Caccia agli uiguri
nello Xinjiang
Le
manifestazioni di piazza che hanno visto protagonista il popolo uiguro hanno
radici lontane.
Ancora una volta si opprime una nazionalità con motivazioni pretestuose
per affermare gli interessi economici delle classi dominanti. Reds - Luglio
2009
Una
premessa
Lo Xinjiang , grande cinque volte l'Italia, è la più estesa regione
amministrativa e il principale bacino energetico della Cina. Le stime nazionali
indicano che le riserve di gas naturale e petrolio dello Xinjiang supererebbe
i 30 miliardi di tonnellate. Una ricchezza che però stride con l'arretratezza
generale dell'area.
Il Governo centrale di Pechino, se da un lato frena lo sviluppo sociale della
regione, dall'altro attinge largamente alle sue riserve e promuove la crescita
della produzione petrolifera, che ha superato ormai quella del giacimento di
Daqing, uno dei più grandi al mondo.
Nel 2007 lo Xinjiang, grazie a una produzione di petrolio e gas equivalente
salita a 45 milioni di tonnellate, ha raggiunto il primo posto tra i bacini
energetici cinesi. Secondo i dati più recenti la regione ha fornito 75mila
tonnellate di greggio al giorno: una fetta che vale il 14,4% dell'intera produzione
nazionale.
Un
po' di storia
Dopo la rivoluzione
del 1949, Mao pensò bene di inviare in questa regione l'esercito di liberazione
popolare, sia per le ragioni sopra dette ma anche per chiudere la partita a
risiko ingaggiata oltre mezzo secolo prima da Russia e Inghilterra per aggiudicarsi
il controllo dell'Asia centrale. Ma la "liberazione" si è trasformata
molto presto in una vera e propria colonizzazione da parte dei cinesi han nei
confronti dei cinesi uiguri.
Duecento anni fa, quando misero le mani sullo Xinjiang, gli imperatori Qing
lo chiamorono "nuova frontiera". Con la scusa di difendere quella
nuova frontiera - sterminata, labile e pericolosa - fin dalla metà degli
anni 50, Pechino ha inviato nella turbolenta provincia dell'ovest centinaia
di migliaia di militari.
Dopo l'esercito in armi è arrivato anche quello composto dai civili che
ha completato l'operazione di "ripopolamento" di intere zone dello
Xinjiang. Risultato: mezzo secolo fa, quando s'impadonirono della provincia
gli han erano solo il 6% degli abitanti; oggi sono oltre la metà di una
popolazione che ha raggiunto i 20 milioni di persone, e di cui gli uiguri rappresentano
ormai solo il 44%. Così, loro malgrado, i vecchi padroni di casa sono
stati declassati a minoranza etnica.
Oggi:
l'oppressione nazionale.
Urumqi, la grande capitale, centro degli affari economici e sede del potere
politico e amministrativo, è sicuramente il luogo dove gli effetti della
colonizzazione forzata degli han sono più evidenti. Qui ogni traccia
dell'antico nomadismo uiguro è stata spazzata via per fare spazio agli
orrori della modernizzazione cinese. Ed è in questa città che
si sono verificati gli scontri più pesanti con la Polizia cinese con
i conseguenti 186 morti rimasti sul terreno, mille feriti e più di 1400
arresti (queste sono le cifre ufficiali: i numeri indicati dalle organizzazioni
uigure sono molto più alti).
Nelle scuole è proibito l'insegnamento della linua uigura e ai dipendenti
pubblici è vietato portar la barba lunga, comune tra certi mussulmani
ed è vietato anche pregare o digiunare durante l'orario di lavoro.
Le donne che che lavorano per lo stato non possono usare veli che coprono la
testa.
Gli uiguri
sono discriminati anche nell'accesso alle cure sanitarie, all'istruzione, alla
casa e al lavoro.
I giovani uiguri sono spesso costretti ad andare a lavorare in province lontane,
mentre milioni di persone del resto del paese sono incoraggiate dal governo
di Pechino a trasferirsi nella provincia dello Xinjiang con promesse di lavoro
e altri incentivi.
Così sono in corso di annientamento le tradizioni, lingua e cultura delle
popolazioni nomadi turcofone e mussulmane che hanno sempre vissuto in questo
sconfinato lembo di sabbia compreso tra i monti Altai, il bacino del Tarim e
l'altopiano tibetano, ma sono invece sopravvissute a Kashgar e a Hotan, le due
città periferiche che sono rimaste il cuore pulsante delle terre dei
turchi orientali.
In questi centri urbani il risentimento nei confronti dei cinesi invasori cova
da decenni sotto le ceneri di un'apparente normalità. Un risentimento
che, a causa di una situazione di profondo sottosviluppo, favorito da un'evidente
e odiosa sperequazione economico-sociale (i cinesi si sono arricchiti con le
risorse locali, mentre gli uiguri sono rimasti poveri in canna), è sempre
pronto a scoppiare, a trasformarsi in manifestazioni e sommosse popolari contro
le autorità locali. A Yining, ad esempio, nel 1997 le forze governative
reagirono violentemente ai disordini di piazza, provocando una gran quantità
di morti. Ma ciò ha determinato una escalation della repressione.
Dopo gli attacchi dell'11 settembre 2001 la persecuzione del governo cinese
contro gli uiguri si è intensificata. Alcuni dei leader sono stati accusati
di aver legami con al Qaeda e sono stati messi in carcere. La repressione contro
qualsiasi gruppo di uiguri sospettato di terrorismo, estremismo religioso o
separatismo è implacabile, sistematica e permanente.
Tutto ciò va avanti da decenni.
Ciò ha comportato la nascita di gruppi terroristici anti cinesi, come
il movimento islamico del Turkestan orientale (Etim), una cellula di matrice
integralista che vorrebbe trasformare lo Xinjiang in uno stato islamico fondato
sulla Sharia. Una volta placate le rivolte di piazza di questi giorni, che hanno
portato il presidente Hu Jintao ad abbandonare repentinamente i lavori del G8,
c'è il rischio molto concreto che la lotta anti cinese riparta proprio
da queste formazioni, per la semplice ragione che sone quelle più radicate
e maggiormente organizzate.
Gli
uiguri sono isolati
In Cina si discriminano e uccidono i mussulmani e il momdo islamico che nel
2005 reagì con indignazione e furia alla publicazione delle caricature
di Maometto è, nei fatti, cieco sordo e muto di fronte alla violenza
e alla discriminazione subite dagli uiguri.
La Lega Araba, i governi dei paesi mussulmani, le organizzazioni islamiche europee
e asiatiche non hanno emesso comunicati che in qualche modo facciano intendere
che attorno al popolo uiguro si sta sviluppando un movimento di solidarietà.
Gli uiguri che hanno profondi legami etnici con la Turchia e la cui lingua ha
radici turche, non hanno potuto contare nemmeno sulla solidarietà che
il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan aveva manifestato ai palestinesi
durante la recente crisi di Gaza. Mentre da un lato chiedeva il riconoscimento
internazionale di Hamas, Erdogan negava il visto a Rebiya Kadeer, la leader
61enne in esilio degli uiguri.
In seguito poi ha cercato di prendere una posizione di timido appoggio alla
lotta degli uiguri, ma immediatamente ha dovuto fare retromarcia in seguito
alla reazione della stampa cinese che ha stigmatizzato la questione con queste
parole:"l'appoggio della Turchia ai separatisti e terroristi uiguri provoca
indignazione in Cina. Se la Turchia non vuole rovinare le relazioni tra i nostri
due paesi deve cessare di appoggiare questi disordini separatisti. Deve smettere
di essere un asse del male!"
Chiaro? Sembra una musica che si ripete. Da una parte uno stato forte (la Cina)
che non intende rinunciare allo sfruttamento a tutti i costi delle ricchezze
strategiche per il suo svilupo economico. E per fare questo non esita a colonizzare
immensi territori e operare una spietata pulizia etnica. Dall'altra la comunità
internazionale (cristiana o islamica) che per non perdere la propria fetta di
torta non vuole inimicarsi lo "stato forte" di cui sopra (rovinare
le relazioni) e che pertanto resta impassibile di fronte anche ai più
efferati crimini.