasi mai per risolverli.

Ancora Onorati dell’Ong Crocevia:

"….. E' fin troppo evidente che la struttura fortemente concentrata della direzione delle multinazionali agro-alimentari/chimico/farmaceutico (non solo del nord sviluppato) ma estremamente dislocata nello spazio e nel tempo delle loro produzioni agro-alimentari, con l'accesso facilitato ai mercati ricchi non fa che rafforzarsi e quindi continuare nel processo di distruzione e disarticolazione della produzione agricola familiare e contadina. La nostra esperienza pluridecennale, nel sostegno all'agricoltura contadina, ci ha confermato che la chimera dei mercati ricchi, anche "equi e solidali", opera un forte processo di vampirizzazione dei sistemi agrari locali lasciandoli alla mercé dei prezzi politici che le derrate alimentari continuano ad avere sul mercato globale, rendendoli incapaci anche di attivare una strategia di pura sopravvivenza producendo per l'autoconsumo…." (1)

Bisogna rompere l’embargo mediatico che soffoca le lotte delle masse del Sud del pianeta e, al contrario, promuovere il "contatto" tra i lavoratori ed i popoli è necessario, urgente ed indispensabile. A tal fine è giusto ed utile denunciare in tutti i modi come le regole imposte dal WTO, dal FMI e dalla Banca Mondiale siano non solo distruttive per la massa dei piccoli produttori asiatici, africani e latino americani, ma si rivelino dannose anche per i "consumatori" dell’emisfero ricco.

E’ utile denunciare la speculazione commerciale delle multinazionali che fa si che il cacao venga prelevato dal contadino brasiliano a costo zero e poi venduto a peso d’oro. Ma allo stesso tempo è indispensabile sapere che nessuna reale risposta può giungere da un ipotetico ed impossibile "altro commercio". I mercati sono infatti da sempre per loro natura iniqui strumenti di rapina nelle mani di chi possiede masse enormi di capitale e forza militare. Quale scambio equo potrebbe mai esserci tra il piccolo contadino andino e la Fruit Company?

CONTADINI DI TUTTO IL MONDO UNITEVI

L’unica vera sovranità alimentare in grado di assicurare a tutti i popoli cibo ed acqua può passare solo attraverso l’organizzazione e l’unificazione delle lotte che abbiano obiettivi che puntino a cambiare alle radici l’attuale assetto internazionale ed a riorganizzare l’intera produzione agricola mondiale finalizzandola non al profitto, ma al pieno soddisfacimento dei bisogni dell’intera specie umana.

Anche Jose Bovè rispondendo alla domanda sulla condivisione di un "nuovo internazionalismo":

..La condivido nella misura in cui ciò che noi abbiamo messo in piedi e' già una forma di nuova Internazionale contadina. E' la prima volta che ciò avviene. Ancora oggi, più del 50% dell'umanità vive di agricoltura. Raccogliere i contadini del mondo intero attorno ad un progetto globale di produzione agricola, contro le multinazionali, che permetta alla gente di vivere della propria produzione e di sfamare le proprie popolazioni, e' un modo di mettere all'ordine del giorno un'ipotesi di ordine economico diverso, portatore di nuove modalità di scambio tra le persone. E' la stessa forma di internazionalismo che si sta mettendo in campo sul terreno sindacale e attraverso le reti di collegamento dei movimenti sociali che lottano contro la mondializzazione. E' un internazionalismo che si costruisce con modalità differenti, ogni soggetto a partire dalla propria specifica realtà, ma che e' in grado di provare a proporsi obiettivi comuni di corto ma anche di lungo periodo, al fine di trasformare il mondo. (4)

Una riorganizzazione dell’intera società che si basi sulla solidale e non mercantile cooperazione tra i popoli e che sappia e possa mettere al servizio dell’uomo le eventuali scoperte della scienza e della tecnica in campo genetico ed alimentare che oggi invece, in mano al capitale, assumono funzioni e connotati sempre più distruttivi ed antisociali.

Le battaglie dei braccianti e dei contadini indiani contro le multinazionali agroalimentari e delle biotecnologie, il movimento di occupazione delle terre nello Zimbawe, le battaglie contro il latifondo dei Sem Terra in Brasile, sono esempi che pongono nei fatti la necessità ed il bisogno di una unificazione degli obiettivi delle lotte contadine e del mondo rurale. Quando i Sem Terra brasiliani giungono a lanciare esplicitamente il grido "contadini di tutto il mondo unitevi", ciò avviene perché sempre più chiara si fa la percezione tra gli sfruttati e gli oppressi delle campagne che i vari "problemi locali" possono essere affrontati e risolti solo in una più ampia prospettiva, solo unificando le forze in difesa di comuni interessi contro un comune nemico.

Vediamo le parole di Joao Pedro Stedile intervistato dalla rivista PUC:

"…Il MST dalla sua nascita, ha una vocazione internazionalista e latino-americana. Abbiamo sempre mantenuto uno scambio di esperienze con altre organizzazioni sorelle dei paesi dell'America Latina. A partire da questo abbiamo organizzato la CLOC, Coordinamento Latino-americano di Organizzazioni di Lavoratori delle Campagne, che oggi riunisce tutte le organizzazioni dell'America Latina e ha sede in Guatemala.

Poi, a partire dalla metà degli anni 90, con l'espansione di questa forma di sviluppo del capitalismo finanziario internazionale e neoliberista, il capitalismo applicò la stessa forma di sfruttamento degli agricoltori in tutto il mondo. Gli agricoltori dell'India, del Giappone, degli USA, del Messico, dell'Africa del sud e del Brasile affrontano tutti gli stessi sfruttatori, ossia la Monsanto, la Cargill, la Nestlé, ecc.

E questo ci ha obbligato quindi ad aumentare l'integrazione e lo scambio internazionale tra i movimenti e le organizzazioni contadine. E da questo è nata Via Campesina, come un'articolazione internazionale dei movimenti contadini di tutto il mondo. Cresce continuamente e oggi ne fanno parte organizzazioni di 87 paesi, in tutti i continenti. Recentemente, nell'ultima assemblea, abbiamo avuto l'adesione della Unione degli Agricoltori Arabi, che riunisce organizzazioni contadine di 16 paesi, con 330 milioni di contadini alla base.

In una frase, Via Campesina rappresenta l'unione e l'unità internazionalista per affrontare insieme la stessa furia del capitale internazionale nei confronti dei lavoratori agricoli di tutto il mondo…" (5)

Sia nell'ultima conferenza di Via Campesina in India che nel recente Forum sociale mondiale celebrato a Porto Alegre, sono state affermate quattro grandi linee d'azione politica, le spiega ancora Joao Stedile:

"- lottare per ottenere la sovranità alimentare. Ogni popolo ha il diritto e il dovere di applicare politiche agricole nazionali che assicurino gli alimenti necessari alla propria autonomia. Il commercio agricolo non deve continuare ad essere subordinato agli interessi delle grandi imprese e alla loro esigenza di ottenere alti margini di guadagno. Per questo siamo contro l'Organizzazione mondiale del commercio. Vogliamo stabilire norme perché il commercio agricolo sia effettuato attraverso relazioni bilaterali di interscambio della produzione che eccede il consumo nazionale."

- le risorse genetiche, la biodiversità e la natura che abbiamo ereditato devono assolvere funzioni sociali a beneficio di tutti. I contadini devono essere i guardiani di questa dote. Non può essere permesso che imprese multinazionali - come Adventis, Novartis, Monsanto eccetera - manipolino e monopolizzino il diritto all'utilizzo delle sementi. Per questo nella nostra bandiera abbiamo scritto "le sementi sono patrimonio dell'umanità". In effetti, l'umanità si è riprodotta fino ai giorni nostri perché gli agricoltori hanno prodotto gli alimenti con criteri democratici. Trasformare le sementi nel monopolio di un pugno di imprese implica non solo un rischio per la salute pubblica, ma anche una minaccia per la sopravvivenza dei contadini e dell'umanità.

- la povertà nelle campagne e la disuguaglianza sociale potranno essere superate solo attraverso autentici e massicci programmi di riforma agraria. La Terra è un bene della natura e deve rimanere al servizio dell'intera umanità. Distribuire la terra è più che una politica per combattere la disoccupazione e l'esodo rurale: deve essere parte di una politica che garantisca la democrazia nelle campagne.

- valorizzazione della cultura rurale come patrimonio delle comunità e della società."

Come si nota la lotta dei braccianti e dei contadini poveri del Sud del mondo per una reale e radicale riforma agraria, per migliori condizioni di lavoro e per i diritti politici e sindacali, non va infatti a scontrarsi "solo" con i governi e le classi dominanti e sfruttatrici locali, ma soprattutto con i grandi centri del potere economico e finanziario che stanno dietro e sopra esse e che alloggiano qui in Occidente.

 

NOTE

(1) Articolo La perversa agricoltura globalizzata, da "il manifesto" del 30/08/2002 di Antonio Onorati presidente del centro internazionale Crocevia

(2) Vandana Shiva: in lode allo sterco di vacca; dal sito www.zma.org/italy

(3) Intervista a Rafael Alegria di Via Campesina, andata in onda il 22 maggio 2002 su Radio Città Aperta, di Roma nell'ambito della trasmissione Mondo Nuovo.

(4) Intervista a José Bové della "Confederation Paysanne" francese, articolo di Rouge n. 125, del 29 giugno 2000

(5) Intervista all’economista Joao Pedro Stedile della direzione del Movimento Sem Terra— La lotta per la riforma agraria al tempo del governo Lula. - dalla rivista PUC del 13/2/2003