La sinistra e il conflitto nella ex-Jugoslavia.
Risposte
ai preconcetti più frequenti che circolano a sinistra sulla guerra in
Jugoslavia. A cura della Associazione cultura Popolare. Agosto 1995.
Il conflitto nella ex-Jugoslavia è stato il primo sul suolo europeo dopo la seconda guerra mondiale. I massacri si stanno compiendo a pochi chilometri dall'Italia. La nostra sinistra, in varia misura e con diverse motivazioni, ha mostrato nel corso del conflitto una notevole inerzia. Non solo non sa cosa fare, ma o non riesce nemmeno a coniare parole d'ordine e proposte la cui concretezza vada anche un po' al di là di genericissimi appelli alla concordia e alla pace o confida nei Mirage NATO per sbrogliare la matassa. La mobilitazione é stata di gran lunga inferiore a quella per il Nicaragua, o per Cuba, per non parlare del Vietnam o della Guerra del Golfo. La difficoltà, come vedremo, è tutta ideologica, deriva cioé da una impostazione di pensiero che ha portato gran parte della sinistra a non capire i giganteschi cambiamenti che si sono prodotti ad Est dal 1989 ad oggi. Ci sforzeremo di dare un contributo alla riflessione su una tematica certamente complessa, cercando di contestare puntualmente alcuni luoghi comuni che ritroviamo spesso nella pubblicistica di sinistra.
"Nella
ex-Jugoslavia tutte le parti in causa sono responsabili"
È il luogo comune più diffuso. Altre variabili: "nella guerra
jugoslava non si riesce a distinguere tra aggressore ed aggredito", "tutti
sono responsabili di atrocità", "in questa guerra non si sa
da che parte stare", ecc. La guerra jugoslava é complessa, ma non
tanto da non riuscire a capire chi ci rimette e chi ci guadagna. E la grande
vittima di questa guerra é il popolo bosniaco, e più precisamente
musulmano-bosniaco. È chiaro che in una guerra civile come quella in
atto le sofferenze sono distribuite tra le popolazioni dei diversi contendenti,
ma questo non deve oscurare le responsabilità delle direzioni politiche
che tutto ciò hanno causato, né impedire di identificare le nazionalità
che in quanto tali rischiano di sparire o rimanere oppresse per decenni. Allo
stesso modo possiamo dire che il secondo conflitto mondiale ha provocato enormi
sofferenze tra tutti i popoli, compreso quello tedesco, ma la responsabilità
dello scatenamento della guerra va con sicurezza addebitato al nazismo ed al
fascismo e i popoli che hanno rischiato l'annientamento in quanto tali sono
stati quelli slavi.
L'andamento di quattro anni di guerra guerreggiata può essere così
riassunto: vi sono due direzioni nazionaliste, quella serba di Milosevic e quella
croata di Tudjman, assai simili tra loro, che si contendono territorio sulla
ex-Jugoslavia. Il conflitto può essere diviso in tre fasi. La prima va
dal 1989 al gennaio 1992 e si presenta come la guerra di una nazionalità
dominante, quella serba, contro le altre: contro gli albanesi del Kosovo (reprimendone
duramente le aspirazioni autonomiste), contro gli sloveni (opponendosi con una
breve guerra alla loro indipendenza), contro i croati (attuando la pulizia etnica
in Krajina ed in Slavonia). La seconda fase va dal marzo 1992 all'agosto 1995
e vede come teatro la Bosnia dove le direzioni di due nazionalità, quelle
serba e croata, si combattono tra loro e tutte e due attuano una feroce pulizia
etnica nei confronti dei musulmano-bosniaci. La terza fase, cominciata con l'agosto
di quest'anno segna, nella lotta tra le due nazionalità dominanti, uno
spostamento dei rapporti di forza a favore dei croati a spese, per il momento,
dei serbi di Krajina. Come si vede la nazionalità perdente nel conflitto
(oltre a quella albanese del Kosovo) é la musulmano-bosniaca. Del resto
in una guerra c'é una misura molto semplice per vedere chi ci sta rimettendo:
quella del territorio. Oggi i serbi detengono in Bosnia il 70% del territorio
bosniaco, pur costituendo il 31% della popolazione e occupano la Slavonia Orientale
che era a maggioranza croata. I croati d'altra parte occupano la Krajina, che
era abitata prevalentemente da serbi ed una parte del territorio bosniaco dove
erano maggioritari i musulmani. È evidente dunque come l'unica direzione
che non abbia responsabilità nello scoppio del conflitto e l'unica nazionalità
penalizzata é quella musulmano-bosniaca.
Vi sono anche altri indicatori obiettivi difficilmente confutabili per provare
quanto diciamo: quella musulmana é l'unica delle nazionalità ad
avere oltre metà della sua popolazione profuga. Fonti totalmente indipendenti
(ad esempio Amnesty International in tutti i suoi rapporti annuali) sono unanimi
nel riconoscere che sono di gran lunga i musulmani ad aver sofferto in maggior
misura pulizia etnica, stupri, uccisioni e deportazioni.
È vero che anche l'esercito bosniaco si é macchiato di alcuni
episodi sanguinosi, ma questi non possono farci perdere di vista il quadro generale.
È una questione di metodo: facciamo degli esempi. La destra nel nostro
Paese ha sempre fatto uso di errori ed episodi non limpidi di cui si resero
responsabili alcuni gruppi partigiani per screditare l'intera Resistenza: la
sinistra ha sempre giustamente risposto che nessun fatto circoscritto può
oscurare il grande valore storico della lotta di massa contro il nazifascismo.
Allo stesso modo non sono i delitti di cui pure si macchiarono i bolscevichi
durante la guerra civile del '18-'21 a farci condannare la rivoluzione d'ottobre
e la sua eroica difesa dall'attacco delle armate bianche. Per venire a tempi
più recenti gli attacchi dei terroristi di Hamas contro civili innocenti
non hanno mai implicato da parte della sinistra la rinuncia alla solidarietà
con il popolo palestinese. E non saranno azioni discutibili come quelle della
banda di Basaev a portarci a negare il diritto all'autoderminazione del popolo
ceceno. Così dobbiamo dire con chiarezza che in questa guerra l'unica
nazionalità che combatte una lotta giusta (anche se a volte con metodi
non condivisibili) é quella musulmano-bosniaca. Si tratta dell'unica
nazionalità che non mira all'occupazione di terre altrui, ma alla semplice
sopravvivenza ed alla riconquista del proprio territorio. È l'unica che
non ha, per quanto sia nazionalista la sua direzione, progetti stile Grande
Croazia o Grande Serbia. Il conflitto tra le due nazionalità attualmente
dominanti (serbi e croati) finirà sicuramente con un compromesso territoriale.
E chi rischia di farne le spese sono proprio i musulmano-bosniaci.
"L'abolizione dell'embargo delle armi alla Bosnia provocherebbe un allargamento del conflitto"
L'embargo ha avuto
un effetto nefasto per un solo soggetto in guerra: quello musulmano-bosniaco.
L'embargo quasi totale contro la Serbia é servito solo ad affamare la
popolazione civile, a far crescere la disoccupazione e ad aumentare la mortalità
infantile. Non é servito affatto invece a diminuire il consenso intorno
alla direzione nazionalista di Milosevic (il suo partito é anzi aumentato:
da 101 seggi del 1991 a 123 del 1993 su un totale di 250). L'embargo non é
riuscito nemmeno a compromettere la forza militare della Serbia, data la particolarità
del conflitto (classificato dai militari "a bassa intensità").
La Serbia infatti ha ereditato gran parte dell'arsenale militare dell'armata
federale.
Quanto all'embargo sulle armi nei confronti della Croazia non é mai stato
rispettato prima di tutto da coloro che l'hanno imposto: i paesi occidentali.
Oggi la Croazia, il cui apparato produttivo era stato devastato dall'armata
federale, chissà come mai é riuscita a costruire un esercito di
tutto rispetto: é evidente che qualcuno l'ha aiutata, e al primo posto
vi é il contributo finanziario della Germania (gli USA hanno "scoperto"
la Croazia solo recentemente). Grazie ai soldi tedeschi la Croazia ha potuto
comprare al mercato nero (specie dell'Est) fior di armamenti che le hanno consentito
la riconquista della Slavonia occidentale ad aprile e della Krajina ad agosto.
Dunque in realtà l'unico soggetto penalizzato dall'embargo dal punto
di vista militare é stato quello musulmano-bosniaco. Non é un
caso che il suo esercito (che comunque si ritiene interetnico, il generale in
capo é tra l'altro un serbo) pur essendo il più determinato e
pur contando su un grande numero di uomini in armi, é sicuramente il
peggio armato e dunque il più debole. È vero che i bosniaci avevano
in tutti i casi scarse possibilità di violare l'embargo, dato che non
avevano potenti finanziatori (i paesi islamici hanno sempre espresso una solidarietà
di facciata) ed erano completamente circondati da territorio ostile: a Nord,
Est e Ovest i serbi e a sud i croati, nessuno sbocco sul mare. L'embargo ha
dato però la giustificazione formale a tutte le potenze per non fornire
ai bosniaci aggrediti i mezzi per difendersi.
La direzione bosniaca é stata per questa ragione spinta alla associazione
con la Croazia. Il 18 marzo 1994 negli USA il governo bosniaco e quello croato-bosniaco
hanno firmato un accordo per la creazione di una Federazione croato-musulmana
organizzata in cantoni, e allo stesso tempo Izetbegovic e Tudjman ne hanno firmato
un altro che li impegna in prospettiva alla formazione di una confederazione
tra Bosnia e Croazia. Questo accordo ha segnato l'inizio di una drastica dipendenza
dei bosniaci dai loro tutori croati. Quando si dice che anche i bosniaci si
sono riarmati si fa riferimento a quei pochi mezzi che i croati hanno permesso
che arrivassero loro. L'"alleanza" con la Croazia (responsabile quanto
la Serbia di terribili massacri nei confronti dei musulmani) é l'elemento
che oggi forse più di ogni altro é in grado di ipotecare il diritto
all'autodeterminazione dei bosniaci. È solo dopo aver messo i musulmano-bosniaci
sotto la tutela dei croati che gli USA hanno chiesto l'abolizione dell'embargo
nei confronti della Bosnia. Misura minacciata, ma mai presa. Ci si dovrà
pur domandare come tutto l'Occidente unanime appoggia i raid e i bombardamenti
NATO "in difesa dei bosniaci" e impedisce invece che questi si armino
e possano dunque difendersi per proprio conto. Teoricamente all'Occidente sarebbe
costato meno (in termini miliari, economici, politici) togliere l'embargo ed
evitare un coinvolgimento diretto. La risposta é semplice: si vuol impedire
che i musulmano-bosniaci possano agire per conto proprio. È solo mantenendoli
disarmati (anche a costo di combattere al posto loro) e politicamente sotto
la tutela della Croazia che le grandi potenze potranno far ingoiare loro la
spartizione della Bosnia tra Croazia e Serbia ed evitare così la costituzione
di un Paese indipendente con la maggioranza della popolazione di nazionalità
musulmano-bosniaca. Europa ed USA non vogliono certo la costituzione di un avamposto
islamico in mezzo all'Europa.Ed in effetti l'embargo occidentale ha avuto solo
questo visibile effetto: porre gran parte della Bosnia sotto la tutela della
Croazia, lasciando il resto alla Serbia. L'embargo é servito essenzialmente
a questo: ad impedire l'armamento necessario all'autodifesa dei bosniaci nel
momento in cui erano attaccati dai croati di Bosnia (riarmati dalla Germania)
e dai serbo-bosniaci (riforniti dalla Serbia).
Chi non vuol sentir parlare di abolizione dell'embargo nei confronti della Bosnia
nega dunque a questa nazionalità l'elementare diritto alla autodifesa.
"Ma così si allargherà il conflitto!" strillano pacifisti
in buona fede ed altri un po' meno (tra i quali Chirac di Mururoa). Cosa si
nasconde dietro questa paura? Il timore del tutto fondato che i bosniaci, posti
nella condizione di potersi difendere, lo farebbero. La gran parte dei popoli
del resto, quando ne ha i mezzi, si ribella all'oppressione nazionale, anche
se ciò costa molto sangue, per la semplice ragione che la violenza di
una ribellione é preferibile alla violenza duratura e continuata di un'oppressione
secolare. Il pacifismo nostrano trova tutto ciò altamente disdicevole.
Noi pensiamo invece che sia diritto di un popolo difendersi dall'aggressione
e che solo ad esso spetti la decisione se esercitarlo oppure no, se rischiare
molti morti pur di difendere i propri diritti, oppure arrendersi e condannarsi
alla sparizione come nazione senza patire alcun morto. Sono decisioni difficili,
ma che i bosniaci, con la loro eroica resistenza, hanno già preso. La
sinistra va fiera che a suo tempo i partigiani abbiano difeso con le armi il
proprio territorio dall'invasione dei tedeschi e dalla dittatura fascista, anche
se ciò é costato 55.000 morti: perché vogliamo negare questo
diritto ad altri? Cosa avremmo pensato allora se qualche anima bella del pacifismo
di un Paese lontano avesse sentenziato: "no per carità, non date
le armi ai partigiani italiani o ci sarà altro sangue!" Siamo certi
che i partigiani avrebbero risposto: caro mio, stacci tu sotto fascisti e tedeschi!
"Come facciamo a sostenere i bosniaci, se il loro governo ha una maggioranza nazionalista e fondamentalista?"
Una delle scuse
per non attivare la solidarietà nei confronti della Bosnia é che
la direzione di questa é nazionalista. Altre volte si sottolinea che
sia fondamentalista islamica. Prima di tutto: non vi é nessuna tra le
direzioni degli stati usciti dalla disgregazione jugoslava che non sia nazionalista
e non si appoggi sul fattore religioso. Con due eccezioni: la Slovenia e la
Macedonia. Ma la ragione é semplice: le rispettive direzioni non avendo
dovuto (ancora) affrontare una guerra, non hanno sentito la necessità
di appoggiarsi in funzione di unità nazionale alle rispettive gerarchie.
Tudjman riceve un sostegno sfacciato dalla gerarchia cattolica (il suo vice
nell'HDZ era un sacerdote: Ante Bakovic) e dallo stesso Vaticano. Quanto a Milosevic
prima della guerra infiammava i serbi che accorrevano alle sue adunate inneggiando
al destino storico del popolo serbo, con a fianco le massime autorità
cristiano-ortodosse del Paese delle quali esaltava i meriti "nazionali".
Immaginiamo cosa accadrebbe se Izetbegovic si trascinasse dietro ad ogni comizio
un mullah? Quella della paura del fondamentalismo islamico é una scusa
agitata prima dai serbi (che l'hanno usata contro i Kosovari), poi dai croati
e poi ripetuta da tutti i politicanti occidentali per giustificare la loro oggettiva
complicità nella disintegrazione della Bosnia. Dalle nostre parti islamico
é sinonimo di fondamentalista e fondamentalista di terrorista. Il grado
di isteria anti-islam raggiunto dagli occidentali supera ormai quello che imperava
nel Medioevo ai tempi delle crociate. In Bosnia la vista da parte di un cronista
di una donna col velo (sono pochissime sul totale della popolazione femminile)
é sufficiente per parlare del preoccupante avanzare del fondamentalismo
in Bosnia. In realtà, per paradossale che possa sembrare, quella musulmana,
tra le tre nazionalità attualmente in lotta, é quella più
laica. Ciò é dovuto a varie ragioni, non ultima il carattere urbano
dell'insediamento musulmano-bosniaco.
Non ci si può lamentare del fatto che la Bosnia abbia chiesto aiuto ai
paesi islamici (ottenendone ben poco se non vaghe promesse dato che più
o meno tutti sono legati al carro dell'Occidente ed in tutti i casi gli aiuti
passano attraverso il filtro croato) o che crescano le simpatie nei loro confronti:
nessun altro ha mostrato una solidarietà che andasse un po' oltre le
parole e le lacrime. La Bosnia comunque (o meglio il pezzetto che ha per capitale
Sarajevo) rimane uno stato sicuramente più democratico di Croazia e Serbia,
dove il potere è concentrato nelle mani di due personaggi dai tratti
sempre più autoritari. Ci si dimentica spesso che in Bosnia esistono
ancora realtà come Tuzla, governata da un partito di sinistra in polemica
con Izetbegovic, ma d'accordo ovviamente a difendere la Bosnia dagli attacchi
serbi e croati e a mantenerne il carattere multietnico.
Si deve inoltre tener presente che, per quanto detestabile, la direzione Izetbegovic
é stata l'ultima a cedere ai progetti di suddivisione su base etnica
della Bosnia e lo ha fatto soltanto perché obbligata dalle "alleanze"
che, a causa dell'embargo, é stata costretta ad allacciare.
Ma ammettiamo pure che la direzione bosniaca ci sia insopportabile. Quando però
c'é una guerra tra una nazionalità oppressa ed un'altra che opprime
non vi possono essere dubbi da che parte stare, e ciò indipendentemente
dalle direzioni politiche che queste nazionalità esprimono. La sinistra
ha spesso manifestato grandi simpatie per le lotte nazionali dei baschi e dei
nordirlandesi, dei vietnamiti e dei cubani, perché direzioni "di
sinistra" e guardato in cagnesco le altre perché a egemonia di destra.
Ma il problema é che le masse seguono le direzioni che con maggior forza
difendono i propri diritti nazionali. Se la sinistra resta in un angolino ad
aspettare diffidente gli eventi é chiaro che l'iniziativa la prenderanno
altri. Lo sloveno Kucan é stato uno dei pochi leader "comunisti"
ad essere rieletto in un paese dell'est, pur essendo a capo di un partito di
sinistra: la ragione sta nel fatto che le masse gli hanno riconosciuto il merito
di aver portato avanti e con determinazione la lotta per l'indipendenza. È
fondamentale che la sinistra contenda alla destra l'egemonia delle lotte nazionali,
ma questo potrà avvenire solo se la sinistra si mostrerà la più
decisa proprio sul piano delle rivendicazioni democratiche. Non possiamo lamentarci
del fatto che i sudtirolesi abbiano come riferimento la Sudtiroler Volkspartei
o altri gruppuscoli di estrema destra: tutta la sinistra italiana si é
dimostrata sempre sciovinista nei confronti delle rivendicazioni democratiche
dei tedeschi. Altri esempi. Il fatto che in Argentina vi fosse una dittatura
di destra tra le più feroci mai apparse sul continente latinoamericano
non ha impedito alla sinistra latinoamerica (compresa l'intera sinistra argentina
che aveva sofferto con più di 30.000 desaparecidos la violenza della
dittatura) di schierarsi contro l'Inghilterra durante la guerra delle Malvinas/Falkland
e a richiedere a tutti gli stati che aiutassero l'Argentina, quindi il suo governo,
a fronteggiare militarmente i colonialisti. L'intera sinistra si é schierata
contro l'intervento militare degli USA a Panama, nonostante che il dittatore
Noriega, trafficante di droga ed ex agente della CIA, non fosse un gran bel
compagno di viaggio. Le citazioni potrebbero continuare. Non sono forse giuste
le lotte degli abitanti del Kashmir, di Timor Est, dei sarahui, dei ceceni,
dei curdi, anche se molte delle direzioni politiche di questi popoli in lotta
non ci convincono? E allora perché tanta ipocrisia nel caso della Bosnia?
Per quanto riguarda tanti occidentali é chiaro: vi é il riflesso
razzista della lotta della "civiltà" contro l'Islam, che nasconde
il disegno di pacificare l'area a danno dei musulmani. Ma la sinistra?
"La guerra nella ex-Jugoslavia é una guerra di religione. I musulmani potevano benissimo esercitare il loro credo all'interno della Federazione"
È ovvio
che nella costituzione della nazionalità musulmano-bosniaca il dato religioso
ha un ruolo notevole. Ma perché dovremmo considerare la componente religiosa
(come elemento dell'identità nazionale) peggiore di una componente linguistica
o culturale? L'identità nazionale di un popolo ha sempre ragioni molto
complesse, si tratta di una sovrapposizione di strati di tipo culturale, linguistico,
religioso, ecc. miscelati in varia misura a seconda dei casi. Le identità
di per sé non sono né buone né cattive, semplicemente:
sono. Le si devono rispettare fino al momento in cui queste non vengono utilizzate
per sopraffarne altre (come il caso dell'identità serba contro quella
albanese dei kosovari).
Il caso dei musulmani é stato paragonato a quello dei palestinesi (palestinesi
d'Europa, sono stati chiamati) e questo paragone sarà particolarmente
calzante se a questo popolo verrà negato il diritto all'autodeterminazione.
In realtà però sul piano dell'identità nazionale il loro
caso assomiglia a quello degli ebrei: il tratto dominante della propria identità
é costituito dalla religione; anche in questo caso però religione
vuol dire qualcosa di più e di diverso: tradizioni, cultura, senso di
appartenenza, ricordi, vicende storiche. Abbiamo infatti ebrei che si dichiarano
atei: non é una contraddizione, é semplicemente la dimostrazione
che l'essere ebreo non ha a che fare semplicemente con la religione, ma con
un senso di identità più ampio. La stessa cosa riguarda i musulmano-bosniaci,
tra i quali troviamo tanti che si disinteressano totalmente della religione,
ma che si sentono parte di questa nazionalità. Negarlo significa dar
ragione ai nazionalisti serbi e croati per i quali i musulmani sono semplicemente
croati o serbi di religione musulmana e con questa scusa si apprestano a negare
loro il diritto all'autodeterminazione.
Portiamo anche un altro esempio. La sinistra ha sempre mostrato una certa simpatia
per la causa nordirlandese. Più precisamente é sempre stata dalla
parte, con varie sfumature, dei cattolici e delle formazioni politiche (IRA,
Sinn Fein, ecc.) che ne difendevano gli interessi. Eppure anche in quel caso
si tratta apparentemente di una guerra di religione, dato che si fronteggiano
nell'Ulster due gruppi che non sono divisi dalla lingua (il gaelico fa fatica
a risorgere persino nell'Eire, dove é lingua ufficiale) e le cui differenti
provenienze geografiche risalgono a quattro secoli fa. Ma giustamente si sono
individuati i cattolici come nazionalità oppressa. Una nazionalità
in cui la componente religiosa é un elemento importante di identificazione,
ma non l'unico. Il Sinn Fein non é certamente un'organizzazione confessionale,
eppure é espressione dei cattolici nordirlandesi.
Anche gli albanesi del Kosovo sono in maggioranza musulmani, ma la loro identità
nazionale é condizionata dalla lingua, non dalla religione. Se quella
jugoslava fosse una guerra di religione albanesi e bosniaci sarebbero coinvolti
in un solo fronte. Del resto il primo che ha riconosciuto il carattere di nazionalità
ai musulmano-bosniaci fu proprio Tito. Nel 1961 i musulmani vennero riconosciuti
da Tito come gruppo etnico distinto e dieci anni dopo venne loro attribuito
lo status di nazione costitutiva della Federazione Jugoslava. I musulmani come
nazionalità dunque sono quasi tutti concentrati nella Bosnia-Erzegovina,
anche se la religione musulmana é diffusa anche in altre regioni (Kosovo,
Montenegro). Quando nei censimenti jugoslavi la popolazione era chiamata a dichiarare
la propria nazionalità (non la propria religione) i musulmano-bosniaci
si dichiaravano come tali, a fianco di croati, serbi, albanesi, ecc.
"Croazia, Slovenia, Bosnia e Macedonia hanno sbagliato a voler essere indipendenti e ad affossare la Federazione Jugoslava. Sotto Tito per lo meno non si massacravano"
Non sono state
Slovenia e Croazia ad affossare la Federazione Jugoslava, ma la direzione Milosevic.
La Federazione si reggeva su una regola formale: e cioé che ogni entità,
indipendentemente dalla forza numerica della nazionalità che rappresentava,
contava allo stesso modo. Nei fatti non era così perché l'elemento
serbo era quello politicamente dominante (anche se non economicamente): serbi
erano gran parte degli ufficiali, dei soldati (più del 50% dei permanenti)
e dell'apparato statale centrale. Il fatto però che tutte le repubbliche
avessero almeno nominalmente pari poteri contribuiva a rendere meno forte la
disparità. Ebbene questo quadro giuridico é stato minato da Milosevic.
Suo cavallo di battaglia divenne alla fine degli anni '80 la pretesa che ogni
nazionalità contasse nella Federazione quanto il numero dei suoi abitanti.
La qual cosa era ovviamente inaccettabile per le altre nazionalità, numericamente
inferiori, e con ragione. Una federazione di popoli diversi può solo
reggersi se vige la regola della rotazione degli incarichi e della pari dignità
delle varie nazionalità al momento delle decisioni, altrimenti é
ovvio che la nazionalità numericamente maggioritaria prevarrà
sistematicamente su quelle più piccole. Che interesse avrebbero queste
ultime a restare dentro un organismo nel quale già in partenza sanno
di non contare nulla? Ad esempio nel 1921, quando il parlamento di quella che
si chiamerà poi Jugoslavia, approvò una costituzione centralista
che andava bene solo alla Serbia, a nulla servì il voto contrario dei
deputati sloveni e croati, poiché erano numericamente inferiori.
L'architettura federale titina subì colpi ben più decisi e concreti
ad opera di Milosevic (che dell'attacco nei confronti di Tito, colpevole a suo
dire di aver diviso i serbi, aveva fatto uno dei "numeri" dei suoi
comizi) con l'affossamento dell'autonomia del Kosovo e della Vojvodina e la
repressione delle proteste. All'epoca però nessun paese occidentale,
né l'ONU, né alcuna forza di sinistra si mosse per esprimere solidarietà
ai kosovari. È chiaro che lo sciovinismo grande-serbo di Milosevic non
ha fatto altro che incoraggiare le altre repubbliche a scegliere la strada dell'indipendenza.
Ma poniamo pure che Slovenia, Croazia, Bosnia e Macedonia siano i soli responsabili
dell'affossamento della Federazione Jugoslava. Perché mai si deve vedere
negativamente questo fatto? Perché si deve considerare responsabile chi
chiede di separarsi e non chi impedisce la separazione? La separazione tra Cechia
e Slovacchia dimostra come sia perfettamente possibile un distacco pacifico
e consensuale. La condizione ovviamente é che la nazionalità dominante
non voglia a tutti i costi continuare ad esserlo. L'attaccamento serbo alla
Federazione non significava certo amore per la convivenza multietnica, ma una
ancor più forte ed esplicita dominazione della direzione serba sulla
Federazione con l'attuazione di un forte centralismo, inaccettabile alle nazionalità
più deboli numericamente.
Si dice che sotto la Federazione Jugoslava non vi erano conflitti e si andava
tutti d'amore e d'accordo. Beh, certo: quando il dissenso é represso
sul nascere, di guerre civili non ne scoppiano (vengono solo rimandate). Una
dittatura é già di per sé una guerra civile permanente
esercitata dall'apparato statale contro la massa della popolazione. Anche sotto
i turchi ottomani i Balcani hanno vissuto lunghi periodi di pace: i dominatori
soffocavano prontamente ogni tipo di ribellione. Anche sotto Stalin e sotto
Breznev non vi erano problemi tra le nazionalità. Regnava una splendida
pace tra le etnie. Ed erano tutte trattate allo stesso modo: i gulag erano pieni
di milioni di individui presi da un po' tutte le nazionalità. La Federazione
Jugoslava era sicuramente più liberale dell'URSS di Stalin, ma anche
qui ogni moto che potesse anche lontanamente far sospettare una maggior autonomia
di giudizio da parte di una direzione locale del PC, era immediatamente risolto
con destituzioni, o nei peggiori dei casi imprigionamenti ed uccisioni. Pensiamo
al Kosovo (1968, 1981), alla Croazia (1971).
Insomma se tutti i componenti della ex Federazione Jugoslava hanno deciso di
andarsene con l'eccezione del Montenegro una qualche ragione ci sarà.
I referendum organizzati a suo tempo nelle varie repubbliche hanno dato risultati
schiaccianti a favore dell'indipendenza: in Slovenia (dicembre 1990) l'88,5%
(i votanti furono il 93% del corpo elettorale), in Croazia (maggio 1991) 94%
favorevoli (83% votanti), in Bosnia (febbraio 1992) 99,4% favorevoli (63% di
votanti), in Macedonia (settembre 1991) 95% favorevoli (votanti 75%).
Molti a sinistra spiegavano le spinte indipendentiste con l'ansia delle "ricche"
Slovenia e Croazia di vendersi alla Germania ed al capitalismo (da qualcuno
le loro intenzioni venivano paragonate a quelle di Bossi), ma come spiegare
la dipartita di Bosnia e Macedonia, più povere della Serbia? Come spiegare
che la lotta più antica e insistente per l'autodeterminazione é
stata portata avanti dalla nazionalità più povera, quella albanese
del Kosovo? La ragione é semplice: quella serba era la nazionalità
dominante e si apprestava a diventarlo ancora di più. Le altre nazionalità
hanno reagito esercitando il diritto all'autodeterminazione, un diritto che
troppo spesso a sinistra si difende solo in teoria.
"La rottura della Federazione é stata sobillata dall' Occidente e soprattutto dalla Germania per poter egemonizzare economicamente l'area."
L'ipotesi del complotto
occidentale per spiegare la crisi nella ex Jugoslavia é di un semplicismo
tale che ricorda da vicino le autodifese, tra il dogmatico e il patetico, della
burocrazia sovietica quando doveva giustificare la presenza dei dissidenti:
venivano tutti liquidati come pagati da qualche potenza straniera. La realtà
é un po' più complessa. È chiaro che la politica dell'FMI
e dei maggiori stati imperialisti ha favorito l'esplodere della crisi economica
in Jugoslavia, come negli altri paesi dell'Est. Ma il crollo di quei regimi
é dovuto a cause interne. Quel tipo di organizzazione sociale (mancanza
di democrazia, burocratizzazione, corruzione, ecc.) non ha resistito alla forza
del capitale semplicemente perché incapace di farlo per deficienze strutturali.
Incolpare i capitalisti di fare il loro mestiere é come incolpare la
volpe di essersi pappato le galline: meglio concentrare l'attenzione sulle debolezze
del recinto o sul perché non c'era nessuno a difenderlo.
Gli stati occidentali poi hanno fatto di tutto per mantenere non solo la Federazione
Jugoslava, ma anche la stessa URSS come contenitori delle nazionalità.
Il referente degli USA nell'area era Milosevic: il segretario James Baker era
a Belgrado alla vigilia dell'intervento dell'armata federale in Slovenia; Warren
Zimmermann, l'ambasciatore di Washington, appoggiava la linea serba e si era
scontrato duramente con Zagabria; George Bush era entrato in collisione con
l'Europa rifiutandosi di riconoscere Slovenia e Croazia. Per quanto riguarda
la Comunità Europea questa esercitò ogni genere di pressione (inutilmente)
per evitare che nel giugno del 1991 Slovenia e Croazia proclamassero la loro
indipendenza; la CE rivolse forti appelli alle sei repubbliche perché
ricomponessero i dissidi promettendo anche un consistente piano di aiuti perché
la Jugoslavia rimanesse in qualche modo unita; quando nel giugno 1991, a seguito
dell'interventio dell'armata federale, scoppiò la breve guerra in Slovenia
Andreotti, per l'Italia che ancora per qualche giorno guidava la Comunità
Europea, delineò un piano che prevedeva il congelemanto dell'indipendenza
di Slovenia e Croazia. La troika della CE che si formò (con De Michelis,
l'olandese Van Den Broek e il belga Poos) riuscì alla fine ad ottenere
il congelamento dell'indipendenza per tre mesi anche dalla recalcitrante Slovenia.
Perché il grande capitale voleva mantenere la forma federativa (in Jugoslavia
come in URSS)? La ragione é semplice: l'interesse dell'imperialismo non
é disintegrare grandi prigioni di popoli, ma difenderne la stabilità.
Il grande capitale non ama le masse in movimento. Non le ama ovviamente quando
difendono i loro interessi economici, ma neppure quando esercitano i propri
diritti nazionali. Preferisce tenere le turbolenti nazionalità oppresse
sotto la tutela di una nazionalità forte in grado, appunto, di assicurare
stabilità, e dunque affari. Gli USA hanno visto con favore la nascita
della CSI dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica e non salterebbe mai loro
in testa di voler disintegrare la Cina investendo magari nell'indipendentismo
del Tibet: la burocrazia cinese assicura già così bene una rapida
transizione al capitalismo in tutto il suo territorio!
Non é vero che il capitalismo vuole sempre e comunque guerra. La vuole
quando ciò serve a raggiungere obiettivi specifici e concreti. Ma cosa
può ricavarne dalla prospettiva di anni di guerra civile a bassa intensità
in un'area di forte commercio?
Non é riducendo la grandezza degli stati, o dividendoli in tanti pezzetti
che l'imperialismo riuscirà a mangiarseli meglio. Non é questa
la sua tattica. L'Albania é più piccola della Croazia, ma alla
Germania interessa ben poco, per non parlare della Macedonia. Gli USA investono
in Cina che é gigantesca e non nei paesi baltici o in Russia, perché
instabili politicamente. Agli imperialisti non interessa piccolo o grande, ma
redditizio o meno.
"L'errore é stato riconoscere subito la Slovenia e la Croazia
da parte dei paesi occidentali. Ciò ha favorito l'inizio della guerra"
Si tratta di un
altro luogo comune frutto della teoria del complotto occidentale. Questo genere
di teorie dà un gran vantaggio a chi le formula: servono a non fare i
conti in casa propria. Dare la colpa dei guai del socialismo reale agli americani
é qualcosa di terribilmente consolante ed evita di ragionare seriamente
sul perché di tante sconfitte. Come si fa a pensare che una guerra di
questa complessità sia stata causata o anche solo favorita da un atto
diplomatico? Affermarlo non é solo una sciocchezza, ma anche una falsità.
Tre anni prima del riconoscimento occidentale di Slovenia e Croazia (avvenuto
nel gennaio 1992) i serbi avevano militarizzato l'intero Kosovo (il primo vero
atto di guerra della crisi jugoslava), otto mesi prima l'esercito federale (cioé
serbo) aveva già occupato un terzo della Croazia, sei mesi prima la Slovenia
con una breve e quasi incruenta guerra si rendeva indipendente da Belgrado,
tre mesi prima i serbi radevano al suolo la croata Vukovar, due settimane prima
veniva firmata la quindicesima tregua. Come si vede al momento del riconoscimento
occidentale la guerra non solo era già cominciata da un pezzo, ma era
già finita la sua prima, importante e decisiva fase. Il riconoscimento
cioé é intervenuto quando i giochi erano già fatti: in
quell'area le cose sono cambiate solo dopo due anni e mezzo di relativa pace!
Come si fa ad affermare che quel riconoscimento era "affrettato"?
Al contrario é stato assolutamente tardivo (e gli USA riconosceranno
le nuove repubbliche con un ulteriore ritardo di 4 mesi, nell'aprile 1992) e
ciò si spiega con la pervicace volontà degli occidentali (a parziale
esclusione della Germania) di mantenere a tutti i costi la Federazione e scoraggiare
i processi indipendentisti. Successivamente con la guerra in Bosnia comincerà
la seconda fase, ma su questa non ha certo influito il riconoscimento di Croazia
e Slovenia. L'attacco alla Bosnia era necessario da parte di Milosevic perché
altrimenti non avrebbe mai potuto collegare il territorio croato occupato dal
suo esercito (Krajina e Slavonia) con la Serbia. Il riconoscimento internazionale
della Bosnia gli ha creato degli ostacoli facendogli mancare la copertura "legale"
per far intervenire direttamente l'armata federale, che a quel punto sarebbe
stata considerata occupante straniero di uno stato sovrano.
"Croazia e Slovenia sono volute diventare indipendenti perché filocapitaliste ed allineate con Germania e USA, la Serbia invece mantiene alcuni ideali dell'era di Tito"
Si tratta di un
gigantesco equivoco. Milosevic non é "di sinistra". È
semplicemente un fratello gemello di Tudjman. I due si assomigliano come gocce
d'acqua ed in effetti si stimano ed apprezzano vicendevolmente (come confermano
le famose indiscrezioni del Times di Londra pubblicate in agosto). Non ci si
può far ingannare dal fatto che il partito cui fa riferimento Milosevic
si chiama socialista e rivendica l'eredità della Jugoslavia di Tito,
mentre Tudjman invece si dichiara di destra. I due si sono mossi con le stesse
tattiche compatibilmente con la diversità delle situazioni di partenza
dalle quali hanno preso le mosse. Tutti e due perseguono un disegno di assogettamento
di altri popoli ed utilizzano consapevolmente tecniche di pulizia etnica. Tutti
e due in patria limitano il pluralismo politico utilizzando apparati dello stato
o gruppi paramilitari per terrorizzare i dissidenti, mantenendo però
formalmente in vita gli organismi parlamentari. Tutti e due controllano totalmente
i mass media. Tutti e due ricorrono alla storia per giustificare le proprie
scelte nazionaliste (entrambi con una certa predilezione per il Medioevo). Tutti
e due si servono di gruppi paramilitari di estrema destra, salvo dar loro il
benservito quando hanno esaurito il compito (é il caso del cetnico Vojislav
Seselj e del neoustascia Dobroslav Paraga).
Con queste premesse come si fa a sostenere che la direzione serba é di
sinistra? All'ultimo congresso della Lega dei Comunisti non vi erano abissi
ideologici tra "comunisti" croati, serbi, bosniaci o sloveni. Tutti
erano assolutamente favorevoli al libero mercato, alle privatizzazioni, all'entrare
in Europa, al pluripartitismo, ecc. Ciò che li divideva era la questione
delle nazionalità. Tudjman é stato eletto dopo la proclamazione
di sovranità voluta e preparata dai comunisti croati, così come
la guerra dei dieci giorni della Slovenia é stata diretta dal presidente
Kucan, dirigente comunista. Alcuni si fanno ingannare dal fatto che Milosevic
usa coprire i suoi avversari con aggettivi quali fascista, ecc. ma questi sono
epiteti che, vista la storia della Jugoslavia, tutti usano contro tutti. Non
c'é nessuno dei contendenti che non giuri di stare combattendo anche
contro il fascismo.
Oggi Milosevic si accredita come personaggio misurato, ragionevole, dedito alla
mediazione. Ciò é avvenuto perché, visto l'isolamento da
quell'Occidente del quale vuole assolutamente far parte, é stato costretto
a moderare le spinte oltranziste dei serbi di Krajina e di Bosnia. Voleva far
accettare ai primi l'autonomia all'interno della Croazia ed ai secondi la rinuncia
a un po' del territorio conquistato. Ma Babic e Karadzic erano a loro volta
costretti a fare i conti con il nazionalismo grande-serbo dei propri combattenti.
Ad un certo punto si é cioé ritorto contro Milosevic lo sciovinismo
che ha sempre profuso a piene mani e che é all'origine della guerra.
Ma allora perché Milosevic ha acceso la miccia? La burocrazia serba con
a capo Milosevic durante la seconda metà degli anni '80 ha trovato nel
nazionalismo l'unica maniera per raccogliere un consenso di massa in presenza
di una crisi economica senza precedenti e allo stesso tempo per rilanciarsi
come classe dominante di uno stato di una qualche rilevanza geopolitica, inserito
nel mercato occidentale (ricordiamo che le simpatie, ricambiate, di Milosevic
all'inizio andavano agli USA, non certo alla Russia). Per questo Milosevic aveva
intrapreso una forsennata campagna nazionalista in cui non c'era assolutamente
nulla di sinistra e neppure di centro, ma era semplicemente di destra, perché
é di destra chi fa appello al destino storico di un popolo per opprimerne
un altro (come é stato il caso dei kosovari). Una parte del partito comunista
serbo ad onor del vero non era favorevole a questa svolta, ma il dissenso é
stato rapidamente ed energicamente purgato da Milosevic nel corso del 1987.
È solo grazie a questa decisa campagna di destra che la direzione Milosevic
é riuscita a passare indenne attraverso il 1989, unico caso tra tutti
i Paesi del cosiddetto blocco socialista. Anche le burocrazie croata e slovena
hanno tentato la stessa operazione, ma con una differenza sostanziale: la loro
era una lotta che faceva appello al nazionalismo, ma un nazionalismo che non
implicava l'oppressione di altri (nel caso della Croazia il discorso cambierà
con l'avvento di Tudjman), ma semplicemente la lotta per la propria autodeterminazione.
"Le potenze occidentali hanno dimostrato la loro viltà rinunciando ad intervenire nel conflitto"
Gli interessi tra
le diverse borghesie occidentali sono differenti. Quella tedesca é l'unica
che abbia mostrato lungo tutta la crisi una linea di intervento chiara e coerente,
anche se discreta (fatta di poche parole e moltissimi fatti). La Germania é
già oggi il maggior partner commerciale di Slovenia (il cui tallero é
strutturalmente legato al marco) e Croazia, e difende gli interessi di questi
due stati a scapito di tutti gli altri. La Francia e l'Inghilterra hanno avuto
un atteggiamento ondivago: il loro interesse é contrastare la concorrenza
della Germania e dunque sostenere la Serbia ed ostacolare il più possibile
la Croazia, ma le impresentabili e indisciplinate direzioni facenti capo a Babic
e Karadzic le hanno ostacolate parecchio (come hanno ostacolato Milosevic) in
questo disegno, costringendole a giocare di rimessa, pur avendo messo in campo
un impegno militare considerevole. Gli USA hanno rincorso gli avvenimenti schierandosi
prima contro la Germania (e le sue protette) simpatizzando con gli sforzi di
Milosevic di tenere in piedi la Federazione, poi si sono sempre più sbilanciati
dalla parte opposta, probabilmente in funzione antirussa. L'unica costante della
loro azione é stata quella tesa a salvaguardare gli interessi dell'Albania
e della Macedonia (in questo alleati con la Turchia). L'atteggiamento dell'Italia
si é diviso tra la difesa dell'asse con la Germania (riconoscimento di
Slovenia e Croazia) e i sogni grande-italici (ostacoli posti a Slovenia e Croazia
per il loro ingresso nella CE): la risultante é zero, quanto a influenza
nella crisi. Il sostegno della Russia alla Serbia corrisponde agli interessi
commerciali e geopolitici di Mosca, ma a causa della debolezza in cui questa
versa é stato condotto con molte incertezze.
Da questa diversità di interessi dipendono molte incertezze di linea
di organismi quali CE, ONU, NATO, ecc. Ma l'unico punto sul quale le diverse
opzioni geopolitiche che oggi si confrontano nella ex-Jugoslavia concordano
é: il conflitto deve terminare il prima possibile, sui Balcani deve tornare
la stabilità. Il rafforzamento croato ha offerto la possibilità
agli occhi occidentali di concludere rapidamente il conflitto. I bombardamenti
di agosto-settembre hanno avuto questa funzione: spingere i serbo-bosniaci al
tavolo delle trattative evitando che i bosniaci possano difendersi da soli (cosa
che secondo l'opinione degli occidentali produrrebbe un allungamento delle ostilità).
La pace che si prepara dunque é la pax capitalista tra Croazia e Serbia,
tutta a scapito dei bosniaci. Chi chiede l'intervento occidentale dunque si
rende corresponsabile non solo di stragi di innocenti (sappiamo dalla guerra
del Golfo quanto poco "intelligenti" siano i bombardamenti), ma si
rendono complici della spartizione della Bosnia e della messa sotto tutela della
sua nazionalità principale, quella musulmano-bosniaca. È solo
per la disperata resistenza di questo popolo e lo sdegno che ha suscitato il
suo massacro, che ancora oggi parliamo di questione bosniaca.
Le potenze occidentali non sono state "vili" (in due secoli di esistenza
gli stati capitalisti più forti hanno dimostrato molte cose, ma certo
non la titubanza nel promuovere guerre e massacri). Non sono intervenute sino
ad agosto per aiutare i bosniaci semplicemente perché non é loro
interesse farlo. E dire che non sono intervenute non é esatto. C'é
stato un decisivo intervento occidentale: l'embargo, servito esclusivamente
ad impedire l'autodifesa dei bosniaci.
"Bisogna rinforzare il contingente dell'ONU"
Se si deve essere
contrari all'intervento occidentale in Bosnia si deve essere anche contro l'intervento
dell'ONU. L'ONU infatti difende ed ha sempre difeso gli interessi occidentali.
Diamo un'occhiata ai nomi dei generali delle truppe ONU che si sono succeduti:
ne troveremo pochini dei paesi del terzo mondo. Qualcuno pensa davvero che l'ONU
abbia un esercito indipendente dalle grandi potenze? È una sciocchezza.
Ovviamente l'ONU utilizza reparti, personale ed armamenti degli stati militarmente,
economicamente, politicamente più forti.
Non é vero che l'ONU (cioé le grandi potenze) non si sia impegnato.
Oltre all'imposizione dell'embargo in pratica ad una sola parte in causa, quasi
50.000 uomini sul terreno sono una presenza notevolissima, tenendo conto della
dimensione degli eserciti in campo. Semplicemente l'azione dell'ONU non poteva
che rispecchiare e mediare l'insieme delle diverse opzioni geopolitiche che
le grandi potenze perseguono, dunque paralisi su tutto e coincidenza solo su
un punto: la Bosnia non ci sarà più, che i musulmani si rassegnino
rapidamente a sparire in quanto nazionalità per il bene della pace, un
po' di realismo, che diamine! L'ONU in Bosnia con le sue azioni "umanitarie"
e di interposizione, con il suo amore per la difesa dello status quo, ha oggettivamente
coperto e contribuito all'inizio al successo dell'iniziativa serba. In nessuna
maniera le forze dell'ONU hanno impedito la perdita di territorio da parte dei
musulmani. Oggi, dopo il rafforzamento croato e la messa sotto tutela dei musulmano-bosniaci,
l'ONU fa la voce grossa coi serbo-bosniaci per ridurne le pretese e por fine
al conflitto. Rafforzare l'ONU vuol dire rafforzare l'unico punto sul quale
gli occidentali concordano: imporre la pace tra serbi e croati facendone pagare
le spese ai musulmani.
"La soluzione in prospettiva non é nella formazione di piccoli staterelli, ma in nuove forme di associazione tra questi popoli, che devono imparare a convivere"
Denunciare che
si creino nuove frontiere sostenendo la parte del progressista che non vuole
"porre confini tra i popoli" é ipocrita: serve a coprire il
fatto che si ritengono valide solo le frontiere che già ci sono e illegittime
le nuove. Questo spiega il generale silenzio verso le rivendicazioni dei kosovari
(perché si trovano dentro la Serbia) o la "comprensione" di
Germania, USA e Italia per l'offensiva croata che ha portato alla riconquista
della Krajina, solo perché attuata entro i suoi confini (che importa
poi se la sua popolazione ha fatto le valigie?). La sacralità con cui
vengono investiti i confini prestabiliti dai potenti della Terra é una
delle grandi barbarie ideologiche di questo secolo. Tutto é "lecito"
purché avvenga dentro i propri confini! Nessuno si sognerebbe mai di
chiedere l'intervento dell'ONU in Turchia dove si perpetra il genocidio del
popolo curdo: la Turchia é uno stato "sovrano"!
Coloro che si lamentano perché gli sloveni (o i macedoni o da un'altra
parte gli ucraini, i ceceni e così via) hanno innalzato dei confini,
fingono di non sapere che gli sloveni in realtà hanno distrutto quelli
jugoslavi che illegittimamente li conglobavano in una entità che non
accettavano più. Lo stabilimento dei confini é una delle misure
elementari che questi popoli hanno adottato per potersi difendere dalla nazionalità
che li dominava. Finché ci saranno al mondo stati con propri confini
e proprie frontiere, non si può negare a nessuna nazione, tanto più
se storicamente oppressa, il diritto a crearseli. Altrimenti utilizzeremmo due
pesi e due misure a tutto vantaggio delle nazionalità forti.
Non é certo la limitata estensione territoriale di uno stato a comprometterne
le potenzialità economiche. L'India é un gigantesco paese eppure
é infinitamente più povero del Lussemburgo, migliaia di volte
più piccolo. Di esempi di questo tipo ne potremmo trovare in gran numero
(Hong Kong, Singapore...). Non é l'entità della superficie che
determina la ricchezza di un paese, né il numero dei suoi abitanti (quest'ultimo
fattore influisce positivamente, ma solo nei paesi imperialisti).
La convivenza é una scelta libera che deve essere fatta dalle nazioni
in totale libertà. Solo nazioni sovrane possono decidere di far parte
di entità sovranazionali; queste ultime saranno democratiche solo se
alle singole componenti verrà garantito il diritto in qualsiasi momento
di separarsene. Non c'é nulla che impedisca poi ad una nazionalità
divenuta sovrana di stringere accordi economici, commerciali o di altro tipo
con chiunque voglia. Sovranità non vuol dire isolamento, vuol dire rivendicare
la parità con le altre nazioni.
"L'esplosione del nazionalismo é un segno di regressione e contribuisce a mettere in secondo piano la contraddizione principale che é tra capitale e lavoro"
Siamo al nocciolo
del problema e delle difficoltà della sinistra ad inquadrare la questione
delle nazionalità. Sia chiaro: queste difficoltà non hanno assolutamente
a che fare con il marxismo: Marx, Engels, Lenin, Trotskij hanno scritto sulla
questione parole chiarissime. Il problema è che la pratica dei marxisti
o dei presunti tali é andata in tutt'altra direzione. Tra i padri del
marxismo e noi c'é stata purtroppo l'influenza nefasta e pluridecennale
dello stalinismo.
Le rivendicazioni nazionali dei popoli oppressi sono rivendicazioni di carattere
democratico, e tra le più sentite. In quanto rivendicazioni democratiche
la sinistra ha il dovere di sostenerle fino in fondo senza ma e senza compromessi.
È vero che non hanno direttamente a che fare con la lotta di classe:
vengono infatti prima. Non si può chiedere ai lavoratori appartenenti
a nazionalità oppresse di soprassedere alle rivendicazioni democratiche,
quando quei lavoratori non hanno gli stessi diritti di quelli delle nazionalità
dominanti. Così nessun militante di sinistra si sognerebbe di chiedere
agli extracomunitari di lasciar perdere di occuparsi dei propri problemi specifici
di minoranze discriminate e di aderire invece alla lotta più generale
dei lavoratori "che non hanno frontiere". I lavoratori immigrati vivono
sulla propria pelle la negazione di diritti democratici assicurati invece ai
lavoratori italiani. Dovere di questi ultimi é di battersi perché
gli extracomunitari acquisiscano la stessa dignità. E ciò indipendentemente
dalle idee maggiormente in voga nella nazionalità oppressa o dalla direzione
politica che questa esprime. Scriveva Lenin: "Siamo per l'unione più
stretta degli operai di tutti i paesi contro i capitalisti [...]. Ma proprio
affinché quest'uinone sia volontaria, l'operaio russo, non fidandosi
per niente e neppure per un momento né della borghesia russa né
della borghesia ucraina, é favorevole al diritto di separazione degli
ucraini, non impone loro la sua amicizia, ma la conquista trattandoli come eguali,
come alleati e fratelli nella lotta per il socialismo". Un popolo che non
é in grado di lottare per i propri diritti nazionali (lo affermava già
Engels a proposito della Polonia) non arriverà mai al socialismo.
Sulla stampa appaiono interessate confusioni nelle analisi di quelli che vengono
catalogati, senza maggiori distinzioni, come "conflitti etnici". L'intento
é quello di fare apparire l'insieme di questi fenomeni come un incomprensibile,
sinistro, irrazionale e sanguinario polverone, in cui una sola cosa deve risultare
chiara: le lotte delle nazionalità oppresse sono solo fonte di barbarie;
meglio mettere questi popoli turbolenti sotto la tutela di qualche nazionalità
più grande e quindi più civile. Alla demonizzazione di questi
conflitti fa infatti da contraltare l'esaltazione dei grandi nazionalismi: quelli
delle sagge, antiche, pacifiche (!) potenze che da secoli dominano il mondo.
Dobbiamo invece distinguere tra il nazionalismo delle nazioni dominanti e nazionalismo
delle nazionalità oppresse. Il primo deve essere combattuto frontalmente
da chi si ritiene di sinistra, il secondo difeso e sostenuto senza porre condizioni.
La caratteristica del nazionalismo delle nazioni dominanti é caratterizzato
dalla volontà di assogettare o di mantenere assogettate a sé altre
nazioni. È il caso del nazionalismo di Tudjman (che si é espresso
contro i serbi di Krajina e più in generale di Croazia), di Milosevic
(contro albanesi kosovari, ungheresi, croati, bosniaci), di Bossi (del Nord
ricco e dominante contro immigrati e meridionali), italiano (contro i sudtirolesi),
francese (contro i corsi, i baschi), spagnolo (contro i baschi, i catalani),
russo (contro i ceceni e molti altri), ecc. A questo nazionalismo si contrappone
quello delle nazionalità oppresse con le loro rivendicazioni democratiche,
tese cioé all'uguaglianza.
Si dice che spesso le rivendicazioni nazionali si trasformano in nuove forme
di oppressione verso le nazionalità. È accaduto con gli ucraini
staccatisi dall'URSS nei confronti della Crimea, con i moldavi nei confrontoi
dei gaugazi, coi lituani nei confronti dei russi, coi croati nei confronti dei
serbi, coi macedoni nei confronti della minoranza albanese, e così via.
Ma ciò non dipende dalla malvagità delle rivendicazioni democratiche,
ma dal fatto che questa bandiera sia stata raccolta dalla destra. Allo stesso
modo non possiamo dire che siccome l'Ottobre é degenerato allora i bolscevichi
hanno sbagliato a fare la rivoluzione. La rivoluzione era giustissima, gli stalinisti
che hanno preso in mano il processo no. Così le lotte dei croati per
staccarsi dalla Jugoslavia andavano difese a spada stratta e allo stesso modo
si deve combattere contro Tudjman perché opprime altre nazionalità.
Il principio ispiratore dunque che ci deve guidare nel prendere posizione nei
confronti di un conflitto tra nazionalità é: stare sempre con
la nazionalità oppressa e contro quella dominante, avendo coscienza che
una nazionalità oppressa può essere dominante nei confronti di
una minoranza interna. Dovremo quindi batterci allo stesso tempo per i suoi
diritti nel primo caso e a favore della sua minoranza nel secondo.
Ma la difficoltà della sinistra sta tutta da un'altra parte. Non si hanno
grandi problemi a simpatizzare con le lotte nazionali (di destra, centro o sinistra)
di qualche paese del Terzo Mondo. Le difficoltà nascoscono in due casi:
quando la nazionalità oppressa é in casa propria (é il
caso in Italia del Sud Tirolo), perché ci si deve scontrare con il proprio
nascosto nazionalismo. E il secondo quando le nazionalità oppresse sono
uscite dalla sconfitta del socialismo reale. In gran parte della sinistra, anche
quella che con più determinazione ha combattuto contro le burocrazie
staliniste, alberga il retropensiero che quelli comunque erano paesi "più
a sinistra" dei nostri. Vedere masse in strada che chiedevano elezioni,
pluripartitismo e diritti nazionali ha spiazzato ed amareggiato molti. È
stato un errore di valutazione che noi tutti abbiamo compiuto sottostimando
la pesantezza e la violenza (e dunque il disgusto che suscita a livello di massa)
di un regime totalitario. Le rivendicazioni che hanno mosso le masse hanno dunque
avuto all'inizio un contenuto democratico. La soddisfazione di queste rivendicazioni
é la condizione perché ora si sviluppino rivendicazioni di segno
classista. Possiamo star certi che é solo in quei Paesi dove le masse
sentiranno di aver soddisfatto le proprie aspettative sul piano dei diritti
democratici e di cittadinanza, che ci sarà la possibilità (non
la certezza ovviamente, perché la certezza non c'é nemmeno da
noi) che crescano aspirazioni di carattere socialista.