Il XXX Congresso del PCF.
Panoramica del dibattito interno al Partito Comunista Francese. Di
di Jeanne Dumésnil et Jean Cremet, da Rouge. Marzo 2000.


Il 30° congresso del PCF si svolgerà dal 23 al 26 marzo 2000, al termine di sei anni di cambiamenti avviati da Robert Hue e dopo tre anni di partecipazione al governo in seno al composito schieramento di sinistra. Poiché i militanti della LCR affiancano spesso quelli del PCF nelle fabbriche, nei sindacati, nei quartieri, nelle lotte sociali, "Rouge" ha giudicato utile proporre una panoramica delle questioni poste da questo congresso.

Aldilà di un nuovo stile, di una nuova immagine, che Robert Hue ha saputo imprimere al partito a livello mediatico, con l'aiuto di esperti della comunicazione, il cambiamento si è annunciato rapidamente come un nuovo sguardo sulla storia e l'identità del PCF.

Memoria e storia

Da sei anni a questa parte, si sono succeduti diversi rilievi critici nei confronti delle pagine oscure dello "stalinismo alla francese", fino alla decisione di condannare le espulsioni decretate durante tutta la storia del PCF, anche se su questo pesante passato non si è ritornati che con piccoli tocchi. È certo che Hue ammette che si sarebbe dovuto condannare l'intervento sovietico a Budapest nel 1956, che il PCF ha sbagliato nel 1968, che le espulsioni e i processi erano ingiustificati, che il PCF è stato stalinista; di conseguenza egli s'inscrive, con maggior decisione di quanto non fosse stato fatto tra il 1975 e il 1977, in quello stesso filone di approccio critico al proprio passato. Comunque le esigenze simboliche e mediatiche lo portano a un esame critico e approfondito del passato staliniano, che non è stato ancora del tutto sradicato. Non si può però continuare a tacciare il PCF di essere un partito stalinista, visto che nel suo seno si esprimono divergenze, correnti, sensibilità, e che gli appelli, le petizioni, le tribune, i raggruppamenti, i coordinamenti costituiscono oggi la realtà del partito. A meno che non si dica che lo stalinismo e la libera espressione delle opinioni possono coesistere. Se però il lavoro intrapreso sulla memoria segna dei passi avanti, per il momento si limita alla superficie delle cose. E nel contempo suscita vive reazioni in seno al partito. Gli oppositori del Coordinamento comunista che persistono nella difesa di una "continuità rivoluzionaria e di una rinascita leninista" si rifanno all'ex-Urss. All'opposto, i militanti della Sinistra comunista, nel denunciare un "congresso di Tours alla rovescia", si attaccano a una rilettura del passato del loro partito difendendo la necessità di un "vero partito rivoluzionario" di filiazione bolscevica "rivista e corretta" dalle critiche di Rosa Luxemburg. Per i "rifondatori", lo stalinismo e il bolscevismo vanno sottoposti entrambi a un riesame critico. Per Roger Martelli "il bolscevismo ha fatto il suo tempo"; si tratta di rifondare un "progetto comunista per il XXI secolo".

L'era del vuoto

Il documento proposto dalla direzione del PCF ai militanti in occasione del 30° congresso s'ispira all'approccio rifondatore integrato dai presupposti critici sul passato. Ma anche lì, l'esame resta superficiale, prudente, contraddittorio. Da una parte si rileva con enfasi che "le società di tipo sovietico hanno consentito importanti avanzate sociali", e dall'altra si ammette, con un certo eufemismo, che esse non hanno "permesso né l'emancipazione dell'individuo, né il superamento del capitalismo". Si conviene sulla responsabilità dei dirigenti rispetto ad "acciecamento, errori, ritardi", attribuendo una parte di tali responsabilità ai militanti, ma dimenticando le migliaia di militanti e dirigenti che, dal 1920 al 1994, hanno saputo denunciarli a tempo. Così, al momento del "congresso fondativo", il PCF, orfano della sua matrice originale e senza l'abbozzo di un nuovo prgetto organizzativo, si proietta verso un avvenire incerto per la sua stessa esistenza e senza reali capacità di attrarre consensi. Infine, il PCF procede a questo "aggiornamento" tardivamente e in un contesto politico e strategico molto sfavorevole: la partecipazione a un governo sotto l'egemonia socialdemocratica.
Dalla seconda guerra mondiale agli anni '80, il PCF si è inserito nella vita politica francese basandosi su cinque pilastri: un progetto politico pianificatore e statalista ispirato all'esperienza sovietica, un radicamento sociale fondato su una cultura popolare, la promozione sociale della classe operaia, uno stretto legame con la CGT, una funzione "tribunizia" nella società e nelle istituzioni. Questa configurazione sembrava così efficace che faceva passare la democrazia interna in secondo piano facendola apparire inutile agli occhi di un partito che considerava se stesso unico e "organico", oltre che aperto alle correnti di idee e alle problematiche provenienti dall'esterno, come per esempio quelle del Maggio '68!
L'assenza di progetto nella direzione odierna del PCF affonda le radici in una presa di coscienza troppo tardiva della sua incapacità ad evolvere, che spinge a rimettere tutto in discussione, a ispirarsi "alla gente", ad aderire al postmodernismo, a "superare il capitalismo" senza dire né come né con quali strumenti concreti. La partecipazione al governo, per "pungolare il PS", resta ad ogni buon conto il solo orizzonte difeso da una direzione che non può far altro che appoggiarsi a una mitica "grande battaglia comunista". Così, quando il gruppo parlamentare comunista all'Assemblea nazionale presenta delle proposte di legge importanti, come quella sui licenziamenti, raccoglie un diniego dal PS; quando avanza pubblicamente delle critiche di fondo è costretto a farlo presentando numerosi emendamenti di cui il governo non fa propri che i meno decisivi. I parlamentari comunisti constatano allora che i risultati non sono soddisfacenti. Prigionieri di una posizione cardine nella maggioranza, essi esprimono voti a favore ingiustificabili, come quello sulle 35 ore, o astensioni che non impediscono alla maggioranza di applicare la politica governativa, come nel caso della sicurezza sociale o della privatizzazione del settore elettrico. Per converso, delle proposte vengono fatte in seno al PCF sull'immigrazione, l'omosessualità, il femminismo; spazi di riflessione esistono in certe commissioni del Comitato nazionale, allo "spazio Marx", o in maniera molto diffusa nella CGT. Ma a che serve elaborare proposte e diffonderle quando si sa in partenza che mettono in difficoltà il governo e che la partecipazione ad esso condiziona tutto il resto?

Tensioni e differenziazioni

La priorità assoluta della partecipazione al governo ha determinato di fatto uno spostamento del centro decisionale dal Comitato nazionale al gruppo parlamentare. Senza che ne abbiano mandato, i deputati assumono a ruota libera, nei confronti del partito, le decisioni di fondo su tutte le questioni d'attualità. I "giri di valzer" del gruppo parlamentare sono diventati l'indicatore più visibile delle contraddizioni interne al PCF. Se l'autonomia degli eletti è una novità nel partito, essa non è necessariamente bene assunta e resta in ogni caso sottomessa al richiamo agli obblighi della solidarietà di governo.
Allo stesso modo i deputati europei di "Bouge l'Europe!" (Avanti Europa!) seguono una linea fortemente "eurocostruttiva", quando l'assenza di logiche maggioritarie e governative a livello europeo avrebbe potuto condurli su posizioni molto più radicali. Accettando il quadro della sinistra pluralista, il PCF è venuto a iscriversi in quello di Maastricht e di Amsterdam. Lontano dall'essere un caso particolare dentro il partito, la lista "Bouge l'Europe!" costituisce il modello della direzione attuale del PCF, modello in cui le diversità sociologiche e culturali, il ricorso a personalità delle forze sociali si pensa possano bastare da sé a definire un orientamento politico.
Rispetto a questo bilancio, le correnti attorno Georges Hage - il Coordinamento comunista e la federazione di Pas-de-Calais - giocano la carta della nostalgia degli anni '50. Queste correnti molto ortodosse, che possono talvolta dimostrare una certa radicalità sulle questioni economiche, sono molto più silenziose sulle "questioni riguardanti la società", come l'immigrazione, il femminismo, l'ecologia. Viceversa, se i "rifondatori" hanno influenzato la direzione attuale nella sua attenzione ai movimento sociali, essi non hanno condotto alcuna battaglia di una certa ampiezza sulle 35 ore o la protezione sociale. Certo, la Sinistra comunista ha proposto una "larga convergenza anticapitalista", ma si è poi limitata a una partnership col Partito dei lavoratori nel comitato contro Maastricht. È necessario quindi riflettere seriamente su cosa comporta concretamente il passaggio dai riferimenti al bolscevismo alla pratica d'inserimento in un movimento sociale, che necessita di maggiore malleabilità. Quanto all'Appello dei 500, che richiama alla salvaguardia del Partito comunista come unica salvezza del "movimento popolare", ha intanto suscitato a Parigi un dibattito di fondo, salutare e di grande interesse, sul bilancio della sinistra pluralista. Resta una "zona d'ombra", che diventa sempre più rilevante: quella dei militanti e degli aderenti che si rifugiano in una passività silenziosa, talvolta dando il loro voto all'estrema sinistra, e che rappresentano il vero enigma di questo congresso.
Il dibattito interno al PCF cresce e gli orientamenti politici si diversificano, al punto che la coerenza ideologica di questo partito diventa sempre più un lontano ricordo. Sin dal 1924, prima di diventare una forza politica a livello nazionale, il Partito comunista ha costruito la sua stabilità attorno ai bastioni municipali. Le municipalità sono ritornate ad essere oggi la chiave per la sopravvivenza del PCF e una delle principali ragioni per capire la sua ostinazione a mantenersi nella sinistra pluralista. Di conseguenza, ogni giudizio finale su questo partito deve tener conto di situazioni locali estremamente diversificate, del punto di vista degli esecutivi locali.

Rinascere o morire

Nell'immediato, partecipazione al governo e cambiamenti non cancellano la crisi del PCF, che continua a perdere voti alle elezioni e militanti, tanto che l'Humanité accusa un calo molto preoccupante di lettori. Ma l'opzione opposta della piega settaria lo condurrebbe a morte certa. Senza voler fare pronostici infallibili, è possibile tuttavia percepire qualche evoluzione a breve termine. Le correnti più ortodosse sono paralizzate da un forte rischio: la marginalizzazione all'interno o all'esterno del partito. Il rinnovamento della direzione del PCF, a partire dai "rifondatori", dalle personalità "inserite nel programma" per l'occasione, dai giovani provenienti sia dall'Unef (il sindacato degli studenti), sia dal MJCF (la gioventù comunista), contribuisce ad accrescere la leggerezza dei contorni della futura "forza comunista". Promette, d'altra parte, vivacità di dibattito per le prossime elezioni municipali e soprattutto in occasione della probabile designazione di un candidato comunista per le presidenziali del 2002.
Quel che sarà la conclusione, il 30° congresso rappresenta una tappa cruciale nella storia del PCF. Si tratta di riuscire a trovare, al di là di un'efficace immagine mediatica, le risorse per intraprendere, come ultima risposta all'esaurimento storico e politico di questo partito, una nuova dinamica politica capace d'influire sulla ricomposizione di tutta la sinistra. Il fallimento di questo orientamento condannerà definitivamente il PCF a scegliere la soluzione peggiore: fondersi nella corrente socialdemocratica.