La
scuola, grande affare del XXI secolo.
Di
Gérard De Selys, Le Monde Diplomatique, 16 giugno 1998. Da Filirossi.
Nel gennaio
1989, la Tavola rotonda europea degli industriali - Ert (1) - potente gruppo
di pressione padronale presso la Commissione Europea, pubblica un rapporto
dal titolo: Istruzione e competenza in Europa. Vi si afferma a chiare lettere
che "l'istruzione e la formazione (...) sono considerate come investimenti
strategici vitali per il futuro successo dell'impresa". Quindi vi si
deplora che "l'insegnamento e la formazione (siano) sempre considerati
dai governi e dagli organi decisionali come un affare interno (...). L'industria
ha soltanto una modestissima influenza sui programmi didattici". Un'influenza
tanto più debole in quanto gli insegnanti avrebbero «un'insufficiente
comprensione della realtà economica, degli affari e della nozione di
profitto». La conclusione si impone: industrie e istituti scolastici
e universitari dovrebbero lavorare «congiuntamente per lo sviluppo di
programmi di insegnamento», in particolare con il ricorso al «teleapprendimento»,
al «teleinsegnamento» e alla messa a punto di «Software
didattici» (per l'apprendimento attraverso il computer). L'Ert, che
annovera tra i suoi membri i grandi manager delle principali società
informatiche europee (2), è dunque alla ricerca di mercati. La prospettiva
della liberalizzazione delle telecomunicazioni promette al settore privato
favolosi profitti, non soltanto attraverso la vendita di hardware e di software,
ma anche grazie allo sfruttamento delle imprese di telefonia del tutto o in
parte privatizzate. La promozione - o l'imposizione - del teleinsegnamento
gli permetterebbe quindi di beneficiare sia del maggior volume delle comunicazioni
telefoniche che della crescente richiesta di materiale informatico, oltre
che dei proventi non meno cospicui dei diritti d'autore per la commercializzazione
dei software didattici. Nel complesso, questa strategia dovrebbe adeguare
sempre meglio l'insegnamento alle esigenze dell'industria, preparare il terreno
al «telelavoro», ridurre i costi della formazione nelle imprese
e determinare una atomizzazione degli studenti e degli insegnanti, le cui
eventuali turbolenze suscitano sempre qualche timore. Il 7 marzo
1990, la Commissione europea adotta il documento di lavoro su L'istruzione
e la formazione a distanza (3). "L'insegnamento a distanza (...), vi
si legge, è particolarmente utile (...) per assicurare un insegnamento
e una formazione redditizi (...). Un insegnamento di elevata qualità
può essere così concepito e prodotto in una sede centrale, per
essere quindi diffuso ai livelli locali, con la possibilità di fruire
di economie di scala. (...). Il mondo degli affari sta divenendo sempre più
attivo in questo campo, sia in quanto utente e beneficiario dell'insegnamento
multimediale e a distanza, sia per quanto riguarda la messa a punto e la fornitura
di materiali formativi di questo tipo". Alla Commissione sono dunque
bastati pochi mesi per far propria la necessità di rendere «più
redditizia» la formazione e di instaurare un «mercato» dell'insegnamento,
governato da «economie di scala». Un ulteriore
passo è compiuto dalla Commissione un anno dopo, nel maggio 1991 (4):
"Un'università aperta è un'impresa industriale, e l'insegnamento
superiore a distanza è una nuova industria. Quest'impresa deve vendere
i suoi prodotti sul mercato dell'insegnamento peermanente, governato dalle
leggi della domanda e dell'offerta". Nel seguito del testo, essa qualifica
gli studenti come «clienti» e i corsi come «prodotti».
Quindi sottolinea "la necessità (...) di impegnarsi in azioni
(...) per estendere la portata, l'impatto e le applicazioni dell'apprendimento
aperto e a distanza (...) per rimanere competitivi sul mercato globale".
La "realizzazione di questi obiettivi (...) esige strutture didattiche"
le quali "dovrebbero essere concepite in funzione dei bisogni dei clienti.
(...) Si instaurerà quindi tra i fornitori di teleapprendimento una
concorrenza (...) che potrà permettere di ottenere un miglioramento
della qualità dei prodotti" (5). Il 26 maggio
1994, l'esecutivo di Bruxelles pubblica un rapporto di un gruppo di venti
alte personalità - tra cui cinque membri dell'Ert - su L'Europa e la
costruzione della società dell'informazione planetaria (6). A eccezione
di Martin Bangemann, l'ultraliberista commissario europeo all'industria, tutti
gli autori sono industriali. I loro obiettivi: "Creare entro la fine
del 1995 centri di telelavoro per almeno 20.000 lavoratori in venti città.
Si passerebbe quindi al telelavoro entro il 1996, per il 2% dei colletti bianchi,
e a 10 milioni di posti di telelavoro entro il 2000 (...). I fornitori del
settore privato (...) si lanceranno sul mercato dell'insegnamento a distanza
(...)". E' anche
per favorire l'avvento di questo teleinsegnamento che nel 1994 la commissione
crea il programma Leonardo da Vinci (7), dotato di un bilancio iniziale di
circa 1.200 miliardi di lire. Questo programma è destinato infatti
a incoraggiare «la formazione per tutta la durata della vita»
e «lo sviluppo di "nuove forme di apprendimento "». Quasi contemporaneamente,
a Bruxelles, in occasione di una riunione straordinaria del G7 dedicata alla
società dell'informazione, gli industriali dell'Ert battono sullo stesso
chiodo con un nuovo rapporto (8): "La responsabilità della formazione
deve, in definitiva, essere assunta dall'industria (...) Sembra che nel mondo
della scuola non si percepisca chiaramente quale sia il profilo dei collaboratori
di cui l'industria ha bisogno. (...) L'istruzione deve essere considerata
come un servizio reso (...) al mondo economico. (...) I governi nazionali
dovrebbero vedere l'istruzione come un processo esteso dalla culla fino alla
tomba (...). Istruzione significa apprendere, non ricevere un insegnamento
(...) Non abbiamo tempo da perdere". Lo stesso
anno, la Commissione pubblica il suo Libro bianco sull'istruzione e la formazione
(9) che risponde alle esigenze dell'Ert. Vi si legge in effetti: «Il
rapporto della Tavola rotonda degli industriali europei (febbraio 1995) insiste
sulla necessità di una formazione polivalente in cui si incita a "imparare
ad apprendere" lungo tutto il corso della vita. (...) La Commissione
dal canto suo sottolinea la necessità di incoraggiare la produzione
europea di software didattici». Ad esempio, il programma Socrates, dotato
di un bilancio iniziale di quasi 1.700 miliardi di lire ripartiti su quattro
anni, si propone in particolare di «conferire una dimensione europea
all'acquisizione di conoscenze a domicilio» (10). All'inizio del 1996,
la Commissione europea proporrà di «incentivare la ricerca»
nel campo dei «software didattici multimediali» e di aumentare
i finanziamenti già esistenti in questo campo (11). L'Organizzazione
per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) interviene a sua volta
pubblicando il resoconto di una tavola rotonda che si è svolta a Filadelfia
(Stati Uniti) nel febbraio 1996 (12). "L'apprendimento a vita, vi si
afferma, non può fondarsi sulla presenza permanente di insegnanti"
ma deve essere assicurato "da prestatori di servizi educativi. (...)
La tecnologia crea un mercato mondiale nel settore della formazione (...)
La nuova possibilità di proporre programmi didattici in altri paesi,
senza obbligare studenti e insegnanti a spostarsi, potrebbe avere senz'altro
importanti ripercussioni sulla struttura del sistema scolastico e formativo
su scala mondiale". Se il ruolo dei pubblici poteri non viene disconosciuto,
è comunque limitato ad "assicurare l'accesso all'apprendimento
a coloro che non costituiranno mai un mercato redditizio, e la cui esclusione
dalla società in generale si accentuerà nella misura in cui
gli altri continueranno a progredire". Qui l'Ocse esprime a chiare lettere
ciò che l'Ert e la Commissione non avevano osato dire: gli insegnanti
residuali si occuperanno della popolazione "non redditizia". Nello stesso
rapporto si citano vari esempi dei vantaggi del teleinsegnamento nel settore
industriale. La Robert Bosch GmbH impiega 95.000 dipendenti su 50 siti in
Germania. Nel 1994, per la formazione del solo personale tedesco l'azienda
ha speso 265 milioni di marchi (260 miliardi di lire circa). Bosch ritiene
eccessivi questi costi, e pensa che i dipendenti debbano formarsi a domicilio,
sul personal computer («così come utilizzano il proprio mezzo
di trasporto personale per recarsi al lavoro»). Dal 1996, il 20% del
personale provvede alla propria formazione a domicilio durante il "tempo
libero", facendo così economizzare a Bosch le spese di formazione
nell'impresa. In Gran Bretagna il progetto Tilt (Teaching with Indipendent
Learning Tecnologies), dotato di un finanziamento equivalente a 3mila miliardi
di lire, ha lo scopo di "addestrare gli studenti a imparare da soli (e)
a sviluppare software didattico". Ispirata da questi esempi, l'Ocse pubblica
nel 1996 un rapporto che raccomanda "un maggiore impegno da parte degli
studenti nel finanziamento di gran parte dei costi della propria istruzione"
(13). L'obiettivo
degli industriali si delinea chiaramente: creare, ai margini della rete dell'insegnamento
pubblico, ridotto ad erogare un'istruzione di base, un vasto sistema di teleinsegnamento
privato e commerciale. Resta però un problema non indifferente: in
numerosi paesi esiste una normativa per l'insegnamento a distanza «per
corrispondenza», che dipende dal sistema della pubblica istruzione;
e anche l'insegnamento commerciale e per corrispondenza è regolato
da leggi nazionali. Alcuni stati potrebbero quindi opporre complicazioni allo
sviluppo di iniziative private di insegnamento. La Commissione
europea mette allora al lavoro i propri giuristi. Ed ecco il risultato: «Il
Trattato Cee prevede (...) un'azione della comunità nel campo dell'istruzione
e della cultura. Questa disposizione limita quindi le competenze nazionali.
Lo sviluppo dell'istruzione a distanza è esplicitamente citato come
uno degli obiettivi dell'azione della comunità. (...) L'insegnamento
privato a distanza costituisce un servizio». Ora, «la libera prestazione
di servizi è garantita dall'articolo 59 e successivi del Trattato (...).
E' quindi possibile farla valere direttamente contro le restrizioni imposte
dagli stati membri» (14). Il sillogismo
è ineccepibile: l'insegnamento a distanza è un servizio; i servizi
possono essere forniti da qualsiasi prestatario, pubblico o privato, su tutto
il mercato interno; perciò la sovranità nazionale in materia
è limitata. Ma l'attribuzione
e il riconoscimento dei diplomi rientrano nel campo nazionale o pubblico,
e restano rigorosamente regolamentati; e per modificare o abolire le normative
di ogni singolo stato ci vorrebbero anni. Perciò, per procedere più
in fretta la Commissione ricorre a un nuovo colpo di genio: la messa a punto
di una «carta di accreditamento delle competenze». L'idea è
semplice. Immaginiamo che un giovane acceda a vari fornitori commerciali di
insegnamento attraverso Internet, ottenendo così, dietro pagamento,
«competenze» in materia tecnica, linguistica e di gestione. A
seconda del suo autoapprendimento, i fornitori di insegnamento gli «accrediteranno»
le conoscenze acquisite. Questo «accreditamento» sarà contabilizzato
su un dischetto (definito «carta»), che lo studente avrà
inserito nel suo computer, collegato con i suoi fornitori. Quando cercherà
un lavoro, introdurrà nel suo computer questo dischetto e si collegherà
a un sito di «offerte di lavoro» gestito da un'associazione padronale.
Il suo profilo sarà allora analizzato da un software, e se le sue "competenze"
corrisponderanno a quelle richieste da un datore di lavoro, sarà assunto.
I diplomi dunque non serviranno più: il padronato gestirà il
suo proprio sistema senza preoccuparsi del controllo degli stati e del mondo
universitario. Il 29 febbraio
1996, la Commissione lancia un appello con l'invito ad avanzare proposte sull'attuazione
della seconda fase del programma Leonardo da Vinci. In un «Info Memo»
esplicativo distribuito agli interessati la Commissione precisa che si tratta
di «assicurare a ciascuno il riconoscimento delle proprie competenze
attraverso un sistema flessibile e permanente di accreditamento di unità
di conoscenza (...) che consenta a chiunque di far convalidare le proprie
conoscenze e competenze su una carta personale. (...). Queste carte personali
diventeranno veri e propri passaporti per l'accesso al lavoro (15)». Il 6 maggio
1996, i ministri dell'istruzione dei Quindici decidono di «incoraggiare
le azioni di ricerca sui prodotti e sui processi di apprendimento, istruzione
e formazione a distanza, compresa anche la creazione e la messa a punto di
software didattici multimediali» (16). E l'Ocse interviene di nuovo,
scrivendo in un rapporto: «Negli Stati uniti, il progetto Annenberg/Cpb
collabora con i produttori in Europa, in Giappone e in Australia per la creazione
di vari tipi di nuovi corsi, che dovranno essere utilizzati nel teleinsegnamento
(...) Gli studenti diverranno clienti, e gli istituti di studi saranno concorrenti
in lotta tra loro per ottenere quote di mercato (...). Gli istituti sono incitati
a conportarsi come imprese (...). Gli studenti dovranno pagare, interamente
o in parte, il prezzo dei loro corsi» (17). Frattanto,
l'Ert vuole verificare l'efficacia dei software didattici. E non solo per
quanto riguarda la formazione professionale, che è ormai accettata,
ma anche per l'insegnamento fondamentale - primario e secondario - che costituisce
il principale «mercato» in termini di «economia di scala».
La Petrofina e l'Ibm Belgio/Lussemburgo lanciano il progetto «Scuola
di domani». Nel testo della sua presentazione, Francois Cornélis,
presidente della direzione di Petrofina, membro dell'Ert (e presto anche presidente
del Consiglio d'amministrazione dell'università cattolica di Lovanio)
assicura: «Nella linea dei due rapporti dedicati (dall'Ert) al futuro
dell'educazione, Petrofina ha voluto partecipare alla verifica sul campo (dell'ipotesi
secondo la quale) il computer autorizza una maggior flessibilità dell'apprendimento,
e induce nell'alunno un comportamento più autonomo». Il primo
progetto, avviato nel settembre 1996, riguarda oltre 1000 bambini e 58 insegnanti
di sette scuole fondamentali in Belgio. Altre operazioni di «verifica»
sono in corso o in programma. Contemporaneamente,
l'Ert precisa le sue posizioni in un rapporto del 1997: "Non c'è
tempo da perdere. La popolazione europea deve impegnarsi in un processo di
apprendimento per l'intera durata della vita (...). L'uso appropriato delle
Tic (tecnologie dell'informazione e della comunicazione) nel processo di apprendimento
imporrà importanti investimenti in termini finanziari e umani, che
genereranno benefici commisurati alla posta in gioco (...). Occorrerà
che tutti i discenti si dotino degli strumenti pedagogici di base, così
come hanno acquistato un televisore» (18). Resta da
precisare la "dimensione" di questo mercato potenziale, e ciò
che genitori e stato sono disposti a pagare. In Francia, Educinvest (Générale
des eaux) che gestisce 250 scuole private, realizza un fatturato annuo equivalente
a circa 75 miliardi di lire (19). E' quindi possibile farsi un'idea di quanto
alcuni genitori siano disposti a pagare per dare ai propri figli un'assicurazione,
sia pure aleatoria, contro la disoccupazione. In Belgio una ricerca rivela
che la media annua delle spese sostenute dai genitori per l'istruzione equivale
a circa 9 milioni di lire (20). Dal canto suo, l'organizzazione per la cooperazione
e lo sviluppo economico precisa: «Nella maggior parte dei paesi dell'Ocse,
la spesa totale per l'istruzione rappresenta una percentuale del prodotto
interno lordo (Pil) che varia dal 5 all'8%; la quota sostenuta dal settore
pubblico oscilla tra il 10 e il 15% del totale della spesa pubblica (...).
La spesa annua dei paesi dell'Ocse per la scuola ammonta a 1.000 miliardi
di dollari» (21). Nel febbraio
1998, il ministro francese della pubblica istruzione Claude Allègre,
dopo aver definito "immotivato" lo sciopero degli insegnanti delle
scuole secondarie in Francia, ha dichiarato che il suo obiettivo era "istillare
quello spirito d'impresa e di innovazione" che manca alla scuola francese.
Annunciando il lancio di un'agenzia per la promozione della formazione all'estero,
ha poi aggiunto: «Venderemo all'estero il nostro savoir-faire; ci siamo
fissati un obiettivo di due miliardi di franchi di fatturato in tre anni.
Sono convinto che questo sia il grande mercato del XXI secolo. Un solo esempio:
un paese come l'Australia guadagna 7 miliardi di franchi esportando formazione»
(22). Nello stesso
mese, in Belgio, il conduttore di una radio universitaria chiede a Marcel
Crochet, rettore dell'università cattolica di Lovanio, se l'Ert eserciti
un'influenza sulla politica della scuola. Ed ecco la sua risposta: «Sì,
lo spero! Questa Tavola rotonda europea, che ha scritto due rapporti di grande
rilievo (...) dà indicazioni sull'uso dei mezzi moderni per migliorare
l'apprendimento. Questi due documenti stanno facendo attualmente il giro delle
università europee ed estere; vi si indicano possibilità sorprendenti
(...) (le quali) coincidono perfettamente con quelle indicate dal Consiglio
dei rettori europei e da altre istanze». Questo è senz'altro
l'aspetto più inquietante della questione: sembra che la commercializzazione
dell'insegnamento sia accettata, e anzi incoraggiata, oltre che dagli esponenti
politici, anche da alcuni rettori universitari. GERARD DE SÉLYS
Giornalista, autore di Tableau noir,
Note
(1) L'Ert
fondata nel 1983, è costituita dai 47 maggiori manager industriali
europei. Citiamo ad esempio: Jéróme Monod (Suez-Lyonnaise des
Eaux), Louis Schweitzer (Renault), Alain Joly (Air Liquid), Jean-René
Fourtou (Rhone-Poulenc) Jean-Louis Beffa (Saint-Gobain), Etienne Davignon
(Société Générale de Belgique), Francois Cornelis
(Petrofina), Carlo De Benedetti (Cofide-Cir), Mark Wossner (Bertelsmann).
Per una storia dell'Ert e dei suoi metodi, leggere Gérard De Sélys,
Privé de public, à qui profitent les privatisation, Editions
EPO, Bruxelles, 1995. Leggere inoltre Susan George, "Trasnazionali, quinta
colonna a Bruxelles" Le Monde diplomatique/Il Manifesto, dicembre 1997.
appel à la résistence contre la privatisation de l'enseignement,
EPO, Bruxelles, maggio 1998.
(2) Olivetti, Philips, Siemens, Ici, Ericsson, General Electric Company, Bertelsmann
(software didattici), British Telecom, Telefonica.
(3) L'educazione e Informazione a distanza, Sec (90) 476, 7 marzo 1990
(4) Rapporto sull'insegnamento superiore aperto e a distanza nella comunità
europea, Sec (91), 388 finale, 24 maggio 1991.
(5) Memorandum sull'apprendimento aperto e a distanzanella comunità
europea, Com (91) 388 finale, 12 novembre 1991.
(6) L'Europa e la società dell'informazione Planetaria, Cd-84-94-290-1T-C,
26 maggio 1994.
(7) Leonardo Da Vinci, programma d'azione per l'attuazione di una politica
di formazione professionale della comunità europea, 1995-1999, Ufficio
delle pubblicazioni ufficiali delle comunità europee, Lussemburgo.
Si veda altresì il Journal Offciel des Communautés Européennes,
L 340 del 29 dicembre 1994, p.8.
(8) Une education européenne - vers une société qui apprend,
Rapporto della tavola rotonda degli industriali europei, Ert febbraio 1995.
(9) Libro bianco dell'istruzione e la formazione. Insegnare a apprendere:
verso la società cognitiva. Com (95) 590 finale. Il commissario europeo
responsabile per l'istruzione era allora Edith Cresson, già primo ministro
francese.
(10) Journal officiel des Communautés européennes, L. 87 del
20 aprile 1995.
(11) Leggere Philippe Rivière, "Les sirènes du multimédia
à l'école", le Monde diplomatique, aprile 1998.
(12) Adult Learnig and Tecnology in Oecd Countries, Ocse, Parigi, 1996.
(13) Intemationalisation ofhigher Education, Ocse, Parigi, 1996.
(14) L'insegnamento a distanza nel diritto economico e nel diritto dei consumi
sul mercato interno, Ufficio delle Pubblicazioni ufficiali delle comunità
europee, Lussemburgo, 1996.
(15) The European Skill Accreditation System, Esas, senza data né riferimenti.
(16) Resoconto dei Conscil Education dei 6 inaggio 1996 (680: 96 Presw 122-G).
(17) Les Tecnologies de l'information te l'Avenir de l'einsegnement post-secondaire,
Ocse, Parigi 1996.
(18) Investir dans la connaissance - l'intégration de la technologie
dans l'éducation européenne, Ert, Bruxelles. febbraio 1997.
(19) Les Echos, 21 febbraio 1995
(20) Daniel Van der Gucht, Les Investissemens éducatifs des familles
en communauté francaise, Université libre de Bruxelles, Institut
de sociologie, Centre de Sociologie générale et de méthodologie,
marzo 1997.
(21) Regards sur l'éducation - Les indicateurs de l'Ocde, Parigi, 1997.
(22) Les Echos, 3 febbraio 1998. 1 franco = 290 lire circa.