Dopo Firenze, dopo Roma...
Analisi delle manifestazioni contro la guerra che si sono sviluppate tra il 14 e il 16 febbraio. Le caratteristiche del movimento antiguerra in Italia, le sue enormi potenzialità, i suoi limiti. REDS. Marzo 2003.


Le dimensioni mondiali delle manifestazioni contro la guerra del 14/16 febbraio

Da molti osservatori è stato sottolineato come le manifestazioni antiguerra del 14/16 siano da considerarsi un evento senza precedenti, dal punto di vista della sua estensione geografica. In effetti si sono svolte 600 manifestazioni che hanno coinvolto gran parte delle capitali del mondo. Il numero dei partecipanti è notevolissimo. Anche se il numero di 110 milioni appare totalmente destituito di fondamento (al di fuori dell'Italia nessun media di movimento prende in considerazione tale cifra), si può dire che (sommando le cifre fornite dagli organizzatori) circa 12 milioni di persone abbiano manifestato contemporaneamente a livello planetario contro la guerra. L'impatto non è stato decisivo per fermare la guerra, ma sufficiente per dare un forte scossone, e forse anche per ritardare l'inizio degli attacchi. Certamente i rapporti di forza tra chi vuole la guerra e chi la contrasta, sono cambiati. Il successo è tanto più notevole quanto più si pensi alla fragilità organizzativa di questo movimento, sul quale torneremo.

Tuttavia un'osservazione più attenta della partecipazione alle diverse manifestazioni ci consentirà di comprendere più in profondità potenzialità e limiti di questo movimento.

Prenderemo dunque in considerazione i dati delle manifestazioni riportate dagli stessi organizzatori. Con ciò ci sentiamo in dovere di ricordare che, mentre le cifre riportate dalle cosiddette forze dell'ordine sono spesso sottostimate, quelle riportate dagli organizzatori sono spesso abbondantemente sovrastimate. La tendenza a sovrastimare è particolarmente forte in Italia, come possiamo testimoniare per esperienza diretta. Ciò rende qualsiasi calcolo statistico molto, molto approssimativo. Comunque, anche tenendo conto di questi limiti, le cifre ci permettono un qualche ragionamento.

Abbiamo aggregato questi dati per area "geopolitica" mettendo a confronto il numero di partecipanti "presunto" e quello della popolazione residente, per avere un'idea, seppur vaga, del grado di partecipazione popolare al movimento.

USA e Canada
Dove risulta che le diverse manifestazioni: New York (400.000), Los Angeles (10.000), San Francisco (150.000 svoltasi il 16), e poi in altre città, portano il totale della partecipazione a circa 700.000 unità. In Canada vi è stata una partecipazione intorno alle 300.000 persone. La manifestazione più forte è stata quella di Montreal (150.000), che è la città più popolosa del Quebec francofono. Tenendo per buoni i dati degli organizzatori possiamo affermare dunque che lo 0,2-0,3% della popolazione USA ha partecipato alle manifestazioni. Nel Quebec francofono, più politicizzato, il tasso è intorno al 2,1%, simile dunque a quello europeo. Anche nel Canada anglofono la media è comunque superiore a quella USA.

Europa Occidentale
E' nettamente l'area geopolitica dove più forte si è manifestata l'opposizione alla guerra. In gran parte dei Paesi si è parlato di manifestazioni "record", nel senso che nella loro storia nessun'altra era stata più partecipata. E' il caso di Roma, Londra, Lussemburgo, Madrid. Secondo gli organizzatori le cifre sono: Italia 3.000.000, Svizzera 40.000, Inghilterra 1.500.000, Francia 500.000, Germania 600.000, Grecia 200.000, Spagna 3.000.000, Norvegia 120.000, Finlandia 20.000, Irlanda 150.000, Danimarca 40.000, Austria 60.000, Lussemburgo 15.000 (transfrontaliera), Belgio 100.000, Portogallo 100.000, Olanda 80.000, Svezia 120.000, Scozia 60.000. Secondo i dati degli organizzatori, dunque, l'Europa Occidentale ha totalizzato 10 milioni di partecipanti, di cui gran parte (6 milioni) in Italia e Spagna. Il tasso è del 2,5%.

Oceania
Hanno manifestato in tutto circa 350.000 persone (Melbourne, il 14: 200.000), con un tasso dell'1,5%.

Ex Europa dell'Est e Russia
Circa 40.000 manifestanti, pari allo 0,1%.

Giappone
Ci sono stati 30.000 manifestanti (Tokio 25.000), un tasso dunque dello 0,2%, simile a quella USA.

America Latina
In complesso le manifestazioni hanno registrato un afflusso di circa 200.000 persone, pari a un tasso dello 0,04%. Le manifestazioni più notevoli sono state a Città del Messico (50.000), Montevideo (50.000), San Paolo (30.000).

Africa ed Asia (ad esclusione del mondo arabo, della Russia asiatica e del Giappone)
In complesso 20.000 persone. Quelle più notevoli: Johannesburg (10.000), Kolkata (10.000). Se si pensa che parliamo di due continenti che sommano circa 4,5 miliardi di persone si comprende che qui NON esiste alcun tipo di movimento antiguerra.

Mondo arabo
In tutto 300.000 persone hanno manifestato, teniamo conto però che le manifestazioni più partecipate (in Siria e in Iraq) erano eterodirette dalle dittature. In ogni caso: un tasso dello 0,1%.

Riassumiamo in un quadro (ripetiamo l'avviso di non prendere questi dati alla lettera, ma solo come ordini di grandezza).

 

USA e Canada

Europa Occidentale Oceania

Ex Europa dell'Est e Russia

Giappone

America Latina

Africa ed Asia

Mondo arabo

                 
partecipanti
1.000.000
10.000.000
350.000
40.000
30.000
200.000
20.000
300.000
popolazione
312.000.000
400.000.000
32.000.000
328.000.000
127.000.000
520.000.000
4.157.000.000
241.000.000
tasso
0,3%
2,5%
1,5%
0,1%
0,2%
0,04%
-
0,1%

Da qui possiamo trarre alcune considerazioni.

a) il movimento antiguerra non è mondiale. Esso è completamente assente nella parte più popolosa del mondo. Su circa 6 miliardi di persone, ve ne sono 5 per i quali il movimento antiguerra è un'entità assolutamente astratta. Nella gran parte del mondo non esiste un'opposizione attiva alla guerra. Le masse sterminate del Sud del mondo, sfruttate da un Nord sempre più ricco e rapace, sono politicamente assenti da questo confronto. Non solo l'Asia e l'Africa, ma persino i Paesi investiti dall'offensiva americana sono straordinariamente passivi: i Paesi arabi, lo stesso Pakistan e i Paesi musulmani. Anche l'America Latina, più politicizzata, ed anche la Russia dove a livello di opinione pubblica vi è una fortissima opposizione alla guerra, non si sono sostanzialmente mosse.

b) La parte del mondo dove vi è opposizione corrisponde a quella del Nord ricco e bianco. E' un fatto notevole che vi sia opposizione proprio nei Paesi aggressori. In ciò troviamo una fondamentale differenza con la politica imperiale delle potenze europee tra la fine del XIX secolo e la metà del XX, una politica condotta con la sostanziale connivenza (pur in presenza di una certa opposizione del movimento operaio) o indifferenza delle larghe masse. L'opposizione alla guerra del Vietnam avveniva in concomitanza con l'arrivo delle bare dei propri soldati, oggi la nuova opposizione si sviluppa (e ad un livello molto più partecipato di allora) prima ancora che la guerra scoppi. In USA e Canada si fa sentire la maggiore disabitudine a manifestare pubblicamente il proprio dissenso, ma anche la martellante campagna massmediatica a favore della guerra. Ciononostante il livello della partecipazione è comunque sorprendente.

c) In America Latina vi è un livello di partecipazione al movimento antiguerra superiore a quello del resto del Terzo Mondo, ma comunque decisamente basso. Nel movimento si sono giustamente viste con allegria e speranza Porto Alegre, le ribellioni argentina, venezuelana, boliviana, ecc. Si tratta di movimenti dal carattere oggettivamente antimperialista, ma con una soggettività che ha forti limiti.

d) Notiamo che in tutti i Paesi dell'Est e in Russia il grado di partecipazione sia strordinariamente basso, nonostante questi Paesi siano implicati nella politica di potenza USA. Accade a causa delle difficoltà economiche nelle quali questi Paesi si dibattono? Può darsi, ma la scarsa partecipazione è la stessa sia nella Repubblica Ceca che in Romania. In realtà si sta ancora pagando il prezzo salatissimo di decenni di dittatura stalinista: decenni di totalitarismo hanno annullato chissà per quanto tempo la voglia e la speranza nell'azione collettiva (vedi Russian and war di Boris Kagarlitsky).

e) Nei Paesi arabi si paga il prezzo di dittature più o meno mascherate, in gran parte sostenute dagli stessi USA, che hanno passivizzato le masse. Al Qaeda e gli islamisti radicali del resto puntano su questa stessa passività (o su una mobilitazione da loro stessi strettamente controllata) per accrescere il proprio peso politico (vedi Arab Response to War di Robert Fisk)

f) La composizione geografica del movimento contro la guerra ricalca più o meno la stessa forza del movimento noglobal: Europa occidentale con forti presenze in America Latina, USA e Canada.

Caratteristiche del movimento antiguerra in Italia

Il movimento antiguerra si è in qualche modo sovrapposto a quello noglobal. Lo ha invaso e in qualche modo trasformato in qualcosa di più ampio e diverso. Forse migliore.

a) l'età media dei partecipanti alle manifestazioni si è ulteriormente abbassata, segnale inequivocabile di una incipiente radicalizzazione giovanile. La massa dei lavoratori sindacalizzati non era presente a Roma, e ciò sta ad indicare che, potenzialmente, questo movimento non ha ancora esaurito la possibilità di aumentare ulteriormente.

b) la presenza di masse così ingenti ha letteralmente sommerso i difetti che caratterizzavano il movimento noglobal. Nessuna stucchevole discussione su violenza e nonviolenza perché ormai è divenuto luogo comune persino evitare di far scritte sui muri. Il leaderismo, nonostate qualcuno si affanni ancora ad apparire sui media, si è seccamente ridimensionato. Il settarismo tra le varie componenti è in caduta libera. La gente non ha alcuna voglia di subire divisioni pretestuose e vuole l'unità su contenuti chiari.

c) il dilagare del movimento ha scombussolato i giochi di molti. Uno dopo l'altro cadono i tabù tipici della sinistra riformista, come la mitica "difesa della legalità". La CGIL non ha diretto i blocchi ai treni, ma è stata costretta, per non rompere con il movimento, a non condannarli, il che, per la cultura di questa organizzazione, è già notevole. La sinistra DS è costretta a fare i salti mortali per star dentro l'Ulivo e allo stesso tempo evitare di staccarsi dal movimento: il doppio voto parlamentare a favore della mozione più moderata e di quella più radicale, è paradossale, ma significativa della forza della manifestazione del 15.

d) ma: il movimento è internamente fragile. E' come se si trattasse di un corpo enorme, che si ingrossa e occupa spazio, ma con una testa piccolissima e ancor più minuscole gambe. Detto in altri termini: il grado di elaborazione e di riflessione che è in grado di esprimere collettivamente questo movimento è basso. Non siamo nostalgici di chissà che risoluzioni teoriche, ma la gran parte delle componenti organizzate hanno difficoltà a produrre anche semplici documenti illustrativi, volantini, materiale didattico, approfondimenti sulla guerra. Nelle riunioni non si parla d'altro che degli "appuntamenti" che verranno, ma ben difficilmente si riesce a discutere della congiuntura. La nuova generazione che si sta radicalizzando è generosa, ma senza la benché minima memoria storica di quel che è avvenuto nel mondo anche solo negli ultimi dieci anni. Priva di punti di riferimento, spera di ricevere qualche dritta dalla generazione degli ultraquarantenni (perché i trentenni cresciuti tra gli anni ottanta e novanta costituiscono una specie di generazione perduta), che però ha perso da tempo i propri riferimenti, pur essendole tornata la voglia di "fare qualcosa". E ciò avviene nell'eclissarsi delle strutture organizzate: i social forum sono in gran parte spariti o ridimensionati, e la massa di gente che vuol partecipare ha travalicato le possibilità organizzative (e politico-culturali) delle diverse componenti.

Il persistere di questi limiti comporta che l'azione quotidiana contro la guerra (coinvolgendo la massa di coloro che a Roma non ci sono andati) non sia all'altezza della capacità di mobilitazione del movimento nelle scadenze importanti. Noi speriamo che la spinta che ci viene dal 15 sia sufficiente per creare a partire dalla base spazi organizzati, democratici, di riflessione e di lotta, che poi si strutturino a livello nazionale e poi internazionale sul modello della Stop the War Coalition inglese. Ad esempio generalizzando in ogni ambito geografico la campagna "Fermiamo la guerra".