Le lotte del novembre-dicembre
1995 in Francia.
Le lotte del novembre-dicembre 1995 costituirono
un episodio, per ampiezza e radicalità, senza precedenti in Francia dallo
sciopero generale del 1968. Qui lo ripercorriamo per sommi capi.
Maggio 2002.
La premessa
Nel 1988 Mitterand, leader del Partito Socialista francese, sconfigge Chirac alle elezioni presidenziali e convoca subito nuove elezioni politiche (1), dove il PS trionfa. La vittoria della sinistra è dovuta alla dura politica liberale condotta dal precedente governo Chirac in "coabitazione" con il Presidente Mitterand (2). Il socialista Michel Rocard è nominato Primo Ministro, ma la sua politica economica non differisce da quella del governo Chirac. Rocard è seguito da Edith Cresson e quindi da Bérégovoy senza che il segno neoliberale dell'esecutivo subisca una qualche inversione di tendenza. Così nel '93 la sinistra perde le elezioni legislative e Mitterand è costretto a nominare Edouard Balladur, espressione della maggioranza di destra. Balladur tenta di abbassare del 20% il salario minimo ai giovani, ma sull'onda delle mobilitazioni non insiste, porta però da 37 a 40 gli anni di contributi necessari per la pensione completa nel settore privato, senza proteste significative. L'onda lunga della delusione dei governi di sinistra giunge sino alle elezioni presidenziali dell'aprile 1995, quando Chirac sconfigge il socialista Lionel Jospin e nomina quindi Primo Ministro Alain Juppé. Chirac ha vinto sull'onda di una campagna elettorale di stampo populista tutta centrata sulla necessità di superare la "frattura sociale" tra i più ricchi e i più poveri, che gli consente di battere sul suo stesso campo politico prima Balladur e quindi, al ballottaggio, Jospin. Da qui un certo tentennamento all'inizio del suo mandato, che risolve decisamente a partire dall'autunno: a settembre Juppé annuncia il congelamento dei salari dei dipendenti pubblici. Così il 22 settembre sette federazioni sindacali della Funzione Pubblica proclamano lo sciopero generale del settore, cui aderiscono altri settori (trasporti, energia, telecomunicazioni...): il 10 ottobre due milioni di lavoratori scendono in sciopero, le grandi città si paralizzano, centinaia di migliaia di persone partecipano ai cortei delle diverse città. Le interviste delle TV e dei giornali (che si sono lanciati in una campagna di denigrazione del settore pubblico considerato "privilegiato") rivelano che molti dei manifestanti hanno votato Chirac. Juppé, però, non indietreggia, anzi! Il 7 novembre realizza un rimpasto governativo che segna più chiaramente il carattere neoliberale del suo governo.
L'offensiva di Juppé/Chirac
Anche in Francia (come, all'epoca, in Italia) si vuole far pagare alle classi più deboli il prezzo del rispetto dei "parametri di Maastricht". Il 15 novembre Juppé presenta all'Assemblea Nazionale il suo piano di riforma ("Piano Juppé") contro le pensioni e l'assistenza malattia. Esso prevede vari attacchi alla Sécurité Sociale (3) e soprattutto il passaggio anche dei dipendenti pubblici dai 37 anni e mezzo di contribuzione ai 40 (4). Nella stessa settimana poi vara il "contratto di piano" per la SNCF (le ferrovie), un contratto tra Stato ed ente ferrovie che peggiora le condizioni di lavoro degli addetti.
La mobilitazione
I sindacati proclamano lo sciopero generale di 24 ore del pubblico impiego e dei trasporti che si svolge il 24 novembre: 5 milioni in sciopero, il Paese si paralizza, code di auto di chilometri circondano le città. Da quel momento ha inizio la mobilitazione destinata a rimanere in scena per tre settimane e a piegare Juppé. I ferrovieri infatti decidono di rimanere in sciopero. Seguono i trasporti della città di Parigi (RPT), le poste, i telefoni (France Telecom), i lavoratori dell'azienda elettrica (EDF). Si uniscono anche gli universitari, in agitazione già da ottobre per ottenere maggiori fondi per l'istruzione e migliori condizioni di studio. Il 30 la Francia è già alla paralisi: mezzi fermi e negozi semivuoti, ma Juppé dichiara che "il calendario delle riforme sarà mantenuto" e il primo di ottobre invita a costituire in tutto il Paese "comitati di utenti". Ma l'appello cade nel vuoto: anche i giornali di destra riportano sondaggi dove si evidenzia la simpatia di massa di cui gode il movimento. Il 5 dicembre le manifestazioni che si svolgono in tutto il Paese raccolgono 700.000 persone nelle piazze, ma Juppé non cede e si limita concedere ai dirigenti sindacali una convocazione "al fine di esaminare le modalità di applicazione delle riforme e i metodi di consultazione e di dialogo". Il 7 si raccolgono un milione di persone nelle manifestazioni, il governo affida ad un mediatore il compito di negoziare, ma i sindacati rifiutano: vogliono Juppé al tavolo delle trattative. La paralisi diviene sempre più grave, in un clima di crescente coinvolgimento popolare e sostegno da parte dell'opinione pubblica. Il 10 Juppé dichiara in TV di essere disponibile al negoziato. Il 12 due milioni di manifestanti si raccolgono nei cortei. Juppé cede sui due punti chiave: piano di ristrutturazione delle ferrovie e pensioni, ma non sugli altri aspetti del suo pacchetto. A partire dal 15 c'è un lento rientro nella normalità. Il 16 dicembre la manifestazione conclusiva raccoglie ancora nelle piazze più di un milione di persone.
Le caratteristiche della lotta
La lotta si è
svolta con rapporti di forza, sulla carta, assai sfavorevoli al movimento sindacale:
nell'Assemblea Nazionale Juppé disponeva di due terzi dei deputati e
dell'aperto sostegno del presidente Chirac. Il movimento dei lavoratori veniva
da anni di riflusso e di delusione nei confronti delle proprie dirigenze politiche.
Il tasso di sindacalizzazione era precipitato a livelli nordamericani. A livello
sindacale Juppé poteva contare sull'aperto sostegno della segretaria
della Cfdt, Nicole Notat.
La mobilitazione ha visto scendere in campo una nuova generazione di lavoratori,
acculturati, spesso con un livello di scolarizzazione superiore alle mansioni
che dovevano svolgere a causa dell'alto tasso di disoccupazione. I sindacati
hanno svolto un ruolo non di direzione ma di "accompagnamento" al
movimento di massa. I sindacati solidali erano la CGT, FO e la FSU insegnanti
(5), oltre alla ben visibile e attivissima corrente interna di opposizione CFDT
en Lutte. Il movimento è stato gestito direttamente dai lavoratori, ma
senza che ciò producesse delle forme di coordinamento che andassero al
di là della città. L'istanza che funzionava di più era
quella assembleare. Le assemblee erano spesso quotidiane e servivano a decidere
il da farsi: a Rouen ogni giorno si svolgeva un'assemblea intercategoriale di
un migliaio di persone in un deposito di locomotive. In alcune città
avevano luogo manifestazioni quotidiane (Marsiglia, Rouen, Bordeaux, Lyon, Toulouse,
Rennes...). La pratica era quella radicale degli scioperi "reconductibles"
cioè suscettibili di prolungamento.
La mancanza di centralizzazione produceva una fortissima democrazia alla base,
e dunque una forte radicalità, ma allo stesso tempo rendeva ardua la
convocazione di appuntamenti centrali (vi fu chi parlò di "movimento
con la testa di argilla"). I contatti tra gli stessi sindacati erano informali
(per tutta la durata della mobilitazione non ci furono né "comunicati
congiunti", né "riunioni ufficiali). Questa dinamica inoltre
produsse una certa deresponsabilizzazione delle dirigenze sindacali, che ad
esempio poterono evitare di proclamare lo sciopero generale "perché
chi deve decidere sono i lavoratori". I ferrovieri erano l'avanguardia
del movimento con un forte ruolo della CGT: i primi a scendere in lotta e fortemente
impegnati nel coinvolgimento delle altre categorie.
Lo sciopero, nonostante i fortissimi disagi provocati agli utenti, mantenne
sino all'ultimo un altissimo indice di popolarità. Per questo gli analisti
all'epoca parlarono di "sciopero per procura" intendendo con questo
che una parte della società aveva chiesto ai dipendenti pubblici di scioperare
anche per loro. Particolarmente evidente la situazione dei lavoratori del settore
privato che, dopo anni di fortissime batoste, simpatizzavano comunque con il
movimento e non scesero in sciopero semplicemente perché le direzioni
sindacali non glielo chiesero.
L'esito dello sciopero venne stato percepito come una vittoria a livello di
massa. La sua onda lunga porterà la destra a perdere le elezioni del
1997 aprendo la strada a Jospin.
(1) In Francia il presidente, eletto con votazione diretta, ha il potere di sciogliere l'Assemblea (il Parlamento).
(2) In Francia viene chiamata coabitazione la presenza contemporanea di un Presidente e di una maggioranza parlamentare (e dunque di un Primo Ministro che il Presidente deve scegliere su indicazione di quella maggioranza) di opposto segno politico.
(3) La Sécurité Sociale nasce nel 1945. Nel 1967 l'organismo, fino a quel momento unico, viene diviso in tre casse nazionali (malattie, pensioni, famiglia). È finanziata per l'85% dai salari.
(4) La riforma Juppé: A) Regime unico per l'assicurazione-malattie. B) Allineamento dei regimi speciali. C) Passaggio da 37 anni e mezzo a 40 anni dell'età pensionabile per i dipendenti statali. D) Assegni familiari dati a tutte le famiglie con più di due bambini non rivalutati nel 1996 e dal 1997 e sottoposti all'imposta sul reddito. E) Aumento in due anni dei contributi per pensionati e disoccupati dall'1,4% al 3,%. F) Introduzione di un dispositivo automatico di rimborso dei medicinali "in funzione del rispetto degli obiettivi di rallentamento della spesa". G) Per il 1996-1997 l'obiettivo nazionale di evoluzione delle spese è fissato al livello dei prezzi. H) Una tantum dello 0,5% per tutti (comprese pensioni e indennità di disoccupazione) I) Aumento del 27% del forfait ospedaliero non coperto dall'assicurazione malattia.
(5) sulla FSU vedi I sindacati della scuola in Francia