Il
polo imperialista europeo.
Globalizzazione
significa anche accrescersi della concorrenza tra i tre poli imperialisti:USA,
Europa, Giappone. Associazione In Movimento. Settembre 1998.
Il termine
"globalizzazione" Ù entrato nel vocabolario sia della sinistra che della destra
in tutto il mondo e spesso, forse per il suo successo, ognuno gli ha attribuito
un significato diverso. Noi per "globalizzazione" intendiamo un periodo del
capitalismo, l'attuale, caratterizzato da un intensificarsi senza precedenti
della concorrenza sul piano planetario, dovuto all'estensione planetaria e
senza ostacoli del mercato capitalista. Alcuni analisti tendono invece a considerare
la "globalizzazione" una sorta di processo di unificazione mondiale del capitalismo,
un capitalismo unitario dominato dal capitale finanziario e che farebbe persino
evaporare i confini nazionali. Pensiamo che questa visione sottostimi il potenziale
di contraddizioni che questa nuovo periodo arreca con sÙ. Questo periodo
ha conosciuto una sua fase di incubazione tra gli anni settanta e gli anni
ottanta, in cui la lotta interimperialista tra Europa Occidentale, NordAmerica
e Asia era in qualche modo mascherata ed attutita dal confronto globale tra
"Occidente" (cioÙ l'alleanza di Giappone, Europa Occidentale e USA) e URSS.
Una volta dissoltasi l'URSS questa concorrenza si Ù potuta dispiegare in termini
espliciti. Il termine "globalizzazione" ha contribuito a nascondere per un
po' questa realtõ. Ma quando una azienda europea dice di volersi ristrutturare
per via della "globalizzazione" sappiamo cosa intende: attrezzarsi contro
la concorrenza di Asia ed USA. Il capitale finanziario esprime al massimo
livello l'integrazione tra industria e finanza. La liberalizzazione dei capitali
permette la mobilitõ selvaggia sia delle produzioni che dei flussi finanziari.
Tale liberalizzazione crea e distrugge altrettanto rapidamente lo sviluppo
economico di interi paesi. Liquidare questo processo come responsabilitõ esclusiva
dei singoli speculatori della finanza non corrisponde alla realtõ dell'essenza
stessa del capitale finanziario. Quando parliamo
di America, Asia ed Europa come di tre poli imperialisti, non intendiamo qualcosa
di unificato. Si tratta di punti di attrazione all'interno dei quali sono
fortissime le contraddizioni. In realtõ quello degli anni novanta Ù un mondo
multipolare, in cui gli USA detengono un ruolo di primo piano, ma certo non
incontrastato. Il polo nordamericano Ù costituito da USA e Canada, le cui
economie sono fortemente intrecciate, ma dove comunque le borghesie sono ben
distinte e con interessi a volte differenziati. Il fine degli USA a livello
continentale Ù quello di smantellare gli accordi multilaterali sorti negli
ultimi vent'anni in America Latina (Pacto Andino, Mercosur, ecc.), in pratica
vorrebbero un'estensione del Nafta. Anche recenti episodi ci fanno vedere
che le borghesie latinoamericane, pur dipendenti, resistono a questa logica
cercando di rimandare il piá possibile l'appuntamento. Ÿ chiaro che un accordo
di questo genere punterebbe ad emarginare la fortissima penetrazione europea
che in alcuni Paesi chiave (ad esempio il Brasile) Ù superiore a quella USA.
Ma gli USA hanno comunque una politica planetaria e puntano a farsi largo
utilizzando l'enorme potenziale militare di cui sono dotati. Gli USA hanno
resistito all'assalto dell'Asia degli anni ottanta con un classico schema
liberista: evitando il protezionismo, hanno di fatto spinto le loro aziende
a gigantesche ristrutturazioni. Oggi questo polo Ù in netto recupero sull'Asia.
Il polo asiatico
Ù in assoluto quello meno omogeneo. Per un capitalista del tessile riveste
una scarsissima importanza sapere se i tessuti a prezzo stracciato vengono
dalla Cina o dalla Corea: sempre Asia Ù. Ma all'interno di questo continente
abbiamo Paesi con interessi e tradizioni nettamente differenziati: il Giappone
che ha finanziariamente sostenuto il boom di quasi tutte i Paesi del continente
(ed Ù ora anche per questo fortemente esposto) ñ un Paese classicamente imperialista,
la Cina dall'ascesa impetuosa e che non conosce pari nella storia economica
di questo secolo, ñ tuttora un Paese dipendente, poichõ la sua crescita dipende
in ultima analisi dal mercato mondiale capitalista. Oggi l'economia giapponese
ñ in crisi. Ha una struttura statale non adatta alla competizione globale
con gli USA. Il polo europeo
Ù quello economicamente piá potente. Ha la quota maggiore della produzione
mondiale di manufatti, del commercio mondiale, ecc. Ha una tradizionale presenza
in Africa, e crescente in America Latina e Asia. Inoltre Ù il luogo in cui
si sta sviluppando da tempo un processo di aggregazione che non ha precedenti
e che l'Asia per esempio Ù ben lungi dal poter realizzare. Sono Francia e
Germania i due imperialismi che, con modalitõ diverse, hanno capito per primi
la necessitõ dell'unificazione per affrontare USA e Asia. Nei confronti dell'Asia,
al contrario degli USA, l'Europa ha adottato un protezionismo controllato
e concordato (per cui ad esempio non si Ù verificata l'invasione delle auto
giapponesi); ciÊ Ù avvenuto per via della presenza sul suolo europeo di un
forte movimento operaio, che ha sconsigliato ristrutturazioni che spedissero
in mezzo alla strada centinaia di migliaia di lavoratori. Non Ù un caso che
il trattato di Maastricht nasce all'inizio degli anni novanta: cioÙ negli
anni della competizione globale. Le borghesie europee avevano capito che dopo
il crollo dell'URSS la concorrenza con gli altri due poli si sarebbe acuita
e che si poneva la necessitõ di una fortissima accelerazione del processo
di unificazione economica. Non Ù nemmeno un caso che si sia partiti dalla
moneta e non dalla "politica": il problema era quello di dotarsi di strumenti
che permettessero di combattere la battaglia sul piano economico. La moneta
unica sta giõ creando l'atmosfera propizia per un gigantesco processo di concentranzione
europea delle aziende, che ora sono troppo frammentate: ad esempio in Europa
ci sono 6 grandi multinazionali dell'auto contro le tre USA ed altrettante
giapponesi. Dunque non
Ù affatto vero che la "globalizzazione" comporta un superamento degli stati
nazionali. Al contrario. Gli stati e le loro strutture sono assolutamente
fondamentali alle varie borghesie nazionali per competere nel mondo. Chi ha
una struttura statale debole viene sommerso. Per "struttura statale" intendiamo
l'insieme di quegli strumenti al servizio del capitale: gli apparati repressivi,
l'esercito, la politica estera, la politica finanziaria, ecc. L'unificazione
europea dunque va vista come il tentativo non di superare i confini nazionali,
ma di creare uno stato piá forte, piá grande, in grado di competere con gli
USA e l'Asia. In questo processo si sono registrate divergenze tra i vari
imperialismi europei. CiÊ Ù dovuto al fatto che le formazioni politico sociali
e il sostrato economico Ù spesso drammaticamente diverso. La Germania ha un
apparato economico formidabile, ma con un movimento operaio potenzialmente
troppo forte per correre l'avventura di una qualsiasi forte ristrutturazione.
L'approccio tedesco verso l'esterno Ù improntato al basso profilo militare
e all'ampio impiego di risorse economiche. Ÿ sbagliato pensare come molti
nella sinistra che Europa Unita significa dominio della Germania, cercando
di alimentare un nazionalismo italiano di cui francamente non avvertiamo alcuna
necessitõ. La Germania Ù certamente l'imperialismo piá forte, ma anche tutti
gli altri hanno un interesse autonomo e indipendente all'alleanza strategica
europea: nessuno di loro sopravviverebbe, solo, nel mare in burrasca della
competizione globale. La Francia invece Ù costretta per mantenere il suo status
di partner della Germania a supplire alle sue carenze sul piano economico
con una politica di potenza di tipo militare. La Gran Bretagna ha una economia
fortenemente intrecciata con quella USA e dunque per questo la competizione
con la Germania, e dunque con l'Europa, Ù forte. Inoltre la Gran Bretagna
ha attuato quelle ristrutturazioni che gli altri Paesi non hanno ancora fatto:
dal punto di vista dei capitalisti Ù "piá avanti". In Italia
la borghesia Ù sempre stata cosciente dei pericoli che la competizione globale
comportava. Per questo all'inizio degli anni novanta ha sostenuto, pagando
dei prezzi (processo a Romiti, ecc.), con i suoi media e varie forme di pressione
la "rivoluzione'" di Mani Pulite che ha spazzato via un personale politico,
quello della DC e del PSI, totalmente incurante dei problemi legati alla "globalizzazione".
Nel governo Ciampi, in quello Dini e ora con Prodi la borghesia ha trovato
i soggetti politici che le hanno permesso in extremis di agganciare la locomotiva
europea. Oggi che il polo asiatico Ù momentaneamente in crisi la lotta di
concorrenza Ù sopprattutto tra Europa e USA. Tutte le vicende della politica
estera, quel piano trasparente cioÙ attraverso cui Ù possibile intravvedere
lo scontro tra le merci, vanno lette anche con questa chiave. Ognuno si gioca
le sue carte: gli USA quelle della potenza militare e di una rappresentanza
politica straordinariamente stabile. L'Europa gioca in sottotono facendo leva
semplicemnte sulla propria forza economica e i pochi vantaggi di non dover
mantenere una complessa macchina di sorveglianza del mondo. Di qui la guerra
sotterranea condotta in Medio Oriente, tra gli USA che cercano di preservare
i propri interessi strategici facendo uso della forza e l'Europa che con le
sue "aperture" cerca di approfittare dell'assenza forzata del capitale americano
da Paesi con enormi potenzialitõ (e che magari, sono sottoposti a embargo).
La lotta interimperialistica Ù stata finora giocata con un certo fair play:
non sarõ piá cosè quando scoppieranno le cicliche, devastanti crisi recessive,
accompagnate magari da sollevazioni e dall'affermazione di personale politico
scarsamente controllabile dalla borghesia. Giõ oggi l'imperialismo francese
preme perchÙ l'Europa si doti di un apparato militare autonomo da quello USA.
Forze analoghe premono in Giappone. La debolezza della borghesia europea Ù
la forza residua del proprio movimento operaio. Se le borghesie europee, ad
esclusione di quella inglese, non sono riuscite a fare quello che hanno fatto
gli USA Ù semplicemente dovuto alla paura di rivolgimenti sociali. Gli USA
hanno un apparato politico che non presenta sorprese: l'elettorato non va
in maggioranza a votare e quando vota ha solo due alternative che sono, dal
punto di vista delle scelte economiche, assolutamente identitiche. Negli USA
inoltre c'Ù un movimento operaio con tradizioni di lotta nemmeno lontanamente
comparibile a quello europeo: negli USA uno sciopero generale non c'Ù mai
stato. In Europa esistono invece forti partiti di sinistra, spesso moderatissimi,
che al di lõ della loro natura mantengono forti legami di massa., ci sono
forti sindacati, iperconcertativi certo, ma che comunque cche possa accadere
che il padrone licenzi senza ammortizzatori sociali anche metõ della manodopera
a un giorno all'altro. Eppure di questo genere di "libertõ" avrebbe bisogno
la borghesia europea per competere con chi questa "libertõ" l'ha giõ. Questa
necessitõ si Ù tradotta in tutta una serie di attacchi negli ultimi anni alla
"rigiditõ" della forza lavoro, al salario, allo stato sociale (scuola, salute,
pensioni) in tutti i paesi europei. CiÊ ha prodotto ovunque una serie di lotte
difensive che certo hanno impedito la sconfitta storica, ma hanno continuamente
arretrato la linea dello scontro. In ciÊ sono stati complici le direzioni
sindacali che in tutti i Paesi hanno contrattato pezzetti di sconfitte, contribuendo
a minare lo spirito di lotta e le possibilitõ di rivincita. A livello politico
i partiti di sinistra di massa hanno spesso gestito a livello governativo
quelle misure che hanno permesso l'unificazione monetaria europea. Hanno contribuito
cosè al disincanto collettivo, all'approfondimento del riflusso e al puntuale
ritorno delle destre. La sinistra non Ù stata in grado di opporre nemmeno
ideologicamente una visione alternativa. Quella piá moderata ha assunto l'unificazione
europea come paradigma di per sÙ progressista. Quella piá radicale non ha
saputo neppure comporre una analisi dignitosa e comune del processo in atto.
Per esempio da parte di alcuni partiti comunisti europei si contesta la NATO
perchÙ si vorrebbe un esercito europeo, come se ciÊ fosse piá progressista.
Innumerevoli partiti di sinistra tifano per il proprio imperialismo o quello
europeo, in occasione di scontri con gli USA. Altri denunciano la "germanizzazione",
come se l'"italianizzazione" o la "francesizzazione" dovessero farci dormire
sonni piá tranquilli. Altri non capiscono proprio nulla gridando allo strapotere
di multinazionali senza piá nazioni e dunque rinunciando a comprendere il
perchÙ di tutte le guerre che scoppiano a ritmo mensile (se infatti non ci
sono piá stati, perchÙ le guerre tra stati aumentano?). Eppure la costituzione
del polo imperialista europeo e la sua integrazione per affermarsi DOVRA'
necessariamente passare sul cadavere della classe lavoratrice. Se i lavoratori
accettano di stare nella stessa barca con il proprio imperialismo per affrontare
la concorrenza degli altri non avranno scampo: ciÊ non potrõ avvenire che
con una rincorsa sempre piá al ribasso verso le peggiori condizioni esistenti.
I "modelli" da seguire saranno sempre quelli dove i lavoratori staranno peggio.
Non potremo che vedere in futuro attacchi sempre piá massicci alla "eccezione"
europea: ridimensionamento della scuola pubblica, privatizzazioni massicce,
tagli sulle pensioni e sulla salute, flessibilizzazione che arrivi sino alla
totale libertõ di licenziamento, ecc.