


Scheda: cosa era la Jugoslavia.
Breve
sintesi storica della Federazione Jugoslava. Associazione
Cultura Popolare. Agosto 1995.
Jugoslavia
significa "stato degli slavi del sud". Le regioni e i popoli che vi
vivevano sono quasi tutti di ceppo linguistico slavo (sloveni, serbi, croati,
macedoni, montenegrini) ad esclusione degli albanesi e degli ungheresi. Le lingue
slave sono: sloveno, macedone e serbo-croato (parlato anche dai montenegrini
e dai musulmano-bosniaci). Non vi sono differenze sostanziali tra serbo e croato
se non che il primo si scrive con alfabeto cirillico e il secondo con caratteri
latini. L'albanese si parla nel Kosovo (dove é maggioritario) e in Macedonia
(minoritario); l'ungherese in Vojvodina. La religione é cattolica in
Slovenia e Croazia, ortodossa tra i serbi e in Montenegro e in Macedonia (ad
esclusione della minoranza albanese), musulmana tra i musulmano-bosniaci e gli
albanesi.
Queste diverse nazionalità sono sempre state divise per secoli tra varie
entità che le sottomettevano (Austria, Ungheria, Impero ottomano...).
Solo la Serbia e il Montenegro mantennero l'indipendenza in certi periodi storici.
Dopo la caduta dei grandi imperi, nel 1918, nacque il Regno degli sloveni, croati
e serbi, chiamato poi Jugoslavia. Nel 1921 fu approvata una costituzione centralista
e quindi favorevole ai serbi, l'etnia più numerosa. Gli scontri interetnici
che ne seguirono spinsero il re Alessandro all'instaurazione di un regime dittatoriale
ad egemonia serba. Dopo varie vicende nell'aprile 1941 la Jugoslavia fu invasa
da Germania e Italia nel giro di soli 11 giorni. Seguì una rapida spartizione.
L'Italia si annesse gran parte della Slovenia e della Dalmazia assicurandosi
il controllo dell'Albania (alla quale fu annesso il Kosovo), la Macedonia andò
alla Bulgaria fascista, la Croazia fu costituita in regno nominalmente affidato
al Duca di Spoleto (che venne denominato in sprezzo del ridicolo Tomislav II),
ma questi ritenne opportuno non farsi mai neppure vedere nei suoi turbolenti
possedimenti. Il potere fu dunque esercitato in realtà dagli ustascia,
i fascisti locali, sotto la guida del loro duce Ante Pavelic. Gli ustascia si
distinsero per la repressione nei confronti di serbi, zingari, ebrei (ne fecero
fuori a centinaia di migliaia). "Ustascia" é un termine che
ricorre spesso anche nell'attuale conflitto dato che il partito di Tudjman presenta
non poche caratteristiche in comune coi seguaci di Pavelic. Anche "cetnici"
é un nome spesso usato anche oggi. Era il termine con cui venivano chiamati
i combattenti filomonarchici ed anticroati di Mihajlovic che durante la seconda
guerra mondiale si erano costituiti formalmente per difendere il territorio
dalle truppe tedesche. In realtà i cetnici evitavano accuratamente lo
scontro con gli invasori, arrivando con questi a taciti accordi di spartizione
territoriale, e concentrando invece i propri sforzi bellici contro i partigiani
comunisti. Gli stessi alleati decisero di non riconoscerli più come referente
antitedesco nell'area, passando ad un certo punto ad appoggiare politicamente
Tito. Dopo la vittoria dell'armata partigiana contro i tedeschi Mihajlovic fu
preso e mandato davanti ad un plotone di esecuzione. Oggi hanno ripreso la sua
tradizione le bande paramilitari legate a Vojislav Seselj.
La resistenza contro italiani e tedeschi fu dunque portata avanti totalmente
dai partigiani comunisti con a capo Tito. La lotta, cominciata in Serbia e Montenegro,
si estese gradatamente a tutta la Jugoslavia. A differenza della resistenza
italiana, quella jugoslava non era condizionata dagli alleati, che non aiutarono
mai seriamente la loro lotta, né da forze politiche borghesi. Nel 1945
l'esercito partigiano controllava l'intero Paese senza aiuti stranieri.
Subito dopo il conflitto i comunisti instaurarono una federazione formata da
sei repubbliche (Serbia, Croazia, Montenegro, Slovenia, Bosnia-Erzegovina e
Macedonia) e due regioni autonome (Vojvodina e Kosovo) e vararono drastici provvedimenti
economici tesi alla riforma agraria e alla nazionalizzazione dei mezzi di produzione.
La nuova Jugoslavia inoltre si mostrava indipendente anche sul piano della politica
estera. Ciò era intollerabile per Stalin e nel 1947 si arrivò
alla rottura con l'Unione Sovietica.
A sua volta però Tito aveva delle mire sull'Albania: là i partigiani
comunisti albanesi (con a capo Enver Hoxha) avevano liberato da soli il territorio
contribuendo anche in maniera determinante alla liberazione del Kosovo. Dal
Kosovo però i partigiani albanesi furono costretti dagli jugoslavi a
sloggiare dato che questi ultimi erano intenzionati ad annettersi (come avrebbero
fatto) la regione. Da qui ha origine la rottura di Hoxha (che si schiererà
con Stalin) con Tito.
Il regime che si instaurò in Jugoslavia era monopartitico, anche se più
liberale di quello sovietico. La liberalità non arrivava comunque a permettere
la minima espressione di indipendenza da parte di sindacati, partiti, organizzazioni
di varia natura. Dal punto di vista economico si distingueva dall'URSS per la
cosiddetta autogestione. In realtà gli operai gestivano assai poco. Si
trattava di un sistema che lasciava parecchia autonomia alle imprese (dirette
comunque da una burocrazia). Formalmente tutte le repubbliche della Federazione
(e le due regioni autonome all'interno della Repubblica Serba) contavano allo
stesso modo, anche se in realtà c'era una prevalenza dell'elemento serbo,
specie nell'esercito. Questo era costituito dall'Armata Federale coadiuvata
da milizie (la Difesa Territoriale) che dipendevano dalle singole repubbliche.
Nel 1980 moriva Tito e la presidenza da allora fu attribuita a rotazione tra
le varie repubbliche.