La guerra vista dai Balcani.
Anche nei paesi balcanici l'opinione pubblica (ma non i governi) è nettamente schierata contro la guerra in Iraq, ma una serie di fattori frenano lo sviluppo di un ampi movimenti contro la guerra. Intervistiamo Andrea Ferrario (curatore della newsletter Notizie Est) per comprenderne i motivi profondi. Aprile 2003.


1. Puoi fare una rassegna delle posizioni assunte dai governi degli stati balcanici sulla guerra degli USA contro l'Iraq?

La prima presa di posizione ufficiale da parte dei paesi balcanici la si è avuta nel mese di febbraio, quando il Gruppo di Vilnius, organizzazione di cui fanno parte Albania, Bulgaria, Croazia, Macedonia e Romania, più Slovenia, Slovacchia e stati baltici, ha firmato una dichiarazione di pieno sostegno alla linea USA contro l'Iraq. Successivamente, all'inizio di marzo, Bulgaria, Romania e Albania hanno dato autonomamente il proprio pieno appoggio all'imminente guerra, offrendo anche basi logistiche alle forze militari statunitensi. L'appoggio del governo bulgaro è stato particolarmente enfatico, anche in conseguenza del fatto che il paese quest'anno è membro del Consiglio di Sicurezza e ha così avuto "l'onore" di essere tra i partner di Washington in tale importante sede. All'ultimo momento e dopo difficili dibattiti politici, anche la Macedonia ha dato il proprio sostegno agli USA. Serbia-Montenegro e Bosnia hanno mantenuto una posizione "neutrale", ma bisogna tenere conto che Washington non ha esercitato pressioni sui due paesi. Diversamente sono andate le cose con la Croazia, che all'interno del Gruppo di Vilnius aveva inizialmente dato il suo consenso: esposto a forti pressioni da parte dell'opinione pubblica, il governo di Zagabria ha ritirato il proprio appoggio e si è schierato su posizioni sostanzialmente analoghe a quelle di Francia e Germania. Ciò a suscitato l'ira degli USA, che hanno minacciato a chiare lettere il paese, affermando che dovrà subire le conseguenze della sua decisione. E' interessante notare che la Croazia è l'unico paese balcanico in cui gli USA hanno interessi economici abbastanza consistenti.

2. Gli USA si stanno adoperando per una ridislocazione delle proprie forze e infrastrutture militari in Europa. In che maniera i Balcani ne sono coinvolti?

Nei Balcani la Romania e, soprattutto, la Bulgaria si sono apertamente candidate a ospitare basi USA. Sofia ha addirittura proposto agli statunitensi di scegliere tra 30 basi bulgare in grado di ospitare strutture militari USA. Il paese inoltre dispone di un vasto e competitivo settore dell'industria militare che verrà presto privatizzato e potrebbe risultare ancora più appetibile se affiancato da importanti basi sul territorio. Altri paesi potenzialmente interessanti per i militari statunitensi sono sicuramente la Croazia e la Macedonia, mentre attualmente non è ipotizzabile un tale sviluppo per Albania, Bosnia e Serbia-Montenegro (e Kosovo), a causa della loro alta instabilità politica e sociale. Ma quest'ultimo fattore, in realtà, è presente in tutti gli altri paesi balcanici. Personalmente, penso che gli Stati Uniti aprendo basi nei Balcani si esporrebbero a forti rischi politici e dovrebbero nei fatti assumersi l'onere politico ed economico di garantire la sopravvivenza dei relativi centri di potere, un compito assolutamente non facile.

3. I gruppi dirigenti dei Paesi balcanici si sono sempre mostrati desiderosi di integrarsi politicamente all'Europa. Come spieghi l'allineamento con gli USA?

Lo spiegherei semplicemente con la maggiore forza politica e militare di cui godono gli USA in questo momento e con la loro disponibilità a formulare, forse anche a mettere in atto, vere e proprie minacce nei confronti di tali paesi. Tale disponibilità viene paradossalmente dal fatto che gli USA hanno interessi politici ed economici molto scarsi nei Balcani, per cui una rottura o addirittura una situazione apertamente conflittuale con alcuni paesi dell'area non costerebbe loro nulla. Diversamente stanno le cose con l'UE, sia per la vicinanza geografica, sia soprattutto per gli interessi istituzionali, economici e anche militari di quest'ultima nei Balcani, interessi che sono di gran lunga maggiori rispetto a quelli degli USA. Forze militari UE, per esempio, hanno sostituito quelle NATO in Macedonia e programmi analoghi sono in preparazione per Bosnia e Kosovo: affinché tali importanti missioni possano avere successo, Bruxelles deve continuare a mantenere buoni rapporti con i governi locali, non può esercitare pressioni eccessive nei loro confronti. Rimane il fatto che, al di là del periodo di guerra in corso, i governi dei Balcani saranno a loro volta costretti a mantenere buoni rapporti con l'UE se vogliono sopravvivere economicamente e politicamente.

4. La guerra contro l'Iraq e' stata preceduta da una straordinaria mobilitazione internazionale a favore della pace. I Balcani però (ad esclusione della Grecia) hanno visto pochissime manifestazioni pubbliche di dissenso. Come spieghi questa passività di massa? Corrisponde al sentimento dominante che la popolazione nutre sul conflitto?

C'è il caso dell'Albania, dove non c'è stata nemmeno una dimostrazione contro la guerra, e quello del Kosovo, dove si è svolta addirittura una manifestazione a favore della guerra, organizzata dagli ex combattenti UCK. Ma anche negli altri paesi le mobilitazioni sono state scarse, e spesso organizzate da stalinisti nostalgici del vecchio regime. Con qualche eccezione, tuttavia, come la recente manifestazione di Sofia, in Bulgaria, alla quale hanno preso parte 10.000 persone, una cifra che a noi può sembrare molto bassa, ma che per gli standard balcanici è straordinariamente alta, se riferita a una mobilitazione contro un conflitto internazionale. Il bilancio complessivo è comunque senz'altro molto deludente. In tutti i paesi balcanici (fatta eccezione per Albania, Kosovo e, in una certa misura, Romania) l'opinione pubblica è schierata nettamente contro la guerra: in Croazia l'85% dei cittadini è contro la guerra, con o senza egida ONU, in Bulgaria, il cui governo è stato il più schierato con gli USA, solo il 2% della popolazione è a favore della guerra. La passività è frutto di svariati fattori. Al primo posto metterei senz'altro la cancellazione, nei quasi cinquant'anni di regimi stalinisti, di ogni tradizione di lotta politica e mobilitazione: se negli ultimi dieci anni vi sono state mobilitazioni di lotta, si sono svolte sempre su temi di interesse diretto, come rivendicazioni salariali e salvaguardia del posto di lavoro, rarissimamente su temi politici (fatta eccezione, purtroppo, delle mobilitazioni scioviniste) e pressoché mai su temi internazionali. Inoltre, il completo "tradimento" delle speranze espresse dalle grandi manifestazioni spontanee degli anni '89-'90 ha avuto come conseguenza un forte riflusso verso la passività politica, alimentata anche dalla forte frammentazione sociale causata dalla cosiddetta transizione. Non ultimo, e fatta eccezione per ristrette cerchie intellettuali e/o giovanili, vi è difficoltà nel collegarsi alle mobilitazioni internazionali: la sinistra occidentale, agli occhi dei balcanici, non ha assunto in passato un atteggiamento pienamente solidale con le popolazioni che vivevano sotto regimi polizieschi e sfruttatori - la diffidenza nei suoi confronti rimane alta.