La campagna delle bandiere.
Considerazioni su una campagna che ha portato più di due milioni di persone ad esporre dal proprio balcone la bandiera della pace. Un successo nella lotta contro la guerra, un'occasione di riflessione per la sinistra radicale. REDS. Aprile 2003.


La bandiera della pace

L'origine della bandiera della pace, che riproduce i colori dell'arcobaleno, viene fatta risalire dai promotori della campagna (http://www.bandieredipace.org) ad Aldo Capitini, massimo teorico italiano della non violenza. L'avrebbe utilizzata per la prima volta nel 1961 in occasione della Marcia per la Pace Perugia-Assisi. Vi sono in realtà anche altre versioni, ma non ci pare una questione di grande interesse. Quello che importa è che l'uso di massa della bandiera della pace è cominciato con le mobilitazioni dei primi anni ottanta contro l'installazione dei Cruise in Italia (vedi Venti anni di storia dei movimenti pacifisti e di solidarietà internazionale). All'epoca, in quello che si chiamava "movimento per la pace" si confrontavano un'area "moderata", attenta a non dare un'eccessiva connotazione antistatunitense e antiNATO alle mobilitazioni (e che "lottava" perché Usa e Urss trovassero un accordo, nell'attesa del quale era nella sostanza contraria ad atti di disarmo unilateriali), incarnata soprattutto da Pci e Fgci, e una "unilateralista", più radicale, comprendente Democrazia Proletaria, altri pezzi di estrema sinistra e settori cattolici (che però all'inizio dell'81 erano assai deboli). Fu il settore più "moderato" ad adottare la bandiera della pace (divenne una specie di stendardo della Fgci), per mitigare la presenza delle bandiere rosse (in quegli anni ben più numerose di oggi), che sapevano troppo di "unilateralismo". La bandiera per la pace dunque aveva un significato preciso di posizionamento all'interno del movimento e stava ad indicare il suo settore più moderato. Come vedremo il significato della bandiera della pace, oggi, invece, è completamente diverso.

Lo sviluppo della campagna

La campagna "Pace da tutti i balconi!" tesa a far sì che venga esposta la bandiera da ogni appartamento, è stata promossa dalle seguenti associazioni: Associazione Botteghe del Mondo, Associazione Obiettori Nonviolenti, Attac, Azione Cattolica, Banca Etica, Beati i Costruttori di Pace, CEM Mondialità, Chiama l'Africa, Comunità Papa Giovanni XXIII, Comunità Telematica Manipulite.it, Coordinamento Comasco per la Pace, Emergency, Focsiv, Gi.Fra. Minori, Libera, Manitese, Medici Senza Frontiere, Missione Oggi, Movimento Nonviolento, Nigrizia, Pax Christi, Peacelink, Rete di Lilliput, Rete Radiè Resch, Sermig, Tavola della Pace, Arci. Secondo i promotori:

"L’idea di manifestare il NO alla guerra in Iraq con la bandiera della pace esposta dalle abitazioni nasce la sera del 15 settembre 2002, a conclusione del Giubileo degli oppressi a Bologna: un gruppo di persone appartenenti a diverse associazioni insieme ad Alex Zanotelli pensa un'iniziativa che possa attivare tutti i cittadini italiani e che consiste appunto nell'appendere ai balconi di casa la bandiera della pace per dichiarare il proprio no alla guerra. La richiesta di adesioni viene inoltrata alle associazioni legate alla Rete di Lilliput e trova un'immediata ed entusiasta risposta. Successivamente, l'iniziativa si è affiancata alla campagna 'Fuori l'Italia dalla guerra' promossa tra gli altri da Emergency, Libera, Rete di Lilliput e Tavola della Pace."

Secondo i comunicati del sito dei promotori, la campagna ha guadagnato nel tempo le seguenti dimensioni:

27 gennaio
8 febbraio
17 marzo
data del rilevamento
200.000
800.000
2.500.000
numero di bandiere vendute

Il fenomeno ha coinvolto tutta l'Italia, con punte in Veneto, Trentino Alto Adige, Lombardia ed Emilia Romagna.

Da gennaio a metà febbraio governo, media e istituzioni hanno cercato di scoraggiare il fenomeno. A Milano polizia e carabinieri in alcuni casi hanno richiesto i nominativi dei condomini che esponevano la bandiera, molti dirigenti scolastici hanno impedito attivamente l'esposizione della bandiera dalle scuole, mentre i parlamentari della destra segnalavano indispettiti e scandalizzati le scuole che l'appendevano. In quel periodo, così, si sono combattute nelle famiglie e nelle scuole "battaglie" gestite in prima persona da gente che spesso non partecipa nemmeno ai cortei. A giudicare dall'estensione raggiunta a metà marzo (quando la progressione si è fermata) queste "battaglie" sono state spesso vinte. Sul Corriere della Sera del 17 marzo Renato Mannheimer ha presentato un sondaggio in base al quale il 22% della popolazione dichiarava di avere esposto la bandiera. Una percentuale non realistica se si tiene conto del numero, pur notevolissimo, delle bandiere vendute. Evidentemente hanno risposto "sì" anche coloro che hanno contribuito a esporle a scuola o sul posto di lavoro. Non solo: il 14% intende esporla (tra costoro, supponiamo, molti che non l'hanno trovata). Il 21% intende esporla ma non può farlo (tra costoro immaginiamo molti di quelli che la loro piccola battaglia in famiglia o altrove non l'hanno vinta). Non intende esporla il 42%. E' anche significativo che solo l'1% non sa e non risponde: quindi in pratica tutti sanno di che cosa si sta parlando e tutti hanno preso una posizione al riguardo, il che sta a testimoniare più di qualsiasi altro dato la fortissima penetrazione della campagna.

Le componenti del movimento alla prova della campagna

I promotori della campagna sono sostanzialmente dell'area Lilliput. Come è tipico di questa componente, essa ha privilegiato i rapporti coi piccoli gruppi, più che con quelli grandi. Non ha accettato le adesioni dei partiti, ma solo delle loro sezioni locali. E' interessante dunque dare un'occhiata all'elenco dei punti locali di distribuzione per comprendere la tipologia delle realtà locali che appoggiano la campagna. Un qualche sociologo che abbia più tempo di noi studierà il fenomeno in maniera più dettagliata, per quanto ci riguarda da una prima sommaria analisi dell'elenco (costituito da circa 580 gruppi), troviamo che la gran parte di esso è costituito da entità (botteghe del commercio equo, gruppi avis, scuole, circoli legambiente, wwf, ecc.) non direttamente riconducibili ad una determinata cultura politica. Tra quelle "riconducibili" troviamo che il 22% sono di matrice direttamente cattolica (parrocchie, oratori, Azione Cattolica, Acli), l'8-9% dell'area del centrosinistra (sezioni DS, Margherita, PdCI), solo il 2-3% rappresenta entità di settori politicamente più "a sinistra" (prc, social forum, centri sociali). Pochissime le Camere del Lavoro coinvolte.

Si tratta certo di una statistica poco accurata, però significativa, e che "visualizza" comunque un non detto evidente a tutti coloro che si stanno muovendo contro la guerra. La campagna della bandiera è stata vissuta da coloro che si ritengono politicamente più a sinistra, come una campagna "moderata". Si è trattato di un grave errore di valutazione. Nononstate ci sentiamo, per analisi e formazione, dentro l'area più radicale, dobbiamo dire che i nostri compagni hanno perso un'occasione, per settarismo e adesione a vecchi modi di far politica. La campagna ha spinto i singoli a prendere posizione. Come comunisti siamo troppo abituati a pensare che le uniche battaglie che contano sono in buona sostanza la manifestazione e lo sciopero. Ma vi sono battaglie altrettanto importanti che l'individuo intraprende in famiglia, nel posto di lavoro, a scuola, nel condominio, in parrocchia. E' sulla base degli insegnamenti tratti dagli esiti di queste piccole battaglie (che non giungono ai mass media) che gran parte della gente arriva anche alla partecipazione alla grande manifestazione. Ignorare questi strumenti di lotta "piccoli" significa ignorare il contributo del singolo, il radicamento nel locale, ecc. Non è cosa semplice ad esempio esporre la bandiera nel proprio condominio: significa prendere posizione di fronte a tutti, significa rompere l'anonimato e l'ordine, significa esporsi. Il gesto ha una grande valenza politica. E non a caso la destra ha capito perfettamente, e sino all'ultimo ha cercato di ostacolare lo sviluppo della campagna e si è arresa solo nel momento in cui la diffusione della bandiera era così ampia da rendere impossibile fermarla o intimidirla. Il Foglio e altri giornali di propaganda hanno cercato di indurre una controcampagna a suon di bandiere italiane e statunitensi: il loro fallimento vergognoso è sotto gli occhi di tutti. Più furbescamente la sinistra moderata, pur non essendo certo stata tra i promotori della campagna, si è subito buttata a pesce, molto più attenta della sinistra radicale al radicamento territoriale. Spesso la ritrosia del settore lillipuzziano a "scendere in piazza" è scambiato dai militanti "comunisti" per moderatismo, pensiamo invece che i comunisti abbiano molto da imparare da questi settori se vogliono rinnovare il loro modo di far politica. Certo sappiamo che la cosa è reciproca: è alla sinistra "classica" che va gran parte del merito della straordinaria mobilitazione dei primi giorni di guerra, anche se tutti i settori vi hanno partecipato. In ogni caso dovrebbe costituire un elemento di riflessione il fatto che nella base del PRC è ben difficile trovare un qualsiasi militante che non abbia esposto dal suo balcone la bandiera.

La campagna inoltre ha dato modo al dissenso cattolico di emergere, nel suo classico stile: riparandosi dietro le parole del papa, in diverse parrocchie i parroci non hanno potuto opporsi alla spinta che veniva dal basso di manifestare contro la guerra anche esponendo la bandiera. Al tempo stesso il successo della campagna sta a testimoniare un ulteriore passo nel processo di radicalizzazione di questi ambienti, che, come è tipico della tradizione italiana, costituiscono un chiaro segnale di radicalizzazione complessiva della società.

Un unico aspetto negativo di questa campagna: ad eccezione dei luoghi dove c'è un lavoro politico, le bandiere sono state esposte più nei quartieri di classe media che in quelli popolari. Eppure dallo stesso sondaggio di Mannheimer risulta come proprio nei settori più disagiati della popolazione (e che più di tutti avevano votato Berlusconi, per quanto paradossale ciò possa sembrare) l'opposizione alla guerra sia cresciuta: il 14 marzo il 75% degli intervistati (il 64% il 12 febbraio) si è dichiarata contraria alla guerra in ogni caso, metà dei quali appartenenti all'elettorato del centrodestra, e il "no" riguarda di più donne, under 25, over 65 e persone con basso titolo di studio. Quindi c'era una potenzialità che non è stata sfruttata: il movimento contro la guerra (come quello "noglobal") continua a mantenere una distanza "operativa" dai settori più disagiati della popolazione.

Ernesto si preoccupa

Uno dei più feroci, e intelligenti, avversari della sinistra, Ernesto Galli della Loggia, ha reso omaggio al successo della campagna sulla prima pagina del Corriere della Sera del 27 marzo ("L'arcobaleno rosso antico"). Naturalmente lo fa con i limiti politici e la confusione tipica degli anticomunisti viscerali che vedono Marx dietro ogni porta. Ernesto Galli della Loggia immagina che vi sia una fantomatica "sinistra" che furbescamente ha organizzato tutta la campagna. Non si rende assolutamente conto di come siamo messi male. Dato che lui, poi, come tutti i liberali, ha escluso dal novero dei propri strumenti analitici la forza e il potere del grande protagonista del secolo scorso e di questo, la massa, quando scrive di "sinistra", si riferisce sostanzialmente ai suoi capi. Gli sfugge dunque che il successo della campagna è dovuto alla voglia di partecipazione che viene prepotentemente dal basso e che ha travalicato e superato i confini della sinistra "classica", e che ha "usato" una proposta proveniente da settori sostanzialmente anche se non esclusivamente cattolici (che comunque votano a sinistra, e spesso all'estrema sinistra). I meriti che lui attribuisce alla sinistra insomma, andrebbero invece destinati al popolo di sinistra. Eppure il suo editoriale ci pare significativa dimostrazione del successo della campagna, e con stralci di esso concludiamo il nostro pezzo:

"Una nuova bandiera sventola da settimane su tutti i cortei, sulle folle che percorrono le città italiane protestando contro la guerra. È la bandiera dai colori dell’arcobaleno - detta appunto della pace - che però è molto più di questo. Virtualmente - almeno in Italia - essa è ormai la nuova bandiera della sinistra. Dopo aver fatto la prova in passato nelle manifestazioni no-global e in altre occasioni, eccentriche rispetto alla consolidata tradizione socialista, oggi è il vessillo che sta soppiantando la bandiera rossa di un tempo. La comparsa e la diffusione di una nuova bandiera rappresentano sempre un fatto politico importante."
"Ogni bandiera è un simbolo e nessuna cosa come la politica, quella vera, si nutre di simboli e insieme li produce.
Nel caso nostro la comparsa della bandiera della pace testimonia essenzialmente di un fatto: della straordinaria capacità della sinistra italiana di rinnovarsi culturalmente pur restando in certa misura sempre se stessa e, rinnovandosi, di riprodursi, di rinvigorire e allargare la sua influenza, riuscendo per questa via non dico a superare ma perlomeno a tenere a bada la sua innegabile crisi politica. Il conflitto Usa-Iraq ha testimoniato che, pur immersa in questa crisi, la sinistra si mostra però capace egregiamente di creare miti e parole d’ordine nuovi, di riaccreditarsi come un orizzonte morale. Nonché di riuscire a neutralizzare altrettanto egregiamente le eventuali contraddizioni in cui queste nuove prospettive la pongono rispetto al suo passato."
"Ma sbaglierebbe, sbaglierebbe di grosso, credo, chi in tutto questo non vedesse altro che opportunismo o strumentalizzazione. Non è affatto così. Si tratta in realtà di una capacità di produzione e di autoriproduzione culturale che viene alla sinistra innanzitutto dalla sua inclinazione/disponibilità a essere in sintonia con l’aria dei tempi"
"Come non restare ammirati di fronte a simile capacità egemonica? La quale dipende non solo da una fortissima consapevolezza dell’importanza delle idee e del ruolo che nella politica ha la cultura, non solo dipende dalla capacità di produrre senso comune articolando il passaggio di materiali culturali dai luoghi alti dell’elaborazione delle idee all’ambito del consumo di massa delle stesse, ma ha a che fare anche con qualcos’altro. E cioè con la propensione - che in certo senso è storicamente costitutiva della sinistra - a conferire alla propria presenza politica un sovrappiù etico, un’anima; la propensione ad alimentare tale presenza con una continua attenzione/tensione ai valori.
C’è bisogno di aggiungere che è precisamente tutto questo che in Italia fa difetto alla destra? Da sempre, in Italia, la moderazione politica, quella parte della democrazia che non si riconosce nella sinistra, non riesce a liberarsi di un’atmosfera di moderatume privo di slancio e di passioni, non riesce a mettere in campo cultura, fantasia, parole d’ordine e dunque, alla fine, neppure bandiere. Non riesce - come invano il Foglio la invita intelligentemente - ad alzare la bandiera dell’orgoglio etico-politico e della sfida sui valori. La destra italiana è convinta che tutte queste siano cose inutili, superflue, che possono essere lasciate tranquillamente alla sinistra. La quale in questo modo rimane ancor di più padrona incontrastata della scena sociale e della comunicazione pubblica, detentrice dell’unico discorso che apparentemente il Paese faccia e delle relative emozioni. Riuscendo così a recuperare quel terreno che le sue disavventure politiche le hanno fatto perdere. Non c’è che dire: tanto di cappello!"