Lezioni francesi e furbizia italiana.
Un'analisi sulle elezioni francesi con brani tratti dalle principali pubblicazioni francesi. Reds. Maggio 2002.


 

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1.
Seguendo lo schema propostoci dal quotidiano Le Monde (24 aprile 2002), edizione cartacea, sommando i voti dell'estrema sinistra (Laguiller, Besancenot, Gluckstein), dell'area socialista (Chèvenement, Taubira, Jospin), dei verdi (Mamère, che si autocolloca decisamente a sinistra), del PC (Hue) risultano: 12.220.524 voti; sommando quelli del centro destra e dunque: i gollisti (Chirac), ecologisti conservatori (Lepage), liberali (Bayrou, Madelin), cattolici fondamentalisti (Boutin), tradizionalisti (Saint-Josse: caccia, pesca, ambiente e tradizione) insieme all'estrema destra (Le Pen e Mégret) risultano 16.281.931 voti. Se operiamo simili somme anche per quanto riguarda le elezioni del 1995 (sinistra: Laguiller+Voynet+Hue+Jospin e destra: Chirac+Balladur+De Villiers+Le Pen) risulta che la sinistra aveva guadagnato 12.357.518 voti e la destra 18.022.065.

 

 1995

 2002
 destra

 18.022.065

 16.281.931
 sinistra

 12.357.518

 12.220.524

Da questo schema risulta abbastanza chiaro che la sinistra ha mantenuto nella sostanza i propri consensi, mentre la destra ha perso 4 milioni di voti.

2.
Per comprendere la natura dei cambiamenti che sono avvenuti occorre suddividere ulteriormente lo schema precedente, isolando le parti, sia della destra che della sinistra, che hanno caratteristiche antisistema e che dunque si trovano in fortissima polemica con la propria area di appartenenza. Seguiamo ancora i raggruppamenti proposti da Le Monde:

 

 1995

 2002
 destra  18.022.065  16.281.931
di cui estrema destra
(Mégret, Le Pen)

 4.571.138

 5.472.430

 sinistra  12.357.518  12.220.524
di cui estrema sinistra
(Laguiller, Besancenot, Gluckstein)

 1.615.653

 2.973.640

Come si vede l'estrema destra nell'ambito di un crollo dei consensi alla destra è aumentata di quasi un mione di voti. Pur volendo scorporare il risultato di Mégret (667.123 voti), Le Pen aumenta in termini assoluti, seppur di poco. E' pur vero che nelle elezioni del '95 si presentava anche un altro candidato classificabile come di estrema destra, ma che non fondava la propria identità sulla lotta agli immigrati, quanto su un tradizionalismo da Vandea (ricevette, ai tempi, gli omaggi della Pivetti, tanto per capire). Tuttavia anche in queste elezioni si presentava un candidato con un profilo più moderato, ma che faceva appello allo stesso elettorato, Saint-Josse, e che più o meno ha preso lo stesso numero di voti. Quanto alla sinistra appare chiaro il secco spostamento di voti a favore dell'estrema sinistra (1.350.000 voti). Dobbiamo dunque parlare di una sorta di "crisi di rappresentanza" dei soggetti politici francesi tradizionali. Qualcosa di simile a quanto accaduto in Italia nelle amministrative del 1997 (Un passo avanti per l'Ulivo un passo indietro per la sinistra) quando la sinistra rimaneva più o meno stabile, ma l'elettorato di destra si era astenuto o aveva votato la destra antisistema (all'epoca la Lega).

     

3.
Trarre la conclusione, come hanno fatto in Italia i commentatori ulivisti che "uniti si vince e divisi si perde", è una sciocchezza inqualificabile dal punto di vista analitico. Appare chiaro infatti che il successo dell'estrema sinistra è proprio dovuto alla sua separatezza dalla sinistra governativa, che invece è stata punita. Anche nel '95 l'estrema sinistra si presentò separatamente senza ottenere un successo di queste dimensioni. Tirare in ballo la questione della divisione, significa solo evitare di trarre un bilancio della sconfitta della sinistra governativa. Eppure il segnale non potrebbe essere più lampante: avendo premiato le forze che criticavano da sinistra l'esecutivo, il popolo di sinistra ha espresso in maniera molto chiara la natura del suo giudizio riguardo al governo della sinistra plurale.
Sul voto operaio un articolo su Libération titolato "Témoignages d'ouvriers et d'employés qui, dimanche, ont sanctionné Lionel Jospin" (24 aprile 2002) è estremamente indicativo. Da queste testimonianze emerge chiaramente che le 35 ore sono state applicate in Francia con una modalità che si è ritorta contro gli operai: hanno significato in pratica l'opportuntà da parte del padronato di applicare una flessibilità selvaggia risparmiando sulle ore straordinarie. Riportiamo degli estratti.

"Fabbrica PSA d'Aulnay-sous-Bois, regione parigina. E' l'ora di cambio turno. Nel parcheggio convergono gli operai, in gran parte immigrati o figli di immigrati. Si commentano i risultati del primo turno che hanno visto operai e impiegati lasciare la sinistra governativa per l'estrema sinistra e il Fronte Nazionale. Ahmed, 50 ans: «Beh, io sono algerino, dunque non voto, ma certo non avrei votato Jospin. Gli operai ne hanno abbastanza di promesse [...] Le 35 ore ci hanno imbrogliato. Danno troppi vantaggi ai padroni, lo sfruttamento è aumentato. Lavoro qui da 30 anni, non ci sputo sopra. Ma prima quando lavoravo il sabato avevo dei premi. Ora mi domandano sempre di lavorare nei week end, senza darmi niente.»" [...] "Ma gli impieghi-giovani, la riduzione del tempo di lavoro, la minor disoccupazione... non è niente come bilancio? «Ha creato soprattutto lavori precari. Ci sono troppi poveri, troppa gente in miseria.» risponde Eric, operaio. E le 35 ore? «Si stava meglio prima quando si potevano fare ore straordinarie il sabato», afferma Patrick. Un altro operaio della fabbrica si avvicina al cerchio: «Le 35 ore in fabbrica hanno portato più flessibilità e precarietà. Da noi per esempio mettono degli interinali nei posti a tempo pieno. Questa è la verità.» Si dice fiero di aver votato Besancenot." [...] "Nella fabbrica PME sono ancora le 35 ore che Nicole, 48 anni, operaio, brandisce per giustificare il suo voto a Laguiller e la sua delusione verso il PS: «da noi, le 35 ore sono appena 9 minuti alla settimana di guadagno» mentre «c'è il lavoro di notte e anche i week end, e i salari bloccati [...] ho l'impressione che la sinistra se ne fotta di noi. Ho sempre votato PS, ma non gliene frega più niente degli operai a quelli.» E' soprattutto per questo che la sua collega Christiane, 52 anni, ha votato Le Pen. «La sinistra non comprende i nostri problemi. Oggi danno tutto ai quadri, noi non contiamo niente.» Tra i suoi problemi vede l'insicurezza. «Non so se Le Pen cambierà sul serio le cose, ma è un avvertimento. Al secondo turno avrei votato Jospin.»" [...] "Gisèle Mangin, salariata di Marks & Spencer: «Non voterei mai Le Pen. Mio nonno era un immigrato italiano, non posso votare estrema destra.» Sindacalista CFTC che ha sempre votato PS, ha scelto Bayrou al primo turno. Per protestare contro la maniera in cui il governo Jospin ha trattato la loro lotta contro la chiusura: «[...] Gli ho scritto personalmente. Nessuna risposta. Non un segno, niente. Sono rimasta delusa: non chiedo tappeti rossi, ma io penso sul serio che la sinistra è la giustizia sociale.»" [...] "Nessuna pietà per Jospin anche presso LU di Calais. La lotta contro la chiusura programmata per giugno 2003 della fabbrica di biscotti del gruppo Danone ha lasciato delle tracce: «Ho sempre votato socialista, prima del piano di ristrutturazione. per me è normale: il socialismo ha sempre difeso l'operaio. Ma quando Danone ha deciso di chiudere Calais, il governo ci ha mollati. Per questo ho votato per madame Laguiller.»" [...] "A Soisson, nella cartiera, Michel, operaio, ne conosce molti che hanno votato Le Pen. «[...] Ci sono tra loro dei razzisti anche, certo, ma le cattive condizioni economiche non aiutano. Votare FN è una sanzione, oggi sono preoccupati. Sanno che se Le Pen va al potere non potranno più manifestare come hanno fatto oggi.»"

Ma lo scontento non è solo operaio, a leggere gli estratti dell'articolo che segue, di Emmanuel Davidenkoff, tradotti da Libération del 25 aprile viene in mente il ruolo che la politica nefasta di Berlinguer/De Mauro ha avuto sul voto degli insegnanti alle ultime elezioni:

"secondo un'inchiesta all'uscita dalle urne realizzata da CSA su un campione nazionale di 5 352 votanti di cui 245 insegnanti, gli insegnanti avrebbero votato meno del solito a sinistra, e i due terzi di quelli che hanno scelto la sinistra comunque non hanno votato Jospin. Quest'ultimo avrebbe raccolto il 22% del voto degli insegnanti, lontano dal risultato del PS alle europee del 1999: 31% (22% la percentuale nazionale del PS); lo stesso per le legislative del '97: 46 % di voti dagli insegnanti alla gauche plurielle, contro il 30 % della media nazionale. [...] Questo scivolamento era annunciato. Per tre anni gli insegnanti hanno protestato contro Claude Allègre. Hanno manifestato, promosso petizioni, pubblicato lettere aperte, insistito che la scuola era "in pericolo"[...] si sono creati collettivi di resistenza.[...] Da ultimo hanno denunciato il caos e la violenza che si diffonde nelle scuole. [...] Il 4 aprile scorso in una assemblea generale degli insegnanti in sciopero a Saint-Denis (Seine-Saint-Denis), uno scioperante dicendo «ci troveremo tra quindici giorni a votare gauche plurielle...", è stato contestato da molti. [...] Certo non a profitto di Le Pen, ma nelle sale professori la scena il lunedì mattina era assai simile. Un professore di una scuola di Draguignan: «La gente ci rimprovera d'aver votato per gli ecologisti o l'estrema sinistra, beh, anch'io l'ho fatto». Denis Paget, segretario nazionale del Snes (maggioritario negli istituti superiori): «Tutti erano abbattuti. Ma nessuno ha detto: ho votato Jospin» [...] Un altro insegnante: «Allègre ha lasciato dei segni troppo forti. Gli insegnanti hanno dei conti da regolare». Il leitmotiv è sempre quello: disprezzo verso l'amministrazione in generale, del ministero in particolare e non solo sotto Allègre. Nicole Geneix, segretaria generale del Snuipp (maggioritario nelle elementari) fa un esempio: ci sono voluti 18 mesi perché il ministero aprisse la negoziazione per le sezioni di insegnamento generale e professionale (Segpa) che scolarizza gli studenti più difficili»"


4.
Una serie di inchieste giornalistiche riportano in maniera molto chiara che il voto all'estrema destra è in gran parte popolare. L'FN è il primo partito della classe operaia. Su Libération del 29 aprile Thomas Pikketty (direttore dell'Ecole des hautes études en sciences sociales) scrive:

"La priorità accordata dopo il 2000 all'abbassamento delle imposte sul reddito ha avuto come conseguenza di assottigliare i margini disponibili per la lotta contro la disoccupazione, per rassicurare i pensionati, finanziare le 35 ore negli ospedali, ecc. Le amministrative del 2001 che videro la sinistra prendere voti nei centri della città e perdere nelle zone disagiate, avrebbero potuto suonare come campanello d'allarme. Ma i sostenitori di questo nuovo orientamento non hanno ceduto: 'le classi medie da 30.000 franchi al mese costituiscono il cuore del nostro elettorato, e questi elettori hanno l'impressione di essere bastonati dal fisco, spiegavano'. Dimenticando che in un Paese in cui il 90 %delle famiglie dispone di meno di 22 000 franchi al mese, non si costruisce nessuna maggioranza con quel cuore. [...] Il minimo che si possa dire è che tale tattica elettorale non è stata particolarmente ragionevole. Presso i quadri Jospin è giunto largamente in testa: 24 % di loro hanno votato per lui al primo turno, contro il 13 % per Chirac e l'8 % per Le Pen. Ma tra gli operai la proporzione s'è invertita: 12 % hanno votato Jospin, contro il 14 % per Chirac e il 26 % per Le Pen (Libération del 23 aprile). Tra il 1995 e il 2002, Jospin ha mantenuto la sua percentuale tra i quadri, ma l'ha dimezzata tra gli operai. Abbiamo gli stessi risultati a livello di reddito: i gruppi a più alto reddito hanno votato PS, gli altri hanno disertato. E' la corsa al centro che ha fatto perdere la sinistra. [...] Come testimoniano con forza gli operai che non hanno votato per la sinistra intervistati da Libération la settimana scorsa, le 35 ore in un certo numero di casi hanno condotto al peggioramento delle condizioni di lavoro a causa dei salari modesti (aumento della flessibilità, salari congelati), mentre i quadri intascano congedi supplementari."

E in un articolo di articolo di Thomas Ferenczi pubblicato su Le Monde del 27 aprile troviamo:

"E' in nome del rifiuto che il Front National è stato creato nel 1972 e poi si è sviluppato negli anni '80 sotto l'autorità di Jean-Marie Le Pen. Rifiuto del sistema che governa la Francia e lascia da parte il popolino. Rifiuto della banda dei quattro, quei partiti che si spartiscono il potere sia di destra che di sinistra, incapaci di uscire dalla crisi economica e di risolvere il problema della disoccupazione. Rigetto delle elite, dei politici, degli intellettuali, dei giornalisti, che non pensano che a difendere i loro interessi e dimenticano quelli del popolo. Rifiuto degli stranieri, degli immigrati, dei delinquenti, che minano la coesione della nazione e la tranquillità dei francesi. Paura della modernità, dell'Europa, della mondializzazione, altrettante minacce all'identità della Francia. Paura dell'Altro, paura per chiunque sia differente. Rivolta di quelli che sono in basso contro quelli che stanno in alto, che non li capiscono e non sanno rispondere alle loro domande. [...] Chi sono quel 20% di popolo d'estrema destra? Quei cinque milioni e mezzo che hanno votato Jean-Marie Le Pen e Bruno Mégret? [...] Tutte le inchieste lo dimostrano: sono, per l'essenziale, ambienti popolari -operai, impiegati, piccoli commercianti e artigiani, disoccupati- che manifestano così il loro sentimento d'esclusione.[...] E' la Francia delle grandi concentrazioni urbane e delle forti zone di immigrazione che vota Le Pen [...] E' la Francia in basso sia nella scala dei redditi che di quella del sapere".

Si tratta di un fenomeno non solo francese. Per noi costituisce ovviamente motivo di allarme, ma certo non una sorpresa. Le ragioni le abbiamo già analizzate a suo tempo (Perché gli operai votano estrema destra?) e ora non le ripeteremo. Ci interessa però soffermarci sulla difficoltà che gran parte degli analisti politici mostra nell'individuare la ragione profonda del successo lepenista, e, più in generale, dell'estrema destra. I commentatori di destra ne approfittano per cercare di spostare un po' più a destra l'asse delle forze politiche borghesi in modo da assicurare un più ampio consenso alle politiche antipopolari (in questo senso va letto l'editoriale del Corriere della Sera di Angelo Panebianco del 30 aprile 2002); quelli di sinistra ne addossano la responsabilità a Chirac, che avrebbe agitato fantasmi di cui si sarebbe impossessata l'estrema destra. In realtà il voto a Le pen, risponde ad una logica etnica. La sinistra (tutta, da quella moderata a quella antagonista) ha rifiutato di utilizzare categorie di analisi che comprendano il piano del rapporto tra etnie, considerandolo un esercizio di per sé reazionario, anche se Marx e Lenin a suo tempo ne fecero amplissimo uso. Per ragioni che abbiamo già analizzato (E' vero che il capitalismo è xenofobo?) la borghesia non è portata ad appoggiare posizione xenofobe. Il MEDEF, la Confindustria francese, si è schierata contro Le Pen. Da un articolo di Libération:

Il MEDEF ha condannato la "preferenza nazionale" anche se non ha dato indicazione di votare Chirac. Il 30 aprile il suo presidente Ernest-Antoine Seillière ha dichiarato che "il programma presentato dal FN [...] provocherebbe una regressione economica profonda, una forte aumento della disoccupazione, una crisi finanziaria senza precedenti"; "scegliere l'isolazionismo e il protezionismo condurrebbe [...] a un declino senza precedenti", la preferenza nazionale è "inaccettabile tanto dal punto di vista etico che economico". All'accusa del segretario del sindacato FO di aver aperto la strada all'estrema destra il MEDEF risponde "la nostra condanna è senza appello. Non vi è alcuna collusione tra Le Pen e noi, ed esigiamo le scuse da parte di FO".

Le Pen si colloca, nel solco della tradizione dell'estrema destra francese (1), sul piano etnico. Nel suo programma, che abbiamo tradotto, questa collocazione salta agli occhi: l'insistenza ossessiva verso la "preferenza nazionale", cioé i privilegi che devono essere garantiti ai francesi prima che agli altri. Come già argomentavamo in Perché gli operai votano estrema destra? il piano del conflitto etnico esiste sempre, esiste sempre cioé da parte delle persone, indipendentemente dalla classe di origine, la tendenza a riconoscersi in un gruppo caratterizzato in senso nazionale. Da parte delle nazionalità oppresse ciò costituisce una dinamica di autodifesa per garantirsi la sopravvivenza fisica (per esempio ciò è evidente per i palestinesi, i curdi, ecc. vedi le nostre pagine dedicate alla lotta di questi popoli). Da parte delle nazionalità che opprimono costituisce una maniera per perpetuare i propri privilegi, o guadagnarne di nuovi. Da parte di settori svantaggiati di una popolazione di per sé privilegiata (rispetto al resto del mondo o rispetto alla popolazione immigrata) la rivalutazione della propria appartenenza etnica costituisce una tentazione continua. E' il caso dunque della popolazione bianca europea. La base del razzismo popolare cioé ha una sua base materiale, non è frutto di "pregiudizi", come immaginano i giovani acculturati della classe media, ma di calcolo. Si verifica cioé sul piano della coscienza, e dunque dell'azione politica, uno slittamento etnico, lo spostamento del conflitto e della ricerca del "nemico", dal piano della lotta di classe a quello della lotta etnica. Se cioé i problemi derivanti dalla propria collocazione in fondo alla scala sociale non si risolvono con gli strumenti della lotta di classe (scioperi, sindacati, partiti tradizionali, ecc.), allora gli stessi soggetti, specie quelli più disagiati (per collocazione geografica, tradizione familiare, ecc.) puntano sulla propria appartenza etnica per garantirsi una posizione decorosa nella scala sociale.

5.
Dal 22 aprile in poi in maniera incessante le strade francesi, sono state solcate da giovani che dimostravano contro l'estrema destra. Il fenomeno ha sorpreso i mass media francesi che parlano di una nuova generazione che si affaccia alla politica. Alcuni estratti dall'articolo di Le Monde del 30 aprile 2002:

"hanno dai 17 ai 25 anni, manifestano per la prima volta e non sempre con la benedizione dei genitori. [...] Marie, 22 anni, universitaria di Lyon II, per questa ragazza uscita da un ambiente borghese, conservatore, cattolico e vicino al FN, i risultati del primo turno sono stati uno choc, politico, ma anche psicologico e familiare. Racconta: Un po' prima delle elezioni ho cominciato a sentirmi molto isolata in famiglia, non si parlava apertamente di politica [...] Al momento dell'adozione del PACS avevo sentito frasi omofobe, ma mai dichiarazioni chiare a favore di Le Pen. Poi, a mano a mano che la campagna elettorale andava avanti le discussioni sono diventate più aspre. [...] In famiglia si parlava di musulmani e arabi come di gente minorata intellettualemnte, e che è nella loro cultura fare i parassiti verso tutti. Immaginavano che la Francia si sarebbe islamizzata [...] Qualche giorno prima del primo turno mi sono avvicinata al MJS (Movimento dei Giovani Socialisti), ho incontrato una studentessa che vi aderiva e con la quale per la prima volta ho sentito una comunanza di idee. Il primo turno ha consolidato la mia volontà di impegnarmi sul serio. Oggi non ho più l'impresisone di essere sola. Per lungo tempo nella mia famiglia mi sono domandata se ero normale [...] Domenica sera sono andata a una manifestazione spontanea al centro di Lyon , è la prima volta che lo faccio. In quel momento storico ho sentito che era quella l'occasione o mai più di emanciparmi e di fissare quel momento nella mia vita. Un momento cruciale in cui ognuno deve prendere una posizione. [...] Virginie, 23 anni, studentessa di lettere classiche alla Sorbona di Parigi, vuole diventare insegnante: E' la mia prima manifestazione. Sino ad ora non ho mai sentito il bisogno di impegnarmi. E' necessario mostrare il nostro rifiuto dell'intolleranza. Il primo turno mi ha svegliato. Penso che quello che sta accadendo mi porterà a militare, forse in un sindacato perché nell'istruzione pubblica è molto forte. I miei genitori sono piuttosto a destra. [...] Antoine, 17 ans, liceale di Montreuil (Seine-Saint-Denis): ho manifestato in passato ma non ricordo per cosa , ora è differente . E' troppo grave. Sono qui a manifestare perché non ho il diritto di voto e dunque non posso oppormi direttamente all'estrema destra. Penso che mi impegnerò in ATTAC, che non conoscevo prima , mi hanno detto che vogliono creare una tassa speciale, la Tobin, e sono d'accordo. Non so ancora se aderirò, ma lunedì andrò a iscrivermi a SOS- Racisme. Stanno facendo qualcosa contro l'estrema destra."

Il fenomeno è importantissimo. Ma è chiaro che si tratta di studenti, universitari, classe media. Ancora: sono assenti gli operai. Le manifestazioni degli universitari li lasciano certamente nella più grande indifferenza. Questa mobilitazione servirà senz'altro a evitare che Le Pen guadagni nuovi voti. Ma immaginiamo che al secondo turno i settori popolari che hanno votato Le Pen continueranno a farlo e guarderanno dalla televisione le mobilitazioni degli studenti e le loro parole con diffidenza e sospetto; penseranno: "comodi quelli là, perché non si trasferiscono nei nostri quartieri se gli piacciono tanto gli algerini!" Solo un chiaro impegno della sinistra a lato degli operai e delle classi a reddito più basso a favore dei loro interessi di classe può garantire che si blocchi lo slittamento etnico della loro coscienza e che le classi subalterne non scelgano come nemico l'algerino (la cui "sconfitta" non recherà alle classi oppresse alcun vantaggio) ma il padrone. Naturalmente la lettura di tale conclusione produrrebbe solo un sorriso sarcastico sulle facce inossidabili dei nostri leader di centrosinistra, abituati a perdere predicando che solo coi loro modi si può vincere. Essi hanno ascoltato la lezione di Francia senza capirla. Troppo oneroso è guardare negli occhi la sconfitta francese e scorgervi come in uno specchio le ragioni della propria.

 

NOTE

(1) Nell'articolo dello storico Michel Winock (Institut d'études politiques de Paris) autore di "Nationalisme, antisémitisme et fascisme en France" (Seuil, 1990) e di "Histoire de l'extrême droite en France" (Seuil,1994) pubblicato su Le Monde si afferma che Le Pen è il portato di differenti correnti, egli stesso si è definito allo stesso tempo rappresentante della tradizione popolare e di quella controrivoluzionaria (6 aprile 1995 National Hebdo). Winock afferma che la rivoluzione francese "ha visto nascere la destra e la sinistra, ma ci sono due destre. La destra liberale accetta il 1789, vede lì la sua origine, dato che ha rimpiazzato la monarchia assoluta con una monarchia all'inglese, quei liberali sono stati eliminati per poi riprendere forza soprattutto sotto la Restaurazione. L'altra destra è quella del rifiuto totale della Rivoluzione; ha nutrito l'emigrazione all'indomani del 14 luglio 1789 e una tradizione intellettuale, di cui i maggiori autori sono soprattutto Joseph de Maistre e Louis de Bonald. Questa corrente avrà la sua rivincita dopo la sconfitta napoleonica, ispirando gli ultras (ultrarealisti) sotto Luigi XVIII e più ancora sotto Carlo X, prima di essere sconfitta dalla rivoluzione del luglio 1830. Questa corrente controrivoluzionaria si perpetua sotto la forma del legittimismo con il fine della restaurazione dei Borboni. Il legittimismo e la controrivoluzione saranno poco a poco ridotti al folklore e alla nostalgia. Una volta che la Repubblica fu solidamente radicata, il papa Leone XIII consiglierà i cattolici di accettare le istituzioni repubblicane."
"Negli anni ottanta del XIX secolo prende forma la destra populista che è la seconda corrente storica dell'estrema destra. Due movimenti distinti ma convergenti la caratterizzano: l'antisemitismo e il boulangisme. Il primo è lanciato nel 1886 in Francia dal best-seller di Edouard Drumont, che persuade molti francesi che i loro mali vengono dall'"invasione ebraica": i cattolici, che subiscono le leggi laiche della repubblica franco-massone, gli operai, le vittime delle speculazioni, i piccoli commercianti rovinati dai grandi magazzini. Drumont fonda un quotidiano, La Libre Parole ("La France aux Français !") et lancia la Ligue antisémitique". "Il boulangisme è più esplosivo ma fugace: dal 1887 al 1889 raggruppa, su una base repubblicana (insieme a monarchici e neobonapartisti) gli avversari della repubblica parlamentare. Un vecchio comunardo, Henri Rochefort, editore del quotidiano L'Intransigeant chiede l'espulsione di 500 000 italiani che lavoravano in Francia. Gli altri repubblicani, socialisti, radicali, moderati si uniscono e sbarrano la strada al boulangisme, sia per via giudiziaria che elettorale.
Una decina di anni dopo, l'estrema destra risorge in occasione dell'affaire Dreyfus. Contro il regime prende le difese dell'esercito, si mobilita in senso antisemita e fonda diverse organizzazioni tra le quali la più forte era la Ligue des patriotes, diretta da Paul Déroulède e sostenuta intellettualmente da Maurice Barrès con l'idea di stabilire una repubblica plebiscitaria restituendo al popolo il potere confiscato dai politici."
Una delle conseguenze maggiori dell'affaire Dreyfus fu la nascita dell'Action française, altro organismo al quale Charles Maurras fornirà una idelogia più elaborata. Nutrito dell'influenza di Drumont e Barrès, Maurrasè era convinto che la miglior soluzione politica per fermare la decadenza francese è la restaurazione monarchica. L'innesto del nazionalismo sulla vecchia ideologia controrivoluzionaria costituisce l'originalità dell'Action française. Il nemico, l'anti-Francia, è secondo Maurras costituito dai quattro stati confederati: i protestanti, gli ebrei, i framassoni e i meteci (stranieri)." "Al di là del suo programma l'Action française finisce per esercitare una sorta di egemonia intelettuale su gran parte della destra e del mondo cattolico".
"L'AF conosce il suo apogeo all'indomani della Prima Guerra Mondiale, ma, condannata da papa Pio XI nel 1926, perde seguito negli ambienti cattolici. La crisi degli anni '30 però rilancia il movimento e altri organismi di estrema destra. E' l'Action française che, attraverso i suoi appelli incessanti, prepara i moti del 6 febbraio 1934, ai quali partecipano i Jeunesses patriotes di Taittinger, la Solidarité française di François Coty, diversi movimenti di reduci (compreso l'ARAC, d'obbedienza comunista, separatamente), così come le Croix-de-Feu. I moti non abbattono la Repubblica, ma provocano le dimissioni del presidente del consiglio Edouard Daladier.
"Nel corso degli anni trenta gli esempi italiano e tedesco arricchiscono la tradizione francese d'estrema destra. L'Italia di Mussolini e poi a partire dal '33 la Germania hitleriana costituiscono per alcuni esempi da seguire. "
"A lato dei gruppuscoli fascisti una nuova formazione sempre più fascistizzante cresce a partire dal 1936: il Parti populaire français."
"Nonostante questa effervescenza comunque l'estrema destra degli anni trenta non è riuscita a riunire le sue legioni e i suoi capi. Tuttavia questa mescolanza di antisemitismo, razzismo, odio verso la democrazia, anticomunsimo ossessivo e il pacifismo verso Hitler, fornirà a Pétain nel 1940 una buona base d'appoggio per la sua Révolution nationale".