Limes e la sinistra.
Cosa
si nasconde sotto la leggera patina "democratica" di una rivista che
purtroppo è diventata un punto di riferimento della sinistra antagonista.
REDS. Novembre 1999.
Analizzeremo l'ultimo numero della rivista quadrimestrale Limes (n.4/99), cercando di dedurne il progetto politico che la sostiene. Facciamo questo sforzo per una ragione molto semplice. Questa rivista, a causa della sua opposizione all'intervento occidentale in Kosovo, è diventata un punto di riferimento per settori della sinistra antagonista, della quale facciamo parte. Ci preoccupiamo perciò della salute mentale dei nostri compagni. Cercheremo dunque di dimostrare come questa rivista non abbia assolutamente nulla di sinistra, al contrario, e che dunque la si deve leggere, come tutti gli strumenti della borghesia, con attenzione, filtri, pinze e lenti, senza prendere per oro colato quello che ci racconta, ma come segno dei dilemmi e dei disegni delle classi dominanti.
La rivista
Limes è
edita dalla casa editrice L'Espresso. Pur rappresentando in Italia la tradizione
politica borghese gobettiana-azionista-giacobina, che in Italia così
pochi adepti ha guadagnato tra le file della stessa borghesia, la rivista Limes
gode di un rapporto privilegiato con la sinistra. Questa nostra sinistra, sempre
alla ricerca di un qualche settore "democratico" nella classe dominante
che le risparmi la fatica e il rischio di fare sul serio la lotta di classe,
apprezza le battaglie anticlericali di quella corrente, il suo antiberlusconismo,
ecc., facendo finta di non sentire quando la stessa corrente tra un discorso
democratico e l'altro inneggia alla libertà di licenziamento, alla totale
flessibilità, al taglio delle pensioni. La CGIL ha firmato addirittura
una convenzione con L'Espresso e spinge i propri inscritti (che in larga misura
non riescono mai ad entrare in possesso della stampa sindacale, privilegio dei
40.000 funzionari sindacali che ci troviamo a mantenere) ad approfittare di
"sconti davvero speciali". L'Espresso ha sempre dato spazio anche
ai più cattivi estremisti: sono stati largamente intervistati anche negli
anni ruggenti i Negri e gli Scalzone, mentre Piperno era di casa, pensiamo,
per la sua fotogenia. I nostri sono borghesi intelligenti: un articoletto eterodosso
che male può mai fare in una rivista che trabocca di inni al libero mercato
e di pubblicità dell'ultimo Armani?
Così nel Comitato Scientifico di Limes siedono accanto al forzista Giulio
Tremonti anche il "comunista" Luciano Canfora, con il "democratico"
Prodi anche i moderati Ernesto Galli della Loggia, Sergio Romano ed Angelo Panebianco,
cioè la batteria degli editorialisti che contano del Corriere della Sera.
A parte dunque la bizzarra presenza di gente di sinistra che serve a far da
copertura, la rivista si presenta come un "think tank" degli intellettuali
della borghesia (c'è anche Ilvo Diamanti, il sociologo privato di Agnelli).
Dato che questi intellettuali sono spesso divisi, sulla rivista appaiono anche
punti di vista opposti, ma all'interno di uno stesso quadro di riferimento.
L'ultimo numero
L'ultimo numero
ha per tema principale "Che ci serve la NATO". Verrebbe da dire: finalmente
qualcuno mette in discussione questa istituzione imperialista. La realtà,
purtroppo, è assai diversa. Ma andiamo per ordine.
Sulla NATO si esprimono 15 articoli, più l'editoriale sul quale torneremo.
I 15 si dividono riguardo alla NATO su tre opzioni:
1) va rinnovata l'alleanza con gli USA ma l'Europa deve contare di più
e dunque anche l'Italia deve spendere di più nella difesa: 4 articoli;
2) la NATO va bene così com'è, ma noi (inteso Italia) dobbiamo
contare di più e dunque spendere di più per la difesa: 3 articoli
3) molliamo la NATO e troviamo un accordo bilaterale con gli USA, spendendo
di più per la difesa: 1 articolo
Seguono tre articoli di generico sostegno alla NATO. Ve ne sono altri quattro
simpatizzanti con il campo occidentale ma non classificabili in queste opzioni.
Come si vede non ve n'è nemmeno uno che sostenga non diciamo il socialismo, ma semplicemente l'uscita dell'Italia dalla NATO senza aggravio delle spese militari o, semplicemente, lo scioglimento della NATO. Dall'equilibrio degli articoli emerge un chiaro sostegno alla NATO, ma con una demarcazione critica: l'Italia deve contare di più, o da sola, o con gli USA, o insieme all'Europa. L'oscillazione tra "atlantisti" ed "europeisti" è un confltto tradizionale in Italia: ai tempi divideva al suo interno anche la DC. Su un punto dunque tutti gli articoli concordano: la potenza USA è eccessiva, l'Italia deve ambire a ritagliarsi uno spazio maggiore nella competizione globale e per far questo deve dotarsi di una maggiore "proiezione di potenza", cominciando con l'essere più credibile sotto il profilo militare. L'editoriale ci conforta in questa nostra interpretazione.
L'editoriale
Secondo l'editoriale nella NATO si deve restare perché "la quota di sovranità che cediamo agli USA per godere dell'ombrello nucleare ci ritorna accresciuta dal potere di coalizione che deriva dall'integrazione nell'alleanza militare dominante. Inoltre la NATO, più ancora dell'Europa, può rivelarsi una risorsa di ultima istanza a difesa dell'integrità nazionale, qualora fosse minacciata". "L'alleanza atlantica infine è un mezzo per contare di più in Europa. Se fossimo soli di fronte ai 'tre grandi' del Vecchio Continente - Francia, Gran Bretagna e Germania - il nostro status sarebbe certamente minore. Grazie alla NATO operiamo un salto si scala - dalla continentale all'occidentale - che ci colloca su un piano di (quasi) parità formale con francesi, britannici e tedeschi. E' soprattutto per l'appoggio americano che siamo nel G8 e, attraverso il Gruppo di Contatto, siamo stati ammessi al Quint, il meccanismo di consultazione fra USA, Francia, Gran Bretagna, Germania e Italia inventato in occasione della crisi del Kosovo e ormai consolidato".
Ma: "Ma la nuova instabilità regionale e la fine delle certezze geopolitiche della guerra fredda impongono un dibattito sull'utilità della NATO dal punto di vista del nostro interesse nazionale". "Non c'è più un'immediata coincidenza di interessi fra gli alleati, come gli interventi nei Balcani hanno dimostrato ad abundantiam. Per questo non possiamo limitarci a fare 'la ruota di scorta della NATO', secondo l'espressione di un diplomatico americano. Dobbiamo definire una nostra idea dell'Alleanza e difenderla di fronte a nostri alleati". "Quale alleanza si avvicinerebbe di più ai nostri interessi? Potremmo definire tre criteri guida: a) a noi serve regionale, cioè atlantica e non (pseudo)globale, per ridurre e non accentuare l'instabilità del nostro "estero vicino", dall'Europa centrorientale ai Balcani al Mediterraneo; b) in quest'area euro-mediterranea l'Italia deve assumersi la responsabilità di partecipare a coalizioni ad hoc per pacificare paesi che direttamente influiscono sulla nostra sicurezza (un buon esempio è l'Operazione Alba); c) la NATO potrà forse digerire qualche ulteriore allargamento, ma per restare atlantica, dunque organizzata intorno ai valori della democrazia e della libertà, deve centrarsi sul 'nucleo duro' formato dai maggiori paesi dell'Europa occidentale e dagli Stati Uniti (Quint). Non basta pensare una NATO più vicina ai nostri attuali interessi, bisogna anche essere disposti a pagare per ottenerla. Fino ad oggi ce la siamo cavata con le basi, sorta di tassa in natura scambiata con l'America in cambio della protezione strategica. Ci siamo quindi concessi il lusso di rinunciare allo strumento militare. Ma questa rendita non basta più. Se vogliamo contare, dobbiamo essere disposti a forgiare Forze armate proiettabili 'fuori area'. Una risorsa nazionale da spendere al tavolo degli alleati, per orientare le scelte comuni e non solo per subirle o vietarle."
Pi chiaro di così! Da qui emerge, anche se un po' a fatica, le ragioni della particolare lettura della guerra nel Kosovo che ha compiuto la rivista e che l'ha fatta diventare tanto popolare nella nostra sinistra sgangherata e spasmodicamente alla ricerca di una qualche nazione dominante da prendere a guida. Prima l'URSS e ora... la Serbia! Nulla di cui scandalizzarsi se pensiamo che fino a qualche anno fa c'era un sacco di gente che aveva per guida suprema l'Albania, mentre tuttora la Corea del Nord gode di grandi estimatori (tra i quali Oliviero Diliberto, ministro "comunista" della giustizia). Limes ha potuto dire apertamente ciò che altri non potevano dire a causa degli "obblighi" atlantici: tra questi Dini, e gran parte della borghesia, basti pensare al tiepido appoggio alla guerra dato dai grandi media. E perché si sono opposti alla guerra? Lo vediamo dopo. Notiamo qui per ora l'insistenza con cui l'Italia viene chiamata a svolgere il ruolo di potenza "che le compete". Solo e solamente in questo senso Limes è moderatamente antiamericana. L'operazione Alba diviene così un "buon esempio" perché è stata la prima azione militare dal dopoguerra completamente sotto il comando italiano, pur con l'imprimatur occidentale. Ma ciò ha un costo: più soldi all'apparato militare.
Gli altri contributi
Miles, pseudonimo dietro il quale si nasconde un collaboratore fisso di Limes probabilmente collocato ai vertici dell'istituzione militare, nel suo articolo "Un esercito vero per non restare un paese vassallo" chiarisce ancor meglio il concetto: "Molto rimane da fare per consentire all'Italia di disporre di uno strumento militare corrispondente alle sue ragionevoli ambizioni ed interessi. Non siamo né un laboratorio per la sperimentazione di idee nuove, né una succursale del Vaticano o degli Stati Uniti, ma un grande paese europeo che intende rimanere tale. L'Italia ha tutte le potenzialirtà per farlo e può riuscirvi. Salvo che l'antimilitarismo non rimanga un comodo mezzo non tanto per evitare guerre, quanto per fare carriera anche nello stesso ambito militare, mascherando le vere funzioni delle Forze armate e dell'uso della forza nelle relazioni internazionali".
Andrea Nativi, caporedattore della Rivista Italiana di Difesa e collaboratore del Giornale, sostiene che se "si riuscisse davvero a dar vita ad un esercito integrato europeo, non si può pensare di cavarsela fornendo un contributo simbolico. Ciascuno dovrà pagare una parte del costo complessivo in proporzione al rispettivo peso politico-economico. Perché se l'Italia pensa di dedicarsi ai suoi problemi economici e strutturali lasciando che altri si preoccupino della sicurezza collettiva, un po' come accadeva ai tempi della guerra fredda in seno alla NATO, ha sbagliato i suoi conti. Oggi bisogna creare sicurezza, non si può pi solo 'importarla gratuitamente'".
Agli intellettuali di Limes piacerebbe anche un esercito integrato europeo (sempre che all'Italia sia riservato un posto di prima grandezza), ma si rendono conto che il progetto procede con esasperata lentezza, mentre gli USA invece progrediscono ed approfondiscono il fossato tecnologico che li separa dall'Europa. I nostri hanno fretta dunque, i Balcani non aspettano.
L'ultima sezione della rivista getta una luce ancora più forte sulle motivazioni del no all'intervento NATO in Kosovo della rivista. Un altro collaboratore fisso di Limes che si passa con lo pseudonimo di Adriaticus (i latinismi della rivista sono oltremodo significativi delle sue ambizioni imperiali), si produce in diverse proiezioni economico-geopolitiche dividendo i Balcani in "poli" di investimento e penetrazione imperialista. Seguono due articoli piuttosto neutrali sulla situazione in Kosovo dove si dà conto dei giornali di etnia albanese senza simpatizzare con loro, e dell'aiuto umanitario in Kosovo (si parla anche abbondantemente dell'esodo di serbi e rom). L'unico articolo schierato è quello del serbo Dusan Batakovich dell'Università di Belgrado che perora la cantonizzazione del Kosovo, che come si sa è l'opzione attualmente sostenuta da Belgrado. In appendice la proposta dei rappresentanti dei serbi del Kosovo alla missione delle Nazioni Unite riguardo alla cantonizzazione. Per finire un articolo sulle conseguenze della contaminazione radioattiva in Kosovo a seguito dell'intervento NATO.
Non entriamo nel merito degli articoli, ma della scelta. Limes fa la scelta non di proporre un bilancio della guerra dal punto di vista albanese dando loro la parola. Gli unici dell'area a cui si dà la parola sono serbi. Nulla di nuovo. I numeri precedenti della rivista pullulavano di interventi di esponenti serbi, di "piste islamiche", di invasioni musulmane ed aggressioni albanesi. Cosa c'è sotto il filoserbismo di Limes? Non sono certo fessacchiotti come certi nostri militanti che pensano che la Serbia sia la patria del socialismo: abbiamo visto come spingono apertamente per un maggior interventismo militare ed espansionista italiano. Dunque?
Un saltino indietro
Il 26 novembre il Corriere della Sera dà notizia di un memorandum di intesa, alla presenza del ministro per il commercio estero il diessino Piero Fassino, tra il gruppo Montedison e il governo di Tirana. L'articolista dice esplicitamente: "E' il primo tassello della strategia di penetrazione nei Balcani, un'altra tappa dell'espansione verso sud e nel bacino del Mediterraneo. Ridisegnerà la mappa energetica del Paese che è appena uscito dalla tragica vicenda del Kosovo, avvierà progetti nel settore del gas e dell'elettricità, investirà in una parola, centinaia di miliardi." L'entusiasta giornalista ci avvisa che sono allo studio anche iniziative di ENEL, ENI, TELECOM, mentre le ferrovie si sono impegnate già con un intesa un mese fa.
Alla radice dello spirito antialbanese e del filoserbismo di Limes (e di Dini, e della borghesia italica) c'è questo: il totale disprezzo imperialista per l'Albania. La borghesia italiana la considera già cosa propria, una propria colonia. Non c'è nulla e nessuna simpatia da conquistarsi là: solo il territorio da controllare e sfruttare. E in questo la politica attuale dell'Italia non si discosta da quella attuata dal fascismo: disprezzo verso l'Albania ed in generale il mondo musulmano (da "civilizzare"). Ma nei confronti del mondo slavo una media potenza come quella italiana non può certo sperare in una sottomissione diretta. Dunque è contraria allo scontro con la Serbia, perché tale scontro non potrebbe che favorire altri, quelli che hanno in mano la pistola e il dito sul grilletto. In pratica: protettorato sull'Albania, affari con la Serbia.
Questa è la radice della posizione antiguerra di Limes. Noi siamo stati contrari alla guerra ovviamente, a quella della NATO contro la Jugoslavia, a quella di Milosevic contro i kosovari. Questa posizione, condivisa da gran parte della sinistra antagonista mondiale, ma non da quella italiana, si pone contro TUTTI gli imperialismi, e i loro loschi tatticismi.
Sia ben chiaro: Limes deve essere letto. Per esempio sono molto utili gli articoli di Alfonso Desiderio, come"Paghiamo con le basi la nostra sicurezza", una buona rassegna degli accordi bilaterali militari con gli USA, quello del generale Fabio Mini, "L'alternativa è l'asse Roma-Washington", che ben descrive i rapporti di reciproco interesse USA-Italia (utile per chi pensa che l'Italia sia un semplice "vassallo"), l'intervento di Robert Fox, "Clark vs. Jackson: benvenuti al festival dei 'cartellini rossi'", con una buona ricostruzione del contrasto che ha diviso gli occidentali al momento del loro ingresso a Pristina, mentre l'articolo di Laura Boldrini presenta dati interessanti sul ritorno dei rifugiati.
Con lo stesso interesse
leggiamo il Corriere della Sera, la Stampa e La Repubblica, ma non è
certo di lì che viene la nostra linea. Sono fonti che vanno decifrate:
i borghesi ad esempio non dicono mai "l'interesse della borghesia",
ma: "l'interesse delle classi medie", non dicono mai "bisogna
far stringere la cinghia ai pensionati", ma: "si deve assicurare un
futuro ai giovani", quando devono trattare di "lotta di classe"
parlano di "conflitti sociali", non dicono mai "interessi imperialisti"
ma "interesse nazionale". Quando assumono posizioni che ci paiono
coincidere con le nostre dovremmo fare uno sforzo supplementare di comprensione
e cercare di capire perché. Invece, grazie ai nostri tempi bui, Limes
ha contribuito, pur essendo platealmente uno strumento dell'ambizione imperiale
dell'Italia, al diffondersi nella sinistra del pregiudizio antialbanese ed antislamico.